Cap.
15 - LONTANA DAL PARADISO -
[Tutto
ciò per cui sto vivendo,
tutto
ciò per cui sto morendo…
volevo
solo di più.
Chiudo
l’ultima porta aperta,
i
miei fantasmi stanno guardando a distanza.
Pensavo
che avrei cambiato il mondo.
Dovrebbe
far male amarti?
Dovrei
chiudere l’ultima porta aperta?]
Evanescence
- All that I’m living for -
***
Le soppraciglia di Salazar erano così aggrottate che
sembravano formare un grande arco increspato. Si sentì
piombare addosso un fastidioso disagio, che non presagiva niente di
buono. Osservò le mani di Rebecca chiuse a pugno, la sua
postura dritta e autoritaria, i suoi occhi profondi e scuri, la sua
bocca incurvata in un ghigno. Gli parve di vederla per la prima volta,
non aveva notato prima queste sue fredde e aguzze fattezze.
Senza pensarci, guidato dal cieco istinto, tentò di leggerle
la mente. Rebecca camminava e non sembrava accorgersi di nulla. Voleva
vedere cosa c’era sotto quella pelle, quel corpo, cosa
nascondeva, se c’era qualcosa di buono o di cattivo. Fece
appena in tempo a sfiorarla che lei se ne accorse.
Con un gesto velocissimo, la mano di Rebecca andò a
circondare il collo di Salazar mentre l’altro braccio gli
bloccò il torace e lo spinse indietro. Salazar venne
sbattuto con una forza inaudita contro il muro di pietra. La mano della
ragazza lo teneva ancora saldamente al collo.
“Che fai?” sembrava perplessa più che
arrabbiata.
Salazar provò a liberarsi ma né la sua forza
fisica né la sua magia riuscirono a vincere contro di lei.
Rebecca lo lasciò andare ma rimase con uno sguardo acido e
minaccioso.
“Perché l’hai fatto? Non farlo mai
più”
Salazar rimase a bocca aperta. Un uomo come lui, saggio e potente come
lui, venne messo a tacere. Improvvisamente si sentì
terribilmente debole e piccolo. Rebecca lo stava fissando e pareva
triste.
“Andiamo” gli disse e riprese a camminare.
“Scusami” disse Salazar ad un certo punto sbattendo
le palpebre. “Non volevo”
Rebecca sbuffò. “È solo che non mi
và”
“Perché?” si ritrovò a
chiedere stupidamente.
“Perché quello che sta dentro di me, rimane
mio”
Salazar ghignò. “Hai molta forza” poi
aggiunse: “Per essere una ragazza di…”
“…diciannove anni” lo guardò.
“Sono arrivata a Chenzo che ne avevo diciassette”
Salazar annuì. “Deve essere stato
difficile”
“Che cosa?”
“Vivere per diciassette anni con una famiglia, in una casa,
con degli amici, con una determinata tradizione e poi cambiare tutto,
radicalmente. Sei qui a Chenzo da soli due anni e dubito che tu ti sia
già ambientata”
“Alcune volte mi capita di ripensare alla mia vecchia vita, a
quando ero ancora…” strinse forte i denti.
“…umana”
“E ti manca quella vita?”
Rebecca sospirò e guardò la strada davanti a
sé. “Apparte poche persone che ho amato
veramente…non penso che ritornerei là. Ormai ho
capito che il mio posto è questo, è sempre stato
questo, solo che non lo sapevo”
“Sai, le voci corrono…”
La ragazza sorrise. “Sì, ne so qualcosa. Quando
hai vissuto abbastanza tempo sulla Terra per conoscere affondo i
giornalisti capisci che la privacy di certe persone è un
optional”
“Mi è giunta notizia che tu e l’angelo
Gabriele vi unirete presto in matrimonio”
Gabriel, no Gabriele,
avrebbe voluto puntualizzargli, ma si trattenne.
“Sì, infatti, è vero”
“Non ho mai conosciuto quel ragazzo ma più di una
volta mi è capitato di percepire la sua aurea. Una volta per
esempio, viaggiando, si è fermato per poche ore nel nostro
villaggio e subito, io ero a casa, ho avvertito la sua presenza. La sua
aurea speciale in effetti risaltava molto rispetto alle
altre”
Rebecca si voltò verso di lui e lo guardò con uno
strano cipiglio interrogativo. “Tu vedi le nostre
auree?” e con quel “nostre”
intendeva proprio tutti.
“Sì. Interessanti sono i bagliori di luce che esse
emanano. Possono cambiare colore in base all’umore ma il
colore finale, quello che vedo, è dato
dall’insieme, dal miscuglio, di tutti i colori che
caratterizzano le emozioni di una persona. Quando ho visto Gabriele la
sua aurea era bianca, leggermente sfumata di grigio” disse
con un leggero sorriso che gli incorniciava il volto rugoso.
“E che significa? È un bene, no?”
“Basta pensare che il bianco è il colore della
purezza” si spiegò. “Ovviamente,
più una persona è buona, solare, generosa,
più i suoi colori saranno luminosi, calorosi. Più
una persona è cattiva, triste o perversa, più i
suoi colori saranno scuri”
“E il grigio?”
“Il grigio è il colore della stabilità,
dell’equilibrio e della saggezza. È un colore
molto sensibile e raffinato il grigio, solo poche persone sono
così eleganti e nobili da possederlo nella loro
aurea”
Questo spiegava perché Gabriel ce l’avesse, il
grigio.
“Hai mai conosciuto Mortimer?” la domanda le
uscì involontaria. “Dark Threat”
aggiunse la ragazza a mo di spiegazione.
Il viso dell’uomo si oscurò.
“Sì che l’ho conosciuto, ho avuto la
sfortuna di imbattermi un giorno sul suo cammino”
“E com’era la sua aurea?”
Rebecca, Rebecca, da
dove viene questa tua perversa ossessione per tuo padre?
Rebecca notò che Salazar contrasse la mascella e
s’irrigidì. “Molto
interessante”
“Io sono…” cominciò la
ragazza.
Si erano entrambi fermati in mezzo alla strada e stranamente non
c’era nessuno intorno a loro. Il cuore di Rebecca
cominciò a batterle velocemente nel petto. Salazar le era di
fronte e aveva uno sguardo impassibile, celava la sua impazienza sotto
quella figura rigida e diritta.
“Chi sei?”
“Sono sua figlia”
La mascella di Salazar parve spostarsi in avanti mentre serrava i
denti.
Rebecca si avvicinò a lui di un passo e sussurrò:
“E ora dimmi, di che colore era la sua aurea?”
Salazar ne rimase profondamente colpito. “Nera. Come la
tua”
“Tu lo sapevi?”
“Non sapevo che foste imparentati”
“Dannazione! Lo sanno tutti! Era mio padre”
sibilò con rabbia Rebecca. “Ecco perché
hai cercato di leggermi nella mente: non capivi cosa ci
collegasse”
Salazar alzò il mento, per nulla intimorito. “Tu
non sei cattiva come tuo padre ma il colore e la forza che emani ti
fanno assomigliare moltissimo a lui”
“Pensi che ci possa essere una
possibilità…” dirlo ad alta voce era
molto peggio che pensarlo. “…che io diventi come
lui?”
Salazar ridusse gli occhi a due fessure. “Sicuramente
metà del suo patrimonio genetico è racchiuso in
te”
“Non posso essere punita per i suoi peccati, non è
colpa mia se, portandosi dietro metà inferno, una parte
l’ha lasciata a me”
“Tu stai sfidando il destino, ragazza”
“Detesto quando mi dicono che il mio destino è
già stato scritto” ribattè lei con
freddezza.
“A volte le persone si incazzano quando le cose non vanno
come desiderano, bestemmiano e maledicono il destino ma quando arriva
la fine non resta che mollare”
Quando arriva la fine
non resta che mollare.
Chissà perché quelle parole continuarono a
rimbombarle in testa. Era molto scossa, ma non lo diede a vedere.
Quell’uomo parlava per aforismi e su di lei avevano un grande
effetto.
La ragazza continuò per la sua strada. Riconobbe la via
principale dalla quale era arrivata. Senza che il suo protetto le
dicesse niente si avviò verso il portone. Presto sarebbe
uscita da quell’assordante villaggio. Una farfalla le
svolazzò attorno e lei la scacciò via muovendo
fastidiosamente le mani. Si era irritata, lo sapeva, non era un gran
bel giorno.
Salazar l’affiancò. Lei lo guardò
malissimo.
“Comunque, come facevi a non sapere che era mio
padre?”
Era?
O sarebbe meglio dire:
“è”?
“Ultimamente sono stato impegnato, ho viaggiato molto e mi
sono perso le ultime notizie”
Arrivarono al portone e le stesse guardie di prima li fecero passare
per uscire. Riconobbero Salazar ma, stranamente, invece di salutarlo o
inchinarsi si limitarono a fissarlo, impassibili e leggermente
distaccati, come se stessero osservando qualcosa di pericoloso, temuto
e sconosciuto. Rebecca sapeva bene che certi umani guardavano la magia
come un qualcosa di oscuro, più forte di loro e dannatamente
indomabile.
A lei invece le guardie riservarono un trattamento ben diverso: fecero
un profondo inchino e quando rialzarono la faccia le sorrisero in modo
un po’ troppo invadente. Se solo avesse potuto si sarebbe
girata e avrebbe vomitato.
“A chi lo dici” sbuffò la ragazza.
“Questo mondo è un casino, possibile che Dio non
esista qui?”
C’aveva pensato molte volte: Dio esisteva? E, se esisteva,
perché non aiutava quel pianeta soffocato dal Male?
Lei era un angelo, tecnicamente era una Sua inviata. Possibile che Lui
non ci fosse?
Alla fine arrivò alla conclusione che forse non esisteva
affatto. Altrimenti non ci sarebbe stata lei ad eseguire tutti i Suoi
compiti.
Tutto un tratto Salazar la bloccò per il polso. Rebecca si
irrigidì a quel contatto e tolse immediatamente la mano.
“Non sei ancora riuscita a superarla” la
guardò con un’espressione triste.
Aveva perso il filo del discorso. Un attimo.
“Non so di cosa stai parlando. Ora, se non ti dispiace vorrei
teletrasportarci a casa” Rebecca scostò la testa
per non incontrare i suoi occhi.
“La morte di tuo padre ancora non ti fa dormire la
notte”
Rebecca arrossì di rabbia.
Come si permetteva?
Lei aveva ucciso suo padre, se solo non avesse voluto ucciderlo non
l’avrebbe fatto. La morte di Mortimer era stata una sua
responsabilità e non si vergognava, né tantomeno,
si dispiaceva.
Era qualcos’altro che la teneva sveglia la notte. Qualcosa
che stava cercando disperatamente di tenere nascosto al mondo intero.
Non gli disse ciò che pensava. Lo scrutò con uno
sguardo impassibile e quasi lo incenerì con gli occhi.
“Ti sbagli”
“Allora perché continui a soffrire in questo modo
se la morte di tuo padre la desideravi e il matrimonio con Gabriele
dovrebbe essere una gioia?”
Rebecca trattenne la rabbia più forte che potè e
strinse i pugni lungo i fianchi.
“Io non soffro”
“Strano, quando guardo i tuoi occhi è il dolore
che vedo, non la felicità”
“Gabriel,
provo tanto dolore” gli disse una notte.
“Non
è dolore, tesoro: è amore”
“Qualsiasi cosa sia non è affar tuo, razza di mago
ficcanaso” incrociò le braccia al petto, a dir
poco irritata. “Andiamo al mio villaggio?”
“Preferirei farla a piedi”
Rebecca strabuzzò gli occhi. “Stai scherzando,
vero? Saranno giorni di viaggio! Se hanno mandato me sarà
anche perché ho le possibilità di accorciare
questo maledetto viaggio!”
“Come vuoi” fece spallucce.
“Mago” lo ammonì lei, come se stesse
parlando con un demente. “Sbaglio o la tua dedizione consiste
nel coltivare la magia? Allora, per favore, lascia che sia la magia a
portarci a casa. Eviteremo giorni di cammino, fermate inutili e assalti
improvvisi. Non so te ma io sono abbastanza famosa e ricercata da
queste parti”
“Da chi sei ricercata?”
La ragazza boccheggiò, prese un bel respiro e fece finta di
parlare con un bambino duro di comprendonio, alla soglia dei suoi primi
perché. “Forse perché ho ammazzato il
più grande esponente del Male ora ho tutti i suoi seguaci
alle calcagna, no?”
Salazar sorrise. “E perché ti vogliono?”
Rebecca impallidì. Veloce, velocissima, arrivò a
capire dove il mago stava andando a parare. E prima ancora che potesse
rispondergli, o anche solo trovare la forza di mascherare le sue paure,
una vocina dentro di lei echeggiò ripetendole
all’infinito: lui sa.
Mi vogliono
perché, tutto sommato, non sono poi tanto diversa da loro.
Infondo, non sono poi
così buona.
“Mi vogliono per uccidermi, ovviamente. Che domanda
stupida” borbottò.
“Allora sarà meglio tornare a casa con il
teletrasporto” disse alla fine il mago.
Dentro di sé Rebecca tirò un sospiro di sollievo.
“È quello che ho detto io”
“Ce la farai?” domandò Salazar.
“Non ho mai provato con un’altra persona e nemmeno
da una distanza così lunga. Posso provare, mal che vada mi
farò male io”
“Non ti conviene fare una piccola pausa? A metà
strada? Conosco un posto, nel bosco, è perfetto”
“Ok, va bene” lo guardò di sottocchio.
“Ma non mi rompere le palle più del
dovuto”
Salazar rise, meravigliato. “Per tutti i cieli! Non sapevo
che avessi un linguaggio così scurrile! E anche un bel
caratterino, a quanto vedo”
“Sì, beh, ammetto di non essere il massimo del bon
ton” grugnì lei. “L’eleganza
l’ho mandata a quel paese nel momento in cui ho dovuto
impugnare una spada e indossare una tuta”
“Oh, non ti preoccupare! Io le ragazze le preferisco molto di
più così: sfacciate e piene di fuoco”
Rebecca si ripromise di raccontarlo a Gabriel. Sorrise, immaginando la
scena.
“Ce
l’hai fatta a portare il mago. Come è
andata?”
“Bene,
tornando a casa ci ha provato con me”
Le parve di vedere la faccia del suo ragazzo arrossire per il fastidio.
“Non sei un po’ vecchio per me?” lo
schernì la ragazza con un ghigno ironico.
Salazar schioccò le dita come un colpo di bacchetta magica.
“Non si è mai troppo vecchi, né troppo
giovani”
“Non voglio
morire, sono ancora troppo giovane”
“Non si
è mai troppo giovani per morire, Rebecca”
La ragazza scrollò il capo. Prese per mano il mago e
richiamò a sé la magia.
***
Se c’era una cosa che irritava Atreius più della
bontà d’animo era il ritardo. Ormai non sapeva
più come intrattenere il tempo, al castello.
All’inizio era stato entusiasta del piano ma ora la sua
felicità era stata tramutata in noia mortale e
passività. Pensava che la sua
“sorellina” sarebbe arrivata prima, sperava che suo
padre fosse riuscito a tornare, che la sua solitudine fosse stata ben
presto sostituita da un nuovo, oscuro, quadretto famigliare.
“Signore” la guardia entrò nella sua
camera senza bussare, cosa che lo irritò non poco.
“Che c’è?”
Per fortuna la guardia non poteva vederlo in faccia altrimenti avrebbe
capito l’errore madornale che aveva appena commesso. Atreius
socchiuse le palpebre e guardò il sole tramontare dalla
ristretta fessura dei suoi occhi, dando liberamente la schiena alla sua
guardia.
“Sono stato informato da…”
“Avanti, parla” disse Atreius in malo modo.
Inconsciamente la guardia indietreggiò. “Ancora
nessuno sviluppo, sono desolato”
Il ragazzo dovette tenere a freno la rabbia. Appariva disinteressato,
calmo e impassibile ma dentro di sé urlava, scalciava e
fremeva per l’impazienza.
Con quello che gli parve il giusto tono di voce, congedò la
guardia.
Da dietro la colonna in legno del suo grande letto a baldacchino
comparve la testa tonda e squamosa di Vezzen, suo ormai fidato
tirapiedi.
“Oh signore, mi dispiace!” sembrava veramente in
pena per il suo giovane padrone.
Atreius si liberò del mantello e sospirò. Per un
breve istante pareva essere tornato il solito ragazzo insicuro e vivace
di un tempo. “Non ne posso più, Vezzen. Dico sul
serio. Sto facendo del mio meglio per gestire questo inferno in attesa
che ritorni mio padre con mia sorella ma…”
strizzò gli occhi per la stanchezza. “Se non
dovessero tornare?”
“Ritorneranno, ne sono sicuro” si
avvicinò lentamente zoppicando, stringendo tra le mani uno
straccio vecchio e macchiato. “Dobbiamo solo avere un altro
po’ di pazienza”
“È solo che pensavo che mio padre fosse
più forte, ecco” disse, fissando il cielo dalla
finestra aperta.
“Vostro padre è
forte” lo corresse Vezzen, poi
abbassò gli occhi. “Solo che vostra sorella
è ancora più forte” disse con
imbarazzo.
Vezzen sussultò nel sentire la risata forte e cristallina di
Atreius.
“Chi l’avrebbe mai detto?” gli occhi di
Atreius brillavano. “Rebecca si è dimostrata
imprevedibilmente un osso duro. È io che pensavo che fosse
un semplice angelo troppo ingenuo ed inesperto, ero convinto che ci
sarebbe cascata subito. Devo ammettere invece che è
dannatamente furba e dotata” esclamò con una
profonda nota di ammirazione.
A Vezzen sembrò di scorgere qualche altro sentimento nella
voce di Atreius, oltre che all’ammirazione, ma non ci fece
caso. Non gli era concesso sapere più del minimo
indispensabile, né fare troppe domande, anche se ultimamente
il suo padrone si era confidato sempre più spesso con lui e
Vezzen non poteva che esserne onorato, appagato.
“Ma signore, secondo lei, quanto dovremmo
aspettare?”
“Conosco mia sorella abbastanza per poter affermare in tutta
onestà la sua debolezza verso il lato oscuro. Siamo molto
simili, per certi aspetti. Avrà fatto parecchie storie
all’inizio, la sua forza addirittura potrebbe essere stata
maggiore di quella di Mortimer, sicuramente l’avrà
sottomesso, eclissato. Ma mio padre deve aver cambiato tattica con lei,
ecco perché ora sta cedendo. Ecco perché entro
breve tornerà qui strisciando”
“E il consiglio?”
Il ghigno di Atreius fu spaventoso. “Gli ho scacciati, quegli
incompetenti. Avevano un unico compito: quello di servire mio padre
nella sua rinascita, ma hanno miseramente fallito. Non sono stati in
grado di fare niente. Niente! Oltre ad essere stati tremendamente lenti
ed esasperanti cominciavano a chiedere troppo: troppo potere, troppa
attenzione, troppi privilegi. Cosa penserebbe mio padre se, tornando,
venisse a sapere che ho diviso il nostro potere con una congrega di
maghi incapaci? Sicuramente, come minimo, mi diserederebbe”
“Quindi…”
“Quindi ho dovuto affidarmi ad un uomo. In realtà,
questa persona, è un vecchio amico di famiglia, si
è gentilmente offerto di tenere d’occhio la
ragazza e di mandarci costantemente un resoconto piuttosto
soddisfacente. Forse lo conosci, si chiama
Heidger”
Le orecchie di Vezzen si fecero diritte e attente, come quelle dei cani
in ascolto. “Oh sì, sì, che lo
conosco”
“Gli ho chiesto di fare le cose in assoluta segretezza e
finora non è mai stato scoperto. Davvero ammirevole,
quell’uomo. Non capisco solo una cosa, come mai mio padre lo
cacciò?”
“Heidger si era fatto troppo pericoloso”
“Pericoloso?” chiese il ragazzo inarcando il
sopraciglio.
“Nel senso che, con tutto il potere accumulato e il prestigio
offertogli dal signore, divenne pretenzioso, arrogante, feroce. Vostro
padre lo bandì per sempre dalle sue terre nel momento in cui
Heidger tentò di ucciderlo, molti, molti anni fa, prima che
voi nasceste”
“Non sapevo queste cose” disse il ragazzo sedendosi
sul suo letto e stravaccando le gambe. Mise le braccia dietro la testa
e si sistemò meglio tra i cuscini. “Come mai
tentò di ucciderlo?”
Vezzen lo guardò, come se il motivo fosse ovvio.
“Perché voleva il suo potere. Ve l’ho
detto, era diventato troppo affamato di gloria. Io me le ricordo le
liti che scatenava e gli atti che faceva in pubblico, era matto, dico
sul serio”
“Era così potente?”
“Beh, era a capo dell’esercito di Dark
Threat”
“Uhm…” Atreius si leccò le
labbra. “Abbiamo a che fare con un generale ben
addestrato”
Vezzen rimase in silenzio e poi fece per chiedere qualcosa ma
arrossì furiosamente. “Signore,
come…c-come avete fatto a ripescarlo dal suo esilio? Se non
sono troppo invadente”
Gli occhi grigi e freddi del ragazzo si posarono sul servitore. Alcune
volte era difficile capire cosa stesse pensando Atreius, era
così misterioso…
“Quando ho chiesto a quell’idiota di guardia di
trovarmi qualcuno di valido per controllare Rebecca ha pensato bene di
organizzarmi un incontro con lui. Evidentemente sapeva della sua
esperienza, tutti lo sapevano, per questo la maggior parte mi ha
appoggiato in questo piano. Ignoro, comunque, dove si trovasse prima di
essere richiamato”
“E quando la ragazza arriverà al
castello…lei…”
Di colpo Atreius di mise seduto. “Mi aspetto che le
riserviate un trattamento speciale, degno di una regina”
Vezzen annuì immediatamente e con vigore. “Certo,
era ovvio!”
Il ragazzo si morse il labbro inferiore.
“Lei…spero solo che arrivino in fretta”
concluse leggermente impacciato.
“Sì signore, lo speriamo tutti. Abbiamo investito
molto in queste speranze”
“Non ti preoccupare Vezzen, presto saremmo come un tempo,
molto presto ritorneremo alle antiche glorie e nulla potrà
fermarci. Potremmo vantare di avere un trio formidabile”
ghignò.
“E l’angelo Gabriele, mio signore? Ho sentito che
lui e la ragazza sono…” sembrò cercare
le parole giuste. “…intimamente legati”
Atreius gli scoccò un’occhiata gelida.
“Se mio padre riuscirà a portarla dalla nostra
parte, allora vedrai che non le interesserà più
quello smidollato”
Vezzen non aveva mai visto il suo padrone infervorarsi in quel modo per
una persona. Colpito da tanto rancore sbattè le palpebre,
impaurito. “S-Sì, certo, come ho fatto a non
arrivarci prima?” fece un sorriso tirato.
Atreius sbuffò e ritornò ad affacciarsi alla
finestra. “Gabriel si ritroverà da solo contro
tre, sarà la sua fine e con lui moriranno per sempre quegli
sdolcinati ideali di pace e di bene che mi fanno venire la nausea, se
non il diabete addirittura”
Vezzen era molte cose (alcune cose erano imbarazzanti per la loro
semplicità) ma non era stupido. Sapeva dare un nome al
sentimento impetuoso e violento che il suo padrone provava ogni qual
volta si facesse il nome di Gabriele. Anche ora, guardandolo dal letto,
giurava di vederglielo stampato in faccia.
Ne era sicuro: era gelosia.
***
“…ma
ci sono veleni che non permettono alla vittima di guarire. Alcuni
veleni, infatti, vengono trasmessi nel sangue della vittima senza che
lei se ne accorga e il loro effetto non sempre è visibile
sotto chiare manifestazioni di sintomi. I veleni oscuri, per esempio,
erano in voga nei primi anni ed erano usati da potenti stregoni o
creature infernali per poter dar vita a nuovi gruppi o seguaci:
è noto come il veleno che non uccide corrompe
irrimediabilmente l’animo di una persona. Un tempo, le
tenebre, si servivano di questi veleni per affiancarsi di seguaci,
costringendoli ad abbandonare la via del Bene
per…”
Il libro cadde pesantemente dalle mani rigide di Denali facendo un gran
rumore. Il suo tentativo di passare inosservato fallì
miseramente. Sulla soglia della porta, appoggiata allo stipite,
c’era Rosalie che lo guardava torva.
“Che stai facendo? Ti ho cercato per tutta la casa”
Denali raccolse il libro e lo tenne stretto tra le mani.
“Avevo voglia di leggere un po’”
La ragazza aggrottò la fronte. “Ma per piacere,
Denali. Sappiamo tutti e due che non entri mai in questa stanza: tu odi
leggere” diede un’occhiata cupa alla piccola
biblioteca.
Schioccò la lingua e tenendo le braccia incrociate al petto
raggiunse il suo compagno che era rimasto fino a quel momento in piedi,
rigido come un palo di legno.
“Che cosa stavi leggendo?” Rosalie
allungò il collo per sbirciare la copertina. Il titolo era
nascosto dalle grandi mani di Denali e lei non riuscì a
leggerlo. “Avanti, fai vedere”
Molto infastidito il ragazzo spostò le dita e le permise di
leggere il titolo. Subito la ragazza alzò la testa per
incontrare i suoi occhi, pareva curiosa.
“Come mai ti interessa? Nessuno è stato
avvelenato” poi aggiunse, lentamente: “Che io
sappia”
Con uno sbuffo Denali lo rimise al suo posto, sullo scaffale
impolverato. La scritta in oro saltava agli occhi rispetto agli altri
libri vecchi e anneriti. “Rimedi
efficaci contro ogni tipo di veleno o droga”.
Denali gli lanciò un’ultima occhiata prima di
incamminarsi verso l’uscita. Non sentì i passi di
Rosalie che lo seguivano e si voltò a guardarla: stava
ancora fissando quel libro e sembrava triste, preoccupata.
Denali sentì lo stomaco contorcersi spiacevolmente.
Rosalie teneva lo sguardo basso, ora. “Mi stai nascondendo
qualcosa?” chiese, cercando di dare un po’ di voce
al suo tono debole.
Gli dispiaceva vederla così.
Dio, faceva così male…
“No, certo che no. Perché dovrei?”
Denali era bravissimo a mentire.
All’inizio Rosalie aveva giudicato questa sua
capacità affascinante, aveva il potere di confonderla,
piacevolmente. Ora però ne provava timore, paura. Non erano
più ragazzini, adesso lei era una madre, era adulta. E lei
voleva soltanto delle sicurezze, non più delle bugie.
“In questi ultimi mesi sei diverso” le
tremò la voce. “Alcune volte mi sveglio durante la
notte e tu non ci sei, il posto accanto a me nel letto è
vuoto. Allora mi alzo e vengo a cercarti, e ti ritrovo qui”
con una mano toccò lo scaffale. “Leggi, sembri
concentrato, attento, sfinito, ma appena il giorno dopo ti domando
qualcosa…mi racconti una bugia”
“Sto solo facendo delle ricerche” disse con
innocenza.
La ragazza fece una smorfia. O era un sorriso?
“Sì, certo”
“È la verità”
sussurrò Denali in un soffio.
“Sei malato?”
“Oddio, no che non sono malato” stancamente si
strofinò la fronte con la mano, aveva un tremendo mal di
testa. “Lo so che al momento ti sembrerà strano ma
ho bisogno che tu ti fida di me”
Rosalie avvampò e con un gesto violento si portò
le braccia al petto stringendo la vestaglia. “Fidarmi di te?
Ho solo bisogno di sapere se quello che stai facendo è
qualcosa di brutto o no!”
“No” scosse la testa. “Io sto
solo…”
La magia lo bloccò. Non poteva parlare.
Rosalie lo vide ammutolire e fece un sospiro esausto. “Stai
aiutando qualcuno?”
Il ragazzo annuì, troppo in colpa per guardarla in faccia,
vergognoso dei suoi segreti, del suo modo brusco e freddo.
Rosalie gli fu vicina e gli prese il viso tra le mani. Lo costrinse a
guardarla negli occhi e Denali, perso nei suoi occhi blu, smise di
respirare. Lei lo baciò teneramente, in punta di piedi.
“Ti chiedo solo di stare attento, ok? Io mi fido di
te” lo baciò ancora, più profondamente.
Denali strinse le mani sui suoi fianchi e strizzò gli occhi
fino a farsi male.
Ci sono veleni che non
permettono di guarire.
Trasmessi nel
sangue…
Ciò che non
uccide corrompe l’animo.
Servono ad alimentare
l’odio, costringendo ad abbandonare la via.
***
Un vento di polvere ed erba si alzò a spirale non appena
Rebecca toccò il suolo con il teletrasporto.
L’onda magnetica, in realtà, non era stata causata
dal teletrasporto quanto piuttosto dall’intensità
dei suoi poteri. Salazar rimase ancora aggrappato a lei per il braccio.
“Come sapevi che volevo portarti qui?”
Rebecca inarcò le sopracciglia. “So leggere nel
pensiero, sai?” si guardò ammirata le mani, come
se si aspettasse di veder comparire un enorme magia.
Elegantemente mosse un dito all’altezza del suo collo e la
sua divisa da viaggio lasciò il posto ad un paio di comodi
jeans e ad una felpa bianca con il cappuccio peloso color caramello. Un
paio di scarpe basse sostituirono gli stivali. Fece un movimento
circolare del collo e i lunghi capelli si raccolsero in una crocchia
composta. I ciuffi ribelli che le incorniciavano il viso la rendevano
ancora più bella e graziosa.
“Questa…” disse Rebecca indicandosi i
vestiti. “…è la nostra moda, Salazar. I
terrestri hanno uno stile diverso per ogni tipo di occasione”
sorrise.
Il mago sembrava accigliato. “E questa che occasione
sarebbe?”
“Jeans e felpa: per stare semplici, comodi e al caldo. Non
vedo perché dovrei indossare quella specie di tuta da sub,
ora non sono mica in campo di battaglia. Adoro Chenzo, veramente, ma in
fatto di vestiti non ci sapere proprio fare”
“Noi non abbiamo bisogno di impressionare nessuno”
borbottò Salazar lisciandosi la veste.
“Anche questo è vero!” disse Rebecca
puntigliosamente con il dito. “Ma dopo anni che indossi i
jeans fai fatica a perdere il vizio di portarli sempre, sia benedetta
la persona che gli ha inventati”
“Sembri diversa”
Rebecca sorrise e ciondolò sul posto. “Mi sento
diversa”
“Sembri più…”
esitò. “…umana”
Rebecca scoppiò in una risata. “Mi conforta
tornare alle origini ogni tanto”
“Già” bofonchiò il mago.
“Non pensavo che al primo colpo sarei stata in grado di
teletrasportare entrambi” ammise la ragazza, incamminandosi
per stare dietro al mago.
Salazar si stava addentrando nella foresta.
“Io non avevo dubbi”
“Io ne ho avuti, un po’,
all’inizio”
“Sono molto stanco”
“Mi dispiace, questo tipo di magia attinge la forza dalle
energie di chi è dentro il raggio. Ho cercato di fare in
modo che non la prendesse dal tuo corpo ma evidentemente è
stato necessario per la lunghezza del tragitto che abbiamo
fatto”
“Mi sembra che tu stia bene” non era una domanda.
“Beh, sì, diciamo che mi tengo sempre allenata,
ogni giorno. Ormai raramente mi ritrovo senza forze o senza energia.
Sono diventata una specie di pozzo senza fondo, non so quanto mi possa
far piacere” rise lei.
Sembri più
umana.
Rebecca si adombrò e tossì. “Dove
stiamo andando?” schivò un ramo che
rischiò di colpirla in testa. “Possibile che passo
più tempo in mezzo alla foresta che non tra la
civiltà?”
Il mago rise. “Cosa pretendi di trovare qui? Praticamente
viviamo in un’enorme foresta, è come se la
vegetazione ricoprisse l’intero pianeta”
“Non esattamente: il terreno dove sorge la fortezza di
Mortimer è deserto”
“Sì…” la guardò
incerto. “Ma dopotutto là è impossibile
che una creatura riesca a trovare un modo per poter vivere. Intorno a
quelle lande desolate non c’è
nient’altro che morte”
Ma non era alla morte che Rebecca pensava quando ricordava casa, semmai
l’immenso potere e grandezza che si ergevano intorno ad essa.
Se ricordava casa.
Casa.
Non si era accorta neppure di aver pensato a quel luogo come ad una
casa. Alla sua casa. Si portò una mano sul cuore, nella
speranza di calmarne i battiti, di guarirlo dalle profonde ferite, di
pulirlo dal veleno. Si rese conto con stupore che non batteva. In preda
al panico premette più forte la mano contro il petto e
bloccò i suoi passi. Salazar si voltò a
guardarla.
“Che stai facendo?”
Rebecca si accorse che era tutta sudata in fronte, mentre cercava
disperatamente di sentirsi i battiti. Tastava e continuava a spostare
la mano. Alla fine lo sentì, un lieve e debole battito le
batteva contro il petto nel punto in cui il palmo della sua mano
premeva. Tirò un sospiro di sollievo.
Quando i suoi occhi incontrarono quegli allarmati di Salazar si
sentì mancare il respiro.
“Come?”
“No, stavo dicendo, che stai facendo? Perché ti
sei fermata? E perchè ti colpisci il cuore con la
mano?”
Rebecca scoppiò in una risata ma sembrò
più un urlo agonizzante. “Ah! Mi è
successa una cosa incredibile! Pensavo di avere un insetto schifoso
dentro la felpa” mostrò i denti in un sorriso
troppo tirato.
Salazar indicò la sua fronte.
“Sei tutta sudata”
Con un gesto brusco la ragazza si asciugò la fronte
imperlata di sudore. “Odio gli insetti. Ora continuiamo,
abbiamo già perso troppo tempo”
Continuarono per altri diversi minuti e poi Salazar le fece cenno di
fermarsi. Sembrava tranquillo, a suo agio, come se quei posti lo
confortassero, o anche solo lo facessero sentir bene. Si sedette
accanto ad un grosso albero e appoggiò la schiena contro la
dura corteccia. Rebecca osservò il paesaggio intorno,
stizzita e un po’ infastidita, non ci trovava niente di
confortante. Era solo una foresta, con degli alberi e un placido
ruscello azzurro. La foresta che circondava la sua casa era decisamente
molto più bella: con quella cascata e lo specchio
d’acqua.
“Che stai facendo?” il tono che le uscì
era acido, non lo fece apposta.
Imbarazzata, incrociò le braccia al petto e si diede
un’aria austera.
“Mi riposo, sua altezza. Sono stanco, non ho più
il fisico di una volta” le rispose, come se stesse parlando
con una bambina.
Rebecca sbuffò a quel “sua
maestà” e bofonchiando si sistemò
vicino a Salazar, attenta comunque a mantenere le giuste distanze da
lui. La inquietava, quell’uomo. E non capiva, inoltre, come
facesse ad essere stanco se neppure aveva camminato.
Cominciò a strappare con un po’ troppa foga le
erbacce che le stavano attorno. Stava per strappare un fiore dal suo
lungo gambo quando una mano la fermò.
La ragazza alzò lo sguardo e incontrò gli occhi
quieti del mago.
Lui le sorrise dolcemente. “Non farlo, non strapparlo. Non ti
ha fatto niente”
Con riluttanza Rebecca tornò al proprio posto, lanciando
delle occhiatacce a Salazar che lui prontamente ignorò.
“Non ti capisco” esclamò ad un certo
punto.
“Cioè?” domandò lui, con
calma.
“Come puoi passare una vita così: da eremita? Come
puoi stare a guardare le persone che ti fanno male senza reagire? Dopo
tutta la cattiveria di questo mondo come fai a mantenere la calma? A
far finta che tutto vada bene?” parlò serrando i
denti. “Anche ora, qui, con me. Ti stai rendendo cieco,
ecco”
Salazar non era stupito. Osservò con amore il bastone bianco
stretto tra le sua mani. Era davvero molto vecchio,
molto…vissuto. “Secondo te sono cieco?”
“Sto solo dicendo che non tutto è come
sembra” gesticolò con le mani.
“Stai cercando di mettermi in guardia da qualcosa,
ragazza?”
Il suo tono di voce le mise i brividi. Mantenne uno sguardo basso e
indifferente. La magia stava già premendo contro i suoi
tentativi di svelargli la verità. Una forza oscura le
impediva di parlare, quando si trattava di quel segreto. E
anche suo padre poneva resistenza, l’aveva sottovalutato.
L’aveva sempre
sottovalutato.
Come aveva fatto a sottovalutarlo?
Da quanto tempo aveva abbassato la guardia?
L’unica cosa positiva, in tutto questo, era che Mortimer
aveva smesso da tempo di parlarle frequentemente. Di rado si
intrufolava nella sua testa per esprimere i suoi commenti o le sue
opinioni sprezzanti.
“Da tutto ciò che ci circonda. Dopotutto non
è un caso se io sono qui e tu sei qui con come. Ci servi,
servi al mio villaggio per capire cosa stanno tramando al
castello”
“E cercherò con tutto me stesso di soddisfare le
vostre aspettative”
“Già” mormorò.
“Non mi sembri entusiasta”
Dovrei esserlo?
Prima regola: evitare di dire la prima cosa che viene in mente.
“Non vedo perché dovrei esserlo. Ti porto al mio
villaggio per consegnarti a Bastian, dopodichè io
avrò portato a termine la mia missione. Io non centro niente
in tutto questo” abbassò gli occhi troppo in
fretta e lui se ne accorse.
Seconda regola: dire meglio le bugie.
Salazar scrollò le spalle. “Pensavo invece che ti
interessasse sapere cosa sta accadendo”
Idiota, lo so
già!
Terza regola: moderare il linguaggio.
“Bastian me lo dirà”
Il mago assunse un’espressione seria, reverenziale.
“Non capisco se questo tuo disinteressamento alle sorti del
mondo derivi proprio da un tuo freddo menefreghismo o dalla
consapevolezza di sapere già cosa ci aspetta”
A quelle parole Rebecca scattò in piedi. “Come ti
permetti? Mi stai accusando?”
“In realtà ho spiegato due possibili cause del tuo
comportamento, se tu ora stai parlando di accusa vuol dire che la
seconda osservazione era quella giusta” la sua voce era come
sempre calma, pacata ma questa volta aveva anche
un’incrinatura velenosa.
Rebecca rimase a bocca aperta, senza più parole.
“Tu non sai niente. Non sai niente di me”
sibilò, e strinse i pugni con tanta forza che
sentì le unghie entrarle nella pelle.
Anche Salazar si mise in piedi. Nessuno rideva più. Mentre
si preparavano a fronteggiarsi un pesante gelo si abbatté su
di loro. L’intera foresta parve rabbrividire di freddo.
“Sin da quando sei arrivata a casa mia ho sospettato che
c’era qualcosa di strano, di inquietante in te. Speravo che
non fosse così” sembrava deluso, più
che spaventato.
“E come sarebbe?”
“I tuoi continui cambiamenti d’umore mi hanno
insospettito: il tuo viso dapprima felice si trasformava di punto in
bianco in una faccia minacciosa, terrificante. E lo stesso vale per il
tuo sorriso, il colore degli occhi, la voce”
“Osservazione molto arguta” ghignò.
“E poi quando ho visto la tua aurea, così simile a
quella di tuo padre, non ho potuto non accorgermi quanto, una parte di
te, chissà quale, assomigliasse a loro”
“Loro?”
“Le creature delle tenebre, e non parlo di quei mostri
deformi, stupidi e brutti. Mi riferisco ad angeli neri, demoni che
controllano gli elementi, vampiri, draghi antichi e altre bestie dotate
di una spietata intelligenza. Non tutte le divinità sono
buone, alcune scelgono il Male, pur restando degli dei. Tu sei come
loro, sei bella e affascinante come loro”
Rebecca tremò. Quando qualcuno la minacciava o la metteva in
pericolo, la parte irrazionale, cattiva e latente di lei veniva fuori.
E succedeva sempre così. Con prepotenza esplodeva,
schiacciando la ragazza buona che c’era in lei.
“Se lo sapevi, perché non hai fatto niente per
fermarmi? Perché non mi hai uccisa? Ti saresti risparmiato
questo banale tentativo di farmi ragionare”
Salazar indietreggiò, sconvolto. Praticamente Rebecca aveva
appena ammesso ciò che lui sospettava. Ora, poteva avere
paura di lei.
“In realtà speravo di arrivare prima al tuo
villaggio, per smascherarti” tanto valeva dire la
verità fino alla fine.
E per fine, intendeva proprio la sua fine.
Rebecca sentì la rabbia montarle dentro, come una vampata di
fuoco che le fece tremare i muscoli e incendiare il sangue nelle vene.
Questo proprio non l’avrebbe permesso.
“Non te lo permetterò, loro non devono
sapere”
“Loro potrebbero aiutarti” le disse il mago, con
una tale compassione che, invece di calmarla, la fece imbestialire
ancora di più.
“Ti sembro malata? Ho qualcosa che non va? Mi credi pazza? Ti
sembra che io abbia bisogno del loro aiuto?”
sbraitò, facendo scattare il corpo in avanti come se volesse
attaccare. “Non ti sei chiesto che, forse, è
questo ciò che voglio?”
“Vuoi davvero diventare come tuo padre? Vuoi davvero condurre
una vita vuota, solitaria e infelice? Rinunceresti per sempre
all’amore del tuo ragazzo, all’affetto della
gente?” era incredulo, Salazar non capiva come lei potesse
accettare un tale prezzo in cambio del potere.
Lei ringhiò. “Quello che voglio è un
po’ di riconoscimento! Devono rispettarmi, non trattarmi come
una bambina piccola”
“Ma dovrai dire addio a coloro che ami, ne saresti
disposta?”
“Non ti sei chiesto che magari è questo il mio
destino? Sono nata da due angeli purosangue e mio padre è il
signore delle tenebre, in me scorre il suo sangue! Sono nata per essere
come lui, era inevitabile, sono una macchina da guerra! Sono nata per
questo, per fare questo!”
“Ma puoi sempre non seguire le orme di tuo padre!”
esclamò con esasperazione il mago. “Non devi per
forza seguire la via del Male!”
Rebecca ora appariva svuotata, gli occhi presero a luccicarle.
“Non capisci? È l’unica strada che posso
intraprendere” mormorò con voce rotta, senza
speranza.
“No! Non è vero!” gridò
Salazar, fece per avvicinarglisi con le braccia tese, pronto per
abbracciarla, quando lei lo bloccò alzando le mani.
“Per favore…” piagnucolò. Era
ritornata la solita ragazzina, bella e fragile. Salazar
sentì il cuore spezzarsi dal dolore e dalla compassione.
“T-Tu non capisci…è impossibile per me
tornare indietro, posso solo accettarlo, andare avanti”
“Ti posso aiutare”
“Come?” si accigliò, un briciolo di
speranza baluginò nei suoi occhi vitrei e cupi.
“Vieni con me, torniamo a Primo e vedrai che
riuscirò a guarirti”
Rebecca si nascose il volto tra le mani. “Nessuno
può aiutarmi…”
“Qualcosa mi inventerò! Te lo prometto”
le disse e allungò una mano verso di lei. “Prendi
la mia mano e fammi contento, salverai te stessa e milioni di
innocenti”
Per un attimo la ragazza osservò quelle mani, erano
invitanti, le offrivano la libertà, la pace
dell’anima. Ripensò a quello che aveva detto e la
verità delle sue stesse parole la fece stare ancora
più male. Una parte di lei voleva il potere, voleva essere
forte come suo padre. Non sapeva più che fare. Poi,
tutt’un tratto, l’immagine di un volto sereno le
comparve nella mente.
Gabriel.
Staccò una mano dal suo viso e la mosse verso quella di
Salazar.
Tutto successe improvvisamente, troppo velocemente perché
lei potesse capirne il senso. La voce allarmata di suo padre
urlò; vide la propria mano tirarsi indietro; il viso di
Salazar impallidì; sentì la rabbia di poco prima
tornarle in corpo più forte che mai; gli occhi cambiarono
colore.
Non si rese neppure conto che la sua mano, a velocità
disumana, era saettata attorno all’elsa della sua spada e che
ora la stringeva con rinnovata ferocia. Nella foresta, una lama
sferzò l’aria.
***
Uff, troppo difficile terminarlo... :)
sono sempre stata impegnata e la voglia o l'ispirazione non c'erano!!!
Ringrazio tutti quelli che mi seguono, cioè, veramente,
grazie..
Non ho tempo (mi dispiace) per rispondere o dare dettagli del prossimo
capitolo,
me ne vado lasciando la promessa di aggiornare il prima possibile!!
Buone vacanze a tutti, un bacio..
Il prossimo capitolo: "LA
RIVOLTA DI ARES"
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