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Quindici Aprile.
04/15 Kanagawa
Ci
sono
giorni in
cui la
mia vita sembra andare a rotoli, in
cui giocare a basket non basta, allora
prendo in mano la mia macchina fotografica e sembra che tutto possa
girare nel verso giusto, non serve nemmeno andare a scattare, delle
volte basta occuparmi della piccola manutenzione ordinaria, tenere le
ottiche pulite, controllare che le batterie siano cariche,
controllare che ci siano le schede di memoria, e
che ci sia spazio per scattare.
Per
il mio nono compleanno
mi regalarono una di quelle macchinette fotografiche quasi
giocattolo, era quasi un pezzo di plastica ma l’amavo, aveva
quattro obbiettivi e aveva la pellicola, ogni scatto che facevi era
in movimento avevi quattro momenti della solita azione, era
difficilissimo che venissero fuori quattro riquadri interessanti, ho
ancora qualche stampa e qualche negativo, la macchina è
andata
distrutta, forse per il tempo, o forse è finita in mano a
qualcuno
dei miei fratelli.
Quando
avevo dodici anni,
mio fratello maggiore si è comprato una macchina fotografica
migliore e mi ha lasciato in mano la sua, anche questa non era niente
di che, era una macchina a rullino di bassa qualità, ma con
quella
ho scattato lo scattabile.
In
casa se facevi il tuo
dovere con i lavoretti assegnati ti meritavi una paghetta, e io ho
sempre messo da parte i soldi per potermi permettere di pagare lo
sviluppo e le stampe. Ho scatoloni di foto di paesaggi, per i primi
anni, anche durante le gite scolastiche nelle mie foto non compare
nessuno se non per sbaglio, e visto il mio carattere penserete che
sia normale, e forse lo è veramente.
Il
mio carattere forse è
una reazione alla famiglia numerosa e rumorosa in cui sono cresciuto.
I nonni hanno comprato una villa con delle villette più
piccole che
vi gravitano intorno, per mia madre e per i miei zii, la casa
principale è al centro di un ferro di cavallo formato da
cinque
case. Sono cresciuto con i miei tre fratelli maggiori e i
miei due gemelli diversi e
le mie due sorelle minori, per
non parlare di zii
e cugini in quantità industriale. I nonni sono come la
regina
Elisabetta d’Inghilterra e
il principe Filippo,
longevi e pieni
di potere su tutti noi.
Somiglio
tanto al nonno ed
è lui che mi ha fatto appassionare alla fotografia, sono
sempre
stato chiuso e silenzioso, sono sempre stato quello che ha ascoltato
le sue storie, quello che gli somiglia di più, e mi ha fatto
vedere
le foto della sua giovinezza, e quelle della guerra, e le successive.
Per
il mio tredicesimo
compleanno mi ha regalato la mia prima reflex, una reflex analogica,
la sua macchina fotografica, e mi ha insegnato a sviluppare le
pellicole.
Il
passaggio al digitale
l’ho fatto recentemente, ho messo da parte le paghette per
anni, e
ho preso un corpo macchina digitale su cui posso usare le ottiche
della macchina che mi ha regalato il nonno. I miei fratelli e i miei
cugini sono gelosi del rapporto che ho con il nonno, ma non mi
importa io sarò sempre grato a Kaede Hiro Rukawa il nonno di
cui
porto il nome per avermi mostrato un modo per esprimermi e conoscere
meglio il mondo.
Di
tanto in tanto nasce
qualcuno che non è proprio adatto a capire i rapporti umani,
e se
capita in una famiglia come la mia si è sempre alla ricerca
di un
modo per esprimersi.
Il
mondo, le persone, e i
miei sentimenti sono chiari nei miei scatti, e solitamente
nascondo le stampe gelosamente, l’unico che può
vederle è il
nonno ed
è
proprio lui che mi ha fregato, lui e la nonna stavano prendendo il
tea delle cinque con il curatore della galleria Tayumi
e
gli ha fatto
vedere i miei scatti in cui ritraevo Hanamichi. Almeno qua
permettetemi di chiamarlo per nome. Ha
deciso per delle stampe di grandi dimensioni, e io mi sono occupato
della post produzione dei file da mandare in stampa. Non
dopo ore di silenziosa guerra col nonno, entrambi seduti ad un lato
del tavolo quadrato della cucina,
mentre
la nonna
si è messa a cucinare e noi abbiamo continuato a fissarci
negli
occhi fino a quando il patriarca di questa immensa famiglia ha
sentenziato “Queste non le possiamo nascondere, non puoi
continuare
a nasconderti”, l’unica
cosa che ho potuto fare è stato annuire, l’ho
sempre saputo che
sarebbe arrivato il momento in cui non avrei più potuto
nascondermi,
ma non mi sento pronto. Mi sono buttato sulla post produzione, e ho
cercato di non pensare a cosa sarebbe potuto succedere.
Quando
il signor Tayumi mi ha chiesto che nome volessi usare ho deciso Zero
[ゼ
ロ*]
ha
un bel suono,
quando la tua presenza è un numero decidi che numero essere,
ad
esempio uno dei miei cugini ha deciso di essere il numero undici,
perché così è due volte il primo,
abbiamo tutti un numero, siamo
così tanti da poter essere numeri. Per i miei genitori sono
il
numero scritto male, quello che non si capisce, mentre gli altri son
tutti scritti bene.
Kaede
La
metà di aprile arriva in fretta, alla galleria Taykumi la
mostra di
Zero continua ad essere esposta, e l’autore ancora non si
è
presentato, o forse non ha palesato la sua presenza. Un assiduo
frequentatore invece è Hanamichi Sakuragi che si trova
sempre a metà
tra quell’orribile sensazione che si prova a vedersi ritratti
e la
sensazione di percepire i sentimenti di quella ragazza che si firma
con lo pseudonimo Zero. Si ritrova spesso a guardare il proprio
ritratto, quello venduto la prima sera e
si guarda come se quello ritratto fosse un estraneo. Dopo la seconda
lettera non ha ricevuto altre notizie e si ritrova ad ogni momento
libero a tornare in galleria alla ricerca di quell’anima che
traspare da quegli scatti. Riesce a percepire amore, come quando sua
madre gli scompiglia piano i capelli dopo che torna a casa dopo un
turno stressante, quella sensazione di accettazione che prova quando
si ritrova con i suoi amici, raramente, a parlare di cose serie, e si
sente pazzo, e stanco di cercare qualcuno che non si vuole far
trovare.
Prima
di andare a scuola è passato nuovamente ad interrogare il
curatore
della mostra senza però ricevere nessun indizio, fino al
momento in
cui sente un ragazzo e una ragazza parlare. Hanno entrambi i capelli
castani e gli occhi blu, che gli ricordano quel maledetto volpino,
quello che con la sua presenza gli impedisce di conquistare la sua
Harukina, anche se è sempre meno convinto dei propri
sentimenti
verso di lei. “Quel
deficiente usare il suo soprannome che
gli abbiamo dato a
casa, pensa sia figo?” dice lei con un tono allegro, ed il
ragazzo
ride “Oh, questa e il basket sono le uniche cose in cui
è almeno
un essere umano decente, che ci vuoi fare, se uno nasce zero non
può
migliorare”. Hanamichi rimane impietrito ad ascoltare.
“Non sa
fare un cazzo, le foto son venute bene perché ha una bella
macchina
fotografica e perché il soggetto è interessante,
non ha talento.”
dice lei, il ragazzo annuisce “secondo me anche per il basket
si da
tante arie da prima donna ma fa schifo anche lì, e lo so
senza
vederlo giocare”. Lei sorride “E poi la sua mania
per il nonno,
nonostante la matriarca sia la nonna e tutti noi portiamo il suo
cognome, lui si è intestardito ad usare quello di lui.
Però va
nella scuola adatta a lui, lo Shohoku è proprio pieno di
disadattati, non poteva mica venire al liceo K, il più
costoso e
rinomato della prefettura non ne ha le capacità”
ridono entrambi
mentre il centro della squadra di basket non riesce a muovere un
muscolo ad ascoltare i due sconosciuti parlare di Zero. Nella sua
testa è una ragazza carina e molto molto timida, e
sicuramente molto
brava nella fotografia. “Non so perché quando
hanno saputo che
eravamo tre e hanno chiesto ai nostri genitori se ci volessero tutti
hanno deciso di tenere anche quella nullità”. Dire
che è allibito
è come sminuire il turbinio di emozioni che lo sta
sopraffacendo,
come se lo tsunami di rabbia che lo pervade fosse un semplice
torrente in secca. Si scuote da suo torpore non riesce ad ascoltare
altro, corre verso la scuola e poco dopo l’entrata va a
sbattere
contro Rukawa che pedala mezzo addormentato su quel catorcio che si
ostina a chiamare bicicletta. Parte la rissa, si ritrovano a terra a
darsi pugni, e quelli di Sakuragi sembrano voler dilaniare, sembrano
voler cancellare l’ala piccola dello Shohoku. Che
non sembra tirarsi indietro, o colpire con meno forza
l’altro. La
situazione è strana da mesi non raggiungono la violenza
della rissa
mattutina di metà Aprile. Vengono divisi dal ventaglio di
Ayako, che
come la proprietaria si materializza magicamente vicino ai due
contendenti. “In piedi” la voce è
perentoria, ma la ragazza non
urla. “Siete in punizione, oggi agli allenamenti fondamentali
per
entrambi, tutto il tempo, insieme”. Come è apparsa
se ne va,
lasciando una leggera scia profumata di agrumi, lasciando i due del
secondo anno senza la facoltà di controbattere o di
continuare, si
rialzano entrambi e si spolverano la divisa, Rukawa va a parcheggiare
la bici, mentre Sakuragi lo aspetta imbambolato in mezzo al cortile.
“Rosso” lo apostrofa quando si riavvicina
“andiamo in classe”,
la voce del numero undici è profonda, e sembra quasi lenire
il
dolore che sembra straziare il compagno di squadra. Raggiungono
l’aula e si siedono ai propri posti, la referente della loro
classe
sta impazzendo, nessuna ragazza sembra reggere accanto al giocatore
di basket più tenebroso di tutta la prefettura, ogni volta
che una
di loro si siede vicino a lui, partono i sospiri e le risatine acute.
“Bene ragazzi” richiama all’ordine la
classe che si alza
in piedi vicino al banco, che i ritardatari si apprestano a
raggiungere “No, voi due fermi qua” si guardano in
cagnesco
mentre la professoressa continua a parlare con tono duro “La
disciplina di questa classe è carente, e tutto
perché voi ragazze
non riuscite a far funzionare il cervello se c’è
lui in giro,
indica Kaede
che sembra appisolarsi in piedi. “Da
oggi nessuna ragazza starà accanto di banco a Rukawa, anche
l’esperimento con Akagi è terminato con un fiasco
clamoroso. Da
oggi e per tutto l’anno scolastico voi due sarete compagni di
banco, e non aprite quelle bocche, siete già in ritardo.
Akagi va al
posto che era di Sakuragi, e tu Sakuragi va al posto a fianco a
quello di Rukawa. Muoversi” il tono non ammette repliche e
come con
Ayako i due eseguono docilmente gli ordini. Ad un orecchio attento
può giungere una specie di litania di insulti contro gli
ibridi
umano volpe.
Miyagi
è divertito, ha messo il centro e l’ala piccola
titolari a fare i
fondamentali insieme, e i due cercano di ignorarsi anche quando
devono passarsi la palla.”Ayachan, ce la faranno?”
chiede alla
manager che si trova al fianco della nuova collega Haruko Akagi
manager in seconda da qualche mese. “Non abbiamo alternative,
o
cooperano o si ammazzano, ma ci risolvono mesi di sedute
psichiatriche in entrambi i casi.” Ridono entrambi, mentre la
seconda manager fissa in maniera spudorata Rukawa. “Oh
com’è
bello, ma anche Hanamichi, avete visto alla galleria?”
chiede.
“Haruko, ti ricordo che sono io che ho sparso la
voce.” Miyagi le
parla con la voce che si usa per parlare ai bambini piccoli o agli
animali. “È
un cazzo di dai e vai, la smettete di fare le mezze
pugnette?” i due giocatori si sentono feriti
nell’orgoglio e
sembrano allearsi contro il capitano, che torna ad allenarsi con il
resto della squadra.
Nello
spogliatoio quelli del
primo anno si stanno sfidando a svegliare Rukawa che si è
crollato
su una panchina con ancora un calzino in mano, solo in boxer.
Hanamichi,
sembra non essersi
ancora ripreso dallo shock subito quella mattina.
“Ryochan?”
chiama il capitano che cerca di tener d’occhi i
più piccoli “non
lo farei fossi in voi” li ammonisce invano, uno dei ragazzini
si
avvicina e sveglia urlandogli in un orecchio, il numero undici e si
becca un pugno in pieno stomaco. “Maledetto bastardo, non
perdono
chi disturba il mio sonno” lo guarda con aria minacciosa e la
voce
è forte e potente e fa cadere un fastidioso silenzio nello
spogliatoio. “Il prossimo che mi urla nell’orecchio
lo ammazzo di
botte” aggiunge gelido come non era da mesi, per chi lo
conosce
bene da dopo la pausa con la nazionale è tornato in squadra
con un
atteggiamento meno siberiano e tutto sembra essersi sgretolato in un
urlo. I primini lo guardano vestirsi, il corpo ricoperto di lividi, e
vecchie cicatrici, medaglie al valore di chi sa menare le mani.
Raccolte le proprie cose se ne va, e sembra che voglia mettere
più
distanza possibile tra se e lo spogliatoio. “Voi alla
prossima
partita farete panchina, ve l’ho detto che non dovevate
provocarlo.
Se ricomincia a comportarsi come lo scorso anno per colpa vostra non
sapete quanti suicidi* vi aspettano, in più ai venti che
farete
domani. Ora evaporate dalla mia vista prima che ne aggiunga
altri!”.
Sussurra un paio di improperi indirizzati all’ala piccola e
poi si
rivolge ad Hanamichi “Hanachan, che succede oggi? Tu e lui
che
sembrate tornati allo scorso anno, loro che cercano di farsi
ammazzare, abbiamo il campionato alle porte. Quest’anno
dobbiamo
superare lo scoglio dei quarti di finale del girone.” Il
rosso
sospira mente finisce di vestirsi. “Cercavo informazioni su
Zero”
l’amico scuote la testa “non sai chi sia zero,
potrebbe essere
anche un vecchio bavoso” “NO!” lo
zittisce prima che possa
continuare “No è una ragazza che gioca a basket in
questa scuola” il capitano apre la bocca come a voler dire
qualcosa ma viene
interrotto dalla voce dell’altro “due ne parlavano
stamani e mi
sono arrabbiato, perché hanno detto tante cose cattive,
tante
cattiverie che nemmeno riesco a ripetere, la peggiore però
è stata
che quando i genitori hanno scoperto di aspettare tre gemelli
avrebbero dovuto farla fuori”. “Bene almeno sai
dove andare a
cercare, ma la squadra femminile è messa peggio di noi,
almeno noi
siamo andati al campionato nazionale lo scorso anno, loro non lo
fanno da secoli”
Un
Hanamichi Sakuragi
travestito si presenta a vedere gli allenamenti della squadra
femminile di basket, ma nessuna ragazza sembra assomigliare in nessun
modo ai due incontrati alla mostra, e nessuna ragazza sembra
abbastanza brava nel gioco, si accapigliano ogni tre per due, con una
frequenza che nemmeno lui e Rukawa avevano i primi tempi, alla fine
degli allenamenti il ragazzo si fa coraggio e comincia ad avvicinarsi
al capitano della squadra, una ragazza con una massa di riccioli
scuri che somiglia ad Ayako in maniera impressionante, che borbotta
“dovrei avere il polso di mia sorella” sconsolata.
“Se
smetteste di litigare potreste fare molto meglio di
così” lei
ride, una risata argentina melodiosa “Oh, Sakuragi da che
pulpito”
lui abbassa la testa “mi conosci?” le chiede e lei
annuisce “mia
sorella parla sempre di voi, e poi non sei proprio bravo nei
camuffamenti, soprattutto dopo la mostra” lui la guarda
interrogativo “Tua sorella?” e lei annuisce
“Si mia sorella
maggiore Ayako” e lui sospira “A proposito della
mostra, ho poche
informazioni su zero, ma penso sia una tua compagna di squadra, so
che gioca a basket, so che è bravissima a fare le fotografie
e che
ha un fratello e una sorella gemelli che frequentano il liceo K e che
non hanno lo stesso cognome” lei aggrotta le sopracciglia e
lo
guarda con un’espressione confusa “Nessuna ragazza
della squadra
ha dei gemelli, e le conosco tutte, soprattutto che vanno in una
scuola così costosa, ma so che Ayako mi parla di una sua
conoscenza
che ha queste caratteristiche, dovresti parlare con lei” lui
si
gratta la nuca nervosamente “Lo farò quando
sarà meno arrabbiata
con me, spero proprio non le duri tanto stavolta. Mi ha messo a fare
i fondamentali con quel deficiente di Rukawa tutto
l’allenamento.”
sbuffa “Ma se vuoi far vedere come funziona una squadra porta
le
tue all’allenamento e vedranno il genio in azione”
una risata da
genio maniaco e si allontana lasciando la ragazza ai propri problemi
con la squadra.
La
stessa sera il centro dello
Shohoku suona al campanello di una villetta poco lontano dalla scuola
“Signora posso parlare con sua figlia Ayako” quando
una voce
femminile risponde al citofono “Certo ragazzo
entra” gli
risponde, si trova sotto un portico e viene raggiunto dalla manager.
“Ayasan” esordisce lui e lei gli sorride
“Scusa per stamattina”
e lei scuote la testa “mi ha detto Ryochan perché
eri arrabbiato,
questo non vuol dire che tu e Rukawa possiate pestarvi e soprattutto
con quella violenza.” lui sospira e annuisce. “Sono
qui per
parlare di zero” e lei annuisce indicando un dondolo
“Sediamoci”
lo invita, l’aria frizzante della sera è
piacevole, nonostante la
sensazione porti con se un ricordo d’inverno. Lui obbedisce e
lei
lo raggiunge sedendosi a sua volta e sorridendo al ragazzo
“Su,
dimmi” lo incoraggia. “L’altra mattina
ero alla galleria e
c’erano un ragazzo e una ragazza con gli occhi blu e i
capelli
castani, molto chiari, che parlavano di Zero e dicevano un sacco di
cose cattive, tipo che non sarebbe dovuta nascere e cose del genere,
e che le foto son belle ma solo perché sono un buon soggetto
e non
per la bravura di lei, e che è inferiore perché
va allo Shohoku e
loro invece sono al liceo K e che lei ha il cognome del nonno mentre
loro quello della nonna” lei spalanca gli occhi castani ma
rimane
in silenzio e Sakuragi continua a parlare con fare concitato.
“la
cerco, mi scombussola sapere di lei, e che non posso sapere chi mi
vede in quel modo, e poi mi ha scritto, ma non vuole che sappia chi
sia, e mi sto logorando. Tua sorella mi ha detto che tu forse sai
dirmi chi è, ma per loro gioca a basket e per tua sorella
no”
aggiunge facendo un sospiro e affossandosi nel dondolo. “Non
so se
stiamo parlando della stessa persona.” Esordisce lei cercando
di
essere credibile, “Posso informarmi, e magari dire a Zero di
darti
qualche notizia, se fosse la persona che penso io, va bene? Non posso
prometterti niente” lui sorride “Grazie Ayako sei
un’amica” e
lei risponde con un sorriso “spero di aiutarti in qualche
modo. Ma
ora a casa che lunedì ti voglio in forma”
La
domenica mattina Kaede Rukawa si sta allenando in un campetto a poca
distanza dal mare, il suo preferito e viene raggiunto dalla manager
della squadra dello Shohoku. Lui la ignora e lei si avvicina, fino ad
intralciarlo in fase di tiro, e
lui ricade a terra in modo scomposto, poggia
male la caviglia destra e ricade con uno sbuffo. La caviglia del
numero undici pulsa, ma la ragazza ignora l’unica espressione
che
si è dipinta sul volto di lui, diversa
dall’indifferenza e dalla
noia, da quando lo conosce. “Rukawakun, io sono innamorata di
te
dalle medie” la vocetta di Haruko Akagi viene ignorata
dall’ala
piccola, che
però non riesce ad alzarsi in piedi e sbuffa ripetutamente.
“Vorrei
che diventassi il mio fidanzato” ignora completamente quello
che
sta succedendo al ragazzo, quasi fosse un soliloquio. “Ti
trovo il ragazzo più bello della scuola, e adesso la
professoressa
ci ha divisi, non possiamo più essere accanto” lui
la guarda come
si guarda un pezzo del National Geographic sulle blatte. Si sforza a
parlare, per lui è sempre difficile usare quel mezzo per
comunicare,
ne è sempre stato consapevole, ma si rende conto di doversi
sbarazzare di quella ragazza che lo ha appena fatto infortunare,
nella sua testa spera sia solo una botta per la ricaduta strana.
“Ti
odio, mi fai schifo e mi hai fatto fare male, evapora dalla mia
vista” si morde il labbro inferiore, aveva cercato di essere
diplomatico, ma le parole avevano preso un’altra strada come
in un
corto circuito tra testa e bocca, finendo per far uscire la
verità. In lontananza si sente fischiettare un motivetto
allegro, Hanamichi
Sakuragi, dopo la chiacchierata con Ayako sembra essere riuscito a
recuperare tutto il suo ottimismo, quando giunge al parchetto sente
le parole del compagno di squadra e vede la ragazza correre via in
lacrime, sa che dichiarandosi innamorato di lei avrebbe come minimo
dovuto rincorrerla, ma non prova questo istinto, non ha questa
voglia, sente solo di doversi accucciare e chiedere qualcosa al
compagno di banco “Perché sei così
crudele?” il blackout tra
mentre e bocca ha contagiato anche il rosso.
“Perché stavo
tirando, si è messa in mezzo, per non pestarla mi sono fatto
male, e
non riesco ad alzarmi, ma soprattutto è la
verità.” abbassa lo
sguardo per nascondere il rossore che sente sulle guance caldo e che
incrementa il suo imbarazzo. Il
centro lo osserva e lo prende in braccio come se fosse un fuscello e
non un ragazzo di un metro e novanta che pesa sui settantacinque
chili di muscoli. “Ora andiamo al pronto soccorso, per quanto
la
voglia di spaccarti la faccia sia tanta ci servi un minimo per il
campionato nazionale Kitsune”. Le uniche parole che escono
dalla
bocca del moretto sono sussurrate “Grazie
Hanamichi” un soffio di
vento, così lieve da sembrar galleggiare tra loro due.
Nessuno dei
due è veramente convinto dell’esistenza di quel
ringraziamento, se
da una parte Rukawa non si capacita di averlo chiamato per nome
dall’altra parte l’altro è convinto di
esserselo immaginato.
Prima di portarlo al pronto soccorso il tensai da modo a Kaede di
recuperare tutte le sue cose, andando personalmente a prendere il
pallone, che con lo scontro con Haruko, è finito in un
cespuglio,
solo in quel momento distante dall’infortunato sembra
riuscire a
calmare il battito del proprio cuore, che non sembra allineato con il
proprio sentire. Gli
immobilizza la caviglia nel miglior modo possibile e quando sono
pronti
prende
nuovamente in braccio il compagno di squadra dopo essersi messo in
spalla anche la borsa di lui, oltre la propria. Quando raggiungono il
nosocomio e dopo un breve triage i due vengono spediti in radiologia,
il rosso spinge una carrozzina
con la sua nemesi sopra che non fa un verso di dolore nemmeno a
pagarlo oro, ma la caviglia sembra aver perso le proporzioni abituali
per essere sostituita con quella di un elefante. “Fa
male?”
chiede, quando si è infortunato, e quando è
tornato in squadra ha
sentito il supporto del volpino, nella loro lingua incomprensibile
fatta di sfottò e risse, fatta di insulti e allenamenti
estenuanti
insieme, ora sta ricambiando con la speranza nel cuore che si risolva
in una bolla di sapone.
Qualche
ora dopo, e
il
sedere di Sakuragi più simile ad un cubo che ad un paio di
natiche,
portano il referto a Rukawa che si lascia sfuggire un paio di
improperi coloriti. “Sakuragisan” e il ragazzo che
viene chiamato
sente come una morsa alla bocca dello stomaco quando sente il proprio
cognome e non il solito soprannome. “Kitsune dimmi”
non riesce ad
essere formale, sono compagni di squadra e si son visti nudi
più
volte di quelle che vuole veramente ricordare. “Ti devo
chiedere un
favore” la voce del numero undici sembra quasi un filo
“Mentre mi
occupo delle scartoffie mi procureresti un paio di stampelle al
negozio di ortopedia qua fuori?” Prende il portafoglio dalla
tasca
della borsa e lo porge al compagno di squadra, dopo aver recuperato
il documento e un paio di tessere tra cui quella
dell’assicurazione.
Il numero dieci annuisce “Ok” e riceve in cambio
una strana
smorfia condita da un “grazie Dohao”. Il
rosso si allontana e l’altro spinge da solo la carrozzina
verso
l’accettazione, andando ad occuparsi delle cose burocratiche,
e un
giovane medico lo affianca “Allora, signor Rukawa
dovrà stare a
riposo un mese un mese e mezzo, ma deve cominciare subito con la
fisioterapia, è un metodo recente, ma visto che è
uno sportivo
potrebbe giovarne maggiormente”* “Hn, grazie
signore” risponde
in modo molto formale il giovane a cui poi vengono consegnati dei
depliant e un carnet di appuntamenti per la fisioterapia con orari
consoni al suo impegno scolastico. Addebitano tutto
sull’assicurazione del ragazzo che viene liberato da quelle
incombenze poco dopo il ritorno del compagno di squadra che gli porge
un paio di stampelle già settate all’altezza
giusta, il moretto fa
qualche passo incerto con quei due arnesi con cui piano piano sembra
prendere confidenza. “Ti accompagno a casa. Se stai lontano
prendiamo un taxi” quello che sembra un gemito esce dalle
labbra
del volpino “Sto abbastanza vicino, ma non voglio tornare,
andiamo
a piedi, che così mi abituo a queste” dice la
richiesta, anche se insensata, viene accolta dall’altro che
gli si
affianca. Rimangono in silenzio per tutto il tragitto, ma non
c’è
imbarazzo, c’è solo una sorta di silenziosa
vicinanza. “Eccoci”
dice il moro quando arrivano alla base della tenuta dove abita
“Vieni
ti offro una cola” lo incoraggia.
Ad
ogni passo che lo fa avvicinare all’agglomerato il rosso
sembra
sempre più stupito “così sei veramente
una ricca kitsune”
l’altro sbuffa quando arriva a casa trova solo suo nonno
nella
villetta dove abita il nipote preferito, un amore incondizionato tra
i due che
si può leggere l’espressione e nel tono del
più anziano
“Chibichan che hai fatto?” si allarma
l’uomo ultraottantenne
quando i due ragazzi entrano nella cucina “Nonno che ci fai
qua?”
chiede il nipote di rimando “Nonna” non aggiunge
altro
sorridendo. “Ti presento un mio amico lui è
Sakuragi Hanamichi,
lui è mio nonno Rukawa Kaede Hiro” il rosso si
inchina
profondamente e l’uomo lo fa un piccolo inchino a sua volta
“Sakuragi hai detto?” Sembra pensoso “Tuo
nonno era uno scozzese vero? Mi ha salvato la vita in guerra, e tu
ora mi riporti il mio adorato nipote con le stampelle, sembra un deja
vu” il
rosso sorride “si era
mio nonno, aveva già preso il cognome di nonna”
“Chibi
che hai fatto alla caviglia” insiste il vecchio che riceve
una
specie di grugnito dal ragazzo che sembra una sua copia più
giovane.
“Chi ti ha fatto cadere?” continua e il numero
undici continua in
una serie di suoni che sembrano sconnessi. L’uomo ridacchia,
“ora
che nonna avrà finito di urlare posso tornare a casa, fate i
bravi,
gli altri rimangono fuori a cena i gemelli hanno vinto un premio di
non so che cosa e tua nonna vuole andare a festeggiarli, sai che
gioia” il ragazzo e il vecchio sospirano nel medesimo modo.
“Quando
la regina Elisabetta chiede…” la voce di Kaede
è limpida adesso
la frase viene finita dal nonno “noi sudditi dobbiamo
obbedire. Se
ti servisse qualcosa rimangono a casa Tomiko e i domestici da
noi”
“grazie nonnino”. Il
vecchio si alza in piedi e con fare reale si allontana “Alla
prossima Sakuragi” e il numero dieci si inchina
all’anziano che
così riesce a scompigliargli i capelli. “Tuo nonno
sarebbe fiero
di sapere che un altro rosso che passeggia per la prefettura di
Kanagawa ha salvato qualcuno”. Se ne va non aggiungendo altro
e
lasciando i due adolescenti da soli. “La cola è in
frigo, se non è
un problema mi passi il ghiaccio?” chiede al compagno di
squadra
che ancora sembra stranito dall’incontro con l'ottuagenario.
“Non
lo sapevo” l’altro scrolla le spalle.
“Nemmeno io che il suo
salvatore si chiamasse Sakuragi, e che avesse i capelli rossi, ho
visto delle sue foto a casa del nonno ma ovviamente erano in bianco e
nero. Senti Dohao, se vuoi ti faccio riaccompagnare da
Tomiko” e
l’altro aggrotta le sopracciglia “Uno dei
domestici?” il
padrone di casa scuote la testa “Mia zia, la
pecora arcobaleno
della famiglia.” Il rosso vorrebbe chiedere di
più “ce la fai da solo?” chiede e il
moro annuisce mentre scrive scrive un messaggio a qualcuno.
“Sono
stanco” aggiunge il
moro “penso di andare in camera a dormire” questa
affermazione fa
rispondere al compagno di squadra
“Ok, accetto volentieri il passaggio. Vengono raggiunti fa
Tomiko
una donna carina dai lunghi capelli arcobaleno
“papà mi ha detto
che ti sei fatto male” dice al nipote “Un
po’ zia, potresti
accompagnare il mio amico a casa?” le chiede e lei annuisce
“Su
rossino kawai andiamo”. “A
domani Dohao” saluta il suo salvatore tenendo il ghiaccio
poggiato
sulla parte lesa. “A domani Kitsune”. La zia del
moretto ride di
gusto “Vedo che la tua capacità di dare soprannomi
fa veramente
schifo Kaede” e la donna fa cenno a Sakuragi di seguirla
mentre si
sente una litania di “Dannata zia, dannate le
donne” che
accompagna i due fino ad un garage, dentro c’è
un’utilitaria di
un acceso color giallo. “Allora, devi essere proprio
simpatico a
Kaede se hai un soprannome” il rossino quasi si strozza con
la
saliva “Simpatico? Ci sopportiamo, ma per la maggior parte
del
tempo finiamo a rissa” scrolla le spalle e la donna ride
ancora
“Vorrei proprio vedervi, avrei voluto vedervi al campionato
nazionale, ma ho avuto problemi a raggiungere Hiroshima, sai il
lavoro”. Il ragazzo sembra guardingo mentre si siede sul
sedile del
passeggero e la donna prende posto al volante. “Sei
l’unico essere umano a cui il mio nipote preferito ha dato un
soprannome, che fa schifo sia inteso, ma ci avrà anche
pensato
quella testa vuota” il ragazzo si rilassa leggermente, la
guida di
lei è piacevole “Siamo compagni di squadra, adesso
cerchiamo di
collaborare la maggior parte del tempo” lei sorride ancora,
“Bene,
allora sta proprio crescendo, come lo chiami? Kitsune? Appropriato.
Ho visto le foto alla galleria Tayumi, sei proprio un figo, e lo sei
di più di persona” la tonalità dei
capelli viene superata dal
rossore al viso e un balbettio confuso esce dalle sue labbra.
“Scusa
non mi hanno fornito i filtri alla nascita, dico quello che penso, e
penso che tu piaccia a Kaechan, che tu gli interessi
veramente”.
“Allora dohao hai un nome?” chiede
“Hanamichi” ancora un
balbettio ma un po’ più intellegibile degli altri.
Lei
ridacchia “se mi dici dove andare” lui si
schiarisce la voce e
riesce a darle le indicazioni. “Come ha fatto a farsi
male?”
chiede la donna e il ragazzo torna a rilassarsi “Stava
giocando al
campetto, e penso che una ragazza si sia messa tra lui e il
canestro”
lei scuote la testa e poi batte la mano sinistra sulla coscia del
rosso che fa un salto come se un banco di piraña.
“Dai sta tranquillo non ti mangio Hanachan, stavo pensando,
il mio
nipotino piace un sacco alle ragazze, sai che divertimento se
sapessero che è un unicorno come me”.
“Non ho capito” un filo
di voce mentre il volto non ne vuol sapere di tornare ad una
colorazione normale. “Unicorno, una creatura fatata, non
è
sicuramente l’emblema
dell’eterosessualità quel
ragazzo…”
non riceve nessuna risposta e parcheggia proprio davanti a casa del
rosso “Se il suo fan club sapesse che gli piacciono i
ragazzi”
lei si mette a guardare il tettuccio dell’auto mentre il
ragazzo si
libera dalla cintura di sicurezza. “La ringrazio
signora” la voce
è tremante e la postura del ragazzo ne rivela tutto
l’imbarazzo.
“Arrivederci” la saluta e lei gli lascia un
bigliettino da visita
“Vorrei che facessi da modello anche a me” sospira
“Buonanotte
rosso kawai Hanachan”.
Parole
sparse
*Zero
è scritto in Katakana,
il metodo di scrittura che viene usato per traslitterare le parole
straniere, è l’unico numero di cui non viene
normalmente usato il
Kanji.
Il
giapponese è una lingua
che prevede modi più o meno formali di parlare, ma non
prevede la
differenziazione tra maschile e femminile, singolare e plurale.
*Suicidio:
punizione che gli
allenatori di basket amano particolarmente. Il suicidio è
quel
sadico giochino in cui parti a correre con uno scatto dalla linea di
fondo fino alla prima riga tracciata sul terreno e torni indietro, e
così per ogni linea del campo tornando sempre alla linea di
fondo
campo. Più sport si praticano in palestra più
scatti devi fare, si
considera anche la linea dei tiri liberi e il suo prolungamento. Per
la cronaca ne ho fatti milioni nella mia carriera da giocatore di
basket fallito.
*Non
sono un medico, ma so
cosa non si fa con una distorsione importante della caviglia, non si
ingessa… Mi hanno ingessato un luglio di tanti anni fa,
quando sono
tornato traballante in palestra dopo qualche allenamento ho smesso di
giocare dopo un litigio con l’allenatore perché
ero ancora più
brocco di prima. Ho letto qualche articolo e ce n’erano un
paio che
parlavano di questo nuovo metodo che non prevede
l’immobilizzazione
completa ma un lavoro sulla distribuzione dei carichi sulla caviglia
infortunata.
Non
parlatemi dell’HTML
almeno fino a settembre… quando avrò passato
l’esame ne
riparleremo.
Chibichan/Chibi=
piccoletto/piccolo
Kawai=
carino, tenero
Ste:
Ho messo tanta carne al
fuoco
Ru:
C’è puzza di
carbonizzato, maledetto [prende una mazza chiodata e comincia a
rincorrere l’autore]
Ste:
Ok Ru, no, la clava no…
Ru:
(grugniti a caso)
Sendo:
L’autore è
momentaneamente incapace di intendere e volere.
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