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Autore: Ste_exLagu    16/07/2020    4 recensioni
Rukawa ha un'identità segreta, quella di Zero. Come Zero scrive una lettera a Hanamichi il giorno del suo compleanno, e lo invita ad una mostra in centro. Kaede vuole mostrare a Sakuragi come appare ai suoi occhi. Le foto saranno il filo conduttore della storia, la visione attraverso le lenti della macchina fotografica possono far passare le emozioni?
Dal testo:
“Ragazzo finirai nel mio salotto”. Il rosso si strozza con la saliva e viene trascinato verso un buffet dal capitano della squadra.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quindici Aprile.



04/15 Kanagawa

Ci sono giorni in cui la mia vita sembra andare a rotoli, in cui giocare a basket non basta, allora prendo in mano la mia macchina fotografica e sembra che tutto possa girare nel verso giusto, non serve nemmeno andare a scattare, delle volte basta occuparmi della piccola manutenzione ordinaria, tenere le ottiche pulite, controllare che le batterie siano cariche, controllare che ci siano le schede di memoria, e che ci sia spazio per scattare.

Per il mio nono compleanno mi regalarono una di quelle macchinette fotografiche quasi giocattolo, era quasi un pezzo di plastica ma l’amavo, aveva quattro obbiettivi e aveva la pellicola, ogni scatto che facevi era in movimento avevi quattro momenti della solita azione, era difficilissimo che venissero fuori quattro riquadri interessanti, ho ancora qualche stampa e qualche negativo, la macchina è andata distrutta, forse per il tempo, o forse è finita in mano a qualcuno dei miei fratelli.

Quando avevo dodici anni, mio fratello maggiore si è comprato una macchina fotografica migliore e mi ha lasciato in mano la sua, anche questa non era niente di che, era una macchina a rullino di bassa qualità, ma con quella ho scattato lo scattabile.

In casa se facevi il tuo dovere con i lavoretti assegnati ti meritavi una paghetta, e io ho sempre messo da parte i soldi per potermi permettere di pagare lo sviluppo e le stampe. Ho scatoloni di foto di paesaggi, per i primi anni, anche durante le gite scolastiche nelle mie foto non compare nessuno se non per sbaglio, e visto il mio carattere penserete che sia normale, e forse lo è veramente.

Il mio carattere forse è una reazione alla famiglia numerosa e rumorosa in cui sono cresciuto. I nonni hanno comprato una villa con delle villette più piccole che vi gravitano intorno, per mia madre e per i miei zii, la casa principale è al centro di un ferro di cavallo formato da cinque case. Sono cresciuto con i miei tre fratelli maggiori e i miei due gemelli diversi e le mie due sorelle minori, per non parlare di zii e cugini in quantità industriale. I nonni sono come la regina Elisabetta d’Inghilterra e il principe Filippo, longevi e pieni di potere su tutti noi.

Somiglio tanto al nonno ed è lui che mi ha fatto appassionare alla fotografia, sono sempre stato chiuso e silenzioso, sono sempre stato quello che ha ascoltato le sue storie, quello che gli somiglia di più, e mi ha fatto vedere le foto della sua giovinezza, e quelle della guerra, e le successive.

Per il mio tredicesimo compleanno mi ha regalato la mia prima reflex, una reflex analogica, la sua macchina fotografica, e mi ha insegnato a sviluppare le pellicole.

Il passaggio al digitale l’ho fatto recentemente, ho messo da parte le paghette per anni, e ho preso un corpo macchina digitale su cui posso usare le ottiche della macchina che mi ha regalato il nonno. I miei fratelli e i miei cugini sono gelosi del rapporto che ho con il nonno, ma non mi importa io sarò sempre grato a Kaede Hiro Rukawa il nonno di cui porto il nome per avermi mostrato un modo per esprimermi e conoscere meglio il mondo.

Di tanto in tanto nasce qualcuno che non è proprio adatto a capire i rapporti umani, e se capita in una famiglia come la mia si è sempre alla ricerca di un modo per esprimersi.

Il mondo, le persone, e i miei sentimenti sono chiari nei miei scatti, e solitamente nascondo le stampe gelosamente, l’unico che può vederle è il nonno ed è proprio lui che mi ha fregato, lui e la nonna stavano prendendo il tea delle cinque con il curatore della galleria Tayumi e gli ha fatto vedere i miei scatti in cui ritraevo Hanamichi. Almeno qua permettetemi di chiamarlo per nome. Ha deciso per delle stampe di grandi dimensioni, e io mi sono occupato della post produzione dei file da mandare in stampa. Non dopo ore di silenziosa guerra col nonno, entrambi seduti ad un lato del tavolo quadrato della cucina, mentre la nonna si è messa a cucinare e noi abbiamo continuato a fissarci negli occhi fino a quando il patriarca di questa immensa famiglia ha sentenziato “Queste non le possiamo nascondere, non puoi continuare a nasconderti”, l’unica cosa che ho potuto fare è stato annuire, l’ho sempre saputo che sarebbe arrivato il momento in cui non avrei più potuto nascondermi, ma non mi sento pronto. Mi sono buttato sulla post produzione, e ho cercato di non pensare a cosa sarebbe potuto succedere.

Quando il signor Tayumi mi ha chiesto che nome volessi usare ho deciso Zero [ゼ ロ*] ha un bel suono, quando la tua presenza è un numero decidi che numero essere, ad esempio uno dei miei cugini ha deciso di essere il numero undici, perché così è due volte il primo, abbiamo tutti un numero, siamo così tanti da poter essere numeri. Per i miei genitori sono il numero scritto male, quello che non si capisce, mentre gli altri son tutti scritti bene.

Kaede



La metà di aprile arriva in fretta, alla galleria Taykumi la mostra di Zero continua ad essere esposta, e l’autore ancora non si è presentato, o forse non ha palesato la sua presenza. Un assiduo frequentatore invece è Hanamichi Sakuragi che si trova sempre a metà tra quell’orribile sensazione che si prova a vedersi ritratti e la sensazione di percepire i sentimenti di quella ragazza che si firma con lo pseudonimo Zero. Si ritrova spesso a guardare il proprio ritratto, quello venduto la prima sera e si guarda come se quello ritratto fosse un estraneo. Dopo la seconda lettera non ha ricevuto altre notizie e si ritrova ad ogni momento libero a tornare in galleria alla ricerca di quell’anima che traspare da quegli scatti. Riesce a percepire amore, come quando sua madre gli scompiglia piano i capelli dopo che torna a casa dopo un turno stressante, quella sensazione di accettazione che prova quando si ritrova con i suoi amici, raramente, a parlare di cose serie, e si sente pazzo, e stanco di cercare qualcuno che non si vuole far trovare.

Prima di andare a scuola è passato nuovamente ad interrogare il curatore della mostra senza però ricevere nessun indizio, fino al momento in cui sente un ragazzo e una ragazza parlare. Hanno entrambi i capelli castani e gli occhi blu, che gli ricordano quel maledetto volpino, quello che con la sua presenza gli impedisce di conquistare la sua Harukina, anche se è sempre meno convinto dei propri sentimenti verso di lei. “Quel deficiente usare il suo soprannome che gli abbiamo dato a casa, pensa sia figo?” dice lei con un tono allegro, ed il ragazzo ride “Oh, questa e il basket sono le uniche cose in cui è almeno un essere umano decente, che ci vuoi fare, se uno nasce zero non può migliorare”. Hanamichi rimane impietrito ad ascoltare. “Non sa fare un cazzo, le foto son venute bene perché ha una bella macchina fotografica e perché il soggetto è interessante, non ha talento.” dice lei, il ragazzo annuisce “secondo me anche per il basket si da tante arie da prima donna ma fa schifo anche lì, e lo so senza vederlo giocare”. Lei sorride “E poi la sua mania per il nonno, nonostante la matriarca sia la nonna e tutti noi portiamo il suo cognome, lui si è intestardito ad usare quello di lui. Però va nella scuola adatta a lui, lo Shohoku è proprio pieno di disadattati, non poteva mica venire al liceo K, il più costoso e rinomato della prefettura non ne ha le capacità” ridono entrambi mentre il centro della squadra di basket non riesce a muovere un muscolo ad ascoltare i due sconosciuti parlare di Zero. Nella sua testa è una ragazza carina e molto molto timida, e sicuramente molto brava nella fotografia. “Non so perché quando hanno saputo che eravamo tre e hanno chiesto ai nostri genitori se ci volessero tutti hanno deciso di tenere anche quella nullità”. Dire che è allibito è come sminuire il turbinio di emozioni che lo sta sopraffacendo, come se lo tsunami di rabbia che lo pervade fosse un semplice torrente in secca. Si scuote da suo torpore non riesce ad ascoltare altro, corre verso la scuola e poco dopo l’entrata va a sbattere contro Rukawa che pedala mezzo addormentato su quel catorcio che si ostina a chiamare bicicletta. Parte la rissa, si ritrovano a terra a darsi pugni, e quelli di Sakuragi sembrano voler dilaniare, sembrano voler cancellare l’ala piccola dello Shohoku. Che non sembra tirarsi indietro, o colpire con meno forza l’altro. La situazione è strana da mesi non raggiungono la violenza della rissa mattutina di metà Aprile. Vengono divisi dal ventaglio di Ayako, che come la proprietaria si materializza magicamente vicino ai due contendenti. “In piedi” la voce è perentoria, ma la ragazza non urla. “Siete in punizione, oggi agli allenamenti fondamentali per entrambi, tutto il tempo, insieme”. Come è apparsa se ne va, lasciando una leggera scia profumata di agrumi, lasciando i due del secondo anno senza la facoltà di controbattere o di continuare, si rialzano entrambi e si spolverano la divisa, Rukawa va a parcheggiare la bici, mentre Sakuragi lo aspetta imbambolato in mezzo al cortile. “Rosso” lo apostrofa quando si riavvicina “andiamo in classe”, la voce del numero undici è profonda, e sembra quasi lenire il dolore che sembra straziare il compagno di squadra. Raggiungono l’aula e si siedono ai propri posti, la referente della loro classe sta impazzendo, nessuna ragazza sembra reggere accanto al giocatore di basket più tenebroso di tutta la prefettura, ogni volta che una di loro si siede vicino a lui, partono i sospiri e le risatine acute.
“Bene ragazzi” richiama all’ordine la classe che si alza in piedi vicino al banco, che i ritardatari si apprestano a raggiungere “No, voi due fermi qua” si guardano in cagnesco mentre la professoressa continua a parlare con tono duro “La disciplina di questa classe è carente, e tutto perché voi ragazze non riuscite a far funzionare il cervello se c’è lui in giro, indica
Kaede che sembra appisolarsi in piedi. “Da oggi nessuna ragazza starà accanto di banco a Rukawa, anche l’esperimento con Akagi è terminato con un fiasco clamoroso. Da oggi e per tutto l’anno scolastico voi due sarete compagni di banco, e non aprite quelle bocche, siete già in ritardo. Akagi va al posto che era di Sakuragi, e tu Sakuragi va al posto a fianco a quello di Rukawa. Muoversi” il tono non ammette repliche e come con Ayako i due eseguono docilmente gli ordini. Ad un orecchio attento può giungere una specie di litania di insulti contro gli ibridi umano volpe.



Miyagi è divertito, ha messo il centro e l’ala piccola titolari a fare i fondamentali insieme, e i due cercano di ignorarsi anche quando devono passarsi la palla.”Ayachan, ce la faranno?” chiede alla manager che si trova al fianco della nuova collega Haruko Akagi manager in seconda da qualche mese. “Non abbiamo alternative, o cooperano o si ammazzano, ma ci risolvono mesi di sedute psichiatriche in entrambi i casi.” Ridono entrambi, mentre la seconda manager fissa in maniera spudorata Rukawa. “Oh com’è bello, ma anche Hanamichi, avete visto alla galleria?” chiede. “Haruko, ti ricordo che sono io che ho sparso la voce.” Miyagi le parla con la voce che si usa per parlare ai bambini piccoli o agli animali. “È un cazzo di dai e vai, la smettete di fare le mezze pugnette?” i due giocatori si sentono feriti nell’orgoglio e sembrano allearsi contro il capitano, che torna ad allenarsi con il resto della squadra.

Nello spogliatoio quelli del primo anno si stanno sfidando a svegliare Rukawa che si è crollato su una panchina con ancora un calzino in mano, solo in boxer.

Hanamichi, sembra non essersi ancora ripreso dallo shock subito quella mattina. “Ryochan?” chiama il capitano che cerca di tener d’occhi i più piccoli “non lo farei fossi in voi” li ammonisce invano, uno dei ragazzini si avvicina e sveglia urlandogli in un orecchio, il numero undici e si becca un pugno in pieno stomaco. “Maledetto bastardo, non perdono chi disturba il mio sonno” lo guarda con aria minacciosa e la voce è forte e potente e fa cadere un fastidioso silenzio nello spogliatoio. “Il prossimo che mi urla nell’orecchio lo ammazzo di botte” aggiunge gelido come non era da mesi, per chi lo conosce bene da dopo la pausa con la nazionale è tornato in squadra con un atteggiamento meno siberiano e tutto sembra essersi sgretolato in un urlo. I primini lo guardano vestirsi, il corpo ricoperto di lividi, e vecchie cicatrici, medaglie al valore di chi sa menare le mani. Raccolte le proprie cose se ne va, e sembra che voglia mettere più distanza possibile tra se e lo spogliatoio. “Voi alla prossima partita farete panchina, ve l’ho detto che non dovevate provocarlo. Se ricomincia a comportarsi come lo scorso anno per colpa vostra non sapete quanti suicidi* vi aspettano, in più ai venti che farete domani. Ora evaporate dalla mia vista prima che ne aggiunga altri!”. Sussurra un paio di improperi indirizzati all’ala piccola e poi si rivolge ad Hanamichi “Hanachan, che succede oggi? Tu e lui che sembrate tornati allo scorso anno, loro che cercano di farsi ammazzare, abbiamo il campionato alle porte. Quest’anno dobbiamo superare lo scoglio dei quarti di finale del girone.” Il rosso sospira mente finisce di vestirsi. “Cercavo informazioni su Zero” l’amico scuote la testa “non sai chi sia zero, potrebbe essere anche un vecchio bavoso” “NO!” lo zittisce prima che possa continuare “No è una ragazza che gioca a basket in questa scuola” il capitano apre la bocca come a voler dire qualcosa ma viene interrotto dalla voce dell’altro “due ne parlavano stamani e mi sono arrabbiato, perché hanno detto tante cose cattive, tante cattiverie che nemmeno riesco a ripetere, la peggiore però è stata che quando i genitori hanno scoperto di aspettare tre gemelli avrebbero dovuto farla fuori”. “Bene almeno sai dove andare a cercare, ma la squadra femminile è messa peggio di noi, almeno noi siamo andati al campionato nazionale lo scorso anno, loro non lo fanno da secoli”

Un Hanamichi Sakuragi travestito si presenta a vedere gli allenamenti della squadra femminile di basket, ma nessuna ragazza sembra assomigliare in nessun modo ai due incontrati alla mostra, e nessuna ragazza sembra abbastanza brava nel gioco, si accapigliano ogni tre per due, con una frequenza che nemmeno lui e Rukawa avevano i primi tempi, alla fine degli allenamenti il ragazzo si fa coraggio e comincia ad avvicinarsi al capitano della squadra, una ragazza con una massa di riccioli scuri che somiglia ad Ayako in maniera impressionante, che borbotta “dovrei avere il polso di mia sorella” sconsolata. “Se smetteste di litigare potreste fare molto meglio di così” lei ride, una risata argentina melodiosa “Oh, Sakuragi da che pulpito” lui abbassa la testa “mi conosci?” le chiede e lei annuisce “mia sorella parla sempre di voi, e poi non sei proprio bravo nei camuffamenti, soprattutto dopo la mostra” lui la guarda interrogativo “Tua sorella?” e lei annuisce “Si mia sorella maggiore Ayako” e lui sospira “A proposito della mostra, ho poche informazioni su zero, ma penso sia una tua compagna di squadra, so che gioca a basket, so che è bravissima a fare le fotografie e che ha un fratello e una sorella gemelli che frequentano il liceo K e che non hanno lo stesso cognome” lei aggrotta le sopracciglia e lo guarda con un’espressione confusa “Nessuna ragazza della squadra ha dei gemelli, e le conosco tutte, soprattutto che vanno in una scuola così costosa, ma so che Ayako mi parla di una sua conoscenza che ha queste caratteristiche, dovresti parlare con lei” lui si gratta la nuca nervosamente “Lo farò quando sarà meno arrabbiata con me, spero proprio non le duri tanto stavolta. Mi ha messo a fare i fondamentali con quel deficiente di Rukawa tutto l’allenamento.” sbuffa “Ma se vuoi far vedere come funziona una squadra porta le tue all’allenamento e vedranno il genio in azione” una risata da genio maniaco e si allontana lasciando la ragazza ai propri problemi con la squadra.

La stessa sera il centro dello Shohoku suona al campanello di una villetta poco lontano dalla scuola “Signora posso parlare con sua figlia Ayako” quando una voce femminile risponde al citofono “Certo ragazzo entra” gli risponde, si trova sotto un portico e viene raggiunto dalla manager. “Ayasan” esordisce lui e lei gli sorride “Scusa per stamattina” e lei scuote la testa “mi ha detto Ryochan perché eri arrabbiato, questo non vuol dire che tu e Rukawa possiate pestarvi e soprattutto con quella violenza.” lui sospira e annuisce. “Sono qui per parlare di zero” e lei annuisce indicando un dondolo “Sediamoci” lo invita, l’aria frizzante della sera è piacevole, nonostante la sensazione porti con se un ricordo d’inverno. Lui obbedisce e lei lo raggiunge sedendosi a sua volta e sorridendo al ragazzo “Su, dimmi” lo incoraggia. “L’altra mattina ero alla galleria e c’erano un ragazzo e una ragazza con gli occhi blu e i capelli castani, molto chiari, che parlavano di Zero e dicevano un sacco di cose cattive, tipo che non sarebbe dovuta nascere e cose del genere, e che le foto son belle ma solo perché sono un buon soggetto e non per la bravura di lei, e che è inferiore perché va allo Shohoku e loro invece sono al liceo K e che lei ha il cognome del nonno mentre loro quello della nonna” lei spalanca gli occhi castani ma rimane in silenzio e Sakuragi continua a parlare con fare concitato. “la cerco, mi scombussola sapere di lei, e che non posso sapere chi mi vede in quel modo, e poi mi ha scritto, ma non vuole che sappia chi sia, e mi sto logorando. Tua sorella mi ha detto che tu forse sai dirmi chi è, ma per loro gioca a basket e per tua sorella no” aggiunge facendo un sospiro e affossandosi nel dondolo. “Non so se stiamo parlando della stessa persona.” Esordisce lei cercando di essere credibile, “Posso informarmi, e magari dire a Zero di darti qualche notizia, se fosse la persona che penso io, va bene? Non posso prometterti niente” lui sorride “Grazie Ayako sei un’amica” e lei risponde con un sorriso “spero di aiutarti in qualche modo. Ma ora a casa che lunedì ti voglio in forma”



La domenica mattina Kaede Rukawa si sta allenando in un campetto a poca distanza dal mare, il suo preferito e viene raggiunto dalla manager della squadra dello Shohoku. Lui la ignora e lei si avvicina, fino ad intralciarlo in fase di tiro, e lui ricade a terra in modo scomposto, poggia male la caviglia destra e ricade con uno sbuffo. La caviglia del numero undici pulsa, ma la ragazza ignora l’unica espressione che si è dipinta sul volto di lui, diversa dall’indifferenza e dalla noia, da quando lo conosce. “Rukawakun, io sono innamorata di te dalle medie” la vocetta di Haruko Akagi viene ignorata dall’ala piccola, che però non riesce ad alzarsi in piedi e sbuffa ripetutamente. “Vorrei che diventassi il mio fidanzato” ignora completamente quello che sta succedendo al ragazzo, quasi fosse un soliloquio. “Ti trovo il ragazzo più bello della scuola, e adesso la professoressa ci ha divisi, non possiamo più essere accanto” lui la guarda come si guarda un pezzo del National Geographic sulle blatte. Si sforza a parlare, per lui è sempre difficile usare quel mezzo per comunicare, ne è sempre stato consapevole, ma si rende conto di doversi sbarazzare di quella ragazza che lo ha appena fatto infortunare, nella sua testa spera sia solo una botta per la ricaduta strana. “Ti odio, mi fai schifo e mi hai fatto fare male, evapora dalla mia vista” si morde il labbro inferiore, aveva cercato di essere diplomatico, ma le parole avevano preso un’altra strada come in un corto circuito tra testa e bocca, finendo per far uscire la verità. In lontananza si sente fischiettare un motivetto allegro, Hanamichi Sakuragi, dopo la chiacchierata con Ayako sembra essere riuscito a recuperare tutto il suo ottimismo, quando giunge al parchetto sente le parole del compagno di squadra e vede la ragazza correre via in lacrime, sa che dichiarandosi innamorato di lei avrebbe come minimo dovuto rincorrerla, ma non prova questo istinto, non ha questa voglia, sente solo di doversi accucciare e chiedere qualcosa al compagno di banco “Perché sei così crudele?” il blackout tra mentre e bocca ha contagiato anche il rosso. “Perché stavo tirando, si è messa in mezzo, per non pestarla mi sono fatto male, e non riesco ad alzarmi, ma soprattutto è la verità.” abbassa lo sguardo per nascondere il rossore che sente sulle guance caldo e che incrementa il suo imbarazzo. Il centro lo osserva e lo prende in braccio come se fosse un fuscello e non un ragazzo di un metro e novanta che pesa sui settantacinque chili di muscoli. “Ora andiamo al pronto soccorso, per quanto la voglia di spaccarti la faccia sia tanta ci servi un minimo per il campionato nazionale Kitsune”. Le uniche parole che escono dalla bocca del moretto sono sussurrate “Grazie Hanamichi” un soffio di vento, così lieve da sembrar galleggiare tra loro due. Nessuno dei due è veramente convinto dell’esistenza di quel ringraziamento, se da una parte Rukawa non si capacita di averlo chiamato per nome dall’altra parte l’altro è convinto di esserselo immaginato. Prima di portarlo al pronto soccorso il tensai da modo a Kaede di recuperare tutte le sue cose, andando personalmente a prendere il pallone, che con lo scontro con Haruko, è finito in un cespuglio, solo in quel momento distante dall’infortunato sembra riuscire a calmare il battito del proprio cuore, che non sembra allineato con il proprio sentire. Gli immobilizza la caviglia nel miglior modo possibile e quando sono pronti prende nuovamente in braccio il compagno di squadra dopo essersi messo in spalla anche la borsa di lui, oltre la propria. Quando raggiungono il nosocomio e dopo un breve triage i due vengono spediti in radiologia, il rosso spinge una carrozzina con la sua nemesi sopra che non fa un verso di dolore nemmeno a pagarlo oro, ma la caviglia sembra aver perso le proporzioni abituali per essere sostituita con quella di un elefante. “Fa male?” chiede, quando si è infortunato, e quando è tornato in squadra ha sentito il supporto del volpino, nella loro lingua incomprensibile fatta di sfottò e risse, fatta di insulti e allenamenti estenuanti insieme, ora sta ricambiando con la speranza nel cuore che si risolva in una bolla di sapone.

Qualche ora dopo, e il sedere di Sakuragi più simile ad un cubo che ad un paio di natiche, portano il referto a Rukawa che si lascia sfuggire un paio di improperi coloriti. “Sakuragisan” e il ragazzo che viene chiamato sente come una morsa alla bocca dello stomaco quando sente il proprio cognome e non il solito soprannome. “Kitsune dimmi” non riesce ad essere formale, sono compagni di squadra e si son visti nudi più volte di quelle che vuole veramente ricordare. “Ti devo chiedere un favore” la voce del numero undici sembra quasi un filo “Mentre mi occupo delle scartoffie mi procureresti un paio di stampelle al negozio di ortopedia qua fuori?” Prende il portafoglio dalla tasca della borsa e lo porge al compagno di squadra, dopo aver recuperato il documento e un paio di tessere tra cui quella dell’assicurazione. Il numero dieci annuisce “Ok” e riceve in cambio una strana smorfia condita da un “grazie Dohao”. Il rosso si allontana e l’altro spinge da solo la carrozzina verso l’accettazione, andando ad occuparsi delle cose burocratiche, e un giovane medico lo affianca “Allora, signor Rukawa dovrà stare a riposo un mese un mese e mezzo, ma deve cominciare subito con la fisioterapia, è un metodo recente, ma visto che è uno sportivo potrebbe giovarne maggiormente”* “Hn, grazie signore” risponde in modo molto formale il giovane a cui poi vengono consegnati dei depliant e un carnet di appuntamenti per la fisioterapia con orari consoni al suo impegno scolastico. Addebitano tutto sull’assicurazione del ragazzo che viene liberato da quelle incombenze poco dopo il ritorno del compagno di squadra che gli porge un paio di stampelle già settate all’altezza giusta, il moretto fa qualche passo incerto con quei due arnesi con cui piano piano sembra prendere confidenza. “Ti accompagno a casa. Se stai lontano prendiamo un taxi” quello che sembra un gemito esce dalle labbra del volpino “Sto abbastanza vicino, ma non voglio tornare, andiamo a piedi, che così mi abituo a queste” dice la richiesta, anche se insensata, viene accolta dall’altro che gli si affianca. Rimangono in silenzio per tutto il tragitto, ma non c’è imbarazzo, c’è solo una sorta di silenziosa vicinanza. “Eccoci” dice il moro quando arrivano alla base della tenuta dove abita “Vieni ti offro una cola” lo incoraggia.

Ad ogni passo che lo fa avvicinare all’agglomerato il rosso sembra sempre più stupito “così sei veramente una ricca kitsune” l’altro sbuffa quando arriva a casa trova solo suo nonno nella villetta dove abita il nipote preferito, un amore incondizionato tra i due che si può leggere l’espressione e nel tono del più anziano “Chibichan che hai fatto?” si allarma l’uomo ultraottantenne quando i due ragazzi entrano nella cucina “Nonno che ci fai qua?” chiede il nipote di rimando “Nonna” non aggiunge altro sorridendo. “Ti presento un mio amico lui è Sakuragi Hanamichi, lui è mio nonno Rukawa Kaede Hiro” il rosso si inchina profondamente e l’uomo lo fa un piccolo inchino a sua volta “Sakuragi hai detto?” Sembra pensoso “Tuo nonno era uno scozzese vero? Mi ha salvato la vita in guerra, e tu ora mi riporti il mio adorato nipote con le stampelle, sembra un deja vu” il rosso sorride “si era mio nonno, aveva già preso il cognome di nonna” “Chibi che hai fatto alla caviglia” insiste il vecchio che riceve una specie di grugnito dal ragazzo che sembra una sua copia più giovane. “Chi ti ha fatto cadere?” continua e il numero undici continua in una serie di suoni che sembrano sconnessi. L’uomo ridacchia, “ora che nonna avrà finito di urlare posso tornare a casa, fate i bravi, gli altri rimangono fuori a cena i gemelli hanno vinto un premio di non so che cosa e tua nonna vuole andare a festeggiarli, sai che gioia” il ragazzo e il vecchio sospirano nel medesimo modo. “Quando la regina Elisabetta chiede…” la voce di Kaede è limpida adesso la frase viene finita dal nonno “noi sudditi dobbiamo obbedire. Se ti servisse qualcosa rimangono a casa Tomiko e i domestici da noi” “grazie nonnino”. Il vecchio si alza in piedi e con fare reale si allontana “Alla prossima Sakuragi” e il numero dieci si inchina all’anziano che così riesce a scompigliargli i capelli. “Tuo nonno sarebbe fiero di sapere che un altro rosso che passeggia per la prefettura di Kanagawa ha salvato qualcuno”. Se ne va non aggiungendo altro e lasciando i due adolescenti da soli. “La cola è in frigo, se non è un problema mi passi il ghiaccio?” chiede al compagno di squadra che ancora sembra stranito dall’incontro con l'ottuagenario. “Non lo sapevo” l’altro scrolla le spalle. “Nemmeno io che il suo salvatore si chiamasse Sakuragi, e che avesse i capelli rossi, ho visto delle sue foto a casa del nonno ma ovviamente erano in bianco e nero. Senti Dohao, se vuoi ti faccio riaccompagnare da Tomiko” e l’altro aggrotta le sopracciglia “Uno dei domestici?” il padrone di casa scuote la testa “Mia zia, la pecora arcobaleno della famiglia.” Il rosso vorrebbe chiedere di più “ce la fai da solo?” chiede e il moro annuisce mentre scrive scrive un messaggio a qualcuno. “Sono stanco” aggiunge il moro “penso di andare in camera a dormire” questa affermazione fa rispondere al compagno di squadra “Ok, accetto volentieri il passaggio. Vengono raggiunti fa Tomiko una donna carina dai lunghi capelli arcobaleno “papà mi ha detto che ti sei fatto male” dice al nipote “Un po’ zia, potresti accompagnare il mio amico a casa?” le chiede e lei annuisce “Su rossino kawai andiamo”. “A domani Dohao” saluta il suo salvatore tenendo il ghiaccio poggiato sulla parte lesa. “A domani Kitsune”. La zia del moretto ride di gusto “Vedo che la tua capacità di dare soprannomi fa veramente schifo Kaede” e la donna fa cenno a Sakuragi di seguirla mentre si sente una litania di “Dannata zia, dannate le donne” che accompagna i due fino ad un garage, dentro c’è un’utilitaria di un acceso color giallo. “Allora, devi essere proprio simpatico a Kaede se hai un soprannome” il rossino quasi si strozza con la saliva “Simpatico? Ci sopportiamo, ma per la maggior parte del tempo finiamo a rissa” scrolla le spalle e la donna ride ancora “Vorrei proprio vedervi, avrei voluto vedervi al campionato nazionale, ma ho avuto problemi a raggiungere Hiroshima, sai il lavoro”. Il ragazzo sembra guardingo mentre si siede sul sedile del passeggero e la donna prende posto al volante. “Sei l’unico essere umano a cui il mio nipote preferito ha dato un soprannome, che fa schifo sia inteso, ma ci avrà anche pensato quella testa vuota” il ragazzo si rilassa leggermente, la guida di lei è piacevole “Siamo compagni di squadra, adesso cerchiamo di collaborare la maggior parte del tempo” lei sorride ancora, “Bene, allora sta proprio crescendo, come lo chiami? Kitsune? Appropriato. Ho visto le foto alla galleria Tayumi, sei proprio un figo, e lo sei di più di persona” la tonalità dei capelli viene superata dal rossore al viso e un balbettio confuso esce dalle sue labbra. “Scusa non mi hanno fornito i filtri alla nascita, dico quello che penso, e penso che tu piaccia a Kaechan, che tu gli interessi veramente”. “Allora dohao hai un nome?” chiede “Hanamichi” ancora un balbettio ma un po’ più intellegibile degli altri. Lei ridacchia “se mi dici dove andare” lui si schiarisce la voce e riesce a darle le indicazioni. “Come ha fatto a farsi male?” chiede la donna e il ragazzo torna a rilassarsi “Stava giocando al campetto, e penso che una ragazza si sia messa tra lui e il canestro” lei scuote la testa e poi batte la mano sinistra sulla coscia del rosso che fa un salto come se un banco di piraña. “Dai sta tranquillo non ti mangio Hanachan, stavo pensando, il mio nipotino piace un sacco alle ragazze, sai che divertimento se sapessero che è un unicorno come me”. “Non ho capito” un filo di voce mentre il volto non ne vuol sapere di tornare ad una colorazione normale. “Unicorno, una creatura fatata, non è sicuramente l’emblema dell’eterosessualità quel ragazzo…” non riceve nessuna risposta e parcheggia proprio davanti a casa del rosso “Se il suo fan club sapesse che gli piacciono i ragazzi” lei si mette a guardare il tettuccio dell’auto mentre il ragazzo si libera dalla cintura di sicurezza. “La ringrazio signora” la voce è tremante e la postura del ragazzo ne rivela tutto l’imbarazzo. “Arrivederci” la saluta e lei gli lascia un bigliettino da visita “Vorrei che facessi da modello anche a me” sospira “Buonanotte rosso kawai Hanachan”.







Parole sparse

*Zero è scritto in Katakana, il metodo di scrittura che viene usato per traslitterare le parole straniere, è l’unico numero di cui non viene normalmente usato il Kanji.

Il giapponese è una lingua che prevede modi più o meno formali di parlare, ma non prevede la differenziazione tra maschile e femminile, singolare e plurale.

*Suicidio: punizione che gli allenatori di basket amano particolarmente. Il suicidio è quel sadico giochino in cui parti a correre con uno scatto dalla linea di fondo fino alla prima riga tracciata sul terreno e torni indietro, e così per ogni linea del campo tornando sempre alla linea di fondo campo. Più sport si praticano in palestra più scatti devi fare, si considera anche la linea dei tiri liberi e il suo prolungamento. Per la cronaca ne ho fatti milioni nella mia carriera da giocatore di basket fallito.

*Non sono un medico, ma so cosa non si fa con una distorsione importante della caviglia, non si ingessa… Mi hanno ingessato un luglio di tanti anni fa, quando sono tornato traballante in palestra dopo qualche allenamento ho smesso di giocare dopo un litigio con l’allenatore perché ero ancora più brocco di prima. Ho letto qualche articolo e ce n’erano un paio che parlavano di questo nuovo metodo che non prevede l’immobilizzazione completa ma un lavoro sulla distribuzione dei carichi sulla caviglia infortunata.

Non parlatemi dell’HTML almeno fino a settembre… quando avrò passato l’esame ne riparleremo.

Chibichan/Chibi= piccoletto/piccolo

Kawai= carino, tenero

Ste: Ho messo tanta carne al fuoco

Ru: C’è puzza di carbonizzato, maledetto [prende una mazza chiodata e comincia a rincorrere l’autore]

Ste: Ok Ru, no, la clava no…

Ru: (grugniti a caso)

Sendo: L’autore è momentaneamente incapace di intendere e volere.



  
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