Augurandovi buona lettura,
ringrazio tutti quelli che hanno scelto di leggere la mia storia.
2.
Prima diapositiva: Una
foto sul comò.
Lui e
Keiko si conobbero quando lui era al terzo anno
dell'Università e
lei al primo delle medie inferiori. L'incontro venne dettato da un
fatto alquanto insolito.
Quel
giorno di primavera Takeshi aveva deciso di saltare le lezioni. Aveva
promesso alla sua fidanzata che l'avrebbe portata a fare una
"colazione sull'erba". Si sarebbero trovati sul pullman che
li avrebbe portati nel luogo prestabilito.
Erano le otto e lui scese
dal tram. Dalla sua fermata a quella del bus che li avrebbe portati a
destinazione mancavano dieci minuti, si diresse a piedi e
guardò
l'orologio: puntuale come sempre. "Chissà se lei
è già
arrivata o è in ritardo?". Yumi era ritardataria
di indole,
ma in genere quando si trattava di dover prendere un mezzo pubblico
riusciva ad arrivare anche con dieci minuti d'anticipo: un evento
raro a cui assistere. Sorrise pensando a quella che da un anno era la
sua ragazza, quando all'improvviso sentì una fitta al petto.
Si
portò una mano all'altezza del cuore e strinse il maglione e
i
denti. Si fermò mentre sentiva il respiro farsi
più affannato come
se avesse appena fatto una folle corsa. Cosa gli stava accadendo? Gli
sembrava di non riuscire più a respirare. L'ansia lo pervase
mentre
il dolore al petto non passava e lui iniziava ad avvertire il senso
di nausea farsi sempre più insistente. La quarta fitta mise
a tacere
tutti i sensi, acuendo solo la nausea “Che
diamine...”.
Non ebbe tempo di pensare ad altro poichè cadde a terra a
peso
morto, sbattendo la testa sul marciapiede e perdendo completamente i
sensi.
Al suo
risveglio si ritrovò in un letto che non era il suo.
Guardò attorno
e constatò di trovarsi in una piccola cameretta dalle pareti
un po'
malmesse, ma buona per l'arredamento, sebbene molto semplice. Una
voce stava provenendo fuori da quella camera, era una ragazza a
parlare. Si alzò dal letto con l'intenzione di capire dove
si
trovasse. Ricordava solo di avere avuto una fitta dolorosissima al
petto e nient'altro. Ora però stava bene, come se tutto
ciò che gli
era appena successo non fosse accaduto realmente a lui. Avrebbe messo
in dubbio i suoi stessi ricordi se non si fosse trovato in quella
casa e con un bernoccolo alla testa che ora, a sensi completamente
ripresi, si faceva sentire, appoggiato ad un cuscino molto freddo e
poco morbido. Si mise seduto, appoggiando i piedi a terra e vide che
tra la testa e il cuscino vi era una busta di ghiaccio. “Ora
capisco perchè sentivo il cuscino freddo e
scomodo!”. Mentre
iniziò a toccarsi dietro la testa per constatare
l'entità della
botta il suo sguardo capitò su un orologio appeso in alto,
sulla
parete di fronte al letto. Erano le otto e mezza. "Accidenti a
quest'ora dovevo essere sul bus già da almeno un quarto
d'ora con
Yumi!". Si avviò verso l'uscita per fermarsi davanti alla
scrivania e vide la foto di due ragazzi: un ragazzo sui quattordici/
quindici anni e una bambina di fronte ad una torta con sopra una
candelina accesa a forma di 10. Dalla voce non ancora di donna adulta
che stava parlando al telefono poteva immaginare che la ragazzina al
di là della porta fosse la stessa della foto. Erano carini,
si
somigliavano per lo stesso colore di capelli castano chiaro. A
giudicare dall'arredamento della stanza, principalmente in rosa con
fiori e cuoricini un po' ovunque la ragazza doveva anche essere la
proprietaria di quella camera. La sentì chiudere la
conversazione e
aprire la porta. La giovane si spaventò nel vederlo in
piedi,
nonostante la sua faccia da ebete. -Oh,scusa... Non credevo che tu
fossi in piedi- si affrettò a scusarsi chinandosi
leggermente.
-Non so
cosa mi sia successo, ma ora sto bene.
-Dovresti
comunque coricarti nuovamente.- rispose lei drizzandosi.
-E
perchè mai? Ora sto bene.
-Non ti
fa male la testa?
-Un po'-
rispose riportando la mano alla testa e ritraendola quasi subito per
il male. Sorrise però per non preoccupare la ragazzina.
-Anzi, ti
ringrazio molto: senza il ghiaccio la mia testa sarebbe raddoppiata
per dimensione- suscitando una risatina anche nella ragazzina.
-Tieni, ti do il ghiaccio- riprese poi lui allungando la busta alla
giovane che la prese per appoggiarla poi sulla scrivania. -Dimmi
piuttosto dove sono.
-Sei nella prefettura di Hokkaido e sei svenuto davanti al cancelletto di casa mia.
-E tu
chi saresti?
-
Keiko...- si inchinò ancora presentandosi.
-Grazie...
Keiko-san.-
-Non-non
c'è bisogno di essere tanto ossequioso, davvero!- rispose lei
imbarazzata dall'onorifico appena usato dal ragazzo.
-Beh, mi
hai salvato la vita!
-Dovevo.
-In
verità non eri obbligata a farlo.- replicò lui.
-Keiko-chan
va bene- ribattè lei sorridente.
-Allora
Keiko-chan, sei piuttosto piccola, non vai a scuola oggi?- si
divertì
a farle la paternale lui.
-Qualcuno
doveva controllare di non aver portato in casa un morto o un
malintenzionato.
-Ahahah,
se fossi un malintenzionato ti avrei già stesa con un colpo
sul
collo!- La ragazzina s'irrigidì alla sua battuta. -Comunque
non hai
dei genitori?- riprese lui vedendo che la battuta non aveva riscosso
il successo sperato.
-Qualcuno deve lavorare...- rispose lei
diffidente.
-Capisco.
Uhm...- si fece assorto prima di riprendere -Tuo fratello è
questo
ragazzo nella foto? Ti assomiglia, avete lo stesso colore di
capelli!- affermò poi sorridendo.
Lei non
si girò a guardare la foto, la conosceva a memoria e ancor
meglio
conosceva il ragazzo che nella foto stava al suo fianco. -Non ce
l'hai una tua vita a cui interessarti?- gli domandò di
rimando,
ostile.
Lui si
accorse che quella frase detta per sciogliere la tensione,
portò con
se' l'effetto contrario: -Ehi, calma, calma- tentò di
rassicurarla
-Volevo solo conoscere meglio la situazione di colei che mi ha
salvato da morte certa!- disse con tono teatrale, ma sinceramente
gentile e immensamente grato.
Il
rossore sulle sue gote annunciò l'effetto sortito del suo
tono
gentile: -Scusa, non volevo essere scontrosa. Semplicemente non
capisco il perchè di tutte queste domande.
-Sono
stato invadente, te ne do atto.- rispose lui indietreggiando di un
passo in segno di prendere le dovute distanze. Il suo sguardo
però
lo tradì dal momento che indugiò sul viso della
ragazzina: era così
carina in quel momento di timidezza. Non aveva mai creduto che le
ragazze arrabbiate o timide fossero più carine che felici e
sorridenti, ma quella ragazzina sembrava smentire questa sua idea.
I due
rimasero in silenzio senza sapere cosa dirsi. Fu ancora Takeshi a
rompere il silenzio: -Grazie, non ti devi disturbare a restare a
casa. Io adesso torno a casa mia.- Raccolse la cartella che Keiko
aveva posato sulla sedia di fronte alla scrivania, poi si diresse
verso l'uscita della camera e le chiese: -La porta d'ingresso
è
quella che c'è di fronte a queste scale?
Lei
annuì timidamente con occhi tristi. Lui uscì
dalla stanza, ma non
fece in tempo a fare il primo gradino che si sentì fermare:
-Aspetta.- La voce le uscì tremante. Lui non capì
e si girò verso
lei. I suoi occhi tristi lo guardavano senza svelargli il motivo di
quel cambio di stato d'animo.
Si
avvicinò a lui e gli prese una mano. La sua mano era grande
come
quella del suo papà ed era calda come la sua non sarebbe mai
più
stata. Le si inumidirono gli occhi mentre stringendo quella mano la
portò sulla sua guancia. Chiuse gli occhi per riprovare quel
tenero
sentimento che non provava più da troppo tempo. Voleva
riprovare la
sensazione che le trasmettevano le carezze del suo papà, ma
la
sensazione che la mano inerme di Takeshi le trasmise era diversa, le
provocò un mare di sensazioni sconosciute fino a quel
giorno. Non le
erano chiare le origini di quelle sensazioni, ma erano piacevoli.
Takeshi
la lasciò fare senza capire cosa stesse facendo, o meglio:
perchè
si stesse comportando in quel modo. Fino ad un attimo prima era
diffidente nei confronti di lui che era un estraneo, ora pur
restando un estraneo per lei... Si stava prendendo una confidenza a
dir poco avventata. Quando lei poi aprì gli occhi e
alzò lo sguardo
per guardarlo con gli occhi umidi capì che qualcosa nella
sua vita
non andava e sentì l'istinto di abbracciarla. Lei a quel
punto si
mise a singhiozzare e lui la strinse più forte. Keiko
non era
il tipo di persona che piangeva facilmente e con gli sconosciuti. In
realtà era una ragazza molto solare che cercava di vedere
sempre il
lato positivo della vita e non piangeva mai con persone che non
fossero la sua famiglia. Persone che non potevano capire quanto
stesse ancora soffrendo per la scomparsa del padre. Non capiva
nemmeno lei perchè, ma quello sconosciuto gli trasmetteva un
forte
senso di protezione che solo suo padre le sapeva dare quando era
abbattuta per qualche cosa e lui cercava di farle vedere il lato
positivo della situazione. Quando il senso di vuoto provato al
ricordo di suo padre svanì grazie all'abbraccio del ragazzo,
Keiko
si allontanò leggermente e con la manica della divisa
scolastica si
asciugò le lacrime prima di chiedere scusa in un sorriso
imbarazzato. L'allontanamento della ragazzina dispiacque a Takeshi,
sebbene fosse contento di rivedere sulle sue labbra il sorriso,
seppur debole. Era così piccola... e
così carina! “Ma a
che pensi Takeshi? E' solo una ragazzina delle medie!!” si
riproverò scuotendo la testa per cacciare quegli strani
pensieri. Non
aveva mai considerato una ragazza minorenne, certo era in grado di
capire se una ragazzina era carina o no, ma non le aveva mai
considerate con quell'occhio... Doveva essere la caduta che lo faceva
sragionare. -Ti senti meglio?- le chiese poi.
-Sì,
scusa.
-Vuoi
parlarne?
-E' per
mio papà... E' morto tre anni fa, ma non mi va di parlarne.
-Va
bene, come vuoi tu- le rispose lui senza sapere cos'altro aggiungere.
Restarono
fermi, ognuno a pensare l'altro. Lui pensava a quanto fosse piccola
lei e a quanto doveva mancarle suo padre. Si scambiarono un'occhiata
ed inspiegabilmente senza un motivo, senza che neanche loro due
capissero, si baciarono. Non fu un bacio molto bello: lei era in modo
più che evidente alle prime armi, ma fu un bacio molto
tenero e
molto breve. Non appena Takeshi realizzò che probabilmente
non
sapeva baciare perchè era poco più che una
bambina si staccò di
colpo da lei. Si portò la mano alla bocca, quella bocca che
sentì
subito colpevole di aver violato le labbra della ragazzina, e senza
parlare, prese la cartella e scappò letteralmente da quella
casa.
Sulla
via di ritorno provò disgusto. Quel bacio non significava
niente.
Era stato dolce, ma non voleva dire nulla. E lui provava disgusto per
sé stesso. Aveva baciato una ragazzina che doveva avere
almeno dieci
anni in meno di lui e che per questo era più che minorenne.
Una
ragazzina che con ogni probabilità non aveva mai baciato
nessuno.
Una ragazzina che era stata molestata dal ragazzo che aveva soccorso.
Si sentì uno schifo d'uomo e appoggiandosi al muro
dell'edificio a
fianco con una spalla portò una mano al volto cercando di
non
piangere per l'orribile gesto compiuto. Lui non era quel genere di
persona, non aveva mai provato attrazione per le mocciosette che
neanche portavano il reggiseno; lui amava le belle donne, con le
curve al posto giusto e il viso adulto. Non avrebbe mai immaginato
che un giorno avrebbe dato un bacio vero ad una bambinella che forse
non si era ancora sviluppata. Doveva essere stata sicuramente la fase
post-traumatica che gli aveva annebbiato la mente.
Decise che non avrebbe fatto
parola di ciò che era successo con nessuno, solo
così poteva
fingere che non fosse mai accaduto e forse con il tempo avrebbe
potuto disperdere il ricordo di quell'increscioso incidente in un
mare di ricordi più grandi che avrebbero riguardato il
cinema e la
famiglia che sicuramente avrebbe avuto, anche se era prematuro
pensare che ne avrebbe formata una con Yumi.
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