spara
Spara, se non vuoi
morire
Ti hanno insegnato sin
da piccolo cos’era il fuoco,
t’han detto che la
guerra in fondo era soltanto un gioco
e adesso giri con un
mitra in spalla per amico
per colpa di un destino
ingiusto che ti ha già tradito.
Il sole brilla freddo al centro del cielo, i raggi si
riflettono sul metallo lucente dell’AK-47.
Tahir rafforza la stretta sull’arma e guarda avanti con
attenzione. Ha un potente mitragliatore con sé, non deve avere paura.
Gli hanno spiegato che alla fine di una battaglia vedrà
tutto nero o tutto rosso.
Se è tutto nero, vuol dire che è morto e ha fallito.
Se è tutto rosso, vuol dire che è ancora vivo ed è il sangue
dei nemici a riempirgli gli occhi.
Tahir non sa nemmeno chi sono i suoi nemici, questo non
gliel’hanno spiegato. Sono delle persone che in teoria dovrebbe odiare, ma lui
non odia nessuno.
Rosso.
Ci pensa e ci ripensa: è una bella parola, ha un bel suono.
Chissà come si scrive.
Tahir non lo sa, non è mai andato a scuola, nemmeno prima
che lo rapissero e lo obbligassero ad arruolarsi: la sua famiglia era troppo
povera e lui doveva stare a casa per lavorare.
Rosso.
C’è un altro bambino a fianco a Tahir, anche lui stringe
forte il suo AK-47; si chiama Bakari e ha undici anni, uno in più di lui. È un
ragazzino simpatico, gli piace molto disegnare: quando gli adulti non lo
vedono, lui disegna col gesso sull’asfalto, sui muri, sui marciapiedi e a Tahir
piace osservarlo.
Spera che anche lui veda tutto rosso alla fine di questa
battaglia.
Si scambiano un’occhiata complice e un po’ spaventata, poi Tahir
si concentra. Non può sbagliare, altrimenti lo puniranno o, peggio ancora,
morirà.
Via al fuoco.
L’aria si riempie di un boato assordante, di grida, di
polvere da sparo.
Il sole brilla sempre meno e il Kalashnikov AK-47 brucia
ancora di più tra le dita.
Tahir spara. Contro tutto ciò che si muove, contro tutto ciò
che sembra una figura umana.
Spara e sa che deve essere veloce, se non vuole essere il
prossimo a crollare.
Spara anche se non vede più niente, non sente più niente e
il suo cuore batte ancora più veloce dei colpi del mitra.
Spara e avverte i proiettili sfiorargli la pelle senza mai
ferirla davvero.
Spara perché gli hanno detto così: spara, se non vuoi
morire.
È soltanto un bambino che uccide altri bambini.
Ti vuole uomo ma a
dieci anni cosa puoi capire,
t’han detto di sparare
a vista se non vuoi morire
Il fuoco cessa.
Tahir è a terra e non sa come ci è finito; è sdraiato e si
tappa le orecchie con le mani, ma sente ancora l’eco degli spari.
Non si è fatto niente, eppure il cuore gli fa male.
La polvere gli riempie il naso e copre il sole, che ormai
non brilla più.
Non sa se è vivo o morto, deve aprire gli occhi per
scoprirlo ma non ne ha il coraggio. Ha paura di alzarsi, potrebbe diventare un
bersaglio facile se i nemici sono ancora nei paraggi.
Trascorrono secondi, minuti, secoli di lunghissimo
silenzio e Tahir comincia a pensare che sia davvero morto e che ora si trovi in
paradiso.
Poi apre gli occhi. Rosso.
Si alza. Rosso.
Il sangue che si incrosta alla polvere è rosso.
I corpi delle persone stesi a terra sono rossi.
Il sole è rosso, adesso scotta ma con cattiveria.
Anche gli occhi spenti e sgranati di Bakari sono pieni di
rosso, ma Tahir scommette che dall’altra parte delle sue iridi è tutto nero.
Forse è stato proprio lui a ucciderlo.
Spera di no: se ha sbagliato e sparato a un alleato invece
che a un nemico, lo puniranno.
Tahir ancora non lo sa, ma quello sguardo fisso e privo di
vita non smetterà mai di tormentarlo. Chiude gli occhi per scacciare
quell’immagine, ma gli occhi iniettati di sangue di Bakari sono ancora lì e lo
fissano.
Anche le lacrime che gli scorrono sulle guance sono rosse.
Tahir le asciuga con un gesto sprezzante e recupera l’unico
amico che gli è rimasto: il Kalashnikov AK-47.
È un soldato, non può permettersi di piangere.
Ma intanto c’è una
terra dove il sangue scorre ancora,
dove i soldati son
bambini e non esiste scuola;
non sanno leggere né
scrivere, solo sparare
e caricare di speranze
la loro pistola.
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Questo scritto è veramente insolito per i miei standard, ma
la triste storia dei bambini-soldato mi chiamava e mi chiedeva di essere
raccontata. Il contest “Nati dall’odio” me ne ha finalmente dato l’occasione.
Ho scoperto questa tematica anni e anni fa tramite un
bellissimo brano, Cose Che So dei Mamavibe, da cui sono tratti gli
stralci di testo che trovate allineati a destra. Questa canzone e le sue parole
mi hanno sempre messo i brividi, sono sempre state come un pugno allo stomaco e
mi hanno spinta a informarmi sull’argomento.
Nel caso la vogliate ascoltare, vi lascio il video di una
versione live che è stata utilizzata per un video-denuncia-sensibilizzazione
davvero stupendo. Purtroppo non ho trovato la versione da disco che conosco io
perché si tratta di una band emergente e ormai non più attiva, ma vi assicuro
che questa versione rende giustizia al brano:
https://www.youtube.com/watch?v=VBHwNJHSwIQ
Leggendo qualcosa su internet, ho scoperto delle cose
terribili.
Il fenomeno dei bambini-soldato negli ultimi anni non ha
fatto che peggiorare: se prima venivano coinvolti nei conflitti soprattutto
adolescenti tra i quindici e i diciotto anni, nel corso dell’ultimo decennio
l’età media dei bambini arruolati si è sensibilmente abbassata. Il più giovane
soldato al mondo ha combattuto nella guerra in Liberia, tra le fila dell’LRA, e
aveva solo cinque anni.
Nel testo faccio accenno al fatto che il protagonista sia
stato rapito perché effettivamente vengono inclusi nell’esercito molti bambini
rapiti dalla strada o da famiglie molto povere. La cosa spaventosa è che
ultimamente molti di questi piccoli soldati si stanno arruolando
volontariamente per avere un pasto assicurato e un minimo di reddito per
aiutare la famiglia.
Altra cosa a cui faccio riferimento è l’arma utilizzata,
ovvero il mitragliatore Kalashnikov AK-47: è di gran lunga la più diffusa tra i
bambini perché è leggera, pratica da usare e non ha bisogno di particolare
manutenzione.
L’ambientazione è volutamente vaga: non ho scelto un luogo o
una guerra in particolare perché il fenomeno nell’ultimo ventennio è talmente
diffuso (soprattutto in Africa, Asia e Sud America) che un evento del genere
sarebbe potuto accadere ovunque e in qualunque momento.
Ed è veramente tristissimo.
Io non sono una grande esperta sull’argomento, non me ne
intendo né di armi né di guerra e mi scuso se nel testo ci sono delle
imprecisioni, ma ho voluto comunque tentare; scrivere questa storia era
veramente importante per me.
Ringrazio di cuore chiunque sia giunto fin qui e spero
quanto meno di aver dato uno spunto di riflessione ^^
Alla prossima!!! ♥
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