SLIPPING
THROUGH THE
CRACKS OF YOUR
COLD EMBRACE
(I need you - 8.17)
Il freddo era la sensazione
che Castiel associava alla mortalità.
Da quando era diventato umano, umano per davvero e non
perché fosse rimasto privo di grazia, il freddo si era fatto
costante: ciò che gli ricordava come tutto fosse cambiato
per sempre. Era qualcosa che non lo abbandonava mai indipendentemente
da quanti maglioni indossasse – era un marchio inciso nelle
ossa, come la morte di Jack. Togliersela dalla testa era impossibile
perché anche quella, come il freddo, era qualcosa che non si
calmava mai, un doloroso ricordo che nei mesi precedenti
l’aveva perseguitato a ogni ora del giorno e della notte e
gli aveva scavato dentro. Come un tarlo.
L’aveva annientato e ormai non aveva poteri, non aveva Jack,
non aveva più uno scopo. Con Sam che dopo tutto quanto aveva
deciso di abbandonare il bunker nel tentativo di superare la cosa, gli
rimaneva solo Dean. E, mentre ripensava a come fosse arrivato fino a
lì, a quel punto della sua esistenza, Castiel finse di non
sentire gli occhi bagnarsi e ignorò la lacrima che gli aveva
appena solcato la guancia.
Non era stato capace di salvare nemmeno suo figlio.
Avevano preso a cacciare. Lui e Dean contro il mondo, come ai tempi
d’oro, e questo era l’unico modo per cercare di
azzittire il senso di colpa e la sensazione che fosse tutto
profondamente sbagliato.
Un’altra lacrima.
Che alla fine, in una notte particolarmente patetica durante la quale
si era lasciato andare e si era attaccato alla bottiglia,
un’abitudine nuova che si stava trasformando sempre di
più in vizio, gli fosse sfuggita una dichiarazione
d’amore a Dean, non c’era proprio da stupirsi.
Castiel non ne era rimasto affatto sorpreso.
Ormai non reggeva più l’alcol come una volta, come
quando era un angelo, e non c’era da stupirsi neanche che,
subito dopo averlo detto, si fosse ritrovato carponi a rigettare tutto
quello che aveva bevuto.
Quella era stata la parte più umiliante, non che Dean non
avesse risposto alla sua confessione. Anzi, due parole le aveva anche
pronunciate. “Cristo, Castiel” aveva detto con un
tono che non era riuscito a identificare, prima che l’altro
si chinasse su di lui e lo trascinasse in bagno senza aggiungere altro.
Il giorno dopo gli aveva dato tanta acqua, l’aveva costretto
a mangiare e gli aveva passato qualcosa per il mal di testa, questo
prima di partire per l’ennesima caccia.
Così, stanco e a pezzi, giaceva in silenzio sul sedile, lo
sguardo in un punto imprecisato fuori dall’Impala, mentre la
macchina sfrecciava nella pioggia.
Quel “Cristo, Castiel” aleggiava pesante
nell’aria, duro, implacabile nel silenzio del viaggio. Se
Dean l’avesse detto perché ai suoi occhi non aveva
più una dignità e aveva vomitato sul tappeto o
per la confessione in sé, a Castiel non era dato sapere.
Durante quel viaggio aveva provato un freddo mai
sentito prima.
La cittadina nella quale erano appena arrivati, un centinaio di case in
mezzo al nulla della campagna americana, aveva un problema di fantasmi.
“Almeno due” aveva detto Dean dopo aver interrogato
una decina di locali e aver avuto due descrizioni differenti di quelli
che potevano essere solo spettri; Castiel, intanto, era rimasto ad
aspettare sdraiato sui sedili posteriori di Baby. La testa che gli
pulsava.
“Ho già una pista e un possibile nome. I due penso
facciano parte di una banda di criminali morta duecento anni fa. Devono essersi risvegliati perché stanno costruendo un centro
commerciale nel posto in cui c’era il loro covo. Direi di
passare dalla biblioteca del paese, lì troveremo qualcosa e
soprattutto dove sono stati sepolti.”
Dean aveva parlato senza guardarlo, come se anche solo rivolgergli uno
sguardo fosse troppo.
Lo stava ignorando e Castiel aveva mugugnato qualcosa
di simile a un “Perfetto”.
Aveva di nuovo gli occhi umidi e un mal di testa epocale.
Senza proferire parola, senza nemmeno incrociare il suo sguardo, Dean
gli aveva passato poi un’aspirina e una bottiglietta
d’acqua.
La biblioteca era chiusa. Avevano dovuto rompere il vetro della porta
per farsi strada all’interno dell’edificio e,
mentre Dean era andato dritto nella direzione in cui erano conservati i
documenti d’epoca, Castiel aveva iniziato a sfogliare tutto
ciò che gli capitasse tra le mani.
Poco dopo mezzanotte avevano scoperto che la banda era composta da
cinque persone e avevano individuato i fantasmi che stavano tormentando
la cittadina: potevano vantare di aver scovato anche le
località delle tombe. C’era solo un problema:
dovevano dividersi.
Una era in un cimitero, una in un altro.
"Dividiamoci" aveva detto Castiel.
“Abbiamo affrontato di peggio, non ho paura di uno
spirito” aveva aggiunto e Dean l’aveva
guardato con disapprovazione, ma poi aveva scosso la testa.
“Sei sicuro?” aveva chiesto il Winchester e Cas
aveva risposto sbattendo un pugno sul sedile.
“Non ho bisogno di una balia, Dean” aveva ringhiato.
Ma si era sbagliato.
Da angelo aveva avuto una concezione relativa del dolore, ma da umano
non c’era niente di relativo alla fitta acuta che
l’aveva attraversato quando il fantasma di John Larsson
l’aveva lanciato dall’altra parte del cimitero,
dritto contro la palizzata. Aveva fatto male. Ed era rimasto infilzato.
Aveva creduto di morire allora e prima di chiudere gli occhi in quella
che avrebbe giurato essere l’ultima volta, per la prima volta
da mesi Castiel non aveva pensato a Jack, ma solo a Dean. A Dean che
era dall’altra parte della città e a cui non
avrebbe potuto dire addio.
Ma si era sbagliato una seconda volta, perché poi
aveva riaperto gli occhi ed era dentro Baby, collassato sul sedile
anteriore, e Dean era al volante con un’unica mano, mentre
con l’altra teneva premuto lì dove la palizzata
l’aveva trafitto.
Proprio sotto la spalla, tra il braccio e il costato.
“Cas” l’aveva chiamato Dean, nel momento
in cui aveva incrociato il suo sguardo. “Rimani con me, ti
prego.”
La mano che gli stringeva la ferita era ricoperta di sangue, Dean era
ricoperto di sangue e Castiel sentiva ancora più freddo del
solito, ma non era riuscitona impedirsi di sorridere.
Si sentiva
leggero, eppure non gli importava, perché era con
l’unica persona di cui avesse mai desiderato la compagnia.
“Non chiudere gli occhi, non di nuovo, rimani
sveglio!” continuava a gridare Dean, ma era difficile non
cedere alla stanchezza sempre più forte.
“Ti prego, tieni duro” lo implorava
l’altro, ma Cas stava morendo e non poteva farci niente.
Alla fine aveva chiuso gli occhi un’altra volta.
Quando li aveva riaperti – quanto tempo era passato?
– Dean stava ancora guidando, la sua mano era ancora stretta
a bloccare la ferita e il sedile dell’Impala era sempre
più imbevuto del suo sangue; Castiel non riusciva a fare a
meno di pensare che Dean l’avrebbe odiato per questo. Quella
macchina era la sua casa e lui la stava contaminando.
“Dean,” aveva detto quindi, portando la sua mano su
quella del Winchester, lì tra costato e braccio.
“Mi spiace per la macchina”. E l’uomo che
amava l’aveva finalmente guardato negli occhi e
“Sei-” aveva borbottato. “Sei
un idiota!”
Castiel sorrise di nuovo.
“Siamo quasi arrivati in ospedale, devi rimanere sveglio, mi
hai capito?” Silenzio. “Castiel, mi hai
capito?”
Quando non aveva risposto, Dean aveva accostato.
“Ti amo anch’io” Dean gli aveva
sussurrato tra i capelli, ma Castiel non aveva potuto sentirlo.
Questa volta, quando l’angelo che non era più un
angelo era morto, attorno a sé non aveva lasciato
l’impronta delle sue ali, ma solo un grande, immenso vuoto
nel cuore di Dean.
E il mondo, improvvisamente, si era fatto più freddo.
- Perché il canon non è
già abbastanza tragico, vero? (fugge). Spero non
mi stia odiando nessuno e spero che i pg non siano troppo OOC,
nè l'ambientazione troppo vaga. Per l'OOC in caso
fatemi sapere che metto subito l'avviso. BTW, questa storia partecipa
alla challenge del weekend "IN MY TIME OF DYING" indetta sul gruppo facebook Hurt/Confort Italia - Fanfiction &
Fanart. Grazie per averla letto, mi auguro vi
sia piaciuta <3 P.S. Il titolo viene da questa canzone, che coglie
piuttosto bene lo spirito di questa storia.
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