Era
strano come a volte la pioggia fosse la compagna prediletta dei
momenti peggiori della vita di un uomo. Raccontata nei romanzi come
portatrice di sventura, la pioggia difficilmente era legata a momenti
felici dell'esistenza, nell'immaginario comune...
Ed
era ancor più strano che fosse a questo che Ross pensasse,
mentre
scendeva disperatamente in quei cunicoli bui e pieni di polvere, alla
ricerca degli uomini che vi erano rimasti intrappolati. Non era uomo
da pensare alla filosofia, ma si trovò a pensare a quanto
fosse
strana la mente umana nei suoi percorsi nei momenti più
disperati.
Pensò alla pioggia, a suo padre che aveva aperto la Grace e
le aveva
dato il nome di sua madre, alle tante disgrazie della sua vita, alla
sua infanzia per certi versi solitaria, alla speranza di rinascere
assieme ad Elizabeth, alla disillusione, a Francis e alla sua morte,
a come volesse lasciar perdere tutto e a come Falmouth gli avesse
fatto cambiare idea. Ne era valsa la pensa? Rischiare, morire o
trionfare valevano davvero la vita dei suoi minatori e la sua? Eppure
quella terra e le sue miniere spesso sembravano emanare un'energia
che attirava chi vi era nato ed era difficile rimanere lucidi e dire
di no. E allora il pericolo diventava parte del gioco, un azzardo che
si poteva tentare e ci si ributtava sotto, nel buio e
nell'oscurità,
consapevoli che era più facile fallire che trionfare e che
qualcuno
avrebbe potuto non rivedere più la luce del sole. Ma si
scendeva lo
stesso, ancora e ancora... Anche dopo aver detto di no si continuava
a farlo ed era questa la maledizione degli abitanti di quelle
terre... Aveva avuto senso accettare di riaprire, si chiese ancora
Ross...? Non lo sapeva e sperava di non doverlo scoprire nuovamente a
un prezzo troppo alto. Aveva paura ma si rendeva conto che non era il
momento... Ora doveva scendere, scavare a mani nude, trovare i suoi
uomini e riportarli su, dalle loro famiglie.
Zachy
e Ned lo raggiunsero, sporchi di fango e acqua come lui, con la paura
negli occhi e la determinazione nel cuore di salvare i tre dispersi.
"Capitano".
Ross
annuì, era tempo di agire senza rimuginare. Affrettarono il
passo
con il rischio di cadere, scesero scalette infide e scivolose, si
addentrarono nell'oscurità più nera in un'aria
sempre più
irrespirabile e sfidarono la sorte, la miniera e quella roccia che
poteva franare da un momento all'altro sulle loro teste.
Arrivarono
fin dove l'acqua gelida arrivava alla loro vita o anche al collo,
nuotarono sperando di battere il gelo legati l'uno all'altro da delle
corde e infine, dopo vari calcinacci franati sulle loro teste,
attenti a non far rumore per non creare nuovi crolli, li trovarono.
Feriti, coperti di macerie e rocce ma vivi. I loro lamenti dolorosi
erano il suono migliore che Ross avesse mai sentito.
Con
la forza della disperazione li estrassero dai calcinacci, se li
caricarono sulle spalle e iniziarono la loro salita infernale. Un
nuovo crollo li colse alle spalle, spingendoli ad allungare il passo,
facendo sentire su di loro il proprio alito di morte, nuove rocce
franarono sulle loro teste e risalire la scala viscida con quegli
uomini sulle spalle fu disumano.
Ma
finalmente furono fuori, coperti di macerie e sangue. Vivi...
Appena
Ross sentì la pioggia sferzante che gli bagnava il viso, si
sentì
quasi rinato nonostante i grandi sensi di colpa che provava per aver
messo i suoi uomini in quella situazione di pericolo. Era colpa sua e
non avrebbe cercato attenuanti a questo. Cosa dovevano aver provato
quei giovani uomini mentre si trovavano la sotto, coperti di rocce?
Quanta paura avevano sentito? Era la stessa paura provata da Francis
prima di morire? Qualcuno era morto, qualcuno ci era andato vicino
per colpa sua. E non poteva trovare scuse e il fatto che ce l'avesse
messa tutta per rendere la Grace qualcosa di promettente, non
alleggeriva le sue responsabilità. Aveva la miniera nel
sangue,
tutti quegli uomini erano colpiti dalla medesima maledizione ma il
proprietario della Grace era lui e a lui solo spettava il compito di
mandare a lavorare i suoi minatori in un posto sicuro. Cosa che, per
mancanza di denaro da investire in travi che sorreggessero il
soffitto dei cunicoli più traballanti, non era stata fatta.
Dwight
Enys, un giovane medico che lo aiutava a curare quei poveri disperati
senza chiedere alcunché, corse accanto a lui e ai feriti.
Era stato
Henshawe a chiamarlo correndo a casa sua mentre loro si trovavano di
sotto e il giovane non aveva esitato a correre in soccorso di Ross,
che aveva conosciuto anni prima durante la guerra in America e a cui
lo legavano un profondo rispetto e una sincera amicizia.
Sam
Clittford e Joe Jughes si ripresero quasi subito, terminando la loro
brutta avventura con dei colpi di tosse secca e qualche ammaccatura
qua e la. Adrian Keller invece aveva la gamba rotta e i polmoni pieni
d'acqua e Dwight dovette dannarsi per salvarlo.
Ross,
inginocchiato accanto a lui sotto la pioggia battente, con gli altri
uomini attorno, osservò il volto bianco di quel giovane
ragazzo che
aveva solo diciott'anni e lavorava per mantenere la sua famiglia e
sentì la morte su di lui, intenta a strapparlo da
un'esistenza che
forse poteva essere felice.
Dwight
gli praticò il massaggio cardiaco e in quel momento
arrivò anche
Demelza, che aveva messo al riparo i bambini in ufficio, a dargli
manforte.
Incurante
della pioggia che le aveva completamente infradiciato i capelli e i
vestiti, la ragazza si inginocchiò accanto al medico e senza
che
nessuno le dicesse nulla, prese il polso di Adrian fra le mani, alla
ricerca di un battito.
"Respira?"
- le chiese Dwight, che nemmeno la conosceva ma che a istinto sentiva
di potersi fidare.
Demelza
scosse la testa. Non sapeva molto di medicina ma da piccola era lei
che si occupava dei malanni dei suoi fratelli e sapeva che il cuore
poteva far sentire il suo battito anche nel polso. "No".
Ross
la osservò, ammirato. Sembrava non sentire il freddo,
l'umidità e
la pioggia su di se... Ed era una lady abituata ad ogni
comodità
ormai da qualche anno eppure pareva aver mantenuto in se il fiero
temperamento di monella nata all'ombra di una miniera. La
guardò con
insistenza e si sentì improvvisamente meno sperso con lei
accanto...
E silenziosamente ringraziò Dio, a cui non si rivolgeva
quasi mai,
per i suoi amici, per Dwight e per aver incontrato sulla sua strada
Lady Boscawen.
Dwight
riprese il massaggio cardiaco con vigore, alternandolo alla
respirazione bocca a bocca. Aveva in se la passione per la medicina e
sentiva fosse una sua missione aiutare con tutte le sue forze
chiunque ne avesse bisogno. Non era interessato al denaro e alla
ricchezza, non sarebbe mai diventato ricco, ma di certo sarebbe stato
un medico molto amato da chiunque avesse incrociato la sua strada.
Improvvisamente
Adrian emise un singhiozzo strozzato e poi prese a tossire acqua
mista a sangue. Dwight tirò un sospiro di sollievo, Ross si
sentì
rinascere e baciato dalla fortuna nonostante tutto, Zachy
aiutò il
ragazzo a voltarsi di lato affinché potesse espellere tutta
l'acqua
che aveva nei polmoni e Demelza, incurante del freddo e della
pioggia, si tolse il cappotto e lo mise addosso al ragazzo.
Adrian,
ancora inebetito e confuso, ci si strinse dentro, alla ricerca di
calore. Il cappotto era bagnato all'esterno ma era di ottima fattura
e all'interno era caldo e morbido. Una dolce culla per le ossa
congelate del ragazzo. "Che è successo?".
Henshawe
sorrise mentre i bambini si affacciarono alla finestra dello studio
incuriositi. "Succede che hai portato a casa la pellaccia,
ragazzo".
Ross
si inginocchiò, meno propenso a scherzare rispetto a
Henshawe. "C'è
stato un incidente e ne sei rimasto coinvolto. Un crollo... Ti
farò
accompagnare a casa e ti pagherò i giorni che ci metterai a
riprenderti come se avessi lavorato. Mi dispiace, la colpa è
mia.
Spettava a me mettere delle travi nei cunicoli per rendere sicura la
miniera".
Il
ragazzo, nonostante tutto, scosse la testa. "Capitano, il costo
di quelle travi avrebbe tolto risorse per assumere qualcuno di noi.
Sappiamo i pericoli che corriamo quando scendiamo la sotto ma siamo
disposti a correrli, abbiamo bisogno di lavorare e in fondo un giorno
saremo tutti morti, è così importante il modo in
cui questo
avviene? Siete un ottimo padrone, mille volte migliore di un
Warleggan e delle sue ottime travi".
Ross
non rispose e anche se le parole di Adrian erano un balsamo per il
suo animo tormentato, di certo non affievolivano le sue
responsabilità.
Dwight
gli tastò la fronte. "Sono d'accordo, ma ora basta parlare.
Devi riposare...". Si alzò in piedi ed occhieggiò
Zachy.
"Accompagnalo a casa, dite alla famiglia di metterlo a letto e
di dargli del brodo caldo. E poi riposo, a oltranza, finché
non si
sarà ripreso del tutto".
Zachy
annuì e aiutato da Ned, sollevò il ragazzo.
"Sarà fatto".
E mestamente, anche se grati a Dio che nessuno ci avesse rimesso la
vita, lo portarono via.
Ross
rimase ad osservarli pensieroso. Era andata bene ma il prezzo da
pagare poteva essere altissimo e non sapeva cosa fosse più
opportuno: il sollievo per non aver perso nessuno o il rammarico per
aver giocato d'azzardo, ancora una volta, con la vita dei suoi
uomini?
...
Per
quel giorno nessuno più lavorò. C'erano da
decidere i passi
successivi, fare delle perizie sulla natura del crollo, ci si doveva
riprendere dallo spavento, cercare soluzioni e soprattutto serviva
tempo perché gli animi di tutti ritrovassero la
tranquillità
necessaria per prendere decisioni importanti.
Continuò
a piovere tutto il giorno e nel pomeriggio i bambini tornarono a
casa. Anche Dwight, appurato che tutti stessero bene, se ne
andò e
così pure i pochi minatori rimasti che, dopo aver tolto un
pò di
macerie dai livelli superiori, avevano guadagnato la strada verso
casa.
Solo
Demelza rimase, incerta sul da farsi. Ross, cupo e taciturno, si era
messo seduto sulla veranda fuori dall'ufficio ad osservare il vuoto,
incurante della pioggia. La ragazza lo osservò preoccupata e
nel
frattempo rimase in ufficio a sistemare i fogli con gli scritti dei
bambini e alcune carte lasciate in disordine da Ross. Lo tenne
d'occhio, da lontano, rendendosi conto che i suoi migliori amici se
n'erano andati lasciandolo solo e che lo conoscevano meglio di lei e
avevano capito che era di questo che aveva bisogno... Forse avrebbe
dovuto farlo anche lei ma non se la sentì.
Quando
ormai era buio e la pioggia sembrava ancora più battente,
spense la
candela dell'ufficio e uscì da lui, sulla veranda. "Capitano
Poldark, vi prenderete una polmonite se continuate a rimanere
quì".
Ross,
coi capelli neri appiccicati al viso e fradici, la osservò
senza
vederla realmente, rendendosi conto solo in quel momento che era
rimasta. "Che importerebbe?".
Demelza
capì che si sentiva in colpa ma non voleva che fosse
così. Come
Dwight Enys, Ross non era mai stato interessato al profitto ma era da
sempre spinto dal desiderio di aiutare chi gli era più caro.
"A
tanta gente che crede in voi, signore".
"Se
vi riferite alle parole di Adrian, era confuso, straparlava! Come
potrei essere un buon padrone dopo quanto è successo?".
"Io
non credo che Adrian straparlasse e anzi, sono certa che il suo
pensiero fosse il pensiero di tutti quelli che oggi erano
quì. Per
la maggior parte dei proprietari di miniera, i minatori non sono che
carne da macello da sacrificare in nome del profitto. Ma non per
voi... Sono vostri amici, lavorate al loro fianco e dividete la
vostra vita con loro... Hanno ragione, il rischio vale la candela.
Meglio con voi, in questa piccola miniera che da poche garanzie, che
schiavi di un uomo come George Warleggan. Potete fidarvi
dell'opinione della figlia di un minatore di Illugan?".
Ross
le sorrise, trovando pace in quelle parole. "Ve l'ha mai detto
nessuno che avreste potuto diventare un buon avvocato? Sareste capace
di difendere egregiamente pure il demonio".
Lei
rise. "E' un complimento?".
"E'
un dato di fatto, Lady Boscawen" – le rispose. E solo in quel
momento si accorse che era rimasta senza cappotto, che i suoi capelli
erano ancora umidi e che era tardi ed era rimasta lì, al suo
fianco.
Sentì il bisogno di proteggerla e scaldarla, sebbene sapesse
che non
ne aveva bisogno... E una grande ammirazione per lei. "Quella
che si prenderà una polmonite sarete voi, siete rimasta
senza
cappotto".
Lei
si guardò, come ricordandosi solo in quel momento di quel
particolare. "Oh, non sono così delicata".
Ross
si alzò in piedi, entrò in ufficio e ne
uscì con una vecchia
coperta di lana che teneva per le emergenze in un piccolo baule.
Gliela poggiò sulle spalle e poi le sorrise gentilmente.
"Non
voglio di certo avere anche la vostra salute sulla mia coscienza. E
nemmeno sentire i rimproveri di Falmouth nel caso vi venisse un
raffreddore".
"Che
il cielo ci aiuti, in quel caso!" – rise lei, dimostrando la
sua simpatica ironia.
C'era
qualcosa di speciale in lei, qualcosa che riusciva a rasserenare pure
una giornata drammatica come quella appena vissuta. Lady Boscawen
sapeva portare il sole anche nei giorni di pioggia ed era
straordinario che non se ne rendesse conto e non se ne vantasse come
ogni altra donna avrebbe fatto... E fu allora che pose la
più
indelicata delle domande, la più sfrontata... Ma non se ne
pentì
mai, né in quel momento né lo avrebbe fatto in
futuro. "Come
avete fatto a sposare un uomo come Hugh Armitage?".
Lei
smise di ridere di colpo a quella domanda e lo guardò
confusa, senza
forse capire appieno il vero significato nascosto di quanto le aveva
appena chiesto. "Volete dire... come ha fatto Hugh a voler
sposare una donna come me?".
Ross
scosse la testa. Era la più logica delle domande forse,
quella che
lei aveva formulato, la domanda che forse la maggior parte della
gente si era fatta, ricamandoci su storie fantasiose e infiniti
pettegolezzi... Ma non lui. "No, intendo proprio ciò che vi
ho
chiesto! Come può una donna solare e vivace come voi, aver
sposato
un uomo pacato e passivo sognatore come Hugh Armitage?".
Improvvisamente
l'aria si fece pesante fra loro e Demelza comprese bene, dallo
sguardo, che Ross era terribilmente serio stavolta. Avrebbe potuto
offendersi, ricordargli che non erano affari suoi o chiedere
perché
gli interessasse ed invece si trovò a pensare a come
rispondere... A
lui e forse a se stessa e a quei dubbi sul suo matrimonio che mai
aveva permesso di venire alla luce. "Ero una ragazzina
inesperta. E lui un bravo ragazzo che mi adorava...".
"E
voi lo adoravate?".
Demelza
si strinse nella coperta. "Mi piaceva, sì... Per la prima
volta
qualcuno mi trovava bella e teneva a me e questo era così
straordinario...".
"Non
avete risposto alla mia domanda, però" – le fece
notare Ross,
con una strana insistenza.
Lei
si accigliò, forse un pò irritata da quel
pressing di domande che
la mettevano in difficoltà. Avrebbe potuto sottrarsi
facilmente a
quella conversazione ma stranamente non lo fece, non del tutto
almeno. "Hugh non vi è mai piaciuto, vero?".
"Penso
che vivesse una vita vuota, priva di emozioni e aspettative. Aveva
tutto, nulla per cui lottare e ogni cosa a portata di mano. Era
viziato, forse, come lo sono tutti quelli appartenenti al suo rango.
Non fraintendetemi, so bene che era una brava persona ma voi... voi
non avete apparentemente nulla in comune con un uomo così e
davvero,
a guardarvi da fuori, mi sono spesso chiesto cosa vi abbia spinto a
sposarlo".
Lo
sguardo di Demelza si indurì. "Pensate che lo abbia fatto
per i
soldi?".
"No,
di questo ne sono certo e non oserei mai nemmeno pensarlo". Non
voleva che pensasse una cosa simile e sicuramente non voleva
offenderla o che ci fossero fraintendimenti su una cosa che per lui
era certezza.
La
donna sospirò, appoggiandosi al muro. Sun, che era rimasto
al caldo
nello studio, la raggiunse e le fece delle fusa e lei lo prese in
braccio, perdendosi in pensieri talmente potenti che le fecero quasi
paura. Era la prima volta che qualcuno chiedeva così
sfrontatamente
di lei e Hugh e questo metteva a nudo i suoi pensieri più
intimi ed
era così strano che stesse succedendo con un uomo che
– e ne era
consapevole – la attraeva tanto. "Come vi dicevo, ero
giovane.
E quando l'ho conosciuto, ho voluto credere alle fiabe
perché lui
sembrava un principe e io non avrei mai potuto immaginare, da
bambina, di potermi sentire una principessa. E Hugh un principe lo
è
stato in un certo senso, sempre gentile, attento, premuroso, non mi
ha mai fatto mancare nulla".
Ross
la bloccò, perché era evidente che..."Ma?".
Perché le
frasi che comprendevano un 'ma' si potevano avvertire a parecchie
leghe di distanza.
Demelza
fece un sorriso stanco ma consapevole di quanto il suo matrimonio
fosse stato piacevole ma allo stesso tempo imperfetto, imprimendosi
nella mente le cose belle di Hugh ma ammettendo anche che qualcosa di
importante mancava al loro rapporto. "Non so, a volte ho pensato
che tutto quello che si dice dell'amore, siano concetti
sopravvalutati".
"Che
volete dire?".
Scosse
la testa. "Paragonano l'amore al fuoco, alla passione, a
qualcosa di totalizzante e unico. Io non ho mai sentito nulla del
genere ma solo un piacevole modo di vivere la quotidianità".
Avrebbe potuto allargare il discorso al mondo intimo del matrimonio
ma non era di certo il caso. Eppure anche lì, per lei,
valeva lo
stesso discorso. Faceva l'amore con Hugh perché era
ciò che una
moglie doveva fare, perché nonostante all'inizio sentisse
dolore poi
aveva imparato anche a provare piacere, ma non era...non era come lo
raccontavano, non era nulla di tutto questo. A volte aveva pensato di
essere sbagliata o che lo fosse Hugh o che semplicemente, gli altri
mentivano.
Incurante
dei suoi pensieri così confusi e disordinati Ross la
guardò
assorto, rendendosi conto che non era d'accordo con lei. "Quindi,
pensate che l'amore sia una favoletta per bambini?".
"Sì,
in fin dei conti".
"Non
la penso così".
Demelza
strinse forte Sun. "Non ne dubito, per voi è diverso e avete
amato intensamente, a quanto dicono...".
Ross
sospirò. "Ed è andata male e ne ho sofferto
proprio perché è
un qualcosa di totalizzante... Ma non parlavo di me, parlavo in
generale. L'amore è quella cosa inebriante di cui tutti
parlano ed
esiste, bisogna solo trovare la persona giusta. O almeno credo...".
In quel momento si sentì un pò idiota ad
affermare con tanta
certezza quei concetti, soprattutto davanti a una donna che era stata
sposata alcuni anni e benché più giovane, di
certo aveva più
esperienza di lui. Ma in fondo non era forse vero che era dotato di
una grande faccia tosta?
"Come
fosse facile" – borbottò lei.
Ross
la guardò intensamente, chiedendosi cosa dirle per farle
cambiare
idea. "Non avete mai pensato di aver semplicemente sposato
l'uomo sbagliato?". Era la seconda cosa sfacciata che le diceva
in quella giornata, ma non se ne pentì nemmeno questa volta.
L'aveva
sulla punta della lingua almeno da due anni...
Demelza
impallidì. Nessuno le aveva mai detto la verità
– e lei sapeva
che era tale – con tanta brutalità. Aveva voluto
bene a Hugh,
tantissimo. Ma negli anni aveva capito che l'amore era altro ed era
un sentimento che per quanto la riguardava, non apparteneva al suo
matrimonio. "Può darsi, ma il passato non si può
cancellare".
"Ma
il futuro è tutto da costruire" – le disse.
"Anche
il vostro, capitano Poldark".
Ross
assunse un'espressione amara, rendendosi conto che si era atteggiato
da maestro per quanto riguardava Demelza ma che non aveva certezza
alcuna su di lui. Guardò quella miniera foriera di debiti e
tragedie
e la sua realtà, che per qualche istante aveva dimenticato,
improvvisamente lo colpì con violenza. Il viso cianotico di
Adrian e
il ricordo di quanto vicino fosse andato alla morte, lo fecero
sussultare. "Io ogni volta che ci provo, fallisco".
"Non
è vero e lo sapete".
"E
quello che è successo oggi, come lo definireste?".
Demelza
lo vide tremare, i pugni stretti, il viso contratto e il dolore negli
occhi. Se fino a poco prima era stato sfacciato e quasi arrogante,
ora pareva smarrito e preda di grandi sensi di colpa. "Una
disgrazia accaduta mentre tante persone di buona volontà
cercavano
di fare del loro meglio col poco che avevano a disposizione. E quando
si cerca di fare del proprio meglio, non ci si deve mai pentire di
nulla".
Ross
alzò lo sguardo, disperato. Le si avvicinò e con
un gesto veloce le
prese le mani, costringendo Sun a saltare a terra. "E Adrian?
Non dovrei essere pentito per quanto gli è successo?".
Demelza
rispose alla sua stretta. "Adrian scenderebbe ancora anche
domani, in quei cunicoli".
"Questo
non alleggerisce le mie responsabilità".
Demelza
gli sorrise e poi, con un gesto gentile, liberò dalla
stretta di
Ross la sua mano destra per accarezzargli la guancia. "Ma
dovrebbe... Come vi hanno detto i vostri amici, non vorrebbero
lavorare per nessun altro che non siate voi. E quindi, o loro sono
folli oppure voi vi sottovalutate".
Ross
sentì sul viso il calore di quella mano e provò
l'istinto, tenuto a
malapena a bada, di baciarla. Disperazione, stanchezza, paura e
spossatezza non chiedevano altro che di disperdersi nel calore che
emanava da quella strana ragazza. Non la baciò, non avrebbe
potuto
permettersi di fare nulla del genere ma per un attimo crollò
contro
di lei, facendola arretrare fino alla parete, affondò il
viso nel
suo collo, fra la coperta che le aveva dato, e poi rimasero
lì,
fermi, immobili, con in sottofondo il battito veloce dei loro cuori e
il rumore della pioggia battente che non smetteva di cadere.
Demelza
lo strinse a se, accarezzando i suoi ricci scuri, cercando di
rincuorarlo con la stessa tenerezza usata spesso per calmare Hugh nei
momenti peggiori. Ma Ross era diverso, non era come Hugh e viveva
tutto più intensamente, sia le vittore, sia le sconfitte.
Aveva un
animo sempre in guerra contro se stesso e sentiva sulle sue spalle il
peso del mondo ed era affascinante il suo modo di vivere, ma allo
stesso tempo doveva essere così logorante per lui...
Ross
rimase immobile per lunghi minuti, quasi in tranche, chiedendosi se
mai nella vita si fosse trovato meglio di così. Poi si rese
conto
che non poteva approfittarne, che poteva apparire infantile e che si
stava prendendo confidenze che non gli erano concesse. "Perdonatemi"
– le disse, fra i capelli.
"Non
avete nulla di cui chiedere scusa" – rispose lei che, al suo
pari, si sentiva bene ad averlo così vicino. Ne era
attratta, da
tanto, di quell'uomo tanto sfrontato ma affascinante, del suo corpo
statuario, del suo fisico asciutto e muscoloso che aveva visto di
nascosto quasi due anni prima, scrutandolo mentre nuotava nel mare.
Ma ora c'era altro, in lei, per lui... Era la sua anima tormentata e
generosa ad attrarla, oltre a tutto il resto, le sue battaglie, il
suo dolore da lenire, la sua passione in tutto ciò che
faceva. Come
avrebbe potuto gestire tutto questo?
Ross
si tirò su, fronteggiandola viso a viso. "E' così
tardi e fa
freddo e voi dovreste essere a casa da un bel pò"
– le
sussurrò, sfiorandole una ciocca bagnata e rendendosi conto
solo in
quel momento che era ormai buio pesto.
"Sì,
forse dovrei. Ma stare con Sun è stato così
piacevole" –
scherzò lei, per stemperare la tensione creatasi fra loro.
"Lo
immagino".
Demelza
si accovacciò ad accarezzare il gatto. "Domani
sorgerà di
nuovo il sole e tutto quello che ora vi appare cupo, lo vedrete sotto
una luce nuova".
Ross
osservò lei e poi la Grace. "Forse, grazie a voi, mi sembra
meno cupo già ora, rispetto a quello che dovrebbe. Ho molto
per cui
ringraziarvi, stasera".
"Forse
anche io" – gli rispose, rendendosi conto che le aveva dato
un
posto da insegnante, bambini a cui fare da maestra e soprattutto che,
forse inconsapevolmente o forse volutamente, l'aveva costretta a
parlare di cose talmente dolorose e private che mai aveva avuto il
coraggio di esternare. E che questo le aveva fatto bene...
Ross
le tese la mano. "Vi accompagno a casa".
Ma
lei scosse la testa in segno di diniego. "No, ho davvero voglia
di galoppare da sola, in silenzio".
"Insisto".
"No,
per favore". Quasi lo implorò ma dopo quanto si erano detti,
aveva tante cose a cui pensare e una vita intera da ricostruire dopo
aver preso atto forse per la prima volta degli errori commessi in
passato. Non era pentita di aver sposato Hugh, era stato a suo modo
un matrimonio felice e per suo marito una ragione di vita, ma capiva
che non era la strada che avrebbe dovuto intraprendere. Ma era stato
giusto così perché ora aveva raggiunto una
consapevolezza di se
stessa che difficilmente avrebbe raggiunto se avesse fatto scelte
differenti.
Ross
parve capire il suo desiderio di intimità e solitudine e
quindi,
dopo averla condotta al cavallo e averla vista dare un bacio a Sun e
montare in sella, la lasciò andare per la sua strada. Era
una donna
cornish forte, una galoppata notturna e un pò di pioggia non
l'avrebbero scalfita e forse per lei era meglio così...
Dopo
un'ultima occhiata alla sua maledetta miniera, mestamente
tornò a
casa, consapevole che la sorte e la vita lo avevano ancora messo alla
prova col crollo di quella giornata e meno sicuro sul continuare o
meno, ma consapevole che Lady Boscawen aveva ragione e che dopo una
notte tanto orribile, al mattino con la luce tutto avrebbe assunto
altre forme meno spaventose. Aveva solo bisogno di un bagno caldo, di
una cena, di una buona dormita e di non pensare a nulla... O al
massimo, di pensare a cosa avesse di tanto magico in se quella strana
ragazza dai lunghi capelli rossi.
Prese
Sun, montò sul suo cavallo e mestamente fece ritorno a
Nampara.
Ma
quando arrivò a casa, Prudie lo accolse con una lettera che
lo
avrebbe sconvolto più di quanto potesse sopportare in una
giornata
del genere.
"Chi
la manda?" - chiese Ross, aprendo la busta.
"Arriva
da Trenwith" – rispose la donna, quasi intimorita, mentre Jud
spariva dietro a una porta borbottando.
Come
rendendosi conto di una tempesta in arrivo, Sun anche Sun corse via
su per le scale, rifugiandosi in camera.
Ross
invece andò nel suo studio, si sedette sul divano e lesse.
"Caro
Ross, non trovo e non troverò le parole più
adatte per dirtelo, ma a questo punto devo e spero che capirai la mia
scelta e non mi
biasimerai.
Ho
acconsentito a sposarmi con George Warleggan".
Ross non
riuscì nemmeno a
finire la lettera che con la sua grafia elegante, Elizabeth gli aveva
inviato. Tutto divenne cupo, nero attorno a lui. E i sentimenti buoni
e puliti respirati con Lady Boscawen sparirono, lasciando il posto a
qualcosa di indefinito, rabbioso, cattivo ed incontrollabile... La
miniera lo aveva tradito, di nuovo! E anche Elizabeth!
Con un
balzo si alzò, superò
Prudie che lo rincorse e si diresse verso le stalle, sotto la pioggia
battente.
"Signore,
dove andate?".
"A
Trenwith!" - le
rispose, scomparendo come spinto dalla più folle delle
pazzie, nella
notte.
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