「 Broadway,
Boston, 1st June
h. 10:44 a.m.」
La toga nera continua a frusciargli attorno alle caviglie.
Probabilmente sono in ritardo, ma suo padre ha preteso che lo
aspettasse prima di raggiungere il liceo.
Jude è piuttosto divertito dal fatto che
l’integerrimo governatore Sharp sia riuscito a trovare del
tempo nelle sue giornate piene d’impegni da dedicare al
figlio.
Forse è così solo perché quello non
è un giorno come un altro.
In effetti Jude non sente per niente ansia o altre emozioni di quel
tipo, perché, di fatto, per lui quello è un
normalissimo giorno come un altro. Gli esami sono finiti, non ha niente
da temere.
Immagina qualcuno dell’ufficio di direzione generale scoprire
da suo padre che quel giorno ci sarà la cerimonia di
consegna dei diplomi e consigliare al governatore di presenziare. Un
figlio si diploma una sola volta nella vita, dopotutto.
A detta di Jude, è tutta una gran questione di ipocrisia.
Suo padre lo reputa la più grande delusione della sua vita,
e Jude non nutre più alcun timore nei suoi confronti. Presto
si trasferirà per l’università,
è inutile continuare con quella farsa di benevolenza.
Si sopportano a malapena, meno tempo trascorrono l’uno con
l’altro meglio stanno, per la maggior parte delle volte
evitano perfino di parlarsi. Dev’essere davvero una grande
sofferenza un figlio delinquente, e soprattutto incapace
d’innamorarsi di una ragazza.
Suo padre è stato il primo a sapere della rottura con
Victoria. Lo ha visto rientrare a casa insolitamente in anticipo
rispetto all’orario che gli aveva prospettato, e quando gli
aveva chiesto se fosse capitato qualcosa aveva risposto
seccamente:«Ho lasciato Victoria.»
Quella dev'essere stata l’ennesima delusione per suo padre,
ma in tutta franchezza a Jude non importa davvero più niente
di tutto ciò. Quella sera si era sentito forte come non gli
capitava da tempo, percepiva di essere riuscito finalmente a riprendere
in mano la propria vita.
E non avrebbe potuto desiderare niente di meglio, davvero.
In lontananza, Jude scorge Joe fare un cenno nella sua direzione. Senza
alcuna esitazione, si affretta a raggiungere i ragazzi.
Subito dopo aver informato suo padre della fine della sua relazione, a
saperlo sono stati i ragazzi. Caleb gli aveva lasciato una pacca sulla
spalla, soddisfatto.
«Era ora che ti decidessi a fare la cosa giusta»,
aveva commentato.
E lo era davvero. Suo padre vedeva in quel fidanzamento solo interessi
politici al pensiero di avere un ambasciatore parte della sua famiglia,
inoltre già lo immaginava sposato, lui e Victoria felici con
a carico un esercito di pargoletti. Se solo ci pensa a Jude viene il
voltastomaco.
Non è mai stato questo ciò che desidera per se
stesso. Si sente così sciocco al pensiero di essere rimasto
intrappolato in quella realtà per fin troppo tempo.
«Ehi!» saluta gli altri, entusiasta.
«In ritardo come le star» commenta Caleb, un
sorriso sardonico che gli compare in volto.
«Beh, a quanto pare c’è qualcuno che ha
tardato più di me, no?» replica Jude, posandosi le
mani sui fianchi, in segno di sfida.
«Sì, David non è ancora
arrivato» conferma Joe. Il ragazzo estrae il telefono dalla
tasca dei pantaloni, litigando un po’ con il tessuto
ingombrante della toga prima di riuscire a tirarlo fuori del tutto.
«Forse dovrei chiamarlo di nuovo…»
Caleb sta per fare uno dei suoi soliti commenti pungenti, Jude tuttavia
fa arrestare entrambi.
«Ragazzi, eccolo!» esclama infatti.
Gli altri due alzano la testa, e vedono a loro volta la figura di
David. L’amico sta correndo nella loro direzione, il fiato
corto e il volto arrossato.
«Siamo alle solite» commenta Caleb, in un sussurro.
Non appena li raggiunge, David si lancia tra le braccia di Joe,
scoppiando in una risata cristallina. Ci sono centinaia di altri
studenti a circondarli, ma a loro non importa. Jude vorrebbe
così tanto che la stessa cosa potesse valere anche per lui e
Ray.
«Non ditemi che volevate cominciare la festa senza di
me?» scherza David, sistemandosi una ciocca di capelli
turchini e scompigliati dopo la corsa dietro ad un orecchio.
«Oh, non lo abbiamo mai pensato…»
replica Caleb. Jude si rende conto che nella voce dell’ex
capo della banda c’è qualcosa di strano.
È passato tanto tempo dall’ultima volta in cui
hanno parlato, forse dovrebbe chiedergli se sia tutto a posto, tuttavia
non gliene viene concesso il tempo.
Poco dopo, infatti, una professoressa compare alle loro spalle, sulla
soglia dell’edificio.
«La cerimonia sta per cominciare!» annuncia, per
poi sparire l’istante successivo di nuovo
all’interno dell’istituto.
Jude guarda i suoi amici. Sa che continua a sembrargli tutto
così strano, come se il tempo fosse di colpo sospeso, ma
stanno effettivamente per mettere la parola fine a un capitolo
importante della loro vita. È tutto così solenne,
ma al tempo stesso inverosimile. Jude sorride.
«Forza, andiamo» esorta gli altri.
I locali della palestra sono stati riconvertiti in vista della
cerimonia. Centinaia di sedie di plastica si susseguono in file
ordinate lungo il parquet del campo di basket e, in fondo
all’enorme stanza, un fondale nero è stato
appoggiato a nascondere la presenza di uno dei canestri. Davanti a
quello che sembra essere un pezzo riciclato da una scenografia del club
di teatro, qualcuno ha montato un palco. Ci sono sedie a sufficienza
per tutti gli insegnanti, e una cattedra munita di microfono dalla
quale Jude immagina che il preside consegnerà i diplomi e
esporrà il suo discorso di fine anno.
Peccato che Jude non abbia voglia di ascoltare mezza parola proveniente
dalle labbra di Zoolan Rice.
Si è servito delle – discutibili – prove
di una studentessa minorenne pur di rovinare l'esistenza di un uomo che
aveva passato la vita a tormentare e di un ragazzo che nemmeno
conosceva. A Jude sembra di essere precipitato in uno di quei film
dalla trama assurda e irrealizzabile, e non è ancora certo
di essere riuscito a trovare la via d’uscita.
I ragazzi decidono di sedersi a metà del grande mare di
sedie. Jude si accorge che fin da lì riesce a vedere Ray,
seduto assieme ad altri professori sul palco. È impeccabile
nel completo scuro che indossa, e i capelli sono legati nella solita
coda bassa.
Gli manca. Terribilmente. Jude sa che è egoista da parte sua
aspettarselo, tuttavia spera che non abbia mai smesso di aspettarlo per
tutto quel tempo. Non sa come, ma è ancora certo di voler
tornare da lui.
Gli studenti continuano a prendere posto. Ad un certo punto, nella
folla, Jude si accorge di avere ancora una volta gli occhi grigi di
Victoria puntati su di sé. Gli basta una sola, breve
occhiata gelida per dissuaderla dall’osservarlo: non appena
la fulmina con lo sguardo, occhi rossi che inceneriscono i suoi color
del fumo, la ragazza punta all’istante lo sguardo a terra, il
volto rosso d’imbarazzo.
Per Jude quella è una parentesi di vita ampiamente conclusa.
Spera che Victoria se ne renda presto conto.
Non appena la stanza si è riempita del tutto, Zoolan si
avvicina al microfono e attira l’attenzione dei presenti,
cominciando il suo discorso. Come previsto, Jude non ne ascolta nemmeno
mezza parola.
Tra i ragazzi, in effetti, si è sollevato un argomento
decisamente più interessante.
«Caleb» chiede infatti David, «ma Camelia
non c’è?»
Sul volto dell’ex capo della banda compare, per la prima
volta da quella mattina, un’espressione triste. «Ha
detto che stava poco bene e non se la sentiva di venire»
ammette.
Jude s’impensierisce. Ha sottovalutato per mesi la salute di
Camelia, gli sembra di rendersene conto solo in quel momento. Gli
dispiace che lei non sia lì con loro, in quel momento:
Camelia è una parte effettiva della sua vita, Jude non se la
sentirebbe mai di tagliarla fuori. Le vuole bene, e sperava di poter
vivere quell’esperienza assieme a lei.
Non importa,
cerca di rassicurarsi. Sta per arrivare l’estate, ed
è certo che sarà un periodo meraviglioso che
vivranno assieme, tutti e cinque.
O tutti e sei, contando speranzosamente anche Ray. Non aveva motivo di
preoccuparsi.
«Jude Sharp»
La voce di Zoolan lo strappa violentemente dalle sue fantasie. Per un
momento Jude teme che voglia metterlo in ridicolo davanti a tutta la
scuola, lo scroscio di applausi che tuttavia lo travolge di
lì a poco gli fa capire cosa realmente stia succedendo.
Il ragazzo si alza in piedi, e accompagnato da quegli applausi che non
vogliono saperne di fermarsi cammina verso il palco.
Va tutto bene. Respira.
È il ragazzo che si è diplomato con i voti
più alti dell’istituto. Ha ottenuto
l’accesso ad una delle più prestigiose
università di tutto il paese.
All’improvviso un sorriso di consapevolezza compare sul volto
di Jude.
È tutto finito.
Nei pochi metri che lo separano dal palco, a Jude sembra di rivivere
tutti i momenti che ha trascorso in quel liceo. I voti altissimi in
matematica e quelli inspiegabilmente bassi in letteratura, la relazione
con Ray, l’ingresso nella banda, l’allontanamento
dagli studi e il conseguente riavvicinamento una volta risolta tutta la
situazione con i ragazzi, l’arrivo di quel nuovo preside che
aveva sconvolto loro l’esistenza, la rottura con Ray, il
dolore, la sofferenza, poi quel suo lanciarsi a capofitto nella storia
con Victoria, sperando che le cose tornassero alla
normalità. La scoperta delle menzogne, la rottura con la
ragazza, e poi, Ray, Ray,
Ray…
Jude non riesce a toglierselo dalla testa. Per quanto si ostinasse a
negarlo, ha continuato a pensare a lui per tutti quei mesi. E adesso
è lì, a pochi passi da lui, e Jude vorrebbe con
tutto se stesso correre da lui e baciarlo davanti a tutti, noncurante
del loro parere.
Ma non può. Lo sa.
Gli occhi rossi tornano ad annegare in quelli neri, e
d’improvviso sembra che una luce sia tornata ad illuminare lo
sguardo di entrambi.
Jude sale i gradini del palco. Zoolan gli consegna il suo diploma.
Sotto la barba dell’uomo vi è un ghigno crudele,
ma quest’ultimo si infrange nel momento esatto in cui i suoi
occhi si posano sul ragazzo.
Jude sorride.
Zoolan ancora non lo sa, ma la partita l’ha vinta Jude.
Il ragazzo prende il diploma e si volta di spalle, tornando a scendere
giù dal palco, mentre gli altri studenti continuano a
battere le mani per lui.
Quando tutti i diplomi sono stati consegnati, ognuno lancia il proprio
tocco in aria. Alcune lacrime di commozione scorrono sul volto di
David, mentre Jude trattiene le proprie.
Non c’è tempo per piangere. Deve fare ancora una
cosa.
「 Brookline,
Boston, 5th June
h. 03:28 p.m.」
Una pioggia sottile tamburella contro i finestrini dell’auto.
Jude osserva con disinteresse il panorama esterno, invariato ormai da
interminabili minuti. È per questo che non ama muoversi in
auto a Boston, si finisce sempre per restare imbottigliati nel
traffico. Suo padre non sembra curarsi troppo della cosa: da quando
sono partiti da casa non ha mai smesso di parlare al telefono con uno
dei suoi più stretti collaboratori, discutendo sulle
prossime manovre politiche da effettuare o di alcuni avversari che gli
stanno dando del filo da torcere. Jude non è particolarmente
sorpreso dal fatto che l’uomo passi praticamente tutto il suo
tempo ad ignorarlo, è solo l’ennesima conferma
della disapprovazione che prova nei suoi confronti; Jude, tuttavia, non
riesce a biasimarlo: in fin dei conti, il loro è un
disinteresse reciproco.
La pioggia bagna tutto ciò che incontra sul suo cammino, le
pareti dei palazzi sembrano essere madide e grondanti d'acqua. Se si
perde con lo sguardo tra le varie architetture, capisce che lo stile
è così simile alla loro abitazione, segno che
hanno fatto veramente poca strada finora. Qualcuno fuori suona il
clacson, la fila interminabile non avanza di un millimetro.
Suo padre, ancora al telefono, borbotta nervosamente. È
buffo, per un uomo sempre così composto come lui.
«Lo so che sono in ritardo, Albert!» sbotta
frustrato al suo collaboratore. «Sembra che in questa
città la gente perda la capacità di muoversi non
appena dal cielo cominciano a cadere due gocce! Non puoi chiedere ai
rappresentanti di questa impresa di costruzioni di attendere ancora per
qualche minuto…?»
Jude poggia pigramente la testa contro lo sportello. Non sa ancora cosa
gli abbia detto il cervello quando ha accettato la proposta di suo
padre di seguirlo a questo importante incontro di lavoro. A lui non
interessa niente dei suoi impegni governativi, la politica non
è certo la strada che vuole prendere nella sua vita. La
verità è che a casa non ha niente da fare, e
piuttosto che restare rinchiuso tra quelle quattro mura a commiserarsi
su quanto faccia pena la sua vita ha pensato che andare con lui fosse
l’unico modo per distrarsi.
Deve ammettere che non sta funzionando per niente.
Qualcuno suona nuovamente il clacson, suo padre inveisce ancora una
volta contro il traffico e Jude sta seriamente cominciando a pensare di
mettersi ad ascoltare un po’ di musica in cuffia,
improvvisamente però la sua attenzione viene attirata da
qualcos’altro.
Non si è nemmeno accorto di quale sia la via in cui ora si
trovano.
Col tempo Jude ha imparato a conoscerla così bene, ed
è certo che anche i palazzi lì ormai sappianoo
chi lui sia. Troppe notti lo hanno osservato sfilare sui
marciapiedi, in un silenzio tombale, ed infilarsi in uno di quegli
appartamenti.
Lo trova subito, a pochi metri da loro. Si chiede come abbia fatto a
non notarlo prima.
Quando la banda era ancora in piedi, quello era stato il suo rifugio.
Lontano da casa, dalle continue ramanzine di suo padre e al tempo
stesso anche dall’alcol e dalle notti piene di eccessi di
Caleb e gli altri.
Un porto sicuro in cui sostare, mentre tutto intorno a lui era tempesta.
Si rende conto che, in effetti, in quegli ultimi mesi si è
trovato proprio nel bel mezzo di una burrasca, una relazione che non ha
mai desiderato, una delle sue più care amiche gravemente
malata, il rapporto con suo padre completamente perduto e, soprattutto,
l’unica persona che avrebbe voluto accanto così
lontana. Ray aveva questa straordinaria abitudine di riuscire a
rimettere tutto a posto, come era successo con l’arresto di
Caleb, l’anno precedente. Senza dubbio, se non fossero stati
divisi a causa di Victoria e Zoolan, sopportare quel periodo difficile
sarebbe stato meno gravoso.
Certo, ragionare per ipotesi non serve poi a molto. Ormai, teme di aver
perso Ray per sempre…
Quel pensiero fugace s’interrompe nel momento esatto in cui i
suoi occhi si posano sul portone d’ingresso del palazzo.
Qualcuno sta uscendo: osserva dubbioso il cielo e la pioggia che cade
giù da esso, incerto se prendere la bicicletta che tiene tra
le mani, ancora immobile sui gradini dell’uscio, mentre una
borsa di cuoio bruno gli pende da una spalla.
Per un momento Jude crede di esserselo immaginato, dopotutto una
visione così idilliaca sarebbe degna dei suoi sogni
più dolci, tuttavia è impossibile: non
confonderebbe mai Ray Dark con nessun’altra persona al mondo.
Ray abbassa lo sguardo, e sembra quasi che i loro occhi
s’incontrino ancora una volta: il rosso che annega nel nero,
che, di nuovo, gli chiede di essere salvato.
E così accade.
A Jude sembra di avere d’improvviso tutto chiaro. Si sente
uno sciocco per non averlo compreso prima, quasi gli viene da ridere.
Posa la mano sulla maniglia della portiera, sta quasi per aprirla
quando si rende conto che, nel frattempo, la telefonata di suo padre si
è conclusa.
Era così rapito dai suoi pensieri da non essersene reso
conto. Suo padre, il governatore Sharp, gli rivolge uno sguardo
affilato.
Ha compreso, Jude ne è certo. Deve aver visto anche lui Ray,
e in quegli occhi Jude non trova possibilità di perdono.
«Se scendi da questa macchina puoi smettere di considerarti
mio figlio» pronuncia, lapidario.
Agli occhi di Jude, quello è un ricatto in piena regola.
Scegliere tra suo padre e l’uomo che ama.
Non gli è mai sembrata una decisione così facile.
Non ha più nulla da spartire col governatore Sharp,
è da lungo tempo che il filo che li legava si è
spezzato, senza contare che a lungo, troppo a lungo è stato
costretto a restare lontano da Ray. E Jude è davvero stanco
di tutte quelle persone che si sono interposte nella loro relazione.
Jude si china in avanti. Sul suo volto compare un sorriso scaltro.
«Convivrò con questo peso» conclude.
Il volto del governatore Sharp diventa paonazzo dalla rabbia, ma Jude
non ha tempo per ascoltare qualsiasi replica abbia intenzione di
rifilargli. Tira la maniglia, e si lascia scivolare fuori dalla vettura
scura.
La portiera sbatte alle sue spalle, ma Jude non se ne cura. La pioggia
comincia a cadere sul suo corpo, e d’improvviso si ritrova
catapultato indietro di un anno, ed è di nuovo su quel ponte
di ferro. Non deve più scegliere tra vita e morte,
l’ha già presa la sua decisione, ed è
la migliore che potesse aspettarsi.
Jude inizia a correre. Le auto continuano a suonare il clacson e i
guidatori lo fissano con sguardi pieni di disapprovazione mentre cerca
di trovare uno spiraglio per attraversare quella strada affollatissima.
A Jude non importa davvero più di nulla. Vede solo lo
sguardo esterrefatto di Ray che non si scolla più dal suo, e
quella è la vittoria più grande per lui.
Senza dargli il tempo di dire una parola, sale quei gradini che li
separano trattenendo il fiato, per poi lanciarsi finalmente tra le sue
braccia. Preme le labbra sulle sue, e per la prima volta dopo mesi
sente di star facendo la cosa giusta.
I pezzi di un puzzle scomposto troppo a lungo che finalmente trovano la
loro collocazione, l’allineamento di pianeti che ha sempre
cercato.
Ray lo stringe come se tenesse tra le braccia la cosa più
preziosa del mondo, ma al tempo stesso senza alcuna intenzione di
lasciarlo andare più, mai più.
Jude lo avverte ricambiare quel bacio, e sente che potrebbe svenirgli
tra le braccia in quel preciso momento, tanta è la gioia di
averlo finalmente ritrovato.
È la prima volta in cui non si curano di ciò che
la gente possa pensare di loro. Non conta più nessuna
opinione, ci sono solo loro e quei baci di cui hanno sentito
così tanto la mancanza.
Nessuno dei due vorrebbe separarsi, ma Ray allontana appena i loro
volti, così che possano riprendere fiato. Accarezza piano le
guance di Jude, ancora incredulo al pensiero che sia lì,
davanti a lui.
«Ma… tuo padre… quella
ragazza…» accenna confuso.
«Non me ne importa niente» Jude prende a sua volta
il volto di Ray tra le mani, i loro occhi che continuano a divorarsi.
«Ti amo, voglio passare il resto della mia vita con
te… quello che pensano gli altri non mi interessa.»
Ray sorride e lo bacia nuovamente. Lo trascina piano
all’interno dell’edificio, e di colpo la pioggia,
Boston, nulla ha più senso. Ci sono solo loro, e quella
è l’unica cosa che conta.
Fare l’amore dopo tutti quei mesi di lontananza è
come cadere di nuovo per la prima volta nella spirale che
l’ha intrappolati fin dal primo momento, da quel bacio
nascosti dai finestrini di un’auto, e prima ancora gli
sguardi in classe, le chiacchierate, la voglia di scoprire insieme un
nuovo mondo, fatto di racconti e parole, provenienti da epoche vicine e
lontane, stralci di vite che facevano vibrare l’anima.
Jude si gode ogni momento, ogni tocco di Ray sul suo corpo, le dita che
sembrano voler lasciare un solco sui suoi fianchi, tanto ferrea
è la presa in cui li stringe. Le labbra sono incapaci di
staccarsi, i corpi ancora bagnati di pioggia si asciugano nella carezza
confortante delle lenzuola.
È tutto così bello e perfetto, e Jude si domanda
come abbia potuto rinunciarvi tanto a lungo. Anche quando tutto
è finito non riescono a smettere di annegare l’uno
negli occhi dell’altro, Ray che lo tiene stretto contro il
suo petto e al caldo sotto le coperte. È chiaro che non
hanno più intenzione di perdersi. Sorridono entrambi,
finalmente felici.
E di colpo Jude ci crede, a quel futuro assieme che tanto a lungo hanno
sognato.
「
Somerville,
Boston, 5th June
h. 05:17 p.m.」
Caleb
detesta i temporali.
Quella pioggia odiosa ha cominciato a cadere da qualche ora,
intensificandosi negli ultimi momenti. Insomma, stanno andando incontro
all’estate, possibile che debba ancora piovere?
Si stringe maggiormente il cappuccio attorno al capo, sbuffando
sonoramente. Sta andando a casa di Camelia, ed è
già terribilmente in ritardo.
Ha atteso a lungo quell’estate e beh, un temporale non
è esattamente il modo migliore in cui potesse cominciare, ma
non importa. Ci saranno un mare di giorni per recuperare, e sa
già che li passerà accanto a Camelia, per cui
saranno stupendi.
Questo basta a fargli tornare il sorriso sul volto. Non vede
l’ora di organizzare una giornata alla baia come
l’anno precedente, sarebbe bello tornare lì,
magari anche insieme ai ragazzi.
Caleb sta per mettersi a camminare più in fretta, motivato
da quei propositi, quando il suo cellulare si mette a suonare.
Non sa nemmeno come faccia a sentirlo sopra al trambusto del temporale,
dev’essere un caso.
Il ragazzo sbuffa di nuovo. Recupera in fretta il telefono dalla tasca
dei pantaloni, e si ferma per un momento sotto alla pioggia per
rispondere. Sarà sicuramente qualcosa di breve, immagina che
sia David per una delle sue solite idiozie…
Il numero che gli compare sul display è quello di Percival.
È strano che lo chiami, dopotutto sa che sta per arrivare a
casa loro.
Caleb decide di rispondere comunque.
«Pronto?»
Silenzio. La pioggia non si ferma. Caleb sente la voce
dall’altro capo del telefono, ma dopo le prime frasi
è come se non la stesse ascoltando veramente. Gli sembra che
il suo cervello sia incapace di processare quell’informazione.
La pioggia continua a cadere, mischiandosi alle lacrime.