Dono di madre

di melianar
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Stanotte è morto mio padre.
Se ne è andato in silenzio, rispondendo a un richiamo rivolto a lui solo.
Non ha sofferto. Non credo, almeno.
I servitori lo hanno trovato al mattino, il viso sereno, le mani protese come nell’atto di afferrare qualcosa.
Qualcuno, ho subito pensato.
Ma si sa che ai servi piace abbellire la realtà, renderla più dolce, come se questo bastasse a evitare la sofferenza dei loro signori.
Come quando te ne sei andata e le ancelle mi confortarono come si fa con i bambini, raccontandomi del tuo amore per noi e delle lacrime che avevi versato prima della partenza.
Ma io non ero più bambina. E nessuno aveva visto le tue lacrime, lo sapevo bene. Eri fuggita senza una parola e tanto mi bastava.
Eri fuggita senza una spiegazione. Nemmeno per tua figlia. Per me che più di tutti avevo diritto, bisogno di sapere.
Di te non ho più voluto parlare.
Non per vantare il mio lignaggio elfico, come invece piace fare a Galador. Io sono figlia degli Edain, altro non mi hai concesso di essere.
Non per ricordare i bei tempi felici. I ricordi erano il rifugio di mio padre. Io dovevo andare avanti, sempre avanti.
Di me dicono che sono una donna severa. Spigolosa, anche.
Ho rifiutato il matrimonio e so che c’è chi mormora per questo alle mie spalle.
Ma non mi interessano le maldicenze.
Mio padre mi ha sempre compresa ed è ben più di quanto gli abbia mai chiesto.
Lui sapeva che, più di tutto, io avevo bisogno di capire. Perché della tua stirpe hai lasciato a Galador la grazia e le risate, a me la saggezza e di questa cerco di fare buon uso.
E forse, solo oggi che l’Uno gli ha offerto il suo dono, ho iniziato davvero a comprendere.

Stanotte è morto mio padre. Aveva le mani protese, come nell’atto di afferrare qualcosa.
Le tue mani, mamma. Mio padre cercava le tue mani.
E tu sapevi che non avresti potuto stringerle un’ultima volta, né lasciare che il suo spirito camminasse oltre i Cerchi del Mondo e continuare a vivere ancora, e ancora, senza raggiungerlo mai.
Per questo te ne sei andata.
Di notte, in silenzio, perché se avessi provato a spiegare nessuno di noi avrebbe capito. Nessuno avrebbe voluto ascoltarti, questa è la verità.
Preferivamo la nostra grande illusione, senza renderci conto che le illusioni sono destinate a frantumarsi, sempre.
Non sono certa di saperti perdonare, non ancora. Non ora che sento il peso dell’assenza farsi più forte che mai e penso che tu avresti potuto essere qui a tenermi tra le braccia, a placare questo pianto che nessuno vedrà.
Me lo concederai, un pensiero egoista da figlia.
Non sono ancora abbastanza saggia, non per il perdono. Comincio a esserlo, forse, per la comprensione.




Note

Torno da queste parti dopo tanto tempo, con qualcosa che mi premeva scrivere da anni e che solo una settimana fa ha trovato la chiave giusta per venire fuori (e poi dicono che non ho pazienza :P)
Voglio tanto bene a Imrazôr e Mithrellas, la coppia Uomo/Elfa meno considerata del legendarium e forse con la storia più triste, visto che a un certo punto lei fugge da marito e figli senza lasciare traccia.
Avevo scritto a proposito di quelle che io immagino essere state le ragioni di Mithrellas nel primo capitolo della mia vecchissima raccolta Ritratti di dame, ma mi sono sempre chiesta di tutto questo cosa potesse aver pensato Gilmith, la figlia di cui Tolkien ci ha consegnato soltanto un nome.
Potrei sproloquiare a proposito di questa famiglia in eterno e non escludo di scrivere altra roba a riguardo che probabilmente interesserà solo me XD ma intanto la chiudo qui.
Grazie a Kan per il betaggio (non so cosa farei senza la tua frusta di fuoco :P) e un grazie infinite a chi ha letto.
A presto, su questo o altri lidi ;-)

Melianar

 





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