The rest you know
Era estate in Australia, faceva davvero caldo nonostante
fossero le tre e un quarto del mattino.
Roddy se ne stava stravaccato su una sedia in plastica posta
sulla terrazza della sua camera d’albergo, le gambe divaricate e un cono al
caffè nella mano destra.
Un’ondata di fame chimica l’aveva assalito a notte fonda e
si era ritrovato a scendere al bar dell’hotel, trovandolo miracolosamente
aperto.
Aveva bevuto uno shot di vodka e aveva chiesto cosa ci fosse
da mangiare; il barman gli aveva indicato il bancone dei gelati e il
tastierista non aveva avuto altra scelta: aveva scelto quello che gli era sembrato
più sostanzioso ed era tornato in fretta in camera.
In punta di piedi si era avviato sulla terrazza e
fortunatamente Mike non si era svegliato.
Anche quella volta si erano ritrovati a dormire tra le
stesse quattro mura, eppure non avevano avuto alcun contatto.
Roddy leccò avidamente il suo gelato e levò gli occhi a
scrutare il cielo trapuntato di stelle: per fortuna una leggera brezza
rinfrescava l’aria, era davvero piacevole stare là fuori.
Sobbalzò quando avvertì una presenza al suo fianco e si
voltò, trovandosi faccia a faccia con Mike; il cantante aveva il viso
assonnato, eppure gli sorrideva appena e metteva in mostra due leggere e
adorabili fossette.
«Ah, sei tu» borbottò il tastierista, continuando a mangiare
il gelato. Gli capitò tra i denti una pallina al cioccolato aromatizzata al
caffè e la frantumò, distogliendo gli occhi dal collega.
Quest’ultimo occupò una sedia accanto alla sua e ridacchiò.
Quella risata era veramente melodiosa, così dolce e in
contrapposizione con i consueti atteggiamenti rudi e bruschi di quel ragazzo
enigmatico e bizzarro.
«Mi hai svegliato» esordì Mike.
«Beh, scusa, ma avevo fame.»
Il cantante si sporse verso di lui e catturò le sue iridi
chiare. Si guardarono per un istante e a Roddy parve di tornare indietro nel
tempo, a quando erano stati così vicini e in qualche modo complici.
Anche se complici non lo erano stati mai davvero.
Poi Mike compì un gesto inaspettato: si avvicinò maggiormente
e leccò il gelato, per poi annuire soddisfatto.
Roddy rimase basito, ma subito dopo si ritrovò a ridere.
«Ehi, quello è mio!»
Mike rise a sua volta, regalandogli ancora una volta quella
risata cristallina e leggiadra, come fosse un ragazzino spensierato. «Quello
che è tuo è mio, quello che è mio è mio» replicò, citando un verso di un loro
brano.
Roddy non riuscì a smettere di sorridere, nonostante nel
cuore avvertisse un peso opprimente che gli lasciava l’amaro in bocca – e non
era il retrogusto del caffè che si scioglieva pian piano sulla sua lingua.
Riprese a leccare il gelato e Mike fece lo stesso con un
movimento brusco.
Il cuore di Roddy accelerò, erano così vicini, pericolosamente
vicini.
Non si mossero, deglutendo il boccone freddo che entrambi
avevano morso dalla sommità del cono.
Respiravano piano, si guardavano negli occhi come se fosse
la prima volta che si vedevano.
Roddy seguì con lo sguardo i lineamenti marcati del
cantante, quelle labbra che ricordava morbide e calde e che tante volte lo
avevano violato ovunque; si soffermò sulle fossette appena accennate,
sui capelli corti e scompigliati, sul profilo della mascella.
Poi tornò a immergersi nelle sue iridi più scure della notte
che li circondava.
«È surreale pensare che se vivessi in Australia, festeggerei
il mio compleanno in estate» commentò all’improvviso Mike, sollevando la mano
sinistra per artigliare a sua volta il cono. Socchiuse le palpebre, le ciglia
fremettero, poi diede un’altra lunga lappata, esibendosi in un basso grugnito
d’approvazione.
Roddy tremò appena sulla sedia, non poteva certo ignorare
l’effetto che gli faceva quel ragazzo, nonostante fossero rimasti d’accordo per
provare a essere amici.
Solo amici, o meglio, compagni di band.
«E il mio sarebbe in inverno» replicò il tastierista,
chinandosi poi ad assaporare un altro po’ di dolce ghiacciato.
Tornarono a fissarsi negli occhi.
Dio, quanto è bello, pensò Roddy, pentendosene nell’immediato.
Non doveva dare adito a quelle sensazioni che lo stavano
travolgendo, non più; inoltre quella sera probabilmente non c’era con la testa:
aveva tirato su un po’ di coca, fumato un paio di spinelli con Puffy e bevuto
diversi shot. Doveva controllarsi, era vulnerabile.
Stava attraversando un periodo di eccessi come mai gli era
successo prima, complici le condizioni precarie della salute di suo padre e la
difficoltà con cui stava vivendo quel complicato e intricato rapporto con Mike.
Perché lui lo amava ancora, forse più di prima, più di
quando erano stati insieme.
Mike si tirò improvvisamente indietro e si sistemò meglio
sulla sedia, intrecciando le mani dietro la nuca. Perse lo sguardo nel cielo
notturno, dove le stelle erano così luminose e brillanti.
Roddy guardò per un attimo il cono che stringeva in mano,
poi riprese a mangiarlo con voracità, sperando ingenuamente di riconoscere il
sapore di quel ragazzo bellissimo tra le pieghe di un dolce troppo freddo per
il suo corpo bollente.
«Comunque il caffè preferisco berlo» commentò il cantante,
lasciandosi sfuggire un’altra risata dolce e delicata.
«Non avevo dubbi» replicò il tastierista, per poi ricordarsi
di qualcosa e scoppiare a ridere. «Mi è tornato in mente di quando hai avuto
quegli svenimenti e i medici pensavano che ci fosse qualcosa che non andava al
tuo cuore.»
«Ero in panico perché non avrei più potuto drogarmi»
scherzò Mike. «Per fortuna è stato un falso allarme.»
«Già.» Roddy morse il cono e lo trovò delizioso, croccante
come piaceva a lui.
«E tu quando smetti di drogarti?» chiese l’altro
all’improvviso, voltandosi nuovamente a scrutarlo.
«Immagino quando smetterai tu» ribatté Roddy sulla difensiva.
Mike rise ancora, accarezzandolo con quel suono dolce e
delicato. «Ottima risposta» commentò divertito.
Roddy finì in silenzio di mangiare, poi si passò un braccio
sulle labbra con l’intento di ripulirle da eventuali residui di gelato.
Tornò a concentrarsi su Mike e i loro occhi si scontrarono
un’altra volta.
Il cantante si sporse nuovamente in avanti e gli sorrise
ampiamente. «Era buono il gelato?»
Roddy annuì e deglutì. «Mike, non mi mettere in difficoltà…»
si lasciò sfuggire, anche se non avrebbe voluto.
Ma quella sera aveva esagerato con ogni sostanza
stupefacente possibile, gli era difficile mantenere la calma e frenare la
lingua.
Eppure Mike non parve sorpreso. Si allungò ad afferrargli il
mento tra le dita, guardandolo negli occhi, perforandolo con quelle iridi
torbide e calde.
Il cuore del tastierista accelerò bruscamente i suoi
battiti, come fosse un ragazzino che viene notato per la prima volta dalla
persona per cui si è preso una cotta colossale.
«Volevo solo chiederti se ti va di dormire con me» se ne
uscì il cantante con fare innocente, sorridendo candidamente.
Roddy temette di svenire per le troppe emozioni che stava
provando. «Sei impazzito? Mike, noi… ne abbiamo già parlato, ricordi? Quel
giorno a casa mia, tu…»
Ma Mike scrollò le spalle e con la mano libera gli sfiorò la
guancia. «Non farti strane idee, eh? È che non mi va di stare solo…»
Lo disse in un modo che spezzò quasi il cuore del
tastierista: aveva un’espressione smarrita, una di quelle che raramente
condivideva con qualcuno; gli occhi si erano fatti improvvisamente malinconici e
i lineamenti si erano addolciti.
Roddy non seppe cosa replicare, preda di un improvviso moto
di stanchezza; represse uno sbadiglio e si portò una mano alla fronte.
«Stai bene?» chiese Mike, il tono venato da qualcosa di
simile alla preoccupazione.
Sapeva essere così dolce e apprensivo a volte…
Roddy annuì appena e si arrese alle leggere carezze che il
cantante gli lasciava sul viso.
«Non mi hai risposto. Ti va o no?»
«Lo sai…» sibilò il tastierista.
«Allora andiamo.» Mike si alzò e lo aiutò a fare lo stesso, circondandogli
la vita con un braccio per sorreggerlo.
Il tastierista si sentiva improvvisamente sfinito, voleva
soltanto appoggiare la testa sul cuscino e lasciarsi abbracciare da Morfeo – eppure
il destino sembrava volergli regalare un altro abbraccio, più caldo e languido,
più vero.
Lentamente si avviarono all’interno della stanza e Mike lo
fece sedere sul bordo del letto, inginocchiandosi di fronte a lui. Roddy
temette di svenire per la seconda volta perché non sapeva proprio cosa
aspettarsi e cosa desiderare in quel momento.
Eppure il cantante rise per l’ennesima volta e gli sfilò le
scarpe, poi lo fece stendere e finì di spogliarlo, lasciandolo in boxer.
Roddy era stranito e confuso, il suo collega non era mai
stato tanto tenero nei suoi confronti. Sentiva di doversi sottrarre a quelle
attenzioni tanto intime, ma al contempo aveva la certezza di doverle coglierle
e di doverne godere finché ne aveva l’opportunità.
Non dureranno a lungo, si disse, raggomitolandosi su
se stesso e facendo aderire la schiena contro la parete fresca su cui il letto
da una piazza e mezzo era addossato.
Mike si spogliò a sua volta con gesti rapidi, poi si stese
supino al suo fianco e incrociò le mani sul petto ampio, facendo per un attimo
tintinnare tra loro i braccialetti che indossava.
Roddy lo osservava attraverso le palpebre socchiuse e non
poteva credere che stesse succedendo ancora.
«Mike, me ne torno nel mio letto» bofonchiò, facendo per
mettersi a sedere.
Il cantante tuttavia lo inchiodò con lo sguardo e si girò su
un fianco, facendo scivolare la mano lungo il braccio dell’altro. «Perché?»
Un brivido scosse Roddy fin nel profondo. «Lo sai…»
«Certo che lo so. Ma ti ho solo chiesto di farmi compagnia,
hai capito?» Poi si accostò di più a lui e si accoccolò con la testa contro la
sua spalla, strofinandovi appena la guancia.
Al tastierista si mozzò il respiro, eppure non riuscì a
sottrarsi a quel contatto. Allungò le braccia e circondò le spalle dell’altro,
per poi trascinarlo ancora più vicino.
Mike gli si avvinghiò senza pensarci due volte, intrecciando
le mani sulla sua schiena e lasciandogli un minuscolo bacio sul collo.
Roddy rabbrividì ancora e ridacchiò. «Mike…» lo rimproverò.
«Che c’è?»
«Piantala» sussurrò, godendosi quell’abbraccio inaspettatamente
colmo d’affetto.
Non era la prima volta che il suo cantante si stringeva a
lui durante la notte quando si trovavano in tour, eppure in quel momento era
come se Mike lo tenesse tra la braccia senza disperazione, solo con la
tranquillità e la consapevolezza di chi sa esattamente ciò che vuole.
Era strano, eppure stava succedendo davvero.
E Roddy non era certo di volerlo più come prima.
Si sentiva diverso, sfinito, distrutto dalla vita e dagli
eccessi, dal tour e dalla creatività che pian piano gli scivolava via dal corpo
fin troppo magro.
Si sistemò meglio nell’abbraccio e lasciò scivolare la mano
lungo la schiena nuda dell’altro; bizzarro quanto avesse desiderato poterlo
avere così rilassato accanto a sé, e quanto in quel momento non riuscisse ad
apprezzare appieno quell’attimo.
Mike sospirò sul suo collo, poi sollevò il capo e fece
scontrare i loro occhi nell’oscurità. «Ehi, rilassati» mormorò.
«Scusa, è che…»
«Non mi vuoi?» lo interruppe il cantante, lasciandosi
scappare una piccola risata, un’altra di quelle deliziose melodie.
«Mike…» Roddy ricambiò il sorriso. «Sta’ zitto.»
«Non prendo ordini da te.» Il moro, in un movimento
fulmineo, lo agguantò per le spalle e lo fece stendere supino. Si inginocchiò a
cavalcioni su di lui e lo guardò negli occhi, scandagliandogli l’anima.
«No, Mike…» gemette Roddy, dibattendosi appena sotto le sue
mani bollenti.
Il cantante addolcì immediatamente lo sguardo e rise. «Hai
paura di me?»
«No.»
Mike cadde su di lui e lo strinse forte, abbandonando il
capo sul suo petto. «Non devi…»
«Non ho paura di te, Patton» affermò il tastierista,
ricambiando l’abbraccio con la stessa intensità.
Era chiaro che lo desiderasse, eppure tra loro era cambiato
qualcosa e lui stesso si sentiva diverso.
«Sì» mormorò il cantante, sfiorandogli una clavicola con le
labbra. «Allora abbracciami.»
«Lo sto già facendo, idiota.» Poi Roddy ci pensò su e non
riuscì a frenare la lingua, ancora una volta si lasciò sfuggire delle parole di
troppo. «Che ti prende oggi?»
«In che senso?» biascicò Mike, tracciando con le dita il
profilo del suo braccio.
«Sei molto più affettuoso, più… dolce» esalò il
tastierista.
«Credi davvero che io sia un mostro? Ti ho sempre detto che
ci tengo, che ti voglio bene. Sei un bravo ragazzo.»
Roddy rise e Mike fece lo stesso.
«Sei incredibile, Patton. Non ti capirò mai.»
«Non sono poi così complicato, è tutta apparenza.»
Roddy aggrottò la fronte e si chinò per lasciargli un lieve
bacio fra i capelli. «Se lo dici tu…»
Rimasero in silenzio per un po’, a cullarsi in
quell’abbraccio che nessuno dei due aveva voglia di interrompere.
Anche se morivano di caldo.
Anche se il loro rapporto era troppo strano per essere definito.
Anche se Roddy dentro sé sapeva che erano soltanto amici e
che non avrebbero più condiviso ciò che avevano vissuto in passato.
Mike si sollevò e tornò a sdraiarsi accanto a lui, ma subito
lo attirò a sé e lo strinse forte.
Era morboso, appiccicoso, eppure non più disperato com’era
stato tutte quelle volte in cui si era intrufolato nel suo letto in cerca di un
porto sicuro.
Era consapevole di volerlo accanto.
«Abbracciami» gli ordinò con dolcezza.
E Roddy tuttavia si mise su un fianco e gli diede le spalle,
nascondendogli un sorriso divertito.
«Ehi!» protestò Mike, avvicinandosi per stringerlo da dietro
e intrecciare le gambe alle sue.
Roddy scoppiò a ridere e si lasciò abbracciare, inclinando
il capo all’indietro e appoggiando la nuca contro la sua spalla. «Piattola…»
«Come mi hai chiamato?»
«In nessun modo» farfugliò Roddy, chiudendo gli occhi.
Il cantante si lasciò sfuggire un’altra risata, il respiro
che si infrangeva sul collo dell’altro, provocandogli dei piccoli brividi.
Le braccia di Mike si strinsero saldamente alla sua vita,
una mano si depositò sul suo ventre e l’altra ad accarezzargli il braccio in
tocchi dolci e leggeri.
Roddy si lasciò coccolare e sfiorare placidamente,
rendendosi conto che quello era l’abbraccio più bello e intenso che lui e Mike
avessero mai condiviso.
Forse erano soltanto amici, forse no; eppure lui non aveva
più le forze per combattere, per cercare un senso al loro bizzarro legame.
Voleva soltanto dormire tra quelle braccia forti che aveva
sempre sognato essere sue.
In quel momento, con le dita di Mike a increspare di brividi
la sua pelle e le sue labbra a sfiorare piano il suo collo, si rilassò
completamente e scivolò in un sonno tranquillo.
Non avrebbe mai saputo che Mike lo cullava con il cuore
pieno di un sentimento tutto nuovo.
Non avrebbe mai saputo che Mike lo amava.
Neanche Mike stesso era pronto ad ammetterlo, ad
accettarlo, eppure nel profondo dell’anima quell’emozione lo scuoteva.
E Mike non avrebbe mai saputo che ormai era tardi per
desiderare che quel ragazzo fosse suo.
Roddy, immerso nel suo sonno, era lontano anni luce da
lui.
Pensava alla droga, ai suoi problemi, alle emozioni che
non riusciva più a sentire sue.
Il tempo li aveva portati fino a quel momento, uniti in
quell’abbraccio troppo dolce e troppo amaro.
Il tempo li aveva portati fino a quel momento, separati
fin nel profondo dell’anima.
♥ ♥
♥
Miei cari lettori, non so neanche io cosa sia questa cosa,
ma ho avuto il bisogno fisico di scrivere una Pattum in questa serie.
Il loro rapporto è sempre più complicato, è un continuo e
ossessivo tira e molla, un misto di desiderio e ripugnanza reciproca che li
porta spesso a distruggersi.
E qui stiamo entrando in un periodo davvero complicato per
Roddy: la dipendenza dalla droga – cosa successa realmente nella sua vita,
purtroppo – gli sta togliendo ogni voglia di vivere ed emozionarsi come ha
sempre fatto. Il nostro dolce tastierista, ahimè, sta avendo molta difficoltà a
stare accanto a Mike, anche se chiaramente lo ama tantissimo.
Eppure non ce la fa, perché pian piano sta piombando in un
tunnel che lo sta sfibrando fin nell’anima… povero tesoro mio ç___ç
E Mike… Mike pare aver finalmente accettato i suoi
sentimenti per questo ragazzo speciale, eppure ora è davvero tardi.
Insomma, questa Pattum selvatica non s’ha da fare, eh? XD
Ovviamente non potevano mancare gli accenni erotici
AHAHAHAHAHAH ma perdonatemi, questi due fanno scintille nella mia mente,
dannati Patton e Bottum ^^”
Una piccola notina: la frase “quello che è tuo è mio, quello
che è mio è mio” che Mike dice a Roddy è una citazione tradotta del verso “What's
yours is mine and mine is mine” tratta dal brano Be Aggressive dei Faith
No More, tratto dall’album Angel Dust del 1992; tale canzone è
praticamente la colonna portante di tutta la serie, perché gran parte dei
titoli delle storie – così come il titolo della serie stessa – sono tratti dal
testo del brano sopra citato ^^
La storia è ambientata all’inizio del 1994, quando ho immaginato,
per ragioni di trama, che i FNM avessero delle date in Australia, anche se in
realtà quell’anno non ne hanno avuto in quel periodo. Quando Mike dice che il
suo compleanno in Australia sarebbe in estate, è in riferimento alla sua data
di nascita che è, appunto, il 27 gennaio; mentre quella di Roddy è il 1°
luglio, quindi lui compierebbe gli auguri in inverno se fosse australiano :D
Quando accenno al fatto che Mike avesse avuto un falso
allarme per un presunto problema cardiaco che gli avrebbe impedito di bere il
suo amatissimo caffè, faccio riferimento alla mia storia Caffeine,
in cui appunto racconto un ipotetico aneddoto di questo tipo ;P
Ultima cosa: il titolo della storia è un verso tratto dal
brano Malpractice dei FNM, sempre tratto da Angel Dust.
E niente, mi pare di non dover aggiungere altro, ma come
sempre se avete dubbi o domande, non esitate a farmelo sapere!
Grazie a chiunque sia giunto fin qui e vi do appuntamento al
prossimo dei miei infiniti deliri ♥
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