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Autore: Kim WinterNight    17/04/2020    3 recensioni
[Sequel di "I claim as mine".]
«Perché un elettrocardiogramma?»
«Signor Patton, ha avuto uno svenimento. È solo un controllo di routine» mi spiega il medico.
Sbuffo e lo lascio fare, mentre mi attacca gli elettrodi e armeggia con il macchinario per l’ECG.
È vero, sono svenuto due volte nel giro di una settimana, ma siamo in tour e sicuramente è per questo che il mio corpo non ha retto. Non so perché ho lasciato che Bill chiamasse il 911, mi sono ripreso quasi subito e invece ora sono su questa barella a farmi visitare come un terminale.
Sbuffo ancora e il medico aggrotta la fronte. «Assume dei farmaci, signor Patton?» chiede.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bill Gould, Jim Martin, Mike Patton, Nuovo personaggio, Roddy Bottum
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'You're my flavor'
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Caffeine
 
 
 
 
 
 
«Perché un elettrocardiogramma?»
«Signor Patton, ha avuto uno svenimento. È solo un controllo di routine» mi spiega il medico.
Sbuffo e lo lascio fare, mentre mi attacca gli elettrodi e armeggia con il macchinario per l’ECG.
È vero, sono svenuto due volte nel giro di una settimana, ma siamo in tour e sicuramente è per questo che il mio corpo non ha retto. Non so perché ho lasciato che Bill chiamasse il 911, mi sono ripreso quasi subito e invece ora sono su questa barella a farmi visitare come un terminale.
Sbuffo ancora e il medico aggrotta la fronte. «Assume dei farmaci, signor Patton?» chiede.
Scuoto il capo. «Assolutamente no.»
«Bene. Abbiamo finito, può rimettere la camicia» mi congeda, staccando i vari elettrodi dal petto e dalle braccia.
Mi rivesto in fretta, a disagio. Detesto queste cose, mi stanno facendo perdere tempo: ho da comporre per i Mr. Bungle, Zorn mi ha chiesto di lavorare su alcune tracce e poi quelli della Warner stanno già insistendo per avere il nuovo album dei Faith No More.
Esco dalla stanza e trovo Roddy e Bill ad attendermi. Il tastierista sembra agitato, mentre il bassista cerca di tranquillizzarlo battendogli su una spalla.
«Non sono morto, cosa sono quelle facce?» sdrammatizzo, passandomi una mano sul viso.
Il dottore che mi ha da poco visitato ci raggiunge, tenendo in mano una cartelletta. «Dovrete attendere almeno venti minuti per avere il referto. Intanto, signor Patton, ha detto che non prende farmaci.»
«Esatto, niente medicine» nego ancora.
«Vede, il fatto è che dall’ECG risulta qualcosa di strano, come se ci fosse un problema di tachicardia, come se lei assumesse dei farmaci stimolanti…» Poi il medico si blocca e mi fissa perplesso. «Lei beve abitualmente caffè o tè?» mi domanda.
Sorrido. «Caffè, certo. Mi aiuta quando sono in tour, poi se non ne prendo di mattina mi viene l’emicrania e non riesco a fare niente…»
«Ecco, lo sapevo» bofonchia Roddy.
Il dottore annuisce e mi rivolge un’occhiata dispiaciuta. «Dovrà interromperne l’assunzione, signor Patton. Almeno finché non avrà fatto degli accertamenti che…»
«Sta scherzando?» Scoppio a ridere di gusto. «Io non smetterò di bere il mio meritatissimo caffè, ha capito?»
L’uomo in camice si stringe nelle spalle. «Come vuole lei, ma così può rischiare di…»
«Non mi interessa cosa posso rischiare. So benissimo gli effetti che la caffeina può avere, ma non me ne importa. Lei ha idea di quanto il tour per un musicista sia stressante?»
«Esistono delle tisane rilassanti, non risolverà il suo nervosismo con dosi eccessive di caffè.»
«Eccessive?» Questo tizio mi sta facendo perdere la pazienza.
Bill se ne accorge e mi affianca, rivolgendo un breve sorriso al medico. «Dottore, ci scusi. Mike è molto turbato, vedrà che metterà in pratica i suoi suggerimenti. Aspettiamo qui il referto.»
Sto per ribattere e mandarli entrambi al diavolo, ma il bassista mi trascina via e mi fa sedere su una sedia in ferro battuto, proprio accanto a Roddy.
«Patton, vuoi rischiare di morire?» mi chiede senza preamboli.
Alzo gli occhi al cielo. «Rischiare di morire? Stai esagerando.»
«Mike, davvero…» Roddy solleva una mano e tenta di prendere la mia, ma io mi sottraggo e scuoto il capo.
«Non sto esagerando.» Bill incrocia le braccia sul petto ampio e mi fissa, è serissimo. «Se il tuo battito è accelerato, significa che il tuo sistema nervoso è sovrastimolato.»
«E allora? Che cazzo me ne frega?»
«Mike!» Roddy mi afferra per il braccio sinistro e mi strattona. «Sei rincoglionito? Ma ti ascolti quando dici certe cazzate?»
«Lasciami andare, Bottum!» sbotto, divincolandomi con forza. Perché questi due idioti mi trattano come fossi un bambino? A me il caffè piace, mi serve per stare bene e per cominciare bene la giornata. Mi aiuta a placare il mal di testa, a concentrarmi quando compongo, a combattere il sonno che cerca di sottrarre tempo prezioso alla musica.
Al mio lavoro.
Alla mia vita.
Se non riuscissi a lavorare come voglio, impazzirei. Mi sento stimolato da miliardi di idee, devo metterle in pratica e le giornate sono sempre troppo brevi. Il tempo è sempre troppo poco.
Senza caffè sprecherei un’infinità di ore, la mia acutezza mentale ne risentirebbe, la mia ispirazione andrebbe a puttane.
E cosa mi rimarrebbe?
Scuoto con vigore il capo e mi metto in piedi, spostando lo sguardo da Bill a Roddy e viceversa. «Sapete che c’è? Fatevi i cazzi vostri. Non ho più quattro anni, neanche mia madre mi tratta in questo modo. Pensate ai vostri problemi, alle vostre disfunzioni erettili del cazzo o a quello che vi pare. A me penso io.»
Forse ho esagerato, per un attimo mi viene in mente che potrei anche scusarmi. Ma no, basta, questi due mi hanno già obbligato a salire su un’ambulanza e a venire in questo cazzo di ospedale. Sto perdendo tempo.
Mi avvio lungo il corridoio e raggiungo il distributore automatico.
Frugo in tasca e ne estraggo alcune monete.
«Alla faccia vostra, mi prendo un bel caffè» sghignazzo, inserendo i soldi nell’apposita fessura.
Mi sento già meglio.
 
 
Una volta tornati finalmente in albergo, recupero il mio thermos e scendo al bar per chiedere che mi venga riempito di caffè bollente. Arraffo alcune bustine di zucchero di canna e torno nella stanza che condivido con Roddy e Jim.
Mi siedo nella poltroncina in tessuto verde e apro il mio blocco per appunti, concentrandomi sul lavoro che ho da fare.
Metto a fuoco alcuni pittogrammi sulla pagina sinistra, mentre sulla destra campeggia l’abbozzo di un testo per i Bungle.
Adocchio l’orologio appeso alla parete e mi rendo conto che è mezzanotte e venti. Posso farcela, la notte è giovane.
Jim russa beato sul suo letto, dev’essere davvero stanco. Roddy, invece, se ne sta seduto sul suo letto con le gambe incrociate. Non fa che fissarmi, sta cominciando a darmi sui nervi.
Per calmarmi, sorseggio un po’ di caffè e mi concentro sul mio lavoro. Comincio ad aggiungere delle parole, i versi prendono forma.
Poi mi sposto sul foglio con i pittogrammi e sistemo un po’ anche quelli.
È tutto perfetto, ma in un certo senso mi sento stanco. So che non posso semplicemente andarmene a letto, devo lavorare.
Sorseggio ancora un po’ di caffè.
Sento ancora lo sguardo bruciante di Roddy su di me e a questo punto sollevo il mio, inchiodandolo. «Che cazzo hai da guardare? Dormi e lasciami lavorare» sibilo.
«Ne bevi troppo, Mike» mormora.
«Ti ho detto che sono affari miei. I genitori ce li ho e non siete tu e Bill.»
Gli occhi del biondo non lasciano i miei. È palesemente preoccupato, ma a me non interessa. Io sono più preoccupato per tutte le cose arretrate che ho da fare.
Mi sento stranamente agitato, questa è proprio una giornata di merda. Sbuffo e lancio il quaderno sul pavimento, sentendomi frustrato e sotto esame.
Jim sobbalza sul suo letto, poi si rigira su un fianco e ricomincia a russare.
«Mike, per favore. Perché non ci dai ascolto? Lo diciamo per il tuo bene, non per romperti i coglioni» insiste Roddy, sporgendosi un poco in avanti.
«Invece non fate che rompermeli, eccome se me li rompete. Cristo, quanto vorrei guardarmi un bel porno…» bofonchio, passandomi distrattamente una mano sul cavallo dei pantaloni.
Sono sicuro che mi aiuterebbe a rilassarmi, almeno quello. Il mio cuore batte forte, è una sensazione talmente fastidiosa e strana da farmi innervosire.
«Mike?»
Tutto accade in fretta: la mia mano sinistra si preme in automatico sul petto, il respiro accelera e gli occhi mi si riempiono di lacrime. Roddy, come una scheggia, si alza e mi corre accanto.
Lo sento distrattamente accarezzarmi il viso e i capelli imperlati di sudore. Sento caldo, troppo caldo. Vorrei che smettesse di toccarmi, ma allo stesso tempo ne sento il bisogno.
Lo sento urlare, pronuncia il nome di Jim finché il chitarrista non si sveglia.
«Vai a prendere della camomilla, qualcosa… ti prego!» gli ordina Roddy, sempre cercando di tranquillizzarmi. «Mike, ehi, Mike! Guardami, non chiudere gli occhi. Respira. Su, fai quello che faccio io: inspira, espira.»
Lo vedo prendere una lunga boccata d’aria e mi ritrovo a imitarlo, anche quando rilascia lentamente l’aria. Il suo viso è distorto in una smorfia di preoccupazione, so che a lui importa qualcosa di me.
Jim borbotta ed esce rumorosamente dalla stanza, sbattendo la porta.
Mi sputerà dentro la camomilla, in fondo me lo merito.
«Mike, allora? Inspira, espira! Coraggio!» Roddy mi afferra per le spalle e mi scuote appena, incitandomi a reagire.
Inspiro, espiro. Inspiro, espiro. Sono esercizi che faccio spesso anche prima di cantare.
Non so cosa mi sia preso, oggi è decisamente una giornata terribile. Non è neanche il tredici del mese, perciò arrivo alla conclusione che Bottum e Gould hanno cospirato contro di me per far abbattere sulle mie spalle le loro insinuazioni da uccellacci del malaugurio.
Mi scappa una risata e Roddy si rilassa visibilmente, crollando sul bracciolo della poltroncina accanto a me. Mi prende il viso tra le mani e mi fissa dritto negli occhi, come mai aveva fatto prima d’ora. Mi fa quasi paura, ora non so cosa aspettarmi.
«Non farlo mai più, mi hai fatto perdere dieci anni di vita» esala.
«Lasciami» ringhio. «Ho bisogno di… respirare.»
Roddy si alza e si allontana da me, ma non smette di tenermi d’occhio. Appoggio le mani sui braccioli e continuo a prendere profondi respiri.
«Hai continuato a bere quella roba anche se sei finito in ospedale» mi rimprovera il tastierista.
«Il caffè non c’entra…» farfuglio, ma in realtà non ne sono pienamente convinto.
«Andiamo, Mike! Puoi farmi il favore di evitare di berne almeno finché non avrai fatto dei controlli più approfonditi? Con il cuore non si scherza.»
Gli rido in faccia, ma chi si crede di essere? Perché mai dovrei fare un favore a lui?
«Ti stai montando la testa, eh?» lo accuso.
«Ma cosa dici?»
«Solo perché ogni tanto ti sbatto come una puttanella, credi di avere il diritto di farmi la paternale o di trattarmi come un poppante?»
Mike, cosa cazzo dici? Stai esagerando, chiedigli scusa!
Roddy ammutolisce e mi guarda, non so neanche come interpretare quegli occhi sgranati e intrisi di dolore. «Sai una cosa, Patton? Fai quel cazzo che ti pare» conclude, per poi lasciare in fretta e furia la stanza.
«Che coglione…» mormoro.
E lo dico solo a me stesso, perché so che l’ho ferito e non avrei dovuto neanche pensare di pronunciare quelle parole orribili.
Poco dopo Jim torna in camera con una tazza fumante.
Si guarda attorno, poi mi rivolge un’occhiata interrogativa.
«È andato via» dico soltanto.
«La camomilla?» chiede il chitarrista a disagio.
Finché c’era Roddy, era facile ignorarci e comunicare soltanto tramite lui. Ora è tutto complicato, io e Jim non sappiamo come comportarci.
«Dammi, ci penso io» bofonchio.
Lui si avvicina titubante, come se temesse un assalto da parte mia. Possibile che tutti sono intimoriti dalle mie reazioni?
In genere mi diverte sapere di incutere un po’ di timore nel prossimo, ma oggi è diverso. Mi sento quasi infastidito da me stesso, non capisco proprio che succede.
Guardo la tazza con fare scettico, poi osservo Jim. «Non ci hai sputato dentro, vero?» tento di scherzare.
Lo vedo chiaramente serrare la mascella, probabilmente vorrebbe lanciarmi la tazza in faccia e lasciarmi solo come ha fatto Roddy.
Te lo meriti, testa di cazzo.
Gli sfilo l’oggetto dalle mani e gli sorrido appena.
Lui mi volta le spalle e si avvia nuovamente verso il proprio letto.
«Ehi, Big Jim!»
Torna a guardarmi di sottecchi, in attesa che io dica qualcosa.
«Grazie» mormoro.
Almeno con lui posso cominciare a comportarmi meglio, almeno per stasera. Perché non è un giorno come un altro.
Sospiro e mi preparo a ingurgitare quella brodaglia. Me la merito, mi merito quel sapore orribile e per niente fragrante.
Ho trattato di merda Roddy.
Nell’oscurità, lascio che una lacrima solitaria mi solchi la guancia destra.
Oggi posso permettermi questa lacrima, me la merito.
 
 
Andare avanti senza caffè si sta rivelando difficile, ma non impossibile.
L’emicrania mi dà noia, ma cerco di scacciarla pensando al lavoro. Compenso con delle gomme da masticare, caramelle o roba simile. Mi sento come uno di quelli che smette improvvisamente di fumare e cerca appiglio in qualcos’altro.
Roddy mi evita, ha smesso di parlarmi e la cosa mi permette di lavorare meglio, anche se nei momenti meno opportuni le parole che gli ho rivolto mi bruciano nel cervello e mi fanno sentire una vera merda.
Abbiamo qualche giorno di pausa dal tour, così ne approfitto per recarmi in ospedale per fare degli altri esami al cuore.
Mi sento agitato, ma non ho detto a nessuno dove stavo andando. A Roddy non importa, Bill sicuramente è stufo di star dietro alle mie stronzate. Con Jim non ci parlo, e Puffy… io e lui non siamo propriamente in confidenza, non gli avrei mai chiesto di accompagnarmi.
Lo avrei chiesto a Trevor se fossi stato in tour con i Mr. Bungle, ma ovviamente il mio amico ora si trova chissà dove a fare chissà cosa. non ci sentiamo da un po’, lo andrò a trovare quando sarò nuovamente a Eureka e avrò il tempo per passare anche dai miei genitori.
La dottoressa del reparto di cardiologia di questo ospedale è carina, sembra avermi riconosciuto e il suo atteggiamento mi irrita. È troppo gentile, poco professionale e piuttosto appiccicosa.
«Suonerà con la sua band stasera?» mi chiede a un certo punto, sfoderando un sorriso a trentadue denti e mettendo in mostra il suo viso giovane e luminoso.
«No, domani. Vuoi venire a sentirci?»
«Non ho trovato i biglietti, sono andati a ruba» ribatte, sbattendo le ciglia. «Prego, si tolga la maglietta» aggiunge, umettandosi appena il labbro inferiore.
Forse crede che non me ne sia accorto, forse lo ha fatto apposta perché lo notassi. Faccio ciò che mi dice e lascio che sistemi gli elettrodi sul mio corpo.
Noto i suoi occhi indugiare sulla mia pelle chiara e la cosa mi infastidisce ancora di più. Per questo voglio illuderla.
«Se mi dici come ti chiami, ti metto in lista. Basta che dici che sei con me e ti faranno passare» propongo, sapendo che non lo farò mai.
«Dici davvero, Mike?» chiede, facendosi ancora più vicina.
Mi trattengo per non spingerla via. Inspiro, espiro.
Mi viene in mente Roddy.
«L’ECG che dice?» chiedo, cambiando argomento.
«Sei sano come un pesce» replica tranquillamente.
Sgrano gli occhi. «Che cosa? E quello?» chiedo, indicando il referto dell’esame effettuato qualche giorno fa a Detroit.
La giovane dottoressa bionda prende in mano i fogli e li esamina, aggrottando le sopracciglia sottili e ben curate. «Dev’esserci stato un errore. Dall’elettrocardiogramma che ti sto facendo, risulta che è tutto a posto. Forse quel giorno eri agitato o in ansia per qualcosa, può capitare…»
Mi strappo gli elettrodi di dosso, stento quasi a crederci.
Infilo in fretta e furia la t-shirt e mi avvicino a lei, prendendole le mani tra le mie in un impeto di gioia incontrollabile. Sorrido come un ebete, questa qui finirà davvero per illudersi.
«Oh, Mike… ma che…»
«Questo significa che posso bere quanto caffè voglio! Stavo impazzendo!» Porto le sue mani alle labbra e le bacio. «Grazie, sei un angelo, te l’hanno mai detto? E non solo perché sei bionda, eh!»
Lei sorride con fare accattivante e cerca di avvicinarsi di più, ma subito la lascio andare.
«Corro a prendermi un caffè al distributore automatico, tu intanto stampami il referto! Ho fretta, puoi fare presto? Grazie!»
Lei mi fissa confusa, ma io non le do il tempo di fare altro che subito mi catapulto fuori dalla stanza.
«Comunque mi chiamo Serena!» la sento strillare alle mie spalle, ma le sue parole mi scivolano addosso senza suscitare alcun interesse in me.
L’unica meta che ho ben impressa in mente è il distributore automatico che custodisce il mio meritatissimo caffè.
 
 
Non dico niente ai ragazzi, ma fortunatamente condivido la camera con Roddy. Voglio sistemare le cose e voglio che sappia che sto bene.
Siamo ognuno nel suo letto, come succede spesso. Non andiamo mai a sdraiarci insieme, di solito sono io a raggiungerlo e a intrufolarmi tra le sue lenzuola.
È così che faccio anche stanotte, dopo aver finito di comporre il brano per i Mr. Bungle e aver dato un’occhiata al materiale per la collaborazione con John Zorn.
Mi inginocchio sul materasso e scosto le coperte, sdraiandomi al suo fianco. Mi metto supino e respiro piano, tenendo gli occhi chiusi e le mani intrecciate sul torace.
Roddy mi ignora e si rannicchia più vicino alla parete.
«Ho rifatto l’ECG. Non ho niente, il mio cuore è sano. Posso bere tutto il caffè che voglio» racconto.
«Ah» è tutto ciò che si lascia sfuggire in tono laconico.
È incazzato nero, ha tutte le ragioni del mondo. Sarò pure stronzo, ma mi accorgo di quando dico o faccio delle cazzate.
Sospiro. «Roddy… non volevo dire quelle cose.»
«Ma le hai dette. Vattene dal mio letto, Patton.»
«Ero… okay, non ho giustificazioni. Penso che dovrei scusarmi» ammetto, sentendomi un po’ in imbarazzo ma anche più sollevato.
«Credi che io ti perdoni così facilmente? Hai usato dei termini davvero pesanti. Non capisco perché, davvero. A volte mi ripudi, ripudi quello che succede tra noi. Se ti faccio schifo, allora perché…»
Mi volto nella sua direzione e mi spingo accanto a lui, chiudendogli la bocca con un bacio. Non voglio sentirlo parlare così.
Lui mi spinge via e scuote il capo. «Non provarci. Non funziona così, mi dispiace.»
Lo fisso, è veramente furioso e deluso.
Sospiro. «Ascolta, Roddy… okay, ammetto di essere un coglione, a volte. Molte volte. Ma la verità è che… no, non mi fai schifo, non lo devi pensare. E…» Mi passo una mano tra i capelli, cercando le parole giuste da dire. «Se non ci fossi stato tu l’altro giorno, non so come avrei fatto. Mi dicevi: inspira, espira, inspira, espira… mi hai aiutato, anche se io ti ho trattato male e ho mandato al diavolo te e Bill.»
«Tutto molto commovente. Adesso te ne vai?» sputa, mettendosi a sedere per fissarmi dall’alto in basso.
Non voglio andarmene, non voglio che sia ancora arrabbiato con me.
Mi metto a sedere a mia volta e sollevo la mano sinistra, sistemando una delle sue ciocche bionde dietro l’orecchio. «Ehi» mormoro.
«Mike, piantala» sussurra a sua volta.
«Ehi, dai… mi dispiace, okay? Cazzo, è stato difficile da dire, ma è così. Ho esagerato. Non pensavo quelle cose…»
Mi guarda dubbioso, ma io subito lo prendo tra le braccia e lo stringo a me.
Oppone resistenza, ma poi lo sento sciogliersi contro di me e ricambiare la stretta. «Come devo fare con te?» si lascia sfuggire.
«Non farmele passare lisce, mai» replico, lasciando scorrere le dita tra le sue ciocche morbide.
Roddy sospira e si lascia cadere sul materasso, trascinandomi con sé. Rimaniamo abbracciati per un po’, immersi nell’oscurità e nel silenzio.
È surreale, stare così con lui è surreale. Ogni tanto ci penso e mi sento a disagio, ma quando poi mi ritrovo in questi momenti ogni dubbio svanisce ed esistono solo i suoi abbracci rassicuranti e quella sua dolcezza a cui non riesco a rinunciare.
«Non dovresti comunque esagerare con il caffè» dice lui dopo un po’.
Mi lascio sfuggire una risata mentre lo accarezzo piano sulla schiena. «Sai che non posso farne a meno» ammetto.
«Lo so. Non puoi fare a meno di un sacco di cose…»
«Della musica, del caffè.» Rido. «Dei film porno, di masturbarmi…»
«Lo so a memoria, sei noioso» mi schernisce, facendo per allontanarsi da me.
Prendo il suo viso tra le mani e lo immobilizzo, immergendo i miei occhi nei suoi.
Ci fissiamo per un po’ e io vorrei dire qualcosa di carino, lo vorrei davvero. Ci provo sempre, ma non ci riesco mai.
Perché in fondo non sono altro che un pezzo di merda senza cuore, è lui stesso a dirmelo a volte.
«E di scoparti» sussurro.
Era proprio quello che non avresti dovuto dire.
Ma Roddy sorride, lui capisce cosa intendo. Lo sa anche se lo dico nel modo sbagliato, anche se non uso parole dolci e toni delicati.
Sorride e schiude le labbra, lasciando che le palpebre si abbassino appena.
Sghignazzo e lo faccio sdraiare supino, fissandolo con insistenza.
«Mike…» mugola.
«Dimmi solo se ce l’hai ancora con me.»
«Un po’ sì…» Mentre pronuncia quelle parole, inarca appena il bacino e lo fa cozzare prepotentemente contro il mio. «Perché non ti fai perdonare?» domanda con fare suadente.
Sussulto e ringhio appena. «Lo vedi che ho ragione?»
«Su cosa?» chiede, circondandomi il collo con le braccia.
Gli strappo un bacio passionale e serro i suoi fianchi tra le mani. «Vuoi essere sbattuto come una puttanella.»
«Può darsi…» Roddy ghigna. «L’hai detto due volte.»
Lo fisso confuso.
Lui lascia scivolare una mano tra i nostri corpi, per poi raggiungere la mia erezione e stringerla con forza. «Dovrai farti perdonare due volte…»
Le sue parole scivolano sulla mia pelle e la increspano.
Inspiro, espiro.
Mi impossesso delle sue labbra e so che ha capito.
Ha capito che mi dispiace davvero.
Mentre ci spogliamo, penso al fatto che con dei problemi al cuore avrei dovuto rinunciare al caffè, ma anche a un sacco di altre cose.
Ci sarei dovuto andare piano con il sesso e non avrei più potuto soddisfare quel biondino come gli piaceva.
Con forza, con ardore, con trasporto.
Per fortuna sono sano come un pesce, come ha detto quella troietta bionda.
Mi fermo con le mani sull’elastico dei boxer di Roddy e lo guardo dritto negli occhi.
«Che c’è?» ansima, immergendo le dita tra i miei capelli.
«Domani una dottoressa di nome Serena verrà a cercarmi al concerto. Ci provava spudoratamente con me e ha fatto in modo che la invitassi al nostro concerto. Le ho detto che l’avrei messa in lista. Beh, non credo che lo farò.»
«E questo cosa dovrebbe significare?»
Mi stringo nelle spalle e gli strappo via l’ultimo indumento che mi separa dal suo sesso caldo. «Niente, non so neanche il suo cognome, come potrei segnarla nella lista dei prescelti?»
Roddy, in tutta risposta, stringe più forte i miei capelli e mi spinge verso il basso.
È finito il tempo di scherzare, Mike, datti da fare, sembra gridarmi.
Anche il piccolo scappellotto che mi lascia prima di costringermi ad accogliere il suo membro tra le labbra me lo fa capire.
E mi fa capire che non ce l’ha più con me.
Mi ha capito e mi ha accettato.
Ancora.
 
 
 
 
 
 
♥ ♥ ♥
 
Niente, ci sono cascata anche stavolta.
Non sono riuscita a scrivere questa storia senza poi sviluppare ancora una volta la mia OTP Suprema!
E quindi ecco a voi la quarta storia della serie You’re my flavor, le cose si fanno SEMPRE PIÙ GRAVI!!!!
L’idea è nata proprio dal fatto che mi sono chiesta: come reagirebbe Mike se si ritrovasse a non poter più bere caffè per via di un problema cardiaco? XD
Ovviamente io mi auguro che Mike non ne soffra, ma mi sono divertita a pensarci e certe scenette di questa OS ammetto che sono state esilaranti da scrivere!
Ho un paio di spiegazioni da darvi: ho nominato i Mr. Bungle, ovvero il primo vero progetto di Mike, ancora prima che entrasse a far parte dei Faith No More e in cui ha continuato a militare anche durante la permanenza nei FNM; anzi, i Mr. Bungle sono esistiti anche dopo lo scioglimento dei FNM negli anni Novanta! Trevor Dunn, nominato sempre nella storia, è appunto un amico d’infanzia di Mike, nonché bassista dei Mr. Bungle e di un sacco di altri progetti in collaborazione con il cantante. I due sono cresciuti insieme a Eureka e sono veramente molto legati ^^
John Zorn, invece, è un musicista polistrumentista jazz sperimentale che ha collaborato e continua a collaborare con Mike in un sacco di progetti, hanno fatto davvero tante cose insieme e Zorn non si dimentica mai di Mike quando ha in mente musica nuova!
Tornando alla storia… che ne pensate? Spero davvero che vi sia piaciuta, per fortuna poi tutto si è risolto per il meglio!
Ho voluto anche affrontare un piccolo litigio tra Mike e Roddy, mica il cantante può sempre passarla liscia… no? ^^
Per fortuna poi sono riusciti a fare pace e ora li aspetta una bella e focosa riconciliazione che, ovviamente (dato che sono stronzerrima e vi voglio torturare XD), ho deciso di non raccontarvi :D
So che mi volete uccidere, ma mica sempre posso creare storie a rating altamente elevatissimi, dico bene? Abbiate pazienza! X’D
Grazie a tutti voi che siete arrivati fin qui, vi mando un forte abbraccio e vi sono infinitamente grata per il continuo supporto che mi riservate! *___*
Alla prossima ♥
  
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