“Priviet, Boriska”, saluta una voce alle mie spalle.
Sono impegnato, a capo chino, a montare dei pezzi
di un aggeggio con un cacciavite e al suono di queste parole i miei
movimenti iniziano a rallentare.
È tornato.
Di nuovo.
Prendo un respiro profondo e chiudo gli occhi un
istante, prima di girarmi verso di lui e chiedere con aria minacciosa:
“Cosa vuoi?”, senza
però scompormi più di tanto.
Lo vedo qui di fronte a me, rigido nella sua
posizione, mentre stringe un pugno, come per farsi coraggio e prendere
parola.
“Voglio parlare” esordisce,
aspettando con ansia la mia reazione.
“Vuoi parlare?” ripeto,
avvicinandomi a lui con aria ostile. Sul serio? “E sentiamo,
cosa devi dirmi?” pronuncio a pochi centimetri dal suo volto.
Questo contatto ravvicinato mi consente di notare
le rughe sul suo viso, segno del passare degli anni. Lo ricordavo molto
diverso e, forse, è per questo che non l’ho
riconosciuto subito.
“Mne zhal', Boriska”. Queste
semplici parole escono come un soffio dalle sue rigide labbra e mi
fanno subito pentire di avergli dato l’occasione di dirle.
“Ti…dispiace?”. Ho
capito bene? Sorrido con aria stizzita tra me e me, scuotendo la testa
e portando gli occhi al cielo. Mi allontano lentamente, massaggiandomi
il centro della fronte, come a voler reprimere tutte quelle vocine che,
nella mia mente, stanno lottando per far emergere la parte peggiore di
me. Per fortuna, però, un altro profondo respiro mi aiuta a
portare ossigeno al cervello e reprimerle. Dopo alcuni secondi riesco a
destarmi da questo stato confusionale e mi rigiro verso di lui,
fissandolo di traverso.
“E sentiamo, per cosa ti
dispiace?” . Incrocio le braccia al petto, poggio il sedere
sul bordo del tavolo per mettermi comodo e attendere, con impazienza,
le sue argomentazioni.
“Di tutto…” riesce
a dire, sforzandosi nel parlare in una lingua a lui estranea.
“Troppo generico, non credi?”
puntualizzo, con aria seccata.
Ecco che il suo petto si gonfia e le sue mani
entrano nelle tasche della giacca di pelle, per trovare appiglio in
qualcosa, o probabilmente, questo gesto esprime la sua voglia di
nascondersi sottoterra dalla vergogna.
“Per avere abbandonato te”
confessa, con tono mesto, mentre io volgo lo sguardo altrove, stringo i
denti e indurisco la mascella, cercando di contenere la rabbia.
“Io…” aggiunge
poi, alla ricerca delle parole giuste “sofferto molto questa
decisione”. Non gli credo alle sue paole e il mio sguardo
glielo sta comunicando. “Ho dovuto fare questo” si
giustifica, amareggiato. “Io…mai dimenticato di
te”. Ok, adesso abbasso la testa per trattenere una risata di
sfottimento. È ridicolo! Sarebbe più saggio
fermarsi e non aggiungere altre cazzate. Tuttavia, voglio vedere fin
dove è disposto ad arrivare ed attenderò qualche
attimo prima di esplodere. “Io stato in carcere e pentito per
tutto. A capire miei errori”. Quindi il carcere
l’avrebbe aiutato a capire che razza di uomo schifoso
è veramente?. “E io venuto qui per cercarti e
avere tuo perdono…” conclude poi, con tono
sommesso e da ciò intuisco che il suo discorso è
giunto a conclusione.
Sono commosso, veramente.
“Ti ci sono voluti quasi
vent’anni per capire questo?” domando in tono
sarcastico, al limite dell’incredulità.
“ Tu vieni qui, dopo anni, per chiedere il mio
perdono?”. Senza rendermi conto mi sono avvicinato a lui per
guardarlo dritto negli occhi. “ Hai idea… di
quello che ho passato da quel maledetto giorno? Quando, senza un minimo
di scrupolo, mi hai usato come merce di scambio?” sibilo con
rabbia, avvicinandomi sempre di più al suo volto, che, ad
ogni parola vomitatagli addosso, chiude ritmicamente gli occhi.
La tensione nell’aria è
quasi palpabile.
Sento pulsare la rabbia nelle vene e il cuore, in
petto, mi martella in un ritmo sempre più crescente, fino a
sentirlo in gola.
“Hai una vaga idea di quello che ho
passato in quella sottospecie di monastero?! Hai idea di quello che ho
subito?”. Digrigno i denti sempre di più, facendo
persino fatica a pronunciar chiaramente le parole. Penso che non
reggerò a lungo tutte queste emozioni. Mi sento strano, e
perciò decido di allontanarmi per sfogare la rabbia dando un
pugno sul tavolo con tutta la forza che ho, facendo scuotere i vari
oggetti violentemente “No che non lo sai!”.
Porto le mani ai capelli, cercando in tutti i
modi di regolarizzare il respiro e il battito.
Controllati, Boris, mi ripeto mentalmente.
Ma i ricordi riaffiorano
prepotentemente alla mente, facendomi rivivere, in sequenza,
momenti della mia vita che avevo sepolto nella memoria. E fanno male.
“ Nessuno mi ha mai
adottato…” rivelo, inghiottendo un boccone amaro.
“ Perché ero troppo grande e tutti preferivano i
bambini di pochi mesi. Nessuno… voleva il figlio di un
drogato. Troppo problematico da gestire…”.
Abbasso la testa e chiudo gli occhi, prendendo un
ultimo e profondo respiro.
“ Sono cresciuto da solo”
dico, poi, incrociando quegli occhi. “Tutto ciò
che ho fatto, tutto ciò che ho oggi” continuo a
dire con risentimento, puntando un dito verso una direzione ignota
“l’ho ottenuto da solo! Devo tutto a me stesso e
non ho bisogno di nessuno, tantomeno di te! Sinceramente, non so che
farmene delle tue scuse! Non ti conosco e non voglio
conoscerti…” puntualizzo con serietà.
“Quindi, così come sei venuto, te ne vai e non
farti più vedere!” concludo categorico, svuotando,
finalmente, tutto quello che per anni ho tenuto dentro.
Detto questo, gli rivolgo un’ultima
occhiata piena di odio e gli giro le spalle, tornando al mio lavoro,
come segnale che questa conversazione è giunta alla sua
tragica fine.
Tuttavia, nonostante io cerchi di ignorare la sua
presenza, fingendomi indaffarato ad armeggiare con un cacciavite, lui
rimane ancora lì per un tempo che mi sembra indefinito.
Credo di essere stato abbastanza chiaro e non ho
intenzione di ripeterglielo un’altra volta, perché
non mi limiterei a utilizzare solo le parole.
“Boriska…”.
Ancora con questo nome del cazzo!
Stringo i denti, usando tutta la forza che ho per
stringere questa maledetta vite.
“Sono comunque contento di averti
visto…”. Wow, ad un tratto sembra conoscere la
nostra lingua o forse sta iniziando parlando in russo e non ci sto
capendo più un cazzo nella mia testa. Maledetta vite! Con un
gesto repentino cambio arnese, nella speranza di riuscirci. Ma vedo
tutto sfocato e non riesco a vedere bene.
“…E che sei diventato una
persona migliore rispetto a me! So di non meritare il tuo perdono, ma
spero che un giorno riuscirai a farlo e magari potremo parlare un
po’. Ci sono delle cose che vorrei raccontarti. Io
ho…mi sono sposato qualche anno fa e…ho avuto un
bambino. Mi piacerebbe che lo conoscessi. Lui sa di te e gli farebbe
piacere conoscerti. Se un giorno dovessi cambiare idea, questo
è il mio numero e il mio indirizzo a Mosca. Non so se
tornerai mai, ma voglio almeno sperarci”.
Fanculo, non ci riesco, non riesco a vedere un
cazzo. Con un gesto del polso asciugo il naso da cui sembrano
fuoriuscire gocce di acqua salata. Avverto un gran dolore
all’altezza della gola e mi è difficile persino
deglutire.
“ Ti auguro buona fortuna, Boriska.
Addio”.
Queste sono state le ultime parole di mio padre,
prima di uscire dall’officina. Il rumore dei suoi passi
risuona nella mia mente, facendo riaffiorare immagini del passato che
sembrano ancora vivide nella memoria.
Mi trascinava lungo le gelide vie della periferia
di Mosca. Volevo tornare a casa, ma lui mi costringeva a camminare,
dicendomi di smetterla di dimenarmi per non attirare
l’attenzione dei passanti. Poi, giunti a un vicolo buio, ci
fermammo. Alzai gli occhi e vidi altre persone a cui mi
consegnò. Non volevo abbandonare la sua mano, ma la sua
lasciò facilmente la mia. E lo vidi andarsene, senza mai
voltarsi, anche solo per salutarmi o guardarmi un’ultima
volta. Io rimasi a fissare la sua figura svanire, richiamandolo una,
due e forse chissà quante volte. Ma non si voltò
mai.
“Hey”.
Una mano si poggia sulla mia schiena, facendomi
ripiombare improvvisamente nella realtà.
***
“ Boris, tu
stai…”.
Ero venuta in officina con la scusa di portargli
un caffè, ma mi sono dovuta fermare notando la presenza di
un altro uomo con cui Boris parlava animatamente. E così ho
capito che era lui: suo padre. Sono rimasta in silenzio fuori ad
origliare ciò che si dicevano, anche se è stato
difficile capire tutto. Soprattutto le ultime frasi, dette in russo, da
quell’uomo. Non ne ho capito il significato, ma avevano tutta
l’aria di essere un addio. Una volta andato via e
assicuratami che fosse rimasto solo, ho deciso di entrare. Sembrava
perso in chissà quali pensieri, tanto da non essersi accorto
del mio arrivo e, delicatamente, gli ho messo una mano sulla schiena.
“ Boris…tu stai
piangendo” affermo, osservandolo sconvolta.
“No” nega, dandomi subito le
spalle. “E’ solo allergia”, inventa, con
tono di voce strano. “Cazzo…” lo sento
imprecare a bassa voce, asciugandosi il viso con un lembo della
maglietta.
Sorrido tra me e me, osservandolo questa scena.
“ Boris, non devi
vergognarti” lo tranquillizzo, strofinandogli una mano sulla
schiena, come a farlo calmare.
“Te l’ho detto, è
l’allergia” ripete a dire, girandosi di nuovo,
dall’altra parte.
“ Ok, ok” affermo
arrendevole, portando gli occhi al cielo.
Decide di sedersi a terra, con schiena poggiata
al muro, muovendo gli occhi, in modo da auto-costringersi a non
piangere. Cioè, voglio dire, per non permettere
all’allergia di far uscire lacrime dai suoi occhi.
“ E sentiamo…”
inizio a dire, poggiando le ginocchia a terra per posizionarmi di
fronte a lui. “ A cosa sei allergico?” domando,
muovendo la testa in modo da costringerlo a incrociare il mio sguardo.
“ Ai rapporti familiari”
confessa, abbozzando una risata.
“ Capisco…” mi
limito a dire, abbassando gli occhi.
Ho sentito la maggior parte delle cose che si
sono detti e capisco che deve essere stato difficile affrontare una
situazione del genere.
“Mi sento così
ridicolo” ammette, cercando di nascondere
l’imbarazzo.
“Non sei ridicolo, sei solo
umano” gli spiego, sorridendo e accarezzandogli una gote.
“ Preferirei che non dicessi agli
altri…”.
“ Della tua allergia, lo so”
intervengo prontamente a completare la sua frase, consapevole di
ciò che stava per chiedere.
Tranquillo, non dirò ai tuoi amichetti
che Boris Huznestov ha pianto.
È strano vedere in questo stato un
ragazzo come lui, all’apparenza, emotivamente inscalfibile.
Da quando è riapparso suo padre, si
è comportato in maniera diversa, è diventato
emotivamente instabile. Fino a pochi minuti fa era così
arrabbiato che sembrava volesse esplodere e adesso, eccolo qui, seduto
a terra nella sua officina con gli occhi arrossati, ad asciugarsi il
viso con la maglietta.
Per la prima volta, Boris riesce a trasmettermi
una gran tenerezza, lo ammetto. Sembra come un grande orso bisognoso di
affetto, seppur si ostini a non ammetterlo. Sono sicura che in questo
momento il suo orgoglio sia stato gravemente ferito dalla mia presenza.
Insomma, uno come lui che piange davanti ad una ragazza?
Tzè. Giammai!
“Non devi vergognarti, ok? Quante volte
hai visto piangere la sottoscritta?” gli ricordo, sorridente.
“Ma tu sei una donna”. Ecco,
come immaginavo: l’orgoglio dell’uomo che non deve
mai mostrarsi debole di fronte agli altri.
“Boris, hai vissuto così
tante emozioni contrastanti in questi giorni, che alla fine il tuo
corpo ha ceduto” spiego, sotto il suo sguardo scettico,
cercando di fargli capire che è un essere umano e, in quanto
tale, prova delle emozioni. “Su forza, vieni” dico,
aprendo le braccia e incoraggiandolo ad avvicinarsi.
“Che cosa vuoi fare?”
domanda, fissandomi storto.
“Voglio abbracciarti”.
“Perché?” chiede
perplesso, pulendosi le ultime gocce sul viso.
“Perché dopo ti sentirai
meglio, vedrai!”.
Dopo attimi di esitazione, stacca la sua schiena
dalla parete e si avvicina a me, che con un gesto lento, ma deciso,
circondo, con le mie braccia, il suo corpo rigido.
Ok, ammetto che è imbarazzante, ma
voglio fargli provare, almeno una volta, il calore di un abbraccio,
vero e sincero.
“In teoria, dovresti
ricambiare” gli spiego, suggerendogli implicitamente di
rilassarsi.
Sembra di abbracciare una statua di marmo gelido.
***
Ok, gente. Tutto ciò mi mette a
disagio.
Sento il corpo di Anya a contatto col mio e le
sue braccia lo circondano totalmente.
È stato già imbarazzante
farsi scoprire mentre, ahimè, piagnucolavo, e adesso mi
pento di aver accettato questa bizzarra richiesta.
Sento la sua mano accarezzarmi la schiena,
provocandomi alcuni brividi e devo ammettere che non è male.
È quasi piacevole. Lentamente rilasso il corpo, affondando
il mento nell’incavo della sua spalla, respirando il suo
profumo. Poi alzo le mani, giungendole dietro la sua schiena.
“ Boris, mi dispiace per ciò
che hai passato” rivela in un sussurro, alludendo
probabilmente alla vicenda di mio padre. “Tu sei
migliore di quanto pensi”. E queste parole mi fanno
desiderare ancor di più quest’abbraccio.
Passano alcuni minuti che sembrano durare
un’eternità, durante i quali mi perdo nel flusso
dei miei pensieri.
Si è fatto una famiglia e ha avuto un
figlio. Perché è venuto a dirmelo? Crede che me
ne importi qualcosa? Come può uno come lui badare a un altro
essere umano? E cosa pretende? Che vada a trovarlo e instaurare
rapporti con la famiglia che mi è stata sempre negata?
Non ho bisogno di tutto questo.
Ho la mia vita, le mie strambe abitudini.
Ma sto bene, anche da solo.
Beh, in realtà non sono proprio solo.
“ Bene, adesso puoi
lasciarmi” le sento dire, ma io sono troppo impegnato a
vivere alcuni ricordi per darle ascolto.
Yuri, Kai, a loro modo, mi sono sempre stati
vicini e ci siamo sempre aiutati l’uno con l’altro.
Sono quasi come una famiglia per me. E adesso, a
questa strana famiglia, si sono aggiunte Hilary, Anya e dei piccoli
marmocchi. Ed Eva, anche se da un po’ di tempo il
nostro rapporto non è più come prima.
“ Boris?” mi richiama, in
tono preoccupato, dal momento che non mi decido a mollare la presa,
nonostante una sua certa resistenza.
Sono contento così.
Non ho bisogno di un padre come lui. E poi cosa
pretende? Che ci vediamo nelle riunioni familiari a Natale e Capodanno
come se niente fosse?
Nah.
Non sono pronto a questo.
“ Boris!”.
“ Che c’è? Ancora
un po’, non è così male!”
confesso, ridendo.
“ Penso che possa bastare”
puntualizza lei, contrariata.
E va bene, Sarizawa.
Come ordinatomi, la lascio andare, sorridendo tra
me e me.
“ Ti senti meglio adesso?”
domanda, apprensiva.
“Beh, un
po’…” affermo, facendo spallucce.
“Cavoli, io devo andare o Dana mi
ucciderà!” si ricorda improvvisamente, alzandosi
di scatto, sotto il mio sguardo divertito. “ Ti mando un
messaggio più tardi, ciaoooo!” saluta, andandosene
via di corsa e lasciandomi qui seduto, all’inizio sorridendo
al pensiero che Dana la aspetti col machete in mano in caffetteria, poi
però, il ricordo di ciò che è successo
prima mi costringe a tornare serio.
Lascio cadere pesantemente la schiena sulla
parete, espirando sonoramente e fissando punti indefiniti del soffitto.
Si è riportata il mio caffè.
***
“Ok, scusami, scusami,
scusami!” dico pentita, a una Dana che mi fissa in modo
terribile.
“Da domani, il signorino Boris
è pregato di portare le sue chiappe qui se vuole il suo
caffè, perché tu non uscirai
più!” sentenzia categorica.
“Hai ragione, ma ho perso tempo
perché…”.
“ Non mi interessano le tue
scuse!” ribatte acidamente. “Oh, perfetto, ci sono
altre visite per te, Anya!” aggiunge poi, puntando gli occhi
verso un punto alle mie spalle.
“ Cosa vuoi dire?” chiedo
interrogativa, voltandomi nella direzione interessata. “Che
ci fa qui?” dico tra me e me, vedendo entrare in caffetteria
Eva.
“ Non lo so, ma sono sicura che ti
farà perdere altro tempo!” esclama seccata,
tornandosene a passi da gigante in cucina.
“Sarizawa, posso rubarti qualche
minuto?”.
Rimango scettica di fronte a questa richiesta.
Cosa vuole da me?
“Sì, certo!”
rispondo titubante, invitandola con un gesto della mano a sedersi.
“Di cosa vuoi parlarmi?” chiedo, consigliandole di
andare dritta al sodo.
Lei abbassa gli occhi, abbozzando uno mezzo
sorriso. “Riesci a incantare tutti vero?” esordisce
poi, con voce seria a profonda.
Non capisco.
“In che senso?” chiedo,
perplessa, inarcando un sopracciglio.
“Con la tua commedia della ragazza
madre abbandonata…” aggiunge.
“Si può sapere di cosa stai
parlando?”. Inizio a seccarmi di queste sue mezze frasi.
“Prima Kai, poi Rai, adesso
Boris…”.
“ Eva, parla chiaramente!” le
suggerisco con tono duro.
“Perché hai tenuto quel
bambino? Non sarebbe stato più facile abortire e fare finta
che tu e Kai non foste mai andati a letto?”.
Ma che razza di domande sono mai queste? Ma come
si permette?
“Non osare mai più dire una
cosa del genere! È vero, sarebbe stato tutto più
facile, ma io non avrei mai abortito! E poi come puoi parlare di aborto
proprio tu, che hai appena perso il bambino dopo
l’incidente!” sottolineo volutamente. Sono allibita
dalle sue parole e lei sembra contrariata dalle mie, visto il modo in
cui mi osserva adesso, come se non avevo il diritto di citare in causa
questo argomento. Beh, neanche lei ne aveva il diritto, a dirla tutta.
Stringe le labbra, volgendo lo sguardo altrove.
“Io…”. Adesso
chiude gli occhi, prendendo un respiro “Non ero incinta, ho
mentito a Kai e adesso mi odia!” rivela d’un
tratto, mostrandosi colpevole, ma cercando di mantenere alto il suo
orgoglio, come se dire queste parole le fosse costato non poco.
Lei non era incinta? Ha mentito a Kai?
Questo vuol dire che non ha perso nessun bambino
in seguito all’incidente!
Sono allibita…
Non ho il tempo, però, di aprire bocca
per esprimere il mio pensiero, perché è lei
stessa a porre le mani avanti in segno di colpevolezza.
“Lo so, crudele da parte mia! Ma ho
dovuto mentire per avvicinare Kai a me!” spiega portandosi
una mano al petto, con espressione accigliata. “Da quando
siete apparse, tu e quella bambina, avete rovinato tutto e immagino che
puoi capirlo, visto che Rai ti ha lasciato per colpa di Kai e della sua
ossessione nel toglierti quella bambina!”.
È vero. In fondo, è andata
così.
“Se tu non avessi tenuto quel bambino,
tutto questo non sarebbe successo. Tu staresti ancora con Rai e io con
Kai”.
Cosa significa? Lei e Kai non stanno
più insieme?
“E’ vero, ci siamo sposati e
credevo che col matrimonio Kai Hiwatari volesse dimostrarmi quanto ci
tenesse a me e che le cose sarebbero cambiate! Che stupida!”
aggiunge sorridendo amareggiata. “Saresti dovuta sparire
insieme a quella bambina, ma…”.
Le sue parole arrivano alle mie orecchie come
lame taglienti.
Non riesco a muovere ciglio, se non a rimanere
qui inerme di fronte a lei ad ascoltare, sconvolta, quelle parole
velenose che escono dalla sua bocca.
“Ma capisco che, adesso che
Rai è andato via e devi badare da sola a tua figlia, stai
sfruttando la situazione a tuo vantaggio… Kai ti ha
intestato un conto corrente dove ti versa una bella somma al mese.
Geniale, oserei dire!” asserisce con sarcasmo, beccandosi
un’occhiata arcigna dalla sottoscritta che, pian piano, sta
intuendo dove lei voglia arrivare.
“Ti presenti con la bambina, fingendoti
arrabbiata con il padre per averla abbandonata, lui si pente e per
pulirsi la coscienza, ti versa dei soldi e puff!! Ad un tratto tu
cominci ad essere gentile e lasciargli vedere la figlia. Ottimo piano,
Sarizawa!” si complimenta, imitando un applauso.
“Io non volevo quei soldi!”
spiego, alterata.
“Oh, sì, come no!”
ribadisce lei a mo’ di beffa.
“E’ stato lui ad insistere
nel darmeli e alla fine ho dovuto accettare!” continuo a
ribattere duramente. Io non volevo quei soldi e non glieli ho chiesti
io, è la verità.
“Povera Sarizawa! Costretta ad
accettare dei soldi per riuscire a sopravvivere e ripagando questa
generosità, probabilmente, con favori sessuali!”.
Ma come si permette?
Mi alzo di scatto, fissandola in modo terribile,
sotto il suo ghigno malvagio, che esprime la sua soddisfazione
nell’avermi offesa in questo modo insensato.
“Beh, almeno io non devo fingere una
gravidanza per elemosinare le attenzioni di mio marito!”
puntualizzo acidamente, esprimendo tutta l’avversione che
provo nei suoi confronti.
Al suono di questa frase, sbarra gli occhi e si
alza di scatto fissandomi con astio.
***
“Ma Anya non ti ha appena portato il
caffè in officina?” domanda alterata Dana.
“ Sì, ma poi se
l’è riportato come una sbadata!” spiego
per la seconda volta. “A proposito,
dov’è?” chiedo poi, puntando gli occhi
in punti diversi del locale.
“ è laggiù a
parlare con quella testa bionda!” dice, indicandomi il punto
dove guardare.
“Ma quella è Eva! Che ci fa
qui?” chiedo stranito.
“Non lo so, ma sta perdendo molto tempo
a parlare!”.
Improvvisamente un forte rumore, provocato dallo
sfregare di una sedia sul pavimento, mi costringe a staccare gli occhi
dal cellulare per fissare il punto interessato. È stata Anya
a provocare questo rumore acuto e terribile. Che le prende?
È in piedi a fissare accigliata la bionda, che due secondi
dopo, decide di alzarsi, tirando indietro la sedia e provocando, per la
seconda volta, questo rumore fastidioso.
Che hanno queste due? Non riesco a sentire
ciò che si stanno dicendo, ma, a giudicare dalle loro facce,
non devono essere parole belle e…oh cazzo, Eva ha appena
alzato una mano in direzione della faccia di Anya.
“Anya!” grida Dana, correndo
verso di lei per soccorrerla, seguita da me che, nella furia di
alzarmi, lascio cadere indietro lo sgabello.
Ma che sta succedendo??
***
La mia mano freme ancora dalla rabbia.
È attraversata da un forte formicolio dovuto
all’impatto con la faccia di Anya, che adesso, si copre il
volto, con espressione dolorante.
“Ma sei impazzita?” mi urla
in faccia l’altra cameriera, venuta a soccorrerla.
“Ma che cazzo fai?” dice una
voce alle mie spalle, e due secondi dopo vengo presa con forza per un
polso e strattonata più in là.
“Boris, lasciami!” gli
ordino, dimenandomi per costringerlo a lasciare il mio polso.
“Si può sapere
perché lo hai fatto?” domanda furente, osservando
da lontano la sua nuova amica, ancora troppo sconvolta per reagire.
“Lasciami subito!” sibilo a
denti stretti, notando solo adesso, che tutti, all’interno
del locale hanno gli occhi addosso su di noi.
Mi sono fatta prendere dalla rabbia a causa delle
sue parole e non ho resistito nel darle quello che si meritava da tanto
tempo: uno schiaffo.
“Tu adesso vieni con me!”
asserisce autoritario, trascinandomi fuori dalla caffetteria.
“Boris, lasciami immediatamente o
chiamo Kai!”.
“Oh, oh, è proprio da lui
che stiamo andando!” annuncia a gran voce.
Cosa?
***
Sono nel mio ufficio, seduto alla scrivania a
leggere e rispondere ad alcune email di lavoro.
Improvvisamente le mie orecchie avvertono degli
strani rumori provenire da fuori, oltre la porta, e dopo alcuni secondi
questa si apre, dando spazio alla figura di Boris che tiene per il
polso Eva. Lei immediatamente si libera dalla presa,
massaggiandosi il polso dolorante.
“Si può sapere che sta
succedendo?” chiedo perplesso, fissando prima l’uno
e poi l’altra.
“Dovresti tenerla al
guinzaglio!” esordisce Boris, guardandola in cagnesco.
“Quanto la fai lunga!”
ribatte lei.
Mi alzo, per mettermi in mezzo tra i due,
pretendendo delle spiegazioni.
“Si può sapere che diavolo
succede?” chiedo autoritario, ponendo fine ai loro
battibecchi.
“Ha dato uno schiaffo ad
Anya!” rivela, infine, Boris.
“Cosa?” dico incredulo,
voltandomi istantaneamente verso Eva, che si limita ad arricciare le
labbra e fissare altrove.
“Le ha stampato cinque dita in
faccia!” aggiunge poi.
“Ma se non l’ho neanche
sfiorata!” si difende lei, serrando i pugni.
Io non ci sto capendo più niente.
“E’ la
verità?” chiedo io, incredulo.
Ma non ho di nuovo risposta, perché
Boris continua a parlare.
“Certo che è la
verità, …”.
“Puoi andare!” gli ordino,
invitandolo con lo sguardo ad andare via.
“Ma…”.
“Ci penso io qui” gli faccio
capire.
Dopo una manciata di secondi, volta i tacchi e va
via, chiudendo poco delicatamente la porta e lasciandomi qui a prendere
un respiro profondo prima di guardare dritto negli occhi Eva e
chiederle spiegazioni.
“è la verità? Lo
hai fatto veramente?” chiedo in tono scandito e
apparentemente pacato, che non ammette, però, silenzi o
mezze risposte.
Lei si indispettisce un attimo, esitando, ma poi
sbotta.
“Sì, l’ho
fatto!” ammette senza rimpianti “E se
l’è meritato, mi ha provocata!” si
giustifica con rabbia, lasciandomi alquanto sbigottito.
Ha davvero preso a schiaffi Sarizawa?
Ma dico, è impazzita?
“Si può sapere cosa ci
facevi da lei?” domando, cercando di mantenere la calma,
premendo un dito al centro della fronte, sospirando stancamente.
“State sempre tutti a difenderla! Ho
sempre desiderato darle quello schiaffo, è colpa sua se
siamo in questa situazione!”.
Non può averlo detto veramente.
Pensavo che oggi sarei rimasto in ufficio
tranquillo, circondato dalla pace dei sensi, e invece…
“Non è colpa sua se siamo
giunti a questo punto” le spiego chiaramente. “Il
problema è ben altro…” le faccio
intendere.
“Ah no? Stai scherzando spero. Sarebbe
mia la colpa?”.
“La tua ossessione per quella bambina
ci ha portati alla deriva! Non vuoi farti una ragione della sua
esistenza” ribatto duramente.
“No, infatti. E non credo
l’accetterò mai!” conclude amareggiata,
voltando i tacchi e andandosene via, aprendo e chiudendo quella porta
con furia.
Sono stanco di questa storia.
Non ne posso più.
Rilasso le spalle e lentamente mi accascio su una
poltrona, facendo cadere indietro la testa e chiudere gli occhi nella
speranza che una volta riaperti si tratti soltanto di un incubo.
***
“Mio dio” esclama Dana
osservandomi perplessa.
“E’ così
evidente?” chiedo, preoccupata.
“Si intravedono tre dita e mezzo sulla
tua guancia sinistra. Metti questa busta di ghiaccio,
allieverà il bruciore” mi consiglia, porgendomi un
sacchettino gelido, che immediatamente adagio sul mio viso, venendo
pervasa da una magnifica sensazione di freschezza.
“Brucia” aggiungo, in tono
lamentoso, premendo quel sacco surgelato che mi sta paralizzando
metà faccia.
Io non riesco a credere a ciò che mi
è appena successo. È avvenuto tutto
così rapidamente che non ho fatto in tempo a difendermi. Una
serie di battute sprezzanti e poi mi sono ritrovata cinque dita sul mio
volto. Ero troppo sconvolta che non ho capito cosa sia successo dopo.
Ho solo visto Boris trascinare Eva fuori dalla caffetteria.
“Si può sapere che le
è preso?” domanda poi, giustamente.
Non ho il tempo di risponderle, perché
vengo fermata dall’arrivo di qualcuno, ovvero
l’ultima persona che avrei voluto vedere oggi.
“ E tu che ci fai qui? E’
già passata la tua mogliettina poco fa!” dice, con
aria minacciosa Dana, rivolgendosi ad un Hiwatari che con sguardo
impassibile le consiglia di andare via. “Puoi lasciarci
soli?”.
***
Volevo vedere con i miei occhi ciò di
cui sono venuto a conoscenza poco fa. Così, dopo essermi
preparato psicologicamente, ho deciso di venire qui a constatare di
persona.
Una volta entrato in bagno, vengo accolto dallo
sguardo contrariato di quella cameriera, che, dopo aver ricevuto il
consenso di Anya, ci lascia da soli, seppur controvoglia.
Avanzo lentamente, osservando la figura di Anya
seduta su una sedia al centro della stanza a premersi un sacchetto di
ghiaccio sulla faccia. I suoi occhi, accigliati, puntano altrove, come
infastiditi dalla mia presenza.
“Che ci fai qui?” domanda
seccata.
“Fa’ vedere!” dico,
invitandola a scoprire l’altra metà del volto.
“ Ascolta, Kai,
non…”.
“Ho detto, fa’
vedere” ripeto categorico, avvicinandomi ancor di
più a lei, che messa sotto pressione dalla mia presenza, si
decide, di mala voglia a togliere la busta dalla faccia e quello che
vedo mi lascia alquanto allibito.
Ci sono chiari segni di uno schiaffo sul viso.
Chiudo gli occhi, respirando sonoramente, facendo
fatica a credere a ciò che ho appena visto.
Non posso crederci: l’ha fatto
veramente!
“Visto? Contento?” dice
ironica, rimettendosi sulla guancia il ghiaccio e tornando a guardare
altrove, accavallando una gamba per poggiare il gomito su di essa.
“Si può sapere
cos’è successo?” chiedo, in tono stanco.
“Perché non lo chiedi a lei!
O hai paura che ti dia un pugno?”.
Ah, facciamo le spiritose.
***
Si può sapere
cos’è venuto a fare? A vedere con i suoi
occhi la ferocia di sua moglie?
Ho già subito troppo oggi e la sua
presenza mi infastidisce. Dovrebbe intuirlo dal fatto che resto a
fissare altrove, nella speranza che vada via.
“Anya, ho trovato questa pomata nella
cassetta del primo soccorso, dovrebbe alleviare il bruciore”
spiega Dana, irrompendo nella stanza e porgendomi il tubicino di
pomata, che gli viene strappato dalle mani di Hiwatari, ancora prima
che lo prendessi io.
“Puoi andare” gli ordina poi,
in tono serio, beccandosi un’occhiataccia
dall’altra, che contrariata, volta i tacchi e se ne va.
Si può sapere perché sta
togliendo il tappo?
“Allora…che vi siete
dette?” torna a domandare, mentre preme il tubicino facendo
cadere un po’ di pomata sul suo dito, sotto il mio sguardo
scettico.
Si può sapere che sta facendo?
Poggia il flacone sul lavandino e avvicina il
dito alla mia faccia, togliendo con l’altra la busta di
ghiaccio che stavo premendo sulla guancia.
Ma che fa?
“Allora?”.
“Ma che fai?” domando,
stranita dal suo atteggiamento.
“Sta’ ferma e limitati a
rispondere alla mia domanda!” asserisce categorico, premendo
il suo dito sulla mia guancia iniziando a formare dei cerchi, che si
espandono sempre di più.
Rimango scettica di fronte a questa scena,
così tanto da non riuscire a muovermi e oppormi. Non sembra
intenzionato a lasciarmi andare finché non
parlerò.
Il mio viso è leggermente girato verso
destra, con la guancia rivolta in sua direzione e spostando gli occhi,
riesco a vedere il suo viso serio mentre applica questa pomata
rinfrescante.
Beh, aveva ragione Dana, sta alleviando il
bruciore.
Sarebbe una sensazione di freschezza meravigliosa
e rilassante se non fosse per il fatto che è la mano di
Hiwatari a spalmarla sul mio viso.
“Sto aspettando”.
“Ha cominciato a dire delle cose
insensate sul fatto che avrei dovuto abortire anni fa”. A
questa rivelazione, quei movimenti circolari del suo dito iniziano a
rallentare e i suoi occhi si spostano accigliati sui miei. “E
che ho rovinato la vostra vita e mi ha detto anche della finta
gravidanza”. Adesso il suo dito ha smesso di muoversi e noto
il suo petto gonfiarsi. “Poi sono partite una serie
di… frecciatine e battute poco carine da parte di entrambe e
infine…” mi interrompo, facendogli intuire il
resto della storia.
Socchiude gli occhi sospirando, e allontana la
sua mano dal mio volto, portandola al lavabo per sciacquarla dai
residui di pomata.
Poi richiude il tubicino e si poggia di schiena
sul lavandino espirando sonoramente, sotto il mio sguardo confuso.
“Cosa dovrei fare?”.
Dal modo in cui ha pronunciato quella domanda,
sembra stia parlando con se stesso.
“Prima di tutto, voglio che Hope
ritorni a casa con me. Non voglio che prenda a schiaffi anche mia
figlia!” affermo categorica.
“Andiamo, non lo farebbe
mai!” esclama, incrociando le braccia al petto.
“Davvero?” dico, indicando la
mia faccia per rinfrescargli la memoria. E in tutta risposta si limita
a roteare gli occhi, consapevole del fatto che
–sì, potrebbe farlo, arrivati a questo punto-.
Passano alcuni secondi di silenzio.
“Immagino non verrai
all’incontro a scuola…” mi ricorda.
Neanche per sogno!
“Pensano già che tu mi
tradisca, immagina se vedessero questo, penserebbero persino che il mio
finto marito mi picchi!” puntualizzo.
La sua espressione sembra divertita, anche se non
lo dà a vedere, poi si alza, incamminandosi verso la porta.
“Passerò stasera per
portarti Hope” mi avvisa, prima di uscire, lasciandomi qui,
con la mascella appiccicosa e dolorante.
Cavolo se fa male…
Hernandez, questa me la paghi.
***
Rientro finalmente a casa dopo una lunga e
faticosa giornata. Sono ancora sconvolto per ciò che
è successo e faccio fatica a credere che Eva abbia alzato le
mani ad Anya. Se non l’avessi visto con i miei occhi, sarebbe
stato difficile da credere, pur consapevole del fatto che quella donna
è capace di fare qualsiasi cosa per rabbia o vendetta.
Chiudo la porta di casa e mi fermo un attimo, di
fronte alla vista di enormi valigie e scatoloni che intralciano il mio
cammino e mi costringono a scavalcarli o passarci con
difficoltà in mezzo.
Che sta succedendo?
A passi lenti, salgo al piano di sopra e arrivo
in camera da letto dove trovo Eva alle prese con la cerniera di una
valigia.
“Che stai facendo?” chiedo,
prendendola di sorpresa.
“Quello che avrei dovuto fare tanto
tempo fa!” esordisce, riuscendo finalmente a chiudere il
trolley.
“Me ne vado Kai, sono stanca di essere
trattata in questo modo, non lo merito!” afferma, fissandomi
con astio. “Ho capito che le cose non cambieranno mai, quindi
perché continuare a soffrire per niente?”
aggiunge, con occhi arrossati. “Ho passato tutti questi anni
cercando inutilmente di cambiarti. La verità è
che tu non mi meriti, Kai Hiwatari!”.
Prende il suo cellulare, la borsa e il trolley,
rimanendo qui in piedi di fronte a me, attendendo una mia risposta.
“Sono sicuro che là fuori
c’è qualcuno che ti merita più di
me” asserisco con tono freddo e distaccato.
Lei rimane ferma e rigida nella sua posizione.
Dal suo modo di serrare le labbra intuisco che vorrebbe rispondere a
tono o aggiungere altro, ma si limita a sorridere stizzita e
arrendevole.
“A presto Kai” saluta poi,
avanzando lentamente verso la porta, trascinando il suo trolley
“ti farò contattare dal mio avvocato”
conclude poi, andando via.
Sono immobile, al centro di questa stanza ad
attendere che il rumore della porta di casa mi segnali il fatto che sia
andata via, stavolta per sempre.
Stringo un pugno, rimuginando su quanto successo
in questa giornata.
“Reina!” richiamo la
cameriera, che immediatamente si precipita in stanza, osservandomi
timorosa.
Probabilmente anche lei sarà sconvolta
da tutti questi eventi.
“Sì, Signor Hiwatari, mi
dica!” e dal suo tono, ne ricevo la conferma.
“Raccogli tutte le cose di Eva e
spediscile a casa dei suoi!” le ordino con tono rigoroso,
rimanendo di spalle.
“Sì, sarà
fatto!”. E immediatamente va via.
Silenzio.
Riempio i polmoni di aria, chiudendo gli occhi
mentre avanzo verso il letto. Mi siedo e poi cado di schiena su di
esso, riaprendo le pesanti palpebre per constatare il fatto che sia
tutto reale intorno a me.
Stavolta sembra essere finita davvero.
Eccoci
qui, alla fine di questo capitolo, che vede la sua tragica fine con
l’immagine di Eva che abbandona villa Hiwatari.
Ebbene
sì. Sembra essere andata via sul serio e forse persino Kai
fa fatica a crederci, abituato ormai alle solite sceneggiate da film
della bionda che va e viene e i continui tira e molla e bla bla bla.
Che Eva
si sia veramente stancata e abbia aperto gli occhi? Si è
resa conto che lei e Kai non possono proseguire questa strana relazione?
Kai come
si sentirà in seguito a questo abbandono?
Ma Eva
è veramente andata via?
Beh,
diciamo che stavolta Lei l’ha fatta grossa dando quello
schiaffo alla povera Anya. La gelosia, l’invidia, la rabbia
l’hanno portata a compiere questo gesto orribile. Persino Kai
ne è rimasto sconvolto, tanto da voler andare a vedere con i
suoi occhi la faccia di Anya.
Inoltre,
si è offerto nel soccorrerla applicandole la pomatina sulla
guancia XD (aaaaaw*Nd Tutti) Come interpretare questo gesto? Un modo
per chiedere scusa per ciò che la sua pazza moglie ha fatto?
Un modo per costringerla a raccontargli cosa fosse successo? Difficile
da dire, visto i modi seri e autoritari che utilizza per ottenere le
cose XD Ad ogni modo, ho voluto scrivere di questa scena per spezzare
una lancia a favore di Hiwatari. Forse ha un lato umano anche lui?
Lo
vedremo a tempo debito.
Boris,
invece ha avuto una sorta di chiarimento col padre, anche se,
ahimé, non è andata come il vecchio sperava.
Insomma, cosa pretendeva? Che si riabbracciassero felici e contenti? Ma
non penso che finirà qui…mi sono venute altre
idee in mente e probabilmente ritorneremo sull’argomento u_u.
Ora
penserete: Yuhu!! Quella serpe di Eva è andata via e le cose
miglioreranno per tutti!!
Mmmmh,
non esattamente! U-u
Grazie
mille a chi lascia una recensione, a chi legge silenziosamente e a chi
l’ha messa tra seguite/preferite! *_*
Al
prossimo aggiornamento!
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