Ethans
Disclaimer: in questa one-shpt compare
Ethan Murphy, personaggio che non mi appartiene e che è nato dalla penna di Kim
WinterNight. Mi sono liberamente ispirata alla MERAVIGLIOSA serie di Kim, In Pieces…
sperando di non aver combinato qualche disastro :P
A Kim,
perché riesce sempre a portare fuori il meglio (e il peggio
XD) di me,
per essere una sorella, un idolo, una guida e un’amica insostituibile
e contemporaneamente la mia più grande sostenitrice, l’unica
che crede in me anche quando io non lo faccio,
per avermi reso la persona e la scrittrice che sono,
per essere l’altra metà di me, il mio opposto e la mia tessera
mancante, colei che riesce a farmi ridere con una sola parola e riesce a leggermi
nel pensiero.
Grazie per essere semplicemente Kim,
BUON COMPLEANNO ♥
You came from out of nowhere
11 dicembre 1992
Una folata di
vento mi sferzò il viso, schiaffeggiandomi con violenza, ma non ci badai; mi
limitai a prendere l’ennesimo sorso di Jack Daniel’s dalla bottiglia mezzo
vuota che stringevo tra le mani.
In fondo che me
ne fotteva se fossi morto assiderato quella notte stessa, su quel marciapiede
di periferia scarsamente illuminato da qualche lampione malconcio? Non avevo
più niente di concreto e soprattutto niente per cui valesse la pena di lottare.
Non avevo
nessuno.
Sospirai, mi
alzai e aprii lo sportello della mia auto dal lato del passeggero. Presi a
rovistare tra i numerosi dischi che avevo abbandonato sul sedile, afferrai una
cassetta a caso e la inserii nell’autoradio. Dato che quel giorno pure la mia macchina
aveva deciso di abbandonarmi – dovevo riconoscere che ero stato un coglione a
guidare a una velocità troppo elevata perché il motore la potesse sopportare –
potevo almeno continuare a sfruttare l’impianto stereo.
Che me ne fotteva
in fondo della macchina? Quel pomeriggio stesso avevo prenotato il mio
biglietto di sola andata per il Brasile: una settimana più tardi sarei partito
e un’auto non mi sarebbe servita a niente.
Brasile.
Quel luogo che mi aveva dato alla luce e in cui un tempo avevo avuto una
famiglia, ma che ora non aveva più niente da offrirmi. Poco importava se la mia
casa era qui a Los Angeles: me ne dovevo andare, non avevo alternative.
Annuii appena
quando riconobbi le prime note di From Out Of Nowhere diffondersi dalle
casse dell’abitacolo; sentire i Faith No More mi trasmetteva sempre una certa
nostalgia, mi ricordava i tempi in cui andavo a suonare in giro con gli Storm
It Down – i tempi in cui Ives stava ancora bene e aveva talmente tanta voglia
di vivere da contagiare il mondo intero.
Era trascorso
solo qualche anno, ma a me pareva una vita fa.
Con un sospiro,
tornai ad accomodarmi sul marciapiede, lasciando la portiera aperta in modo da
poter sentire la musica; ripresi tra le mani la bottiglia e buttai giù un altro
sorso.
Come se l’alcol
potesse risolvere i miei problemi. Non avevo fatto che bere come un pazzo ultimamente,
ma mentre la mia vita andava a puttane non mi sentivo affatto meglio.
Mi guardai
attorno con fare annoiato e pensai che facevo proprio schifo: sbronzo, in mezzo
alla strada, con la macchina e l’anima rotte. Proprio io, Ethan, colui che
tutti consideravano invincibile.
Fu allora che
notai una sagoma immersa nella penombra svoltare l’angolo e dirigersi a passo
strascicato ma spedito nella mia direzione; man mano che si faceva più vicina,
potei constatare che si trattava di un ragazzo piuttosto magro e dai capelli
scuri come la notte. Sbuffai e mi augurai che non decidesse di attaccare
bottone con me: probabilmente si trattava di un tossico o un senzatetto in
cerca di soldi, e io non ero proprio dell’umore giusto per interagire con
simili elementi.
Ogni mia speranza
si sgretolò nel momento in cui il ragazzo attraversò la strada e, schioccando
le dita a ritmo di musica e canticchiando, mi si accostò.
'Cause you come from out of nowhere
My glance turns to a stare
One minute here and one minute there
Don't know if I'll laugh or cry
Gli lanciai una
breve occhiata, cercando di non dargli troppa importanza. Perché non avevo il
potere di rendermi invisibile?
“Ehi!”
Trattenni a
fatica un sospiro. Come non detto…
“Anche tu ascolti
i Faith No More? Io adoro quest’album” affermò lo sconosciuto con voce
impastata.
Mi costrinsi a
sollevare lo sguardo e osservarlo meglio, approfittando della fioca luce di un
lampione che gli illuminava il volto: indossava degli abiti scuri e decisamente
troppo leggeri per quella fredda notte di dicembre, un sorrisetto impertinente
gli si era stampato sulla faccia, ma ciò che mi colpì maggiormente furono i
suoi occhi verde smeraldo. Mi bastò una sola breve occhiata per capire che quel
ragazzo era strafatto di eroina.
Lasciai vagare lo
sguardo altrove mentre il cuore mi si stringeva nel petto: era una sorta di
deja-vu, per un attimo mi parve di trovarmi accanto ad Ives; quello sconosciuto
aveva la stessa espressione, la stessa ingenua sicurezza nelle iridi,
strascicava addirittura le parole nel suo stesso modo.
“Ehi, sei muto
per caso?” riprese a parlare dopo qualche istante, sedendosi sul bordo del
marciapiede decisamente troppo vicino a me – ma chi gli aveva dato il
permesso?
Sbuffai e fissai
lo sguardo dritto nel suo; stavo già cominciando a esaurire le mie misere
scorte di pazienza. “Si può sapere che cazzo vuoi?”
Ma lui non parve
per niente impressionato; piegò leggermente il capo di lato e accennò un
sorriso. “America Latina, vero?”
Inarcai un
sopracciglio, perplesso.
“Hai un accento
particolare e, lo devo ammettere, parecchio intrigante. Fammi indovinare: sei
messicano?”
“Brasiliano” lo
corressi con fare annoiato, scostandomi di qualche centimetro; quel tipo mi stava
addosso, sentivo addirittura il suo respiro sul viso ogni volta che mi si
rivolgeva, e se non mi fossi allontanato avrei potuto strangolarlo a mani nude.
“Dimmi cosa vuoi e lasciami in pace” sibilai poi, rigirandomi tra le mani la
bottiglia di Jack Daniel’s quasi vuota.
“Niente in
particolare, sono stato attirato dalla musica. Ma se vuoi, già che ci siamo,
posso offrirti diversi servizi…”
“Non mi serve
niente, sparisci.”
Lui ridacchiò,
sistemandosi alcune ciocche mosse dietro l’orecchio. “Sicuro? Ho con me della
roba che ti manderà fuori di testa e, ci tengo a precisarlo, sono uno degli
spacciatori più economici della zona. Con uno splendore come te poi potrei fare
qualche ulteriore sconticino” insinuò, lanciandomi un’occhiata ammiccante.
Davvero quel
ragazzino ci stava provando con me?! Nella lista delle stronzate che mi erano
capitate nella vita, ricevere delle avances da parte di un altro ragazzo non
era ancora comparsa.
Tuttavia rimasi
impassibile e mi limitai a scrollare le spalle. “Ti ho detto che non mi serve
niente.”
“Non hai mai
provato l’eroina, tesoro?” mormorò in tono suadente, sporgendosi un poco verso
di me.
Tesoro? Ma
con chi credeva di parlare? Stava superando ogni limite.
“Ascoltami bene:
non me ne fotte un cazzo della tua roba e non hai nulla da insegnarmi sul mondo
dello spaccio. Quindi ti conviene girare al largo, prima che questa storia vada
a finire molto male” cominciai ad alterarmi. Feci per mettermi in piedi e
lasciarlo lì a vaneggiare per i fatti suoi, quando lui scoppiò a ridere
all’improvviso; allora mi costrinsi a stare immobile e lo inchiodai con lo
sguardo. Mi stava forse sfidando?
“D’accordo,
rilassati, tranquillo! Come mai sei così nervoso?”
“Come mai
continui a farti i cazzi miei?”
“Beh, sei qui
tutto solo, con quello sguardo triste… e ho pensato che avessi bisogno di un
po’ di compagnia. Voglio soltanto aiutarti, okay?” Il ragazzo addolcì
ulteriormente il tono di voce e fece per allungare una mano nella mia
direzione, ma mi ritrassi prima che potesse sfiorarmi. Se mi avesse toccato,
sarei stato capace di spezzargli le dita.
“Io ti consiglio
di aiutare innanzitutto te stesso, prima che quella merda che ti spari in vena
ti spedisca sottoterra” lo gelai in tono lugubre e aggressivo, sentendo il
sangue ribollirmi nelle vene.
Era paradossale
che il fratello di uno dei più importanti spacciatori di Los Angeles
pronunciasse quelle parole, non facevo certo una buona pubblicità all’impresa
di famiglia, ma da quando Ives se n’era andato per sempre a causa dell’eroina
ero diventato particolarmente sensibile all’argomento; non sopportavo neanche
sentirla nominare e, dal canto mio, avevo smesso definitivamente di farmi di
coca. Cominciavo a detestare profondamente quel mondo.
Quello stesso
mondo che ora aveva mandato Davi in galera, lo stesso che ora mi obbligava a
partire e nascondermi dagli sbirri. Altro che fratello di uno spacciatore! Era
tutto finito.
Lo sconosciuto
parve turbato da quelle parole, ma si limitò a mettere su una smorfia prima di
riacquisire la sua solita espressione affilata e impertinente. “Non che tu sia
in condizioni migliori. Sbaglio o ti sei scolato una bottiglia intera di Jack,
e adesso sei sbronzo?”
“Fottiti” lo
liquidai.
“Preferisco sia
qualcun altro a farlo.”
Evitai accuratamente
di ribattere e presi a ignorarlo, finendo di scolare le ultime gocce di whisky.
Lui intanto non
pareva minimamente intenzionato a lasciarmi in pace, tutt’altro: si era
sistemato ancora più comodo sul marciapiede e aveva preso a canticchiare il
ritornello del brano corrente – Falling To Pieces –, scandendo parola
dopo parola come se facessero parte del suo DNA.
Because I'm somewhere in between
My love and my agony
You see, I'm somewhere in between
My life is falling to pieces
Somebody put me together
Mi ritrovai a
pensare che quel brano parlasse proprio di me e della mia vita in quel momento:
mi sentivo esattamente così.
Chissà, magari
anche quel tipo strano che mi stava accanto si ritrovava in quel testo, proprio
come me.
“Questa è la mia
canzone preferita dell’album insieme a Edge Of The World. Sai, non
conoscevo i Faith No More finché quest’estate non mi sono scopato il loro
tastierista…”
Aggrottai le
sopracciglia e tornai a fissarlo, ancora una volta perplesso. Avevo conosciuto
i ragazzi dei Faith No More nell’85, quando io e gli Storm It Down ci eravamo
recati a San Francisco per suonare come gruppo spalla a un loro concerto, ma
all’epoca nulla mi aveva fatto intendere che Roddy Bottum, il loro tastierista,
fosse omosessuale.
Non che mi
importasse particolarmente, in realtà.
“Allora mi sono
incuriosito, sono andato ad ascoltarli e me ne sono letteralmente innamorato,
anche se in genere la musica non mi interessa.”
Aveva intenzione
di parlare ancora per molto?
Lo vidi sgranare
gli occhi all’improvviso e portarsi una mano davanti alla bocca. “Oh cazzo,
Roddy non ha ancora fatto coming out…”
“Ora che so che è
gay non andrò a provarci con lui, puoi dormire sonni tranquilli” tagliai corto
con uno sbadiglio annoiato.
“Lo conosci?”
“Li conosco
tutti. Ma, rinfrescami la memoria… sei uno spacciatore, o sbaglio? Perché non
vai a vendere la tua roba altrove?”
“Un attimo: non
ti ho ancora parlato dell’altro servizio che potrei offrirti, bel brasiliano.”
Una scintilla maliziosa si fece strada nei suoi occhi verdi mentre si accostava
pericolosamente a me. “Eu quero ser sua putinha.
È così che si dice in portoghese, giusto?” sussurrò a pochi centimetri dal mio
viso mentre posava le mani sul mio petto.
Lo spinsi via con
rabbia. “Giù le mani, pezzo di merda! E sparisci dalla mia vista, prima che io
faccia qualcosa di cui potrei pentirmi!” ringhiai, stringendo i pugni e
sentendo il viso andarmi in fiamme.
Detestavo profondamente
essere toccato e preso d’assalto in quel modo, mi mancava subito il respiro e
mi sentivo in gabbia; il fatto che fosse un altro uomo ad avvicinarsi a me in
quel modo non faceva che moltiplicare la mia irritazione.
Ma il dettaglio
peggiore era che quello stronzo non demordeva ancora: dopo essere stato
sbalzato all’indietro, si sostenne su un gomito per continuare a osservarmi, il
solito sorrisetto stampato sulle labbra. “Posso almeno sapere il tuo nome?”
“No.”
“Oh, che peccato.
Io comunque mi chiamo Ethan, piacere.”
Inarcai un
sopracciglio. “Mi prendi per il culo?”
“Perché?” cadde
dalle nuvole lui.
“Anch’io mi
chiamo Ethan.”
Lui sbatté le
ciglia un paio di volte e tornò a sedersi dritto. “Che coincidenza carina!”
Sbuffai. Ma cosa
mi tratteneva ancora su quel marciapiede, accanto a un elemento simile?
Ah già: la
macchina non metteva in moto, ero sbronzo, non avevo un soldo ed ero lontano
anni luce dalla fermata del bus più vicina.
“E come mai ti
trovi qui tutto solo?” incalzò nuovamente Ethan, scrutandomi con attenzione.
“Per restare
solo, appunto. E tu ti stai frapponendo tra me e il mio obiettivo” gli feci
presente.
“C’è qualcosa nei
tuoi occhi che non mi convince affatto. Non ti andrebbe di parlarne un po’?
Potrebbe farti bene.” Mentre parlava, mi posò con leggerezza una mano
all’altezza del ginocchio, che io mi apprestai subito a scacciare via.
“Non ti è ancora
chiaro che sono etero?” sbottai.
“È un vero
peccato, brasiliano. Beh, comunque se vuoi sperimentare qualcosa di nuovo, io
sono a tua completa disposizione” mormorò, scoccandomi l’ennesima occhiata
maliziosa.
Distolsi lo
sguardo, piuttosto disgustato. “Ti hanno mai detto che sei una fottutissima
palla al piede?”
“Qualche volta.”
Lo sentii
muoversi accanto a me, ma non mi degnai di voltarmi nella sua direzione finché
non lo sentii armeggiare con alcuni oggetti; fu il sinistro luccichio di un ago
ad attirare definitivamente la mia attenzione.
Non appena compresi
ciò che stava per accadere, lo stomaco prese a contorcersi e dovetti sforzarmi
per trattenere un conato: Ethan si era sollevato una manica e voleva spararsi
una dose di ero in vena proprio davanti ai miei occhi; aveva già preparato la
siringa e teneva il laccio emostatico poggiato sulle ginocchia, pronto per
stritolargli la pelle.
Per un solo
istante le sue iridi verdi, luccicanti di gratitudine verso la sostanza che
stava per invadergli il corpo, si trasformarono in quelle azzurre di Ives; mi
parve di vedere nuovamente il mio migliore amico, che si distruggeva giorno
dopo giorno con quella merda senza che io potessi farci niente.
Venni colto da un
improvviso capogiro. Era come tornare indietro nel tempo e rivivere il periodo
peggiore della mia intera esistenza.
Mi lasciai
sfuggire una bestemmia tra i denti e guardai altrove.
Ethan mi lanciò
una fugace occhiata prima di concentrarsi nuovamente sulla sua operazione. “Che
c’è, non hai mai visto qualcuno bucarsi la pelle? Ti fa impressione il sangue?”
Mi impegnai per
dissimulare il profondo dolore che stavo provando e scossi semplicemente il
capo con indifferenza. “Che me ne fotte? Se vuoi ammazzarti, accomodati.”
“Ammazzarmi? Ma
quando mai, io amo la vita. L’eroina te la salva, non te la toglie”
ribatté lui con disarmante semplicità, prima di infilarsi l’ago sottopelle con
gesti esperti; sul suo viso si dipinse un sorriso compiaciuto e gli occhi gli
si riempirono di quello stesso piacere malato che avevo visto milioni di volte
scorrere sul viso del mio migliore amico.
Quel viso che non
vedevo da più di tre anni.
Scattai in piedi
e gli diedi le spalle, il corpo interamente scosso dai tremiti – di rabbia, di
paura o di terrore, non avrei saputo dirlo. L’unica cosa di cui ero certo era
che tutto ciò faceva male.
“L’eroina ti
salva la vita, ah sì? Complimenti per la geniale intuizione. Sai una cosa,
Ethan? Puoi anche andare a fanculo. Ma poi che te lo auguro a fare… stai
facendo tutto con le tue mani!” sbraitai, portandomi una mano tra i corti
capelli che all’improvviso si erano impregnati di sudore. Stavo perdendo il
controllo, complice l’alcol che avevo in corpo, e non sarebbe dovuto succedere.
Ma dopo la morte
di Ives non riuscivo più ad assistere a episodi come quello, ne ero del tutto
intollerante.
Mio dio, avevo
una voglia assurda di vomitare…
“Che succede,
brasiliano? Ehi, guardami: io sto benissimo, di che ti preoccupi?” mi rassicurò
Ethan in tono rilassato.
Sospirai e
poggiai un braccio sulla mia auto per sostenermi; mi sentivo così spossato. “Succede
che presto potrai dialogare di tutto ciò insieme ad Ives.”
Dopo aver
raccattato le sue cose, il ragazzo si mise faticosamente in piedi per poter
stare al mio livello e guardarmi negli occhi; istintivamente il mio sguardo
corse al punto in cui qualche istante prima si era ferito la pelle con l’ago e
solo allora mi accorsi del tatuaggio ormai sbiadito che svettava all’interno
del suo polso sinistro, tra segni rossi, lividi e croste: riconobbi l’aquila
stilizzata, il simbolo di una nota gang di spacciatori che si riforniva
regolarmente da mio fratello. Probabilmente quel ragazzo conosceva Davi.
“Chi è Ives?” mi
domandò con curiosità, ma sul suo volto non compariva più quella sfacciataggine
che lo contraddistingueva; forse aveva intuito che ci stavamo addentrando in un
campo minato.
“Il mio migliore
amico che, guarda caso, è morto con un ago in vena dopo una lunga storia d’amore
con l’eroina. Giusto per smentire la tua teoria. Quando finirai all’inferno – e
qualcosa mi dice che sei sulla buona strada – salutalo tanto da parte mia se lo
incontri” sputai fuori in tono sprezzante, ma quelle parole furono come
pugnalate per me. Era come rigirare il coltello nella piaga.
Forse pensavo che
riversare la mia frustrazione su quel ragazzino mi avrebbe fatto stare meglio,
ma ovviamente non fu così.
Dal canto suo,
Ethan si strinse nelle spalle e mi rivolse un sorrisetto ironico. “Sei un vero
tesoro a preoccuparti per me, brasiliano. Ma, sai, c’è un piccolo dettaglio: a
me non importa niente di vivere o morire. Morirò oggi? Okay, chi se ne fotte.”
“Ma sbaglio o
cinque minuti fa hai detto di amare la vita?” gli rammentai.
“Infatti, io la vita
la amo così com’è e sono dell’idea che vada vissuta fino in fondo. Per questo
faccio ciò che ho voglia di fare, ora che sono vivo e ne ho la possibilità. Mi
va di scopare con qualcuno? Lo faccio. Mi va di bucarmi? Mi buco. Non mi metto
problemi e non mi importa niente di come sarò tra due minuti, tra mezz’ora o
tra un anno, perché ora sto vivendo questo momento.”
Ma, anche se il
suo tono di voce risultava allegro, leggero e perfino divertito, le sue iridi
si erano incupite. Allora mi resi conto che quel ragazzo, all’apparenza così
spavaldo, portava dentro di sé tanti demoni – forse talmente tanti che
l’avevano distrutto e l’avevano portato a quel punto.
Non conoscevo la
sua storia e lui non conosceva la mia, ma con lo sguardo che ci scambiammo ci
comunicammo tutto ciò che non avremmo mai detto a parole. Ci riconoscemmo:
due anime corrotte, dannate, piene di cicatrici sulla pelle e sull’anima, che
avevano sofferto troppo e forse per questo motivo non avevano più nulla da
offrire al mondo, se non il loro dolore e la loro rabbia.
“La tua è una
filosofia del cazzo” commentai infine, dopo alcuni lunghissimi istanti di
silenzio, poi mi accomodai nuovamente sul marciapiede.
L’altro ragazzo
mi imitò. “Riesci a trovarne una migliore?”
Bella domanda. Non
potevo dare una risposta esaustiva, visto che i venticinque anni della mia vita
erano stati un enorme assembramento di catastrofi e ora, men che mai, riuscivo
a trovarne il senso.
“Mio padre scriveva
tanto,” prese a raccontare Ethan, perdendo lo sguardo davanti a sé, “e, quando
creava qualche nuovo personaggio nella sua testa, andava sempre alla ricerca
del nome perfetto, con il giusto significato; il nome che potesse rappresentare
al meglio quella personalità. Aveva una vera e propria fissa per l’origine dei
nomi e così, quando sono nato io, me ne ha voluto assegnare uno che fosse di
buon auspicio. Sai che cosa significa il nostro nome, Ethan?”
Scossi il capo.
Onestamente non mi ero mai posto il problema.
“Vuol dire forte,
duraturo, robusto. Dare questo nome al proprio figlio è come
augurargli una lunga vita.” Pronunciò quelle parole con una certa ironia, come
se non ci credesse affatto. O come a volersi schernire: probabilmente non si
rivedeva affatto in quella definizione.
Quanto lo capivo.
Avevo soltanto venticinque anni ed ero già stanco della vita e dell’universo
intero, mi veniva la nausea alla sola idea di dover ancora combattere,
soffrire, fallire.
Eppure, anche se
ero arrivato a un punto morto, avevo perso gli affetti, la casa, la famiglia e
le certezze, cosa potevo fare se non portare fuori gli artigli e aggrapparmi
ancora una volta alla vita? Qual era l’alternativa, lasciarmi sopraffare e
aspettare la mia fine come aveva fatto Ives?
Semplicemente non
potevo. Ero troppo incazzato col mondo per dargli la soddisfazione di
affondarmi, ero troppo orgoglioso per arrendermi e ritirarmi dalla partita;
avrei giocato fino alla fine.
Mi voltai
lentamente verso Ethan e osservai per qualche istante il suo sorrisetto
sarcastico, ma i suoi occhi non ridevano affatto.
“Hai qualcosa per cui lottare?” gli domandai.
Io, che mi facevo
sempre gli affari miei e detestavo le domande, che avevo cercato di evitare
quella conversazione e quel tizio per tutto il tempo, avevo definitivamente
perso il controllo e la lucidità.
Lui sgranò gli
occhi, colto alla sprovvista, poi scosse il capo.
“Ecco: trova il tuo motivo per stare al mondo e lotta per esso, qualsiasi
esso sia. E butta quella merda che ti sta fottendo le vene.”
Restammo in
silenzio per diversi istanti, senza trovare il coraggio di scambiarci
un’occhiata, mentre le note di Woodpecker From Mars riempivano l’aria.
“Non credo a
queste cose, brasiliano” mormorò infine.
Mi strinsi nelle
spalle. “Nemmeno io.”
Ethan scoppiò a
ridere. “Sei così stupendamente incasinato…” Detto ciò, mi si accostò e fece
per circondarmi le spalle con un braccio, ma io scattai all’indietro. Credeva
forse che mi sarei concesso a lui solo perché avevamo intrattenuto una
conversazione più o meno civile?
“Vuoi per caso che
mi attacchi in fronte un cartello con su scritto levati dal cazzo?” lo
apostrofai, sentendo nuovamente la rabbia montarmi dentro.
“Volevo soltanto
abbracciarti” borbottò con un’ombra di delusione nello sguardo.
“Ecco, appunto.”
Gli abbracci erano una delle cose che detestavo maggiormente insieme
all’eroina.
Ma Ethan non
parve nemmeno ascoltare la mia risposta, talmente era concentrato a scrutarmi:
sentivo il suo sguardo addosso ed era così tremendamente insistente, si
spostava con minuzia su ogni millimetro del mio corpo. Sembrava volermi
spogliare con gli occhi.
“Dio, quanto sei
bello…” sussurrò, gli occhi luccicanti di una pericolosa e strana eccitazione.
Lo trucidai con
un’occhiata e mi allontanai di qualche altro centimetro. “Dacci un taglio.”
“E quando ti
incazzi sei doppiamente stupendo.”
“È meglio che tu
non mi veda veramente incazzato” lo avvertii, inchiodandolo con lo sguardo e
incrociando le braccia al petto.
“Sei davvero
sicuro di non voler provare qualcosa di nuovo? Ti divertiresti un sacco…”
insinuò, poi mi si scaraventò quasi addosso e, prima che riuscissi a spingerlo
via, mi posò una mano sulla coscia e accostò le labbra al mio orecchio.
“Potresti sfogare su di me tutta la tua rabbia” soffiò.
Basta. Aveva
decisamente tirato troppo la corda.
Lo spinsi via con
violenza e gli mollai uno schiaffo in pieno volto, poi lo incenerii con lo
sguardo mentre se ne stava disteso sul marciapiede. “Quale parte della frase giù
le mani non ti è chiara? Vai a farti fottere.”
Malgrado il segno
rosso che gli avevo lasciato sulla guancia, Ethan non sembrava essersi fatto
nulla di grave; a confermarlo arrivò uno dei suoi soliti sorrisetti maliziosi.
“Da te molto volentieri, brasiliano.”
Sbuffai. “Mi hai
rotto il cazzo. Smamma, devo tornare a casa mia.”
Certo, e con
quale macchina? Che giornata di merda…
“Scordatelo,
adesso c’è l’altra mia canzone preferita!” strepitò lui, rimettendosi seduto e
sorridendo come un bambino la mattina di Natale.
Allora riconobbi
le prime note di Edge Of The World, l’ultima traccia di The
Real Thing – nonché unico brano dei Faith No More che non mi convinceva
affatto.
In un’altra
occasione avrei estratto direttamente la cassetta dall’autoradio e sarei
passato a un’altra, ma Ethan era totalmente rapito da quel brano: schioccava le
dita a ritmo di musica, faceva oscillare il capo e canticchiava con trasporto,
cercando di emulare la voce di Mike Patton e fissandomi con insistenza.
Come here, my love
I'll tell you a secret
Come closer, now
I want you to believe it
“Detesto questa
roba” puntualizzai.
“Lo senti questo
pianoforte? È stupendo. Roddy ha fatto un capolavoro… ah, il mio Roddy…”
commentò in tono sognante.
“Sì, d’accordo.
Non mi interessa a chi dai il culo. L’importante è che quando finisce questa
canzone tu sparisca dalla mia vista” conclusi, mettendomi in piedi e
stiracchiandomi. Probabilmente avrei dovuto passare la notte in macchina,
quindi era il caso di mettere un po’ d’ordine e sperare di trovare un po’ di
comodità.
We'll sing and dance
And we'll find romance
And we'll stroll to the edge of the
world
“Ethan?”
Mi voltai a
guardare il ragazzo che si trovava ancora seduto sul gradino e gli feci cenno
di parlare.
“Tu credi
nell’amore?”
“No” ribattei
senza esitazione, poi gli diedi nuovamente le spalle e cominciai a raccattare
alcune cassette e alcuni vinili che avevo sparso ovunque.
You can trust me
I'm no criminal
But I'd kill my mother
To be with you
Be with you
Be with you
Be with you
Dovetti
riconoscere che Ethan aveva una bella voce e ci sapeva fare col canto; a un
certo punto lo trovai perfino tenero, così preso dalla canzone da dimenticarsi
del mondo intero. Per la prima volta da quando l’avevo incontrato sembrava
davvero un ragazzo come tanti altri, pieno di voglia di vivere e innamorato
della musica.
Quando l’ultima
strofa terminò, lasciando spazio all’outro strumentale, Ethan – che intanto si
era messo in piedi – mi si accostò, ma stavolta non con sfrontatezza. “Posso
almeno stringerti la mano prima di andarmene? Questo lo puoi sopportare?” La
sua voce aveva assunto una sfumatura quasi supplichevole.
Feci spallucce e
allungai una mano; lui la strinse e solo allora potei constatare quanto le sue
dita fossero sottili e fredde. Non appena entrarono in contatto con le mie,
però, cominciarono subito a scaldarsi, come se tornassero improvvisamente a
vivere.
Una perfetta
metafora per quel ragazzo: era glaciale, ma gli bastava un briciolo di calore
umano per sciogliere quella gelida barriera e crollare, darsi e scaldarsi.
Dopotutto speravo
che si salvasse, nonostante fosse una testa di cazzo.
Percepii la sua
stretta farsi più salda e forte sulla mia mano – quasi con disperazione, come
se avesse estremo bisogno di quell’appiglio per non sgretolarsi – e vidi i suoi
occhi luccicare di una strana emozione che non aveva ancora mostrato quella
sera, come se la sua maschera di sfacciataggine e sicurezza si fosse dissolta.
“Grazie, brasiliano.”
“Ho un nome, puoi
anche usarlo” lo sbeffeggiai, ma stavolta senza alcuna cattiveria nella voce.
Le sue labbra si
incresparono appena in un sorriso fragile e genuino.
Lasciai andare le
sue dita e lui si ritrasse a malincuore. “Beh, buona fortuna. Anzi, bea
sorte. È così che si dice in portoghese, giusto?”
Ridacchiai. “Boa
sorte. Con la o.”
Ethan piegò appena
la testa di lato e mi rivolse un ultimo sorrisetto, prima di darmi le spalle e
sparire nell’oscurità della notte.
Tutt’attorno era
calato il silenzio, anche le ultime note di Edge Of The World si erano
dissolte insieme a quel ragazzo che era sbucato dal niente proprio all’inizio
dell’album.
Aprii lo
sportello dell’auto e mi ci sedetti dentro. Stavo ancora peggio di prima.
Ma sotto sotto sentivo,
anche se non sapevo spiegarmene il motivo, che la conversazione con l’altro
Ethan aveva smosso qualcosa anche in me.
Hai qualcosa per cui lottare?
Ecco: trova il tuo motivo per stare al mondo e lotta per
esso, qualsiasi esso sia.
♠ ♠ ♠
AUGURI
KIIIIIIIIIIIM *________________*
E, lettori miei…
Era da ere
geologiche intere che sognavo un incontro tra i due Ethan – il mio Ethan AraÚjo
e l’Ethan Murphy di Kim – e il compleanno della mia adorata sorella è stata
l’occasione giusta per realizzarlo *_____*
Metto subito le
mani avanti, soprattutto per quanto riguarda il personaggio che non è mio: non
so se l’ho reso bene, se l’ho rispettato e se l’ho fatto agire così come Kim se
lo immagina, ma spero sia ugualmente piaciuto – Kim TI PREGO TI SCONGIURO non
picchiarmi se ho scritto qualche imperdonabile stronzata, sto annegando in un
mare di ansia T.T
Bene, allora,
direi che è il caso di dare qualche delucidazione per chi segue soltanto o
l’una o l’altra serie.
Innanzitutto, la
storia è narrata dal punto di vista del mio Ethan, e in un periodo della sua vita
molto particolare: dopo essere sprofondato in un mare di passività e alcol (e
sicuramente depressione) dopo la morte del suo migliore amico, sul finire del
’92 Ethan perde definitivamente ogni legame affettivo, dal momento che suo
fratello maggiore Davi, spacciatore affermato e potente a Los Angeles, viene
arrestato. Ethan è costretto a scappare prima che la polizia risalga a lui in
quanto fratello di Davi, così prenota un volo per il Brasile, sua terra
d’origine, anche se lì non ha più niente. Davi tra l’altro lo manteneva con i
soldi che guadagnava, quindi Ethan ora è senza entrate, senza lavoro, senza un
posto in cui andare e senza nessuno a cui affidarsi.
Per quanto
riguarda l’Ethan (Murphy) di Kim, tutti i riferimenti alla sua vita sono veri e
sono stati trattati dalla sua autrice: è vero che è uno spacciatore e fa parte
di una gang, è vero che è omosessuale, è vero che suo padre scriveva. Per
quanto riguarda la sua notte di passione insieme al tastierista dei Faith No
More, Roddy Bottum, Kim racconta la vicenda in due storie: And the pieces of my puzzle keep
crumblin’ away e You splash me with beauty.
Inoltre quando
gli faccio pronunciare alcune frasi specifiche, come “Non hai mai provato
l’eroina, tesoro?” o “Ti salva la vita, non te la toglie”, si può dire che sono
semi-citazioni ad alcune battute pronunciate proprio da Ethan in alcune storie
della serie! Devo dire che tutto ciò mi è servito per capire meglio (e quindi
cercare di rendere) il suo modo di pensare, parlare e agire!
Tutto il resto –
compresa la sua visione della vita e il modo in cui alla fine si mostra per ciò
che è – sono tutte mie licenze poetiche; io lo immagino così, se lo dovessi
caratterizzare questa sarebbe la mia versione di Ethan Murphy, e spero solo di
non averlo mandato totalmente OOC – ti prego Kim RASSICURAMI CHE ANSIA!
Passando alle
note specifiche di questa storia (sulle due serie non aggiungo altro per non
fare spoiler): l’album che fa da sottofondo è The Real Thing, disco dei
Faith No More del 1989 nonché primo con Mike Patton alla voce. Vi lascio almeno
i link delle canzoni che ho nominato e da cui ho preso i testi che trovate in
mezzo alla storia:
From Out Of Nowhere
Falling To Pieces
Woodpecker From Mars
Edge Of The World
Fun fact per
quest’ultimo brano: io sono un po’ come il mio Ethan, non mi piace tanto questa
canzone ahahahahah XD però mi piaceva un sacco che invece l’altro Ethan la
adorasse! Spero che Kim mi lasci passare anche questa libertà che mi sono presa
sul suo personaggio :P
Per quanto
riguarda il significato del nome Ethan, è tutto vero – e la cosa mi piace UN
SACCO, perché boh, sento di aver azzeccato il nome del mio personaggio, è
proprio quello che penso di lui *____*
Vi riporto anche
le traduzioni delle frasi in portoghese che trovate nel testo (non so fino a
che punto possano essere corrette, io ci ho messo tutta la mia buona volontà
XD):
“Eu quero ser
sua putinha”: voglio essere la tua puttanella.
“Boa sorte”:
buona fortuna.
Per ultima cosa
(ma non meno importante) voglio fare un grandissimo ringraziamento alle mie
adorate Sabriel e Carmaux, che mi hanno affiancato durante i deliri per la
stesura di questa storia e mi hanno dato il loro parere in anteprima!
Grazieeeeee *-*
Dovrebbe essere
tutto! Non mi resta che fare ANCORA TANTISSIMI AUGURI a Kim e spero che la
storia vi sia piaciuta! :3
Alla
prossimaaaa!!! ♥
|