Neve
si strinse nelle spalle e poi si sedette su uno dei materassi ancora
liberi, facendo cenno a Lisi di prendere posto accanto a lei. La
ragazza bruna incrociò però testardamente le
braccia davanti al
petto e la fissò con un’espressione determinata.
Neve
sospirò: quando la sua amica si metteva in testa una cosa,
distrarla
era quasi impossibile.
“Sì,
be’”, borbottò allora, scrollando ancora
le spalle, “la storia
l’hai sentita. Non credo che ci sia bisogno di aggiungere
altro.”
Lisi
storse le labbra. “Non capisco perché non mi hai
mai detto niente.
Ci conosciamo da dieci
anni!”
Rannicchiata
sul suo materasso, Clara smise di singhiozzare e si mise in ascolto.
“Non
ho mai detto niente perché mi hanno raccomandato di non
farlo”
sbuffò Neve. “Credo che tu sappia quello che
è successo a
Nevelunga, no? Mia madre è sparita nel nulla e mio fratello
ha
ucciso mio padre: quando mi hanno portata al convento, tutti
pensavano che Falco avrebbe tentato di uccidere anche me. Mi hanno
portata via di nascosto, con il preciso intento di far perdere le mie
tracce. Cosa potevo fare? Allora ero solo una bambina ed ero
spaventata a morte, mi sembra solo naturale che io abbia tenuto la
bocca ben chiusa.” Quando Lisi annuì quasi
controvoglia, Neve
continuò: “Con il passare del tempo, poi, quello
che ero è
diventato sempre meno importante. Quel tipo là fuori mi
chiama
contessina,
ma lo fa solo per prendermi in giro: quando sono entrata in convento
ho rinunciato ai miei titoli, quindi non ho più il diritto
di farmi
chiamare così. Ormai io sono solo Neve del convento di
Forrascura.”
Lisi
reclinò il capo sulla spalla com’era solita fare
quando
rifletteva. Dopo qualche istante le si avvicinò e si sedette
a poca
distanza da lei. “Non è quello che hai detto a
Mikel, però.”
Neve
inarcò le sopracciglia chiare. “Mikel?”
le fece eco.
Sulle
gote dell’altra ragazza comparve un lieve rossore.
“Si chiama
così, no?”
“Cer-to”
scandì lentamente Neve, insospettita dalla strana
famigliarità che
Lisi sembrava aver sviluppato con il capo dei briganti. Quella storia
le puzzava, ma era qualcosa su cui avrebbe dovuto riflettere
un’altra
volta.
“Quindi?”
insistette Lisi, spronandola a rispondere.
Neve
si coprì per qualche secondo gli occhi con le mani, prima di
farle
ricadere rumorosamente sulle ginocchia. “Non so
perché gli ho
detto che ero la sorella di Falco. È stata un’idea
stupida,
suppongo, ma mi è venuto d’istinto.”
Arrossendo, la ragazza
proseguì: “Immagino che sia una sorta di
automatismo che mi porto
dietro da quando vivevo ancora a Nevelunga. Una volta mi bastava
sbandierare il mio titolo perché gli altri bambini mi
rispettassero.
Visti i risultati, non avrei dovuto dirglielo.”
“Almeno
siamo vive” pigolò timidamente Clara dal suo
materasso.
“Per
ora” ribatté amaramente Neve. “Non posso
tornare da Falco:
quello mi ammazza.”
Lisi
la fissò con i suoi begli occhi verdi. “Ma ne sei
proprio sicura?”
Neve
si mordicchiò le labbra. Sì, ne era sicura,
perché sapeva di per
certo che Falco la considerava un pericolo da eliminare. E
non a torto,
sussurrò una vocina che giungeva da quella parte della sua
mente che
odiava e temeva la creatura che le viveva nel petto. “Ne sono
abbastanza certa, sì” mormorò senza
scendere nei dettagli. “Non
so se fino a ora abbia mai cercato di trovarmi, ma la cosa migliore
sarebbe se pensasse che fossi già morta.”
“Qualcuno
sa che sei… che eri
al
convento?” le chiese ancora Lisi.
“Le
persone che mi hanno portato qui lo sanno” annuì
Neve. “La mia
governante e i cavalieri che erano rimasti fedeli a mio padre. Non so
se siano ancora vivi, però. In ogni caso, se Falco non
è venuto a
cercarmi al convento, significa che non hanno parlato.”
La
ragazza bruna le si avvicinò fino a prenderle le mani tra le
sue.
“Perché tuo fratello ti odia tanto?”
Neve
si irrigidì. Oh, no. Quella non era
un’informazione che desiderava
condividere con Lisi e Clara. Non avrebbero capito. Come avrebbero
potuto farlo, se nemmeno lei aveva mai veramente capito la propria
natura? “Questioni di famiglia” ribatté
decisa. “Scusami, ma
preferisco non parlarne.”
Lisi
le lasciò le mani e si ritrasse, visibilmente ferita dalla
sua
freddezza.
Nella
tenda scese un silenzio teso che Clara spezzò dopo qualche
minuto.
“Non c’è nessuno che ti possa
aiutare?” chiese con la sua
vocetta sottile. “Re Johan, forse…”
Neve
scosse il capo con un sospiro carico di sarcasmo. “Il nostro
Re non
ha alcun interesse a controllare le terre del nord. È
così da
sempre: il nord si autogoverna, ogni tanto qualcuno ammazza qualcun
altro e alla fine l’equilibrio e il pagamento delle tasse
rimangono
garantiti. È sempre stato così, stando a quanto
mi ha spiegato mio
padre prima di… prima che io venissi a Forrascura. Il nord
non
infastidisce la Capitale e la Capitale non ficca troppo il naso negli
affari del nord; e tutti sono contenti e soddisfatti.”
Lisi
si chinò in avanti, gli occhi fissi sull’apertura
della tenda,
oltre la quale era possibile scorgere la sagoma di alcuni uomini.
“Quindi cosa intendi fare?” le chiese sottovoce,
con il chiaro
intento di non farsi sentire da chiunque potesse essere in ascolto.
L’altra
ragazza scosse mestamente il capo. “Non ne ho idea”
ammise. “Non
ne ho davvero idea. Forse potrei provare a ragionare con questi
uomini, ma dubito di poter ottenere qualche risultato. Prima di
consegnarmi a lui, chiederanno di certo un riscatto a Falco e io non
posso certo sperare di pagare più di
lui…”
“E
se Lord Falco non ti volesse?” chiese Clara, che
evidentemente
stava cercando di farsi forza e di dare qualche speranza alla
compagna.
“Improbabile”,
commentò Neve, “ma auspicabile.”
Né
Clara né Lisi sembrarono aver altro da aggiungere a quel
punto e
Neve si portò le mani alla testa, esalando lentamente nel
tentativo
di allentare un po’ la tensione che le mordeva i muscoli del
collo.
La treccia in cui aveva stretto come di consueto i capelli chiari le
stava irritando il cuoio capelluto e così la ragazza la
sciolse,
lasciando che i capelli biondi le ricadessero pesantemente sulla
schiena. Quanto tempo era passato dall’ultima volta che li
aveva
lasciati sciolti in presenza di altre persone?
La
sua mente rievocò un ricordo sbiadito, soffocato dalla
miriade di
altri ricordi che si erano sovrapposti a esso. C’era un fuoco
acceso in una stanza che profumava di cannella e chiodi di garofano,
c’era un tappeto morbido sotto le sue ginocchia e un corpo
caldo
dietro di lei, dita delicate che le accarezzavano i capelli,
dividendo con dolcezza le ciocche. C’era profumo di mamma e
il suo
cuore era colmo di pace.
C’erano
anche delle parole sussurrate, raccomandazioni che non avevano avuto
molto senso alle sue orecchie di bambina. La
mia piccola guerriera,
aveva mormorato sua madre; e Neve non aveva capito il perché
di quel
titolo. Sì, le era capitato di prendere a sassate qualche
altro
bambino e sì, una volta aveva morso la mano di una sua
compagna di
giochi e non l’aveva lasciata andare finché la
governante non era
venuta a liberare la sventurata, ma non poteva certo dirsi una
guerriera.
Verrà
un giorno in cui dovrai combattere, piccola mia,
le aveva detto sua madre. Quando
quel giorno arriverà, non aver paura di percorrere la Strada
del
Lupo. È nel tuo sangue: quando sarà il momento
saprai cosa fare.
All’epoca
Neve era già consapevole dell’animaletto che
viveva rannicchiato
dietro le sue costole, del cucciolo che ogni tanto borbottava in lei.
Già allora aveva l’impressione che non fosse un
lupacchiotto, ma
Neve ricordava distintamente di non averne mai parlato con sua madre.
Perché
una mamma le sa, certe cose,
si
era detta. La
mamma sa sempre tutto e non ha bisogno che glielo dica io.
La
ragazza si domandò se sua madre sapesse veramente tutto, se
fosse
consapevole della natura dell’essere che viveva in lei. Non
aveva
mai avuto modo di chiederglielo: ricostruire lo scorrere del tempo
era impossibile, ma la giovane sapeva che, poco tempo dopo la scena
dei suoi ricordi, la donna era inspiegabilmente svanita nel nulla.
Con ogni probabilità era morta.
D’impulso
Neve si afferrò i capelli in un pugno e li
attorcigliò come per
fissarli di nuovo sul capo. All’improvviso il fatto di
lasciarli
sciolti le sembrava quasi sacrilego, come se facendolo avrebbe in un
qualche modo offuscato l’ultimo ricordo che aveva di sua
madre.
Rendendosi conto di quello che stava facendo, la ragazza si
obbligò
a lasciare la presa. Aveva mal di testa e non aveva senso torturarsi
in quel modo. La situazione in cui si trovavano era già
abbastanza
sgradevole così com’era.
Dopo
qualche tempo Clara si mise a sedere e si guardò attorno con
occhi
nervosi.
“Cosa
c’è?” le chiese Lisi, sollevando appena
il capo dal materasso
sul quale stava sonnecchiando, stremata dallo stress della giornata.
La
ragazzina arrossì. “Devo usare il bagno”
confessò.
Neve
si mordicchiò le labbra: a breve anche lei avrebbe avuto lo
stesso
problema. All’interno della tenda non c’era
però nulla che
potesse fare a caso loro, nemmeno un lenzuolo che potesse garantire
loro un minimo di riservatezza.
Con
un sospiro, la giovane si alzò in piedi, ignorando le fitte
a
schiena e gambe dovute alla cavalcata fuori programma. Anche se era
imbarazzante, non avevano altra scelta che chiedere aiuto agli uomini
che Mikel aveva messo a guardia della loro tenda.
Scostando
il lembo che fungeva da porta, Neve sporse il capo
all’esterno e si
trovò di fronte al giovane che aveva cavalcato con Clara e a
un
ragazzo biondo. “La mia amica ha bisogno di andare in
bagno”
annunciò senza giri di parole. Era molto più
semplice far credere
che fosse Clara l’unica ad avere problemi con la vescica,
piuttosto
che ammettere che anche lei iniziava ad avere una certa urgenza di
fare pipì.
I
due ragazzi si scambiarono un’occhiata. “Vediamo di
procurarvi
qualcosa” disse il giovane biondo. Aveva un viso gradevole e
dall’espressione quasi amichevole: Neve si trovò a
pensare che era
un vero peccato che facesse parte di quella banda di criminali.
La
ragazza annuì e fece per rientrare all’interno
della tenda, ma in
quel momento l’occhio le cadde su un gruppetto di persone
raccolte
attorno a un vecchio castagno. Mila!
Shandra!
Pensò,
riconoscendo due delle sue consorelle. Erano due monache che avevano
suppergiù la sua età e che non si erano trovate
nelle cantine
quando era avvenuto l’attacco. Evidentemente i briganti
avevano
rastrellato il convento e avevano portato in quella sorta di
accampamento tutte le donne che avevano reputato di un certo valore.
Prima
che avesse modo di cogliere qualche particolare in più, la
guardia
bionda si frappose tra lei e il gruppetto di monache. “Ah-ah!”
fece
in tono di rimprovero. “Torna dentro, dai: lo sai anche tu
che
Mikel non vuole che ti guardi in giro.”
Neve
aggrottò la fronte, cercando di prendere tempo.
“Ma che male può
fare se mi guardo un po’ in giro? Sono comunque vostra
prigioniera.”
Il
ragazzo scosse il capo. “Dentro!” le
ordinò, puntando un indice
verso la tenda.
Con
un sospiro sconfitto, la giovane fece come le era stato chiesto.
“Allora?”
le chiese Clara, incrociando penosamente le gambe.
Neve
le rivolse un’occhiata di compatimento. “Hanno
detto che adesso
ci portano qualcosa” replicò. “Cerca di
resistere o, se proprio
non ci riesci, vai in un angolo e solleva il tappeto.”
La
ragazzina avvampò. “Resisto”
borbottò a denti stretti.
“Bene”
sospirò Neve, rivolgendole un cenno d’assenso. Poi
si voltò verso
Lisi. “Ci sono delle nostre consorelle, là fuori.
Credo che le
abbiano legate a un albero.”
La
giovane bruna si mise immediatamente a sedere. “Chi sono? Hai
riconosciuto qualcuno?”
Neve
si mordicchiò le labbra. “Ho visto chiaramente
solo Shandra e
Mila, poi mi hanno costretta a rientrare. Comunque mi sembrava che ci
fossero solo donne giovani: non so cosa ne abbiano fatto delle
altre.”
Lisi
chinò mestamente il capo e Neve tentò di
reprimere un brivido
d’orrore. Se la sorte toccata alla Superiora era un indizio,
non ci
voleva certo un genio per capire cosa fosse successo alle loro
consorelle più anziane.
Clara
ondeggiò mestamente sul posto, cingendosi il ventre con le
mani.
“Secondo voi cosa ne faranno? Cosa ci
faranno?”
“Tenteranno
di venderle come schiave ai pirati che trafficano con le terre che si
trovano al di là dell’oceano”
replicò cupamente Lisi. “Sembra
che… da quello che so, quella è la sorte che
tocca a quasi tutte
le donne che cadono in mano a predoni come questi.”
La
ragazza più giovane rabbrividì. “Credi
che finiremo anche noi
oltre oceano?”
Neve
serrò i denti. Era evidente che lei non era inclusa in quel noi:
lei sarebbe finita a Nevelunga, dove avrebbe incontrato il suo
destino. Forse
sarebbe meglio venir mandata al di là del mare, dove nessuno
mi
conosce e dove potrei iniziare una nuova vita. Per quanto miserabile,
non può essere peggiore di quella a cui mi
costringerà Falco,
ammesso che mi lasci vivere!
A
quel pensiero, la creatura nel suo petto ebbe un fremito rabbioso.
Oh,
se Falco avesse cercato di ucciderla, lei non sarebbe stata a
guardare come una preda inerme. Si sarebbe difesa con le unghie e con
i denti e gliel’avrebbe fatta vedere lei, l’avrebbe
morso e
graffiato e avrebbe assaggiato il suo sangue, ne avrebbe ricordato il
sapore e…
No!
Neve
rinculò fisicamente e si costrinse ad abbandonare quei
pensieri. Non
avrebbe ceduto alla bestia. L’avrebbe tenuta nascosta,
controllata.
Ma
a che pro?
Le
chiese una sorta di coscienza ribelle. Se
Falco sarà sul punto di ucciderti, che senso ha resistere a
quello
che sei? È meglio la morte o una nuova forma
d’esistenza?
Prima
che avesse modo di rispondere a quel quesito, Lisi si alzò e
le posò
una mano sulla spalla. “Tutto bene?” le chiese
guardandola con
un’espressione preoccupata nei grandi occhi verdi.
Neve
annuì. “Sì, è tutto a
posto” mormorò con voce roca. “Ho
solo avuto un momento di debolezza: devo essere stanca.”
Lisi
la studiò con aria scettica, ma, sebbene fosse evidente che
non le
credeva, evitò di commentare, scegliendo invece di
rispondere a
Clara. “Non so cosa ne sarà di noi, ma suppongo
che tu
accompagnerai Neve a Nevelunga: hanno deciso che le farai da ancella
e le ancelle seguono ovunque le loro signore.”
Clara
storse le labbra pallide, incerta se apprezzare o meno quella
prospettiva, e Neve si sentì arrossire: lei non era
più abituata a
essere la signora
di
nessuno.
“Io,
invece”, continuò Lisi con una smorfia,
“verrò con ogni
probabilità venduta oltre oceano. A Neve non servono due
servitrici.”
Mentre
pronunciava quelle parole Lisi tenne gli occhi bassi e Neve la
fissò
con uno sguardo indagatore. “Oh, io non ne sarei
così certa, se
fossi in te” replicò lentamente, studiando la
reazione dell’amica.
“Mikel sembra aver sviluppato un certo interesse nei tuoi
confronti.”
Le
guance pallide di Lisi si tinsero di rosa. “Oh, non lo so.
Non
credo che si farà problemi a cedermi in cambio di un
po’ di
quattrini.”
È
arrossita? Si
chiese Neve incredula. Perché
è arrossita? Non può essere…
affascinata da quel tizio!
“Lisi”
esordì con voce cauta, ma in quel momento
l’entrata della tenda si
spalancò e Neve si voltò di scatto per
fronteggiare il nuovo
arrivato.
All’interno
del rettangolo luminoso della soglia si stagliava la figuretta di una
ragazzina che non poteva essere molto più grande di Clara.
Aveva la
pelle talmente scura che a tratti pareva avere riflessi bluacei,
vestiva abiti maschili e in mano reggeva una padella
dall’aspetto
inequivocabile.
“Allora!”
esclamò la ragazzetta con un gran sorriso. “Mi
hanno detto che
qualcuno se la sta facendo addosso!”
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