Ci
sono notti in cui Harry si sveglia di colpo con un urlo soffocato in
gola, il respiro affannato e i volti di coloro che hanno trovato la
morte nell'ultima battaglia di Hogwarts ancora impressi a fuoco nella
mente; nel flusso dei suoi incubi scorrono il piccolo corpo senza
vita di Colin Canon, il fantasma dell'ultima risata di Fred, le mani
pallide e fredde di Remus e Tonks che si sfiorano sul pavimento
ricoperto di detriti della Sala Grande, file di cadaveri senza nome
dagli occhi sbarrati e neri come la pece, i vermi che strisciano
fuori dalle loro labbra e ricoprono la pelle grigiastra dei loro
visi.
-È colpa mia
se
sono morti. È colpa mia, solo colpa mia.- singhiozza Harry
mentre
Ginny gli stringe la mano, affonda il viso nell'incavo del suo collo e gli sussurra parole di conforto che pian piano riescono a
calmare il battito impazzito del suo cuore e sciolgono le sue viscere
contorte dal terrore.
Ci
sono notti in cui è Ginny a infrangere il silenzio con le
sue urla,
notti in cui Harry è ben lieto di abbandonare il sonno per
portarsi
vicino a lei, baciarle gli zigomi bagnati di lacrime, sistemarle
delicatamente una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
-Pensavo che fosse reale.
Pensavo di essere ancora lì in quella dannata camera. E di
avere le
mani sporche di sangue.- mormora Ginny, i grandi occhi scuri contorti
e macchiati dalla paura.
-Non
è reale, lo sai.- risponde Harry, stringendola a
sé fino a sentire
il corpo di Ginny combaciare con il suo. -Lui non è
più nella tua
testa come non è più nella mia. È
tutto finito. È finita per
davvero.
Ci sono notti in
cui Harry si rende conto di non aver mai permesso a se stesso di dare
ascolto al dolore che si è trascinato dietro per tutta la
vita; il
bisogno di labbra confortanti sulla sua tempia e di braccia che lo
stringano e lo cullino come se fosse ancora un bambino.
Perché Harry
Potter non ha mai
potuto davvero concedersi di essere solo un bambino, di scaricare su
qualcun altro i pesi che si porta sulle spalle da quando aveva undici
anni, di cercare conforto nell'intimità di un letto sfatto
in una
notte d'inverno e dimenticare di dover essere lui stesso simbolo di
conforto e sicurezza per l'intera comunità magica, persino
dopo la
caduta di Voldemort.
È
stata Ginny a fargli capire ciò di cui ha sempre avuto
bisogno.
Ginny, la sua roccia, l'unica ragazza e poi l'unica donna che lo
abbia stretto a sé e gli abbia fatto mettere a nudo paure e
debolezze taciute per una vita intera.
Ginny,
che lo tiene ancorato alla terra quando i fantasmi del passato
tornano a farsi sentire e minacciano di trascinarlo nel fondo del
baratro, come dita gelide di Inferi avviluppate intorno alla sua
gola, pronte a sospingerlo sott'acqua, lontano dall'aria e dalla
luce.
Le mani di Harry e
Ginny che si intrecciano nella notte sono mani gemelle, mani da cui
la vita ha strappato troppo presto l'innocenza, mani di vecchi
guerrieri intrappolati in giovani corpi scarnificati da cicatrici
invisibili agli occhi ma mai dimenticate dall'inconscio.
Guerrieri che hanno
posato le
armi per ricominciare a coltivare la pianta verdeggiante ma gracile
del loro amore sulla terra arida che la guerra ha lasciato dietro di
sé.
Harry e Ginny hanno
bisogno l'uno dell'altro perché solo loro possono capirsi
– perché
Ginny sa cosa significa veder morire una persona che ami,
perché
Harry sa cosa significa avere la voce di Lord Voldemort nella testa,
perché entrambi sanno cosa significa tornare preda degli
squilibri
delle loro sinapsi, marionette in un teatro di incubi sui quali non
hanno alcun controllo, paralizzati e impotenti tra le zanne di un
serpente affondate nel collo di Arthur Weasley, un cadavere dal
sorriso eternamente congelato sulle labbra e mani che sporcano il
muro di sangue.
Entrambi
sanno che qualcosa in loro rimarrà sempre spezzato,
inquinato,
impermeabile a quella cura imperfetta che è lo scorrere del
tempo.
Il tempo sarà sempre pronto a illuderli di essere guariti
solo per
gettarli a sorpresa nelle fauci dei mostri che han fatto delle loro
teste nido, giaciglio, nutrimento.
Ma
quando nel cuore della notte gli occhi verdi di Harry incontrano lo
sguardo di Ginny, che ormai si è spogliato delle lacrime ed
è
tornato duro e splendente, qualcosa torna sempre al suo posto; i
volti di coloro che non ci sono più svaniscono nell'oblio al
quale
sono destinati, il dolore si quieta e le promesse della vita tornano
a farsi reali.
Harry e
Ginny sanno che gli incubi rimarranno sempre intrecciati sotto le
loro pelli – ma sanno anche che esiste un modo per
dimenticarli.
Ci
sono notti in cui Harry finisce di piangere contro la spalla di Ginny
– concedendosi di lasciar defluire il catrame putrido del
dolore
che gli appesantisce le vene – e accoglie le dita di lei tra
i
capelli e quella bocca morbida che sfiora delicatamente la sua come
un fiotto d'acqua fresca a una disperata gola arida.
-Ti
amo.- le mormora sempre Harry prima di ricominciare a baciarla. Vede
Ginny sorridere e sorride a sua volta mentre inizia a sbottonarle
lentamente la camicia da notte, che presto finisce abbandonata sul
pavimento.
Quando si
spinge in lei, le dita apparentemente delicate di Ginny iniziano a
graffiargli la schiena e la sua bocca a ricoprirgli il collo di baci
roventi. Il profumo di lei gli crepita addosso e si intreccia alle
sue vene al posto del catrame e lo manda fuori di testa e Harry ha
dimenticato cos'ha visto negli incubi che lo hanno fatto svegliare
con la gola raschiata dalle urla, ha dimenticato il colore del sangue
e il sapore del dolore e del senso di colpa, li ha annegati e
liquefatti nel piacere che lo avvolge mentre il corpo morbido di
Ginny preme contro il suo e la vita torna a essere luce che splende
nell'oscurità, lunghi capelli rossi sparsi sul cuscino come
lingue
di fuoco, la gioia selvaggia del sentirsi ancora vivi e brucianti di
amore e di una giovinezza che non è mai stata veramente
perduta.
La vita ha rubato loro la
spensieratezza – ma loro, guerrieri spezzati che non hanno
mai
smesso di camminare a testa alta, sanno come ingannare la notte e
sfuggire ai suoi artigli, agli scheletri che escono dall'armadio e ai
mostri che strisciano da sotto il letto, per recuperare la loro
natura di esseri umani consumati dal fuoco, dall'ebbrezza,
dall'amore che più di una volta, in ogni sua forma e
sfumatura, ha
salvato le loro anime.
Note
La
Harry/Ginny è la mia OTP
(Insieme alla Grindeldore) per cui è strano che in anni di
carriera
da fanwriter io abbia scritto poco o nulla su di loro.
Questa
storia è stata ispirata da
un vecchio tweet della Rowling, secondo cui le morti nell'ultima
battaglia di Hogwarts “will hunt Harry forever”, e
dalla mia
intenzione di esplorare un tema poco affrontato nelle fanfiction,
ovvero il trauma di Ginny nell'essere stata posseduta da Voldemort
durante il primo anno.
Trovo
che sia questa la bellezza del
pairing Harry/Ginny, la loro capacità di capire l'uno i
demoni
dell'altro e di farsi forza a vicenda. Ho provato a rappresentare il
Post Traumatic Stress Disorder (ovviamente in maniera moolto
accennata) in quanto trovo credibile che tutti i sopravvissuti alla
battaglia di Hogwarts ne soffrano in un modo o nell'altro. Spero di
essere riuscita a fare un buon lavoro a riguardo.
Grazie
a chiunque recensirà :)
|