Con
le guance in fiamme, Clara si alzò e raggiunse la ragazzina,
prendendo con cautela la padella che quella le stava porgendo.
“Ci
puoi portare anche una coperta o qualcosa da appendere?” le
chiese
Neve, indicando l’angolo della tenda in cui Clara stava
sistemando
la padella.
La
nuova arrivata annuì e poi la scrutò da capo a
piedi. “Sei tu
Neve?” indagò. Quando la giovane bionda fece un
cenno d’assenso,
sorrise soddisfatta. “Io sono Ciela” si
presentò. “Mikel dice
che devo venire con te da Lord Falco. Dice che avrai bisogno
d’aiuto
e che quella lì non è probabilmente in grado di
essere una buona
ancella.”
Sentendosi
nuovamente chiamata in causa, Clara si rabbuiò e si strinse
nervosamente le braccia esili attorno al petto.
Piccola
maleducata,
pensò Neve guardando con aria severa la giovane dalla pelle
scura.
“E tu pensi di essere una buona ancella?” le chiese
in tono
scettico.
Quella
scosse il capo. “Proprio per niente” ammise in
tutta
tranquillità. “Ma Mikel vuole che ti segua, quindi
io obbedisco.”
Neve
sbuffò con sdegno. “Mi piacerebbe capire
perché Mikel
creda
che mi servirà tutto questo aiuto, una volta che
tornerò a
Nevelunga.”
Ciela
inarcò le sopracciglia scure. “Tutte le signore
nobili hanno
bisogno di qualche tipo di servitù”
osservò con aria confusa.
“Non è così?”
“Non
quelle che sono state dieci anni in convento”
ribatté con una
risatina amara. “E non quelle che hanno a che fare con mio
fratello. L’hai mai incontrato?”
La
ragazzina fece un segno di diniego. “No, ma mio padre ci ha
parlato
un paio di volte e mi ha detto che è un tipo strano. Credo
che mi
piacerebbe conoscerlo.”
“Perché?”
indagò Neve, avvicinandosi fino a trovarsi a meno di un
metro da
lei. Malgrado fosse con ogni probabilità più
giovane di lei di
diversi anni, la ragazzetta era piuttosto alta e non aveva alcuna
difficoltà a guardarla dritta negli occhi. No, decisamente
non aveva
la stoffa dell’ancella.
Ciela
si strinse nelle spalle, mentre un angolo delle sue labbra si
sollevava in un mezzo sorriso. “Così. Mi piacciono
i tipi strani.
È vero che può trasformarsi in un lupo?”
Davanti
a quella domanda diretta, Neve esitò, poi optò
per una verità
formale. “Nessun uomo è in grado di mutare forma e
assumere
l’aspetto di un animale. Solo un idiota o un pazzo
può dire di
aver visto mio fratello trasformarsi in un lupo.”
“Forse
allora non cambia il suo aspetto”, ribatté
prontamente Ciela, “ma
diventa comunque come
un
lupo. È così?”
Neve
aggrottò la fronte. “Non so di cosa stai
parlando” sbottò,
scoprendosi però incapace di sostenere lo sguardo della
ragazzina.
Ciela
incrociò le braccia davanti al petto e inclinò il
capo di lato,
fissandola con aria impertinente. “Certo che no”
sogghignò.
Neve
avrebbe potuto ribattere, insistere, ma aveva l’impressione
che
quell’atteggiamento non avrebbe fatto altro che rafforzare
ancor di
più le convinzioni della ragazzina. Forse quei briganti
sapevano
veramente più cose sul conto di Falco di quante non ne
sapesse lei.
Forse suo fratello non si faceva alcuna remora a mostrare la sua
natura: in quel caso, la reticenza di Neve sarebbe apparsa ridicola
agli occhi di uno spettatore ben informato. “Come
credi” sospirò
allora, lasciando cadere il discorso. “Adesso possiamo avere
quel
telo che ti ho chiesto, se non ti dispiace?”
“Va
bene” sorrise la ragazzina, con una nota canzonatoria nella
voce.
Poi aggiunse, come per un ripensamento: “Mia
Signora” e fece un
piccolo inchino impacciato, simile a quello di un uccellino che si
piega per becchettare qualche granaglia.
Quando
Ciela svanì oltre la soglia, Neve storse la bocca, confusa
da
quell’incontro. “Strana ragazza”
osservò incontrando gli occhi
di Lisi.
“Sono
parecchie le cose strane, qui” mormorò di rimando
la giovane
bruna. Quando non aggiunse altro, Neve decise ancora una volta di
lasciar cadere la questione. La tensione all’interno della
tenda
era comprensibilmente alta e lei era abbastanza lucida per capire che
anche l’osservazione più innocente avrebbe potuto
essere male
interpretata e dar vita a un litigio. Non potevano permettersi
discussioni: in quelle circostanze avevano bisogno di restare unite
com’era sempre stato quando si erano trovate tra le mura del
convento. Per
mantenere alto l’umore,
si disse Neve, e
per non permettere che nessuna perda la testa a causa della
disperazione.
Lisi
e Clara, doveva ammetterlo, avevano ancora meno punti di riferimento
di lei. Se non altro, lei aveva una vaga idea di cosa aspettarsi:
sapeva dove si trovava Nevelunga, sapeva quanto era distante dal
convento e, quindi, dal punto in cui erano tenute prigioniere, e
conosceva Falco. Cosa sapevano le sue due amiche? Se Clara poteva
indovinare il suo destino, Lisi si trovava di certo completamente
allo sbaraglio: “al di là
dell’oceano” non era un luogo, ma
un’espressione che racchiudeva in sé una vita
intera. Oltretutto,
ragionò, le mezze parole e le allusioni fatte sul conto di
suo
fratello avevano con ogni probabilità aumentato i dubbi e le
incertezze delle altre due fanciulle.
Per
le ore successive, le ragazze sedettero in silenzio sui rispettivi
materassi, in attesa che qualcuno portasse loro qualche notizia,
buona o cattiva che fosse. Nessuno aveva dato loro una torcia e
così
restarono a guardare mentre la luce che filtrava attraverso le chiome
degli alberi e la spessa tela della tenda si faceva sempre
più
fioca; e le ombre della sera sempre più lunghe. Fatta
eccezione per
Ciela, che portò loro il telo che le era stato richiesto,
nessuno
fece loro visita. La sera divenne notte e le giovani iniziarono a
sentire i morsi della fame. Quando i suoni del campo dei briganti si
acquietarono, uno degli uomini di guardia portò loro una
pentola che
conteneva una sorta di brodaglia spessa, dalla quale emergevano un
paio di patate e qualche carota. L’uomo si ritirò
prima che Neve o
una delle altre fanciulle potesse aprire bocca.
Passarono
tre giorni che a Neve parvero i più lunghi della sua vita.
Non era
abituata all’inattività: in convento
c’era sempre qualcosa da
fare, piccoli compiti ripetitivi che l’aiutavano a riempire
la
giornata. Le occasioni di conversare con Lisi e Clara si fecero
sempre più scarse. Una volta che ebbero esaminato in lungo e
in
largo la sfortunata situazione in cui si trovarono, le ragazze si
trovarono a corto di argomenti di cui discutere: del resto, nessuna
di loro era dell’umore adatto per chiacchierare del
più e del
meno.
Per
quanto si sforzassero di tendere le orecchie e di cogliere qualche
dettaglio, qualche frammento di conversazione che permettesse loro di
capire cosa stesse accadendo al di fuori della loro piccola prigione
di stoffa, pareva che i loro carcerieri fossero ben attenti a non dar
loro alcun appiglio. Parlavano sussurrando, in un tono troppo basso
perché le giovani potessero distinguere le parole.
Cionondimeno,
qualche suono filtrava comunque. Colpi sordi e nitrire di cavalli,
risate e insulti urlati, ma anche grida di terrore e pianti
soffocati. Erano sempre voci femminili a emettere quei suoni che
avevano il sapore della disperazione, e le ragazze chiuse nella tenda
non avevano bisogno di confrontarsi per capire chi fosse a gridare e
a piangere: alle loro consorelle era stato evidentemente riservato un
trattamento meno favorevole.
La
mattina del quarto giorno, la tenda si aprì cogliendole di
sorpresa.
Le uniche visite che ricevevano durante il giorno erano quelle
dell’uomo e della donna che servivano loro pranzo e cena e
che si
occupavano di mantenere un minimo decoro nella tenda e per questo non
si aspettavano l'arrivo del bandito dalla pelle scura che aveva
ucciso la Superiora: non di prima mattina, se non altro. Le tre
ragazze, che erano balzate in piedi quando la tenda si era aperta,
retrocedettero d'istinto come un sol uomo.
"Tu",
disse il brigante tendendo una mano verso Lisi, "vieni con me."
Le
gote della giovane mora si fecero ancora più pallide del
solito.
“Perché?” chiese con un filo di voce.
Senza nemmeno rendersene
conto, Neve e Clara le si strinsero ai fianchi, quasi intendessero
proteggerla dall’uomo che torreggiava su di loro.
“Mikel
vuole così” replicò il bandito in tono
brusco, senza
sbilanciarsi. “Puoi seguirmi sulle tue gambe oppure puoi
farti
portar via di peso: scegli tu.”
Lisi
si guardò attorno come alla ricerca di un appiglio, gli
enormi occhi
verdi carichi di smarrimento. “Ma…” la
voce le si affievolì e
scomparve prima che la giovane riuscisse a esprimere la propria
obiezione.
Forse
d’istinto, Lisi guardò Neve come alla ricerca di
un aiuto. La
giovane bionda non riuscì a fare altro che aprire e chiudere
stupidamente la bocca per un paio di volte, incapace di pronunciare
parole di senso compiuto. Neve non si stupì nello scoprire
che,
nonostante il senso d’orrore che le stritolava il cuore, non
c’era
nessun fremito di rabbia nelle profondità del suo petto:
alla
bestiolina che vi abitava non era mai interessato un granché
del
benessere degli altri.
La
ragazza deglutì più volte nel tentativo di
scacciare il nodo che le
stringeva la gola e poi gracidò: “Non puoi
portarla via!”
Il
brigante si voltò per fulminarla con gli occhi, una reazione
che non
si era aspettata. “E tu invece hai il diritto di portare via
mia
figlia?”
“C-come?”
balbettò Neve, presa in contropiede. Ci mise qualche secondo
per
collegare tutti gli elementi. “Oh… Ciela
è tua figlia?”
chiese.
“Già”
annuì l’uomo con un brusco cenno del capo.
“Non
ho chiesto io che venisse con me!” ribatté la
ragazza, piccata da
quell’accusa infondata. “A quanto pare è
stato il tuo capo a
decidere di spedirla con me a Nevelunga!”
“E
adesso Mikel ha deciso di tenersi la tua amica. Direi che non
possiamo fare altro che accontentarlo” replicò il
bandito, come se
vi fosse un qualche tipo di equilibrio in quella sorta di scambio di
ostaggi.
“...
vuole tenermi con sé?” sussurro Lisi in un tono
che Neve non seppe
interpretare alla perfezione. C’era una nota di timore,
certo, ma…
Il
bandito esalò con forza dal naso. “Cerca di
mostrarti dispiaciuta,
ragazza.”
Lisi
avvampò. “Lo sono!” sibilò,
ritrovando il proprio spirito
combattivo. “Non ha alcun diritto di tenermi
con sé,
né di vendermi a qualcuno o, o… di fare qualsiasi
altra cosa, con
me!”
L’uomo
le puntò addosso i suoi occhi neri. “Preferiresti
quindi essere
venduta al mercato degli schiavi?” la provocò.
La
ragazza bruna aggrottò la fronte e chinò gli
occhi a terra. “No”
ammise in un soffio.
Non
che fare da puttana a quello là sia una sorte molto migliore,
sussurrò una voce nella testa di Neve, e la ragazza
arrossì,
mortificata da quel pensiero volgare e assolutamente non in linea con
quello che pensava della sua amica. Da dov’era sbucato? Non
era da
lei giudicare in maniera tanto superficiale le scelte e i pensieri
dell’altra giovane.
“Nemmeno
tua figlia sembra dispiaciuta di venire a Nevelunga” disse
allora,
inserendosi nel discorso e rifiutandosi di interrogarsi oltre su
quello che avrebbe potuto essere il rapporto tra Lisi e Mikel.
“Ciela
non ha ancora quindici anni” sbottò il bandito.
“È troppo
giovane per sapere quello che vuole. Sta a me decidere per lei.
Proteggerla è compito mio!”
“Nemmeno
Clara ha ancora quindici anni”, ribatté Neve,
indicando la
ragazzina, “eppure guardate che trattamento le state
riservando.”
Sul
volto dell’uomo passò un’ombra veloce e
la giovane si chiese se
si sentisse in colpa per le proprie azioni. Poco dopo il brigante si
strinse però nelle spalle. “I suoi genitori
l’hanno venduta al
convento: le hanno tolto la libertà di decidere del proprio
futuro
parecchio tempo fa.”
“I
miei genitori sono morti”
esalò
Clara e, per la prima volta, a Neve parve di cogliere una nota di
sdegno nelle sue parole.
L’uomo
la guardò con una smorfia. “Peggio per
te” replicò. Doveva
avere fretta di chiudere il discorso, perché non aggiunse
altro e
afferrò con malagrazia un polso di Lisi. Con uno strattone
deciso,
costrinse la ragazza ad allontanarsi dalle amiche e ad accostarsi a
lui.
“No!”
protestò la giovane dimenandosi.
“Finiscila!”
ringhiò l’uomo, prendendola per le spalle e
scuotendola con forza.
“Cosa speri di ottenere? Non hai ancora capito qual
è la tua
situazione?”
Lei
emise un gemito e gli occhi le si fecero lucidi, ma smise di lottare.
Non rispose dalla domanda del bandito - che era comunque retorica -
ma l’uomo parve interpretare il suo silenzio come un assenso.
“Andiamo” le disse, tornando a stringerle il polso
con quella che
a Neve parve una presa più delicata rispetto a quella di
poco prima.
Quando
la giovane fu scomparsa oltre l’apertura della tenda, Neve si
mordicchiò pensosamente le labbra. Meglio
con Mikel che con Falco, probabilmente,
considerò. Spero
solo di riuscire a salutarla.
Si
sentiva come svuotata. Lisi, un’amica che l’era
tanto cara da
considerarla quasi una sorella, era stata portata via ed era forse
uscita per sempre dalla sua vita, ma lei non avvertiva altro che un
vago senso di mancanza.
Clara
le si avvicinò e le prese una mano tra le sue.
“Siamo rimaste
sole” le disse in un sussurro.
Neve
guardò nei suoi grandi occhi scuri e vi lesse tutto lo
smarrimento
che in quel momento rischiava di soffocare la ragazzina. “Lo
so”
sospirò cingendole le spalle con un braccio. “Noi
due resteremo
insieme, però. Non hanno alcun interesse a
dividerci.”
Clara
annuì e le si strinse al petto, nascondendo il volto nel suo
collo.
Neve le accarezzò la schiena in cerchi lenti, cercando di
confortarla. Il corpo ossuto della ragazzina sobbalzò sotto
l’impatto dei singhiozzi silenziosi e senza lacrime che la
stavano
scuotendo e la giovane si sforzò di trovare parole che
fossero in
grado di consolarla e di confortarla.
La
sua mente rimase però perfettamente vuota, quasi distaccata
dal suo
corpo fisico. C’erano i concetti di compassione e
pietà, Neve li
riconosceva nella loro dimensione astratta e sapeva che quei
sentimenti avrebbero dovuto riempirle il cuore e la testa, ma in lei
tutto era stranamente silenzioso: taceva la parte razionale del suo
essere e taceva allo stesso modo la creatura rannicchiata sotto le
sue costole.
Quel
silenzio era un’anomalia e Neve si scoprì a
temerlo.
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