PASSAN LE GLORIE COME FIAMME DI CIMITERI, COME SCENARI VECCHI CROLLAN REGNI ED IMPERI

di Angel_lilac
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PERCEZIONI

 

ATTO I

Lei era un mostro, uno terribile, di quelli che ti divorano l’anima e la vomitano ai tuoi piedi, che ti zittiscono con la loro presenza e ti fanno vergognare per la banalità dei tuoi pensieri. Un suo sguardo raggelava la stanza e ogni sua parola esprimeva autorità. I suoi movimenti invitavano all’inchino. Incontrare i suoi occhi era considerato un sacrilegio: un affronto del genere non lo avrebbe certamente perdonato. Era una facoltà di cui era priva, il perdono.

Le nostre gambe tremavano quando si avvicinava ma, se ce lo avesse ordinato, saremmo potuti tornare immobili in una questione di secondi. “Non esiste buon motivo per cui non rispettare un suo ordine” avevo sentito pronunciare non appena arrivato. 

Indagava ogni nostro gesto, non giustificava alcun errore e si ammirava per la sua capacità di diffondere il terrore ovunque si trovasse. Non eravamo gli unici a temerla, l’intera città le era obbediente. Lei nutriva il suo popolo e noi quel pasto lo trasformavamo in umile rispetto. I più presuntuosi si credevano suoi collaboratori, ma per lei esistevano solo subordinati, ridicoli dipendenti segnati dai difetti tipici degli esseri umani. Lei detestava i nostri difetti, il che ci convinse che non fosse umana. 

Potevamo percepire il suo profumo ancora prima della sua presenza e questo ci dava il tempo di ricomporci per affrontare il suo volto impassibile con altrettanta serietà. Le risate le erano odiose. Avevo sentito dire che sapeva prevedere una risata da due stanze di distanza e, in quel caso, il divertimento dello sfortunato non sarebbe durato a lungo. “Chi ride è uno sciocco, chi piange un suicida”, qualcuno mi aveva ripetuto le Sue parole mentre cercavo di soffocare una risata. Eliminai ogni motivo di sorriso e non piansi mai più. La vita mi era diventata indifferente. 

Dicevano che il suo volto arcigno non avesse mai conosciuto il sale. Al contempo, nessuno le aveva mai visto i denti. D’altronde, parlava solo quando necessario e, nel suo caso, le sue espressioni sostituivano perfettamente la parola.

Non aveva un nome, non per noi. Quando avevamo la spaventosa occasione di parlarle di persona la chiamavamo “Signora” e tra di noi era “La Padrona”. Il suo regno era immenso e lo regnava da sola. 

Dicevano che il marito le fosse sottomesso, come tutti noi. Quei pochi a cui era capitato di vederli insieme, lo avevano creduto muto. In realtà, la voce l’aveva, ma a mancargli erano le parole, o forse solo il coraggio di pronunciarle in sua presenza. 

Il passato della Padrona era sconosciuto e la sua immagine si nutriva di ignoranza e di un’implacabile fame curiosa. L’unica cosa certa era che qualche mese dopo il suo arrivo in città, non c’era uomo che non credesse di aver sempre lavorato per lei.  





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