Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di
J. R. R. Tolkien, mentre i nuovi personaggi e luoghi sono di mia
proprietà, quindi se li volete usare o prendere come spunto,
prima siete pregati di chiedermelo. Questa storia è stata
scritta senza alcuno scopo di lucro.
ERINTI
CAPITOLO 26:
TEMPO DI CORDOGLIO.
Il terreno tremava sotto i loro piedi ed urla disumane riecheggiavano
nella notte. Gli assaliti osservavano l’avanzata degli Ent
pieni di stupore ed anche con un velo di preoccupazione, nonostante
sapessero che non avrebbero fatto loro alcun male. Gli alberi si
facevano sempre più vicini, ormai erano a pochi metri da
loro. Qualche Rohirrim arretrò di alcuni passi. Eomer era
indeciso se continuare o meno la ritirata. Fu allora che dagli alberi
comparve una figura a cavallo. Era una macchia nera agli occhi degli
Uomini: con il calare della sera riuscivano a vedere poco. Ma
l’urlo che si levò subito dopo rianimò
i loro cuori: - Avanti Eorlingas! – riecheggiò la
voce dell’individuo per la spianata alle pendici di Edoras.
- Pietragrigia! È il Capitano Pietragrigia! –
esclamò qualcuno avendo riconosciuto la voce.
Di lì a poco il suo nome si diffuse in tutta la vallata e i
Rohirrim, riacquistato coraggio e vigore, si lanciarono in un ultimo
attacco. Gli Ent si mescolarono con loro e in un attimo furono addosso
al nemico che si trovò completamente circondato su tutti i
fronti. Nonostante ciò, questo cercò comunque una
via di fuga, perché sapeva che niente avrebbe potuto contro
una tale ferocia.
Elfwine ed Elboron si erano fermati alcuni istanti ad osservare
increduli la scena ed anche loro, influenzati da
quell’impeto, si scagliarono contro coloro che si trovavano
ancora alla porta ovest. Si fecero largo tra Orchetti, Goblin e Troll a
suon di colpi di spade arrivando ad una decina di metri
dall’ingresso. Qui notarono che il nemico indietreggiava
verso di loro. Non fecero in tempo a domandarsi cosa stesse succedendo
che intravidero tra l’ammasso di creature una lunga chioma
bionda, il tutto contornato da urla familiari della figura: Eowyn stava
respingendo l’avanzata del nemico all’interno della
città con una decina di uomini al suo fianco. Sembrava un
guerriero Rohirrim dell’antichità. I due ragazzi
restarono ad osservarla impressionati, tanto era valorosa.
Fu Durin a riportarli alla realtà: - Pensate di rimanere a
bocca aperta ancora per molto? Abbiamo degli insulsi esseri da
scacciare, non mosche! –
Eowyn, nonostante stesse tenendo testa a quell’orda di esseri
riprovevoli, risentiva comunque della fatica. Ormai ogni colpo di spada
che vibrava era sempre più debole e le gambe la reggevano a
malapena in piedi.
Fu così che non colpì a morte il Goblin davanti a
lei. Quello rispose con un fendente che la ferì al fianco
sinistro. La donna lanciò un grido di dolore, piegandosi in
avanti, la mano sinistra andò subito sulla parte lesa.
Sentì il liquido caldo scenderle lungo la pelle e
impregnarle l’arto. Il Goblin approfittò di
quell’istante di distrazione e sferrò un altro
fendente al collo. Un secondo dopo vide il suo braccio che reggeva
l’arma a terra. Corrugò la fronte e
piegò leggermente il collo interdetto. Non fece in tempo a
capire cosa stesse succedendo che si ritrovò una lama velata
di una luce azzurra nel ventre. Rantolò e crollò
esanime a terra.
Eowyn sollevò il capo sorpresa per vedere chi fosse stato il
suo salvatore. Si ritrovò davanti la figura di schiena, ma
nonostante la zona fosse illuminata solo da alcuni fuochi sporadici,
riconobbe di chi si trattasse e la ringraziò.
Monica non si voltò e non le rispose, sollevò
soltanto alcuni attimi la mano con il pollice
all’insù mentre si avventava come una furia sul
nemico e la proteggeva.
Elfwine ed Elboron avevano assistito alla scena dal di là
della porta e per un momento avevano temuto il peggio.
Quest’ultimo ringraziò mentalmente la ragazza e
spronò gli altri a cercare di entrare in città.
Sua madre era comunque ferita, non poteva certo lasciarla lì
nel bel mezzo della battaglia.
Turion, nel frattempo, si era caricato in spalla Aragorn ed ora stava
cercando un luogo sicuro dove lasciarlo mentre borbottava fra
sé e sé - Occupatevi di Re Aragorn! –
esclamò imitando la voce di Monica – Poi prende e
si lancia in mezzo alla mischia! – sbottò con tono
infastidito – Io devo occuparmi di te! Non lei, io! -
Il Re di Gondor rideva divertito – Devi ammettere che ha
carattere. –
- Non so se si rende conto della situazione… sarei dovuto
andare io giù alla porta, non lei! –
precisò mentre posava lentamente l’Uomo a terra a
cui sfuggì un lamento di dolore.
- Beh, lei non avrebbe potuto portarmi via in spalla come hai fatto tu.
– lo fece ragionare.
- Visto che è tanto brava poteva anche restare a proteggerti
lì dove eravate. – replicò stizzito.
- È un tipo avventato. – commentò
l’altro con un sorriso divertito sul volto.
- Giuro sui Valar che dopo mi sente! – fece
l’altro. Poi restò alcuni attimi in silenzio a
controllare che non vi fosse nessuno nei paraggi. Voleva andare ad
aiutare gli altri, ma non poteva lasciare l’Uomo
lì.
- Mi dispiace che devi restare a badare a me. –
mormorò il Re di Gondor.
- Estel, fammi un favore… se ci dovesse essere
un’altra battaglia in futuro, stanne fuori. – gli
suggerì ammiccando.
L’altro ridacchiò divertito. Era proprio arrivato
il momento per Re Aragorn di appendere la spada al chiodo.
Sospirò malinconico mentre appoggiava il capo brizzolato al
muro dietro di lui.
Nonostante il nemico cercò in tutti i modi di resistere, le
forze alleate riuscirono a sbaragliarlo. Nel giro di mezz’ora
non rimase più in piedi nemmeno una creatura fetida.
Acclamazioni di gioia si levarono nella sera: Edoras era salva. Ma ad
un altissimo prezzo. Molti avevano perso la vita in quei giorni e molti
altri avrebbero per sempre fatto i conti con le lesioni gravi
riportate. I feriti vennero portati tutti al palazzo di Meduseld. Erano
talmente tanti che non entravano più né
nell’edificio, né nel piazzale sottostante. La
notte era gelida e si iniziava ad essere a corto di beni di prima
necessità e di cibo. Ma nonostante la stanchezza, chi stava
bene si adoperava ad aiutare il più possibile. Si vedevano
figure correre alla luce rossa delle fiaccole accese per le vie. Molti
erano nella vallata a cercare i sopravvissuti e ad ammassare i nemici
in cumoli a cui poi avrebbero dato fuoco. Per gli Uomini, Elfi e Nani
che avevano perso la vita vi sarebbe stata una degna sepoltura, aveva
garantito Re Eomer.
Eowyn e Aragorn erano sotto le amorevoli cure di Arwen e dei quattro
Hobbit che non facevano che preoccuparsi dei loro amici. Faramir era ad
aiutare in città ad accumulare provviste insieme al figlio.
Eomer era nella vallata con la maggior parte degli Elfi e gli Ent a
controllare se vi fossero sopravvissuti e ad occuparsi dei corpi dei
morti. I due Uomini non si erano risparmiati di bacchettare la povera
Eowyn. Anche se ammisero che senza il suo aiuto, probabilmente le sorti
della battaglia sarebbero andate diversamente.
Le Aquile vegliavano silenziose nella notte. Avevano garantito che non
se ne sarebbero andate fino a che non fosse stato sicuro. Infatti
Gorphad aveva riferito, non appena era riuscito a parlare con il suo
Signore Gimli, che il loro ritardo era stato causato da
un’orda di Goblin che li avevano attaccati alle porte della
città. Erano riusciti a sbarazzarsene solo grazie
all’intervento degli Ent che avevano saputo della battaglia
ad Edoras e stavano andando in aiuto.
Quello che aveva stupito tutti fu proprio l’intervento di
questi ultimi. Gandalf aveva rivelato di non aver avvisato gli alberi,
solo le Aquile. Ma Barbalbero aveva spiegato che il nemico aveva
superato i loro confini e che dopo la battaglia di Isengard, durante la
guerra dell’Anello, aveva giurato che mai nessun Orchetto o
creatura malvagia l’avrebbe passata liscia se lo avesse fatto.
- Quindi dopo averci riflettuto su, abbiamo convenuto che non potevamo
non punirli. – fu il commento del vecchio Fangorn.
- Ecco perché avete tardato ad arrivare. – fu la
replica di Merry che aveva intuito che quel “riflettuto
su” fosse durato decisamente molto.
- Tu hai sempre fretta, mio piccolo amico. –
replicò quindi l’altro.
Era l’alba quando la vita dentro e fuori Edoras
iniziò a farsi meno frenetica. La maggior parte dei feriti
erano sotto controllo e i guaritori vegliavano su di loro. Il cielo
iniziava a tingersi di rosso, in lontananza. Nelle ultime ore della
notte aveva iniziato a soffiare un vento forte che stava spazzando via
tutte le nuvole. Ormai si intravedevano pallide solo le ultime stelle.
Monica era appoggiata al muro del Palazzo d’Oro ed osservava
quella scena raggelante che le si presentava davanti gli occhi,
raggomitolata in una coperta. La vallata, ormai composta da un
miscuglio di fango e sangue, era ora piena di cumuli alti da cui si
levava del fumo che indicavano dove erano stati bruciati i corpi dei
nemici. Ve ne erano un’infinità. Non riusciva a
capacitarsi ti tanta crudeltà: erano venuti proprio per
radere al suolo Edoras e trucidare chiunque vi fosse
all’interno. Rabbrividì, ma non per il freddo.
Aveva paura. Ora che era tutto finito e riusciva ad avere la mente
lucida, si rendeva conto del pericolo a cui era andata incontro. Si
doveva ritenere fortunata ad essere ancora viva e per lo più
incolume. Aveva riportato qualche graffio e qualche ammaccatura, ma
niente di più. Spostò lo sguardo sulla distesa di
corpi che erano stati disposti in file sotto le mura della
città. Erano quelli degli Uomini, Elfi e Nani che avevano
perso la vita per difendere quel posto. Il cuore le si strinse in una
morsa di dolore. Quanti non avrebbero più fatto ritorno
dalle loro famiglie o dai loro amici? E di conseguenza il suo pensiero
andò ad Alyon. Varnohtar le aveva riferito, dopo aver
ricevuto una bella tirata d’orecchie da Turion, che avevano
portato con loro il corpo dell’amico. Lo avevano lasciato in
un posto all’interno della foresta di Fangorn, al sicuro.
Avevano deciso di portarlo a Lothlorien, visto che Imladris era andata
distrutta. Il ricordo dell’Elfo le fece ancor più
male al cuore e gli occhi nocciola le si riempirono di lacrime.
- Perché portate il dolore per chi non è del
vostro stesso Mondo? – chiese una voce soave.
La ragazza si riscosse dai suoi pensieri e si voltò
sorpresa. Ma non trovò nessuno dietro di lei.
Restò interdetta ad osservare il punto lì accanto
a lei. Voltò la testa a destra e a sinistra, fece vagare lo
sguardo lì intorno, ma non vi era nessuno. Eppure la
bellissima voce femminile che aveva udito proveniva da lì
vicino. “Che me la sia immaginata?”
pensò.
- Perché avete combattuto al nostro fianco, rischiando la
vostra stessa vita? - fece di nuovo la voce.
Quella si voltò di nuovo, ma non vi era nessuno nei paraggi
che sembrava le stesse rivolgendo la parola. O almeno non una donna. Vi
erano solo i feriti raggomitolati nelle loro coperte distesi
lì sotto la scalinata tra le voragini provocate dai
Troll-Talpa. Pensò che la stanchezza le stesse giocando un
brutto scherzo. Poi però ricordò. C’era
qualcuno in grado di comunicare telepaticamente nella Terra di Mezzo:
Dama Galadriel. Restò con il fiato mozzato in gola mentre la
cercava lì intorno, spingendosi più lontano con
lo sguardo di quanto avesse fatto poco prima.
- Silwen, perché non andate a riposarvi? – le
chiese qualcuno. La ragazza si voltò di scatto e si
ritrovò davanti Elladan che la guardava preoccupato
– Non avete per niente un bell’aspetto. –
rincarò.
La ragazza tornò a far vagare velocemente lo sguardo
lì intorno. Ma doveva ammettere che l’Elfo aveva
ragione. Non era ancora andata a riposare perché si era
occupata anche lei dei feriti, con tutto quello che c’era
stato da fare. Si voltò verso di lui e
acconsentì. Mentre stava rientrando nel Palazzo si
voltò un’ultima volta, ma della Dama di Lothlorien
non vi era traccia. La cercò anche all’interno, ma
non la vide.
Lastie percorreva a passo spedito le vie di Edoras. Era sera e le
fiaccole illuminavano il cammino. C’era una strana quiete in
giro, dopo tutta l’agitazione di quei giorni. Ma era un
silenzio greve. Si sentiva solo il lievissimo scalpiccio che facevano
le sue scarpe sul fango a terra. Si fermò ad un incrocio
restando nel bel mezzo intenta a ricordarsi quale fosse la strada da
prendere. Poi imboccò la via a sinistra. Percorse alcuni
metri e bussò alla porta della terza casa alla sua destra.
Una donna bionda, bassa e dalla corporatura robusta fece capolino e le
sorrise, quindi la fece accomodare all’interno.
- Mi dispiace presentarmi all’improvviso, ma sono venuta a
recuperare Silwen. – riferì rimanendo sulla soglia.
- Sta ancora dormendo. Non si è svegliata mai, povera
ragazza. Ogni tanto vado a controllare che sia ancora viva. –
ridacchiò - Ma posso capire. Aveva veramente un
brutto aspetto quando l’ho accompagnata qua stamattina.
– spiegò l’altra –
Perché non andate a svegliarla voi? Anche se sarei
dell’idea di lasciarla dormire fino a che non si sveglia da
sola. –
Un sorriso amareggiato comparve sul volto della Dunedain –
Sono della vostra stessa idea, ma sapete che… -
cominciò.
- Sì, sì! – affermò
l’altra interrompendola e sollevando gli occhi verdi al cielo
– La cerimonia. – poi sospirò e si
voltò di nuovo verso di lei facendole un cenno con il capo
di seguirla.
Quella sembrò esitare, poi mosse alcuni passi verso la donna
che le fece strada. Entrò nella camera che era completamente
al buio. Emmeline accese un lume su un tavolo dall’altra
parte del letto. La luce fioca illuminò la stanza e la
figura che era distesa sul letto. Lastie si avvicinò e in
quel momento la ragazza mugugnò qualcosa di incomprensibile
rigirandosi fra le coperte. Alla Dunedain scappò un sorriso.
Quindi si chinò e la scosse. Monica continuò
beatamente a dormire. Lastie allora ritentò con
più veemenza e finalmente l’altra dischiuse gli
occhi assonnati. Restò a fissarla per alcuni istanti.
- Mi dispiace svegliarvi, ma dovete seguirmi. –
riferì pacatamente.
Quella rimase in silenzio alcuni istanti come a soppesare quello che le
era stato appena detto – Che ore sono? – chiese
sollevandosi a sedere e sfregandosi un occhio.
- Quasi ora di cena. Ed è per questo che sono qui. La vostra
presenza è desiderata al Palazzo d’Oro per onorare
i morti in battaglia. Questo mi ha detto Re Eomer. –
spiegò.
- Re Eomer? – ripeté Monica sbalordita.
- In persona. – rispose Lastie sorridendole – Non
fate quella faccia sorpresa… in fondo è grazie a
voi che Edoras è salva. – ricordò.
Monica restò seduta in silenzio con i piedi fuori dal letto
– Ma io non… - provò a replicare.
- Silwen… la modestia non serve… avete davvero
salvato la città e buona parte di chi vi abita ed era
presente in questi giorni. – fece seria.
- Se è per questo anche voi avete i vostri meriti.
– dichiarò guardandola.
Lastie si agitò – Beh, sì,
più o meno… - bofonchiò distogliendo
lo sguardo. E non poteva assicurarlo a causa della semi
oscurità in cui era la stanza, ma all’altra
sembrò che fosse arrossita.
Le due giovani donne camminavano tra le vie di Edoras in completo
silenzio. Lastie stava ripensando a quando un paio d’ore
prima, appena sveglia, si era recata alla sala del Palazzo. Vi erano
radunate la maggior parte delle figure più importanti e si
stava facendo spazio. I feriti erano stati spostati in altri posti. Si
era chiesta cosa stesse succedendo e così si era avvicinata
al primo gruppetto composto da Glorfindel insieme ad altre due figure:
una era Dama Arwen. Stavano parlando delle condizioni di Re Aragorn:
appurò che stesse bene, nonostante la ferita alla gamba
fosse seria. Chiese allora delucidazioni e la figura che le stava dando
le spalle si voltò a risponderle. Fu decisamente stupita nel
riconoscere Elrond. Sembrava completamente cambiato, come se avesse
riacquistato il vigore di una volta. Perfino i suoi occhi grigi erano
tornati a brillare. Sembrava anche ringiovanito. Questo le
riferì che si era deciso di celebrare i morti quella sera,
quindi stavano facendo spazio per dare la possibilità di
partecipare alla maggior parte di persone possibili. In quel momento
era arrivato Re Eomer e aveva dichiarato che sarebbe stato felice se
fosse stata presente anche Silwen. Glorfindel si era subito offerto
volontario per andare a svegliarla, ma in quel momento era entrato
Elrohir nella sala e lei era completamente entrata nel panico. Quindi
si era offerta volontaria lei di andare a chiamarla e non aspettando la
risposta affermativa dei presenti, aveva preso ed aveva lasciato
velocemente il Palazzo, il tutto mentre si malediceva per lo stupido
comportamento. Tutto questo perché quella mattina Elladan le
aveva ricordato cosa avesse urlato ad Elrohir durante il combattimento
contro Morwen. Quel “Ti prego, torna da me!” le era
scappato di bocca. Non aveva alcuna intenzione di dirlo e non sapeva
minimamente perché l’avesse detto. Nel ripensarci
il cuore le riprese a battere velocemente. Non capiva perché
reagisse in quel modo. Fatto sta che ora la presenza
dell’Elfo la agitava e la turbava.
Monica, invece, stava ripensando al sogno che aveva fatto poco prima.
Era ancora vivido nella sua mente: stava percorrendo le vie di una
città in groppa ad un cavallo dal manto bianco che le
ricordò un sacco la cavalla su cui era solita viaggiare
ultimamente. Accanto a lei vi era Gandalf, completamente vestito di
bianco. Anche la città in cui si trovava era bianca. Vi era
parecchia gente in giro e fiori colorati fuori da ogni finestra.
Gandalf le stava parlando, ma come ogni volta, non sentiva cosa le
stesse dicendo. Avevano varcato l’ingresso della
città da poco, lasciando una via sterrata circondata da
campi di grano color dell’oro che risaltavano in contrasto al
cielo azzurro. Percepiva un senso di beatitudine e felicità.
Poi successe qualcosa perché si erano entrambi voltati
all’indietro, verso l’ingresso della
città. Ora era inquieta. Un uomo corse
all’interno. Non sapeva cosa avesse detto, ma in pochi
istanti aveva spronato il cavallo al galoppo e si era ritrovata fuori
le mura. Dritta sul dorso dell’animale aveva visto in
lontananza qualcosa che le fece ribollire il sangue. Vi erano diverse
figure che scappavano in tutte le direzioni, nel bel mezzo di un campo
di grano ve ne erano due: una donna e un bambino, a pochi passi un
branco di Mannari. Senza aspettare oltre, prese l’arco che
portava con sé, incoccò una freccia e
scoccò mirando ad una bestia. La freccia andò a
segno uccidendo l’animale. Le altre bestie spostarono
l’attenzione su di lei. Scoccò un’altra
freccia che si andò a conficcare nel fianco di un altro
Mannaro. Ne rimanevano sette. Intanto la donna aveva preso il bambino
in braccio e iniziò a correre nella direzione da cui stava
arrivando lei. Ma un Lupo la inseguì e con una zampata la
ferì alla schiena. Quella crollò a terra. Disse
qualcosa al bambino che aveva protetto, era terrorizzato. Questo, con
le lacrime agli occhi, iniziò a correre mentre il Mannaro
finiva la donna azzannandole il collo e subito dopo puntò il
bambino a pochi metri da lui. Nel frattempo lei aveva incoccato di
nuovo la freccia che scagliò in direzione della creatura,
colpendola. Ma anche gli altri si stavano avvicinando al bambino.
Ripose l’arco e sguainò la spada, ormai a pochi
metri anche lei dal piccolo, il cuore in gola; spronò il
cavallo per farlo andare più veloce. Un Mannaro si
scagliò sul bambino, lei si chinò per afferrarlo
al volo. Lo riuscì a prendere e lo issò davanti a
lei mentre un dolore lancinante le si propagò dalla spalla
sinistra. Il Mannaro l’aveva presa in pieno con gli artigli.
Abbassò preoccupata gli occhi sul bambino, ma era sano e
salvo. Almeno per il momento. Fece fare una curva larga al quadrupede e
poi si diresse di nuovo verso la porta della città che ora
svettava imponente e luminosa davanti a lei. Si voltò
indietro a controllare le bestie: la stavano inseguendo, nonostante
fossero a svariati metri di distanza. Raggiunta la porta
arrestò il cavallo e scese. Disse qualcosa al bambino,
mentre Gandalf le si fermava accanto sul suo cavallo nero e allungava
il bastone bianco in avanti. Lei diede una pacca al suo cavallo che
trotterellò all’interno della città
portando il bambino al sicuro. Si voltò di scatto e si
ritrovò i Mannari a pochi passi. Sollevò la
spada, le gambe ben piazzate a terra e iniziò a combattere.
Con l’aiuto dello Stregone ci misero poco ad ucciderli tutti.
Stavano per rientrare quando sentì degli ululati in
lontananza. Sgranò gli occhi sconvolta e si voltò
allarmata. Un’orda stava arrivando verso di loro. Questa
volta erano molti di più, accompagnati dagli Orchetti a
cavallo. Erano troppi per loro due da soli, quasi un centinaio. Gandalf
alzò il bastone al cielo e dalla punta partì una
luce blu verso il cielo, poi le disse qualcosa e lei affermò
con il capo. La determinazione che le scorreva nelle vene. La spada
ricoperta di sangue pronta a sferrare altri colpi. Gandalf scese da
cavallo e le si piazzo lì accanto. Appena i nemici furono a
portata, iniziò a sparare raggi di luce nel campo davanti a
loro: prese fuoco in pochi istanti. Riuscì per un
po’ a rallentare l’avanzata nemica. Poi furono loro
addosso.
Cercava di ucciderne il più possibile con un colpo solo, ma
erano veramente troppi e la spalla le stava facendo dannatamente male,
nonostante lei usasse il braccio destro. Sentiva che non avrebbe
resistito a lungo. Ma proprio quando la situazione si stava facendo
drammatica, arrivarono in loro aiuto le guardie della città
e non ci impiegarono molto ad annientare definitivamente il nemico.
Affondò la spada nel petto dell’ultimo Orchetto e
la ritrasse. Ansimava per la stanchezza e le fitte erano diventate
insopportabili. Percepì un pericolo alle spalle, quindi si
voltò di scatto sferrando un colpo, ma la sua spada
cozzò contro un’altra. Si ritrovò a
fissare i due occhi grigi della figura davanti a lei.
Poi era arrivata Lastie a svegliarla. Ma quegli occhi li aveva
già sognati tempo prima, quando era tornata da poco
lì ad Arda. Ed anche questa volta le avevano lasciato una
strana sensazione addosso.
Erano entrambe talmente immerse nei loro pensieri che non si accorsero
che erano giunte a destinazione. Lì sulla soglia della sala
di Meduseld, Monica ritornò alla realtà ed
osservò colpita l’interno. Il posto era stato
sistemato e pulito. Vi erano state messe
un’infinità di panche e tavoli lunghi pieni di
cibo. Il suo stomaco brontolò, ricordandole che era da un
bel po’ che non metteva qualcosa sotto i denti. Si
domandò come avesse fatto a resistere fino a quel momento.
Mentre avanzava nel salone stracolmo di gente insieme
all’altra, qualcuno si voltava ad osservarla. Ma erano
diversi dagli sguardi che le vennero rivolti ad Imladris i primi
giorni. Quelli di adesso erano per lo più di rispetto.
Cercò di non badarvi più di tanto, la cosa la
metteva comunque in soggezione. Si diressero verso Elladan che stava
parlando con Glorfindel, ma non fece in tempo a salutarli che si
sentì chiamare da poco più in là. Si
voltò sorpresa e vide Elveon che sceso dalle braccia di
Melime, le si lanciò incontro di corsa, con un sorrisone
larghissimo. Lei si chinò a salutarlo e lui le si
gettò tra le braccia stringendola forte. Le era mancato da
morire e se ne era resa conto solo in quel momento.
Ebbe il tempo di salutare solo alcuni dei presenti di sua conoscenza
che la cerimonia iniziò.
Eomer se ne stava dritto rivolto verso tutti, dando le spalle al trono
che vi era nella sala. Era vestito con abiti suntuosi e in quel momento
aveva un’aria solenne. Accanto a lui, alla sua destra, vi era
la Regina Lothiriel, alla sinistra il figlio Elfwine.
I presenti sedevano intorno a dei tavoli apparecchiati, tutti in attesa
che il Re iniziasse il discorso. Erano riusciti a partecipare anche
Aragorn ed Eowyn, nonostante le ferite. Il Re di Gondor aveva insistito
a voler essere presente.
- Amici miei, so che i vostri cuori e fisici sono ancora stanchi della
battaglia, ma c’è un motivo ben preciso per cui ho
voluto tenere così presto la cerimonia di cordoglio. Ebbene,
appena la mia gente si sarà ripresa avremo da ricostruire la
parte della città andata distrutta, ed essendo i danni
ingenti, preferirei farlo quanto prima, dato che l’inverno
è ancora lungo. Ma prima di tutto dovremo costruire i tumuli
per i nostri defunti. E non possiamo certo lasciare i cadaveri
lì dove sono ancora per molto. Poi gli Elfi, i Nani, gli
Hobbit e la gente di Minas Tirith presto ritorneranno alle loro dimore,
anche se già ho riferito loro che, data la situazione,
possono restare tutto il tempo di cui hanno bisogno. Prima che
ripartano, però, avrei intenzione di tenere un altro
Consiglio. Questa volta, senza la presenza di Morwen che annebbi le
nostre menti, dovrebbe andare meglio dell’ultima volta.
– proferì sorridendo, anche se il sorriso era
leggermente forzato – Purtroppo l’assalto ad
Imladris e questa battaglia ci hanno resi molto deboli. Sono stati
degli attacchi inaspettati e, se possibile, vorrei evitare che si
ripetano un’altra volta. Per questo ritengo che un altro
Consiglio sia più che legittimo. E dello stesso parere sono
tutti coloro che hanno partecipato a quello vecchio. –
continuò osservandoli uno ad uno – Detto
ciò, mi scuso con tutti per l’urgenza con cui ho
voluto tenere questa cerimonia. I nostri morti vanno venerati per
quello che hanno fatto. Hanno dato le loro vite per proteggere questa
bella città e tutti coloro che vi risiedono dentro. Per non
farci cadere ancora di più nella morsa del Male e darci una
possibilità di riscatto, nonché una
possibilità di vivere in pace. Eppure in cuor mio sento che
questo non è che soltanto l’inizio. Ma giuro qui,
questa sera, che non renderò vana la loro morte e anche io
farò di tutto perché sia la terra di Rohan, sia
le terre dei miei amici possano vivere in pace. –
dichiarò, lo sguardo deciso. Quindi sollevò il
calice in alto e tutti si alzarono in piedi imitandolo – Ai
morti! – urlò. E i presenti gli fecero eco.
– Prima di iniziare a banchettare vorrei dire altre due
parole. Spero non me ne vogliate male, so che molti di voi hanno fame,
sono io stesso uno di quelli. Innanzi tutto vorrei dirvi che purtroppo
quello che vi posso offrire stasera non è molto. Sapete
tutti che l’inverno quest’anno è stato
particolarmente rigido e le nostre scorte già
scarseggiavano. In più l’assalto dei giorni scorsi
ha impedito di poter commerciare con le altre città, quindi
ci siamo ritrovati in ginocchio. Ho già mandato dei
messaggeri per avvisare i vicini della situazione in cui ci troviamo,
spero ci possano aiutare. E poi, volevo assolutamente ringraziare tutti
voi, amici miei, che vi siete prestati a combattere al mio fianco e al
fianco della mia gente. Ho un grande debito nei vostri confronti, spero
di poterlo ripagare. – Quindi fece una pausa e
spostò gli occhi azzurri sul tavolo alla sua sinistra,
posandoli su una figura in particolare. – Vorrei infine
ringraziare Silwen, con tutto il cuore. – a queste parole la
giovane sgranò gli occhi sconvolta e si irrigidì.
Ora aveva gli occhi di tutti i presenti puntati su di lei –
Se non fosse stato per voi, probabilmente la maggior parte di noi non
sarebbe qui adesso, e i nostri corpi giacerebbero nella vallata insieme
agli altri. Con il vostro pronto intervento ci avete dato la
possibilità di difenderci e con il vostro aiuto di poter
resistere. Ci avete dato la prova di essere una persona valorosa ed
altruista. – Monica era ormai paonazza per
l’imbarazzo e per la situazione in cui il Re Eomer
l’aveva cacciata – Ed ora vi parlo come uomo e non
come Re di Rohan… vi ringrazio infinitamente per aver
salvato la vita di mia sorella, una delle persone più
preziose che ho al mondo. – la ragazza spostò un
secondo gli occhi sulla Dama seduta su un tavolo dall’altra
parte della sala che le sorrise e chinò leggermente il capo
in segno di ringraziamento. Poi riportò la sua attenzione
sul Re di Rohan perché l’aveva di nuovo chiamata
– Venite qui, vi prego. –
Monica imprecò. Già stava diventando
insostenibile quella situazione, poi voleva pure che andasse
lì davanti a tutti, in bella vista. Ma non poteva certo
opporsi. Quindi fece come ordinatole.
- Ora inginocchiatevi. – proferì lui sorridendole
bonariamente. Lei obbedì titubante e confusa, non capiva
cosa volesse fare l’altro. Questo estrasse la spada e gliela
poggiò sulla spalla – Da ora siete una scudiera di
Rohan, della casata di Meduseld! – esclamò
poggiandole la lama sull’altra spalla. Lei sollevò
la testa ancora più sconvolta. Non sapeva nemmeno cosa dire.
Biascicò un grazie imbarazzatissima mentre tutti la
acclamavano contenti. Il Re si chinò e le porse una mano,
aiutandola ad alzarsi – Non so se sarà vostra
intenzione restare qui o andarvene, ma sappiate che a Rohan sarete
sempre la benvenuta. – infine le diede una pacca amichevole
sulla spalla – Bene, amici miei, ora mangiamo! –
gridò.
Nonostante il cibo fosse scarso, riuscì comunque a saziare
tutti. Finito di mangiare, i presenti si sparpagliarono per il grande
salone a chiacchierare con i conoscenti, bevendo birra. Monica era
stata raggiunta da Garion che l’abbracciò di
slancio.
- Non sapete nemmeno quanto sia contento di vedervi ancora viva e tutta
intera! – esclamò sorridente – Io e
Meinrad eravamo preoccupatissimi per voi. Sarà felice di
sapere che siete ancora viva. –
- La ragazza ha una fortuna sfacciata! – si intromise Leonard
zoppicante. Era stato ferito ad una gamba, ma non era grave –
Allora è vero che voi due vi conoscete. –
- Sì, l’ho aiutata a Tharbad. – rispose
l’altro uomo.
- Pensavate vi avessi mentito? – chiese fintamente offesa
Monica – Se non fosse stato per lui, non so se sarei mai
riuscita a raggiungere Edoras. Almeno non in tempo. –
spiegò la ragazza fissando riconoscente Garion.
- Sono anche io in debito con voi. – fece lui serio
– Se sono tornato ad Edoras è solo merito vostro.
Avevo perso qualsiasi interesse nelle battaglie lasciando
così il mio posto di Primo Maresciallo del Mark dopo la
morte di mio figlio. –
Monica sgranò gli occhi sorpresa – Eravate il
Primo Maresciallo del Mark? –
- Uno dei miei migliori uomini. – precisò Re Eomer
spuntato in quel momento, poggiando una mano sulla spalla di Garion
– Se è vero che è stato merito vostro,
allora vi devo ancora di più. – le disse.
La ragazza sospirò sperando che tutti quegli elogi finissero
il prima possibile.
- Beh, diciamo che il suo coraggio mi ha fatto capire molte cose.
Soprattutto che non è scappando che posso proteggere coloro
a cui tengo veramente, come la mia patria. –
- Garion, quello che ti dissi prima che te ne andasti due anni fa
è sempre valido: il posto di Primo Maresciallo del Mark
è solo tuo, di nessun altro. Non c’è
nessuno che attualmente potrebbe ricoprire quel ruolo. Sei un mio
carissimo amico e una delle persone di cui mi fidi di più,
nonché un bravissimo guerriero. Se hai deciso di tornare,
quel posto sarà di nuovo tuo. –
dichiarò deciso il Re.
- Vi ringrazio infinitamente. – fece commosso
l’altro.
La serata proseguì allegramente, ma la ragazza dovette
sorbirsi i ringraziamenti di Aragorn, Eowyn, Arwen, Faramir, Elboron e
tanti altri. Sembrava che quella sera ci tenessero tutti a metterla in
imbarazzo e a farla sentire a disagio. Non pensava di meritare tutti
quegli elogi, in verità. Quando vide avvicinarsi Glorfindel
la sua espressione divenne supplichevole – Vi prego, non
ditemi che siete venuto anche voi a ringraziarmi. –
mufficò.
- A dire il vero siete voi che dovete ringraziare me per avervi salvata
da quel Troll-Talpa. Sono passati diversi giorni e ancora non
l’avete fatto. Potrei offendermi. –
proferì sorridendole, strappando una risata anche a lei.
- Vi chiedo perdono per non averlo fatto prima. – gli disse
divertita - Grazie. – fece quindi seria.
- Avrei anche da rimproverarvi, veramente. –
puntualizzò l’Elfo biondo – Mi
è giunta voce che avete tentato di affrontare degli Orchetti
completamente disarmata… -
- Ehm… sì… è vero.
– balbettò mordendosi il labbro inferiore
– E in quel momento mi sono anche ricordata dei vostri
insegnamenti… -
- E nonostante ciò avete optato per tentare il suicidio.
– rincarò quello, quindi sospirò
rassegnato – Siete tale e quale Erdie. Anche lei era
avventata, la maggior parte delle volte. – sorrise divertito
posandole una mano sul capo – Vedete di non cacciarvi di
nuovo nei guai, in futuro. –
La ragazza affermò. Poi approfittò del fatto che
Glorfindel venne chiamato da Elrohir per dileguarsi. Era troppo a
disagio lì dentro. Decise di uscire sul porticato del
Palazzo. L’aria gelida le sferzò il viso
accaldato. Alzò gli occhi al cielo stellato; la
perturbazione si era allontanata lasciando dietro di sé solo
tanta neve. Finalmente si poteva rilassare. Non era stanca, quindi non
aveva intenzione di tornare alla sua attuale casa. Aveva solo bisogno
di stare un po’ da sola, lontana dalle occhiate di
venerazione e i ringraziamenti, senza pensare a cose troppo
impegnative.
Fu quando iniziò a sentire freddo che decise di rientrare.
Non sapeva quanto tempo fosse passato, non se ne era resa conto, ma da
dentro le erano giunte all’orecchio svariate canzoni.
Qualcuno doveva aver esagerato con la birra. Fece per muovere un passo
quando udì una voce melodiosa e calma, la stessa che aveva
sentito quella mattina che le chiedeva se andasse tutto bene. Ma questa
volta non era nella sua mente. Una figura completamente vestita di
bianco era in piedi di fronte a lei, dall’altra parte del
porticato. I capelli dorati, lunghissimi, risplendevano di una luce
propria, tenue, quasi argentata. Come se catturassero la luce delle
stelle. La stessa luce che risplendeva nei suoi occhi blu. Dama
Galadriel era lì davanti a lei in carne ed ossa.
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