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Autore: Kicca    14/12/2020    1 recensioni
Un Orchetto rovinò a terra ai piedi di Monica che osservò disgustata il ventre lacerato. Alzò lo sguardo e quello che vide la pietrificò. Il cuore iniziò a batterle ancora più velocemente. Non riusciva a credere ai suoi occhi. “Sto sognando! E’ l’unica spiegazione plausibile!” pensò non staccando gli occhi di dosso all’individuo davanti a lei. Nonostante l’oscurità riusciva benissimo a vedere due orecchie a punta che spuntavano tra la lunga e folta chioma nera.
Spero che la storia vi piaccia! Mi raccomando recensite! :D
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di J. R. R. Tolkien, mentre i nuovi personaggi e luoghi sono di mia proprietà, quindi se li volete usare o prendere come spunto, prima siete pregati di chiedermelo. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.


ERINTI

CAPITOLO 26: TEMPO DI CORDOGLIO.

Il terreno tremava sotto i loro piedi ed urla disumane riecheggiavano nella notte. Gli assaliti osservavano l’avanzata degli Ent pieni di stupore ed anche con un velo di preoccupazione, nonostante sapessero che non avrebbero fatto loro alcun male. Gli alberi si facevano sempre più vicini, ormai erano a pochi metri da loro. Qualche Rohirrim arretrò di alcuni passi. Eomer era indeciso se continuare o meno la ritirata. Fu allora che dagli alberi comparve una figura a cavallo. Era una macchia nera agli occhi degli Uomini: con il calare della sera riuscivano a vedere poco. Ma l’urlo che si levò subito dopo rianimò i loro cuori: - Avanti Eorlingas! – riecheggiò la voce dell’individuo per la spianata alle pendici di Edoras.
- Pietragrigia! È il Capitano Pietragrigia! – esclamò qualcuno avendo riconosciuto la voce.
Di lì a poco il suo nome si diffuse in tutta la vallata e i Rohirrim, riacquistato coraggio e vigore, si lanciarono in un ultimo attacco. Gli Ent si mescolarono con loro e in un attimo furono addosso al nemico che si trovò completamente circondato su tutti i fronti. Nonostante ciò, questo cercò comunque una via di fuga, perché sapeva che niente avrebbe potuto contro una tale ferocia.
Elfwine ed Elboron si erano fermati alcuni istanti ad osservare increduli la scena ed anche loro, influenzati da quell’impeto, si scagliarono contro coloro che si trovavano ancora alla porta ovest. Si fecero largo tra Orchetti, Goblin e Troll a suon di colpi di spade arrivando ad una decina di metri dall’ingresso. Qui notarono che il nemico indietreggiava verso di loro. Non fecero in tempo a domandarsi cosa stesse succedendo che intravidero tra l’ammasso di creature una lunga chioma bionda, il tutto contornato da urla familiari della figura: Eowyn stava respingendo l’avanzata del nemico all’interno della città con una decina di uomini al suo fianco. Sembrava un guerriero Rohirrim dell’antichità. I due ragazzi restarono ad osservarla impressionati, tanto era valorosa.
Fu Durin a riportarli alla realtà: - Pensate di rimanere a bocca aperta ancora per molto? Abbiamo degli insulsi esseri da scacciare, non mosche! –
Eowyn, nonostante stesse tenendo testa a quell’orda di esseri riprovevoli, risentiva comunque della fatica. Ormai ogni colpo di spada che vibrava era sempre più debole e le gambe la reggevano a malapena in piedi.
Fu così che non colpì a morte il Goblin davanti a lei. Quello rispose con un fendente che la ferì al fianco sinistro. La donna lanciò un grido di dolore, piegandosi in avanti, la mano sinistra andò subito sulla parte lesa. Sentì il liquido caldo scenderle lungo la pelle e impregnarle l’arto. Il Goblin approfittò di quell’istante di distrazione e sferrò un altro fendente al collo. Un secondo dopo vide il suo braccio che reggeva l’arma a terra. Corrugò la fronte e piegò leggermente il collo interdetto. Non fece in tempo a capire cosa stesse succedendo che si ritrovò una lama velata di una luce azzurra nel ventre. Rantolò e crollò esanime a terra.
Eowyn sollevò il capo sorpresa per vedere chi fosse stato il suo salvatore. Si ritrovò davanti la figura di schiena, ma nonostante la zona fosse illuminata solo da alcuni fuochi sporadici, riconobbe di chi si trattasse e la ringraziò.
Monica non si voltò e non le rispose, sollevò soltanto alcuni attimi la mano con il pollice all’insù mentre si avventava come una furia sul nemico e la proteggeva.
Elfwine ed Elboron avevano assistito alla scena dal di là della porta e per un momento avevano temuto il peggio. Quest’ultimo ringraziò mentalmente la ragazza e spronò gli altri a cercare di entrare in città. Sua madre era comunque ferita, non poteva certo lasciarla lì nel bel mezzo della battaglia.
Turion, nel frattempo, si era caricato in spalla Aragorn ed ora stava cercando un luogo sicuro dove lasciarlo mentre borbottava fra sé e sé - Occupatevi di Re Aragorn! – esclamò imitando la voce di Monica – Poi prende e si lancia in mezzo alla mischia! – sbottò con tono infastidito – Io devo occuparmi di te! Non lei, io! -
Il Re di Gondor rideva divertito – Devi ammettere che ha carattere. –
- Non so se si rende conto della situazione… sarei dovuto andare io giù alla porta, non lei! – precisò mentre posava lentamente l’Uomo a terra a cui sfuggì un lamento di dolore.
- Beh, lei non avrebbe potuto portarmi via in spalla come hai fatto tu. – lo fece ragionare.
- Visto che è tanto brava poteva anche restare a proteggerti lì dove eravate. – replicò stizzito.
- È un tipo avventato. – commentò l’altro con un sorriso divertito sul volto.
- Giuro sui Valar che dopo mi sente! – fece l’altro. Poi restò alcuni attimi in silenzio a controllare che non vi fosse nessuno nei paraggi. Voleva andare ad aiutare gli altri, ma non poteva lasciare l’Uomo lì.
- Mi dispiace che devi restare a badare a me. – mormorò il Re di Gondor.
- Estel, fammi un favore… se ci dovesse essere un’altra battaglia in futuro, stanne fuori. – gli suggerì ammiccando.
L’altro ridacchiò divertito. Era proprio arrivato il momento per Re Aragorn di appendere la spada al chiodo. Sospirò malinconico mentre appoggiava il capo brizzolato al muro dietro di lui.

Nonostante il nemico cercò in tutti i modi di resistere, le forze alleate riuscirono a sbaragliarlo. Nel giro di mezz’ora non rimase più in piedi nemmeno una creatura fetida. Acclamazioni di gioia si levarono nella sera: Edoras era salva. Ma ad un altissimo prezzo. Molti avevano perso la vita in quei giorni e molti altri avrebbero per sempre fatto i conti con le lesioni gravi riportate. I feriti vennero portati tutti al palazzo di Meduseld. Erano talmente tanti che non entravano più né nell’edificio, né nel piazzale sottostante. La notte era gelida e si iniziava ad essere a corto di beni di prima necessità e di cibo. Ma nonostante la stanchezza, chi stava bene si adoperava ad aiutare il più possibile. Si vedevano figure correre alla luce rossa delle fiaccole accese per le vie. Molti erano nella vallata a cercare i sopravvissuti e ad ammassare i nemici in cumoli a cui poi avrebbero dato fuoco. Per gli Uomini, Elfi e Nani che avevano perso la vita vi sarebbe stata una degna sepoltura, aveva garantito Re Eomer.
Eowyn e Aragorn erano sotto le amorevoli cure di Arwen e dei quattro Hobbit che non facevano che preoccuparsi dei loro amici. Faramir era ad aiutare in città ad accumulare provviste insieme al figlio. Eomer era nella vallata con la maggior parte degli Elfi e gli Ent a controllare se vi fossero sopravvissuti e ad occuparsi dei corpi dei morti. I due Uomini non si erano risparmiati di bacchettare la povera Eowyn. Anche se ammisero che senza il suo aiuto, probabilmente le sorti della battaglia sarebbero andate diversamente.
Le Aquile vegliavano silenziose nella notte. Avevano garantito che non se ne sarebbero andate fino a che non fosse stato sicuro. Infatti Gorphad aveva riferito, non appena era riuscito a parlare con il suo Signore Gimli, che il loro ritardo era stato causato da un’orda di Goblin che li avevano attaccati alle porte della città. Erano riusciti a sbarazzarsene solo grazie all’intervento degli Ent che avevano saputo della battaglia ad Edoras e stavano andando in aiuto.
Quello che aveva stupito tutti fu proprio l’intervento di questi ultimi. Gandalf aveva rivelato di non aver avvisato gli alberi, solo le Aquile. Ma Barbalbero aveva spiegato che il nemico aveva superato i loro confini e che dopo la battaglia di Isengard, durante la guerra dell’Anello, aveva giurato che mai nessun Orchetto o creatura malvagia l’avrebbe passata liscia se lo avesse fatto.
- Quindi dopo averci riflettuto su, abbiamo convenuto che non potevamo non punirli. – fu il commento del vecchio Fangorn.
- Ecco perché avete tardato ad arrivare. – fu la replica di Merry che aveva intuito che quel “riflettuto su” fosse durato decisamente molto.
- Tu hai sempre fretta, mio piccolo amico. – replicò quindi l’altro.

Era l’alba quando la vita dentro e fuori Edoras iniziò a farsi meno frenetica. La maggior parte dei feriti erano sotto controllo e i guaritori vegliavano su di loro. Il cielo iniziava a tingersi di rosso, in lontananza. Nelle ultime ore della notte aveva iniziato a soffiare un vento forte che stava spazzando via tutte le nuvole. Ormai si intravedevano pallide solo le ultime stelle.
Monica era appoggiata al muro del Palazzo d’Oro ed osservava quella scena raggelante che le si presentava davanti gli occhi, raggomitolata in una coperta. La vallata, ormai composta da un miscuglio di fango e sangue, era ora piena di cumuli alti da cui si levava del fumo che indicavano dove erano stati bruciati i corpi dei nemici. Ve ne erano un’infinità. Non riusciva a capacitarsi ti tanta crudeltà: erano venuti proprio per radere al suolo Edoras e trucidare chiunque vi fosse all’interno. Rabbrividì, ma non per il freddo. Aveva paura. Ora che era tutto finito e riusciva ad avere la mente lucida, si rendeva conto del pericolo a cui era andata incontro. Si doveva ritenere fortunata ad essere ancora viva e per lo più incolume. Aveva riportato qualche graffio e qualche ammaccatura, ma niente di più. Spostò lo sguardo sulla distesa di corpi che erano stati disposti in file sotto le mura della città. Erano quelli degli Uomini, Elfi e Nani che avevano perso la vita per difendere quel posto. Il cuore le si strinse in una morsa di dolore. Quanti non avrebbero più fatto ritorno dalle loro famiglie o dai loro amici? E di conseguenza il suo pensiero andò ad Alyon. Varnohtar le aveva riferito, dopo aver ricevuto una bella tirata d’orecchie da Turion, che avevano portato con loro il corpo dell’amico. Lo avevano lasciato in un posto all’interno della foresta di Fangorn, al sicuro. Avevano deciso di portarlo a Lothlorien, visto che Imladris era andata distrutta. Il ricordo dell’Elfo le fece ancor più male al cuore e gli occhi nocciola le si riempirono di lacrime.
- Perché portate il dolore per chi non è del vostro stesso Mondo? – chiese una voce soave.
La ragazza si riscosse dai suoi pensieri e si voltò sorpresa. Ma non trovò nessuno dietro di lei. Restò interdetta ad osservare il punto lì accanto a lei. Voltò la testa a destra e a sinistra, fece vagare lo sguardo lì intorno, ma non vi era nessuno. Eppure la bellissima voce femminile che aveva udito proveniva da lì vicino. “Che me la sia immaginata?” pensò.
- Perché avete combattuto al nostro fianco, rischiando la vostra stessa vita? - fece di nuovo la voce.
Quella si voltò di nuovo, ma non vi era nessuno nei paraggi che sembrava le stesse rivolgendo la parola. O almeno non una donna. Vi erano solo i feriti raggomitolati nelle loro coperte distesi lì sotto la scalinata tra le voragini provocate dai Troll-Talpa. Pensò che la stanchezza le stesse giocando un brutto scherzo. Poi però ricordò. C’era qualcuno in grado di comunicare telepaticamente nella Terra di Mezzo: Dama Galadriel. Restò con il fiato mozzato in gola mentre la cercava lì intorno, spingendosi più lontano con lo sguardo di quanto avesse fatto poco prima.
- Silwen, perché non andate a riposarvi? – le chiese qualcuno. La ragazza si voltò di scatto e si ritrovò davanti Elladan che la guardava preoccupato – Non avete per niente un bell’aspetto. – rincarò.
La ragazza tornò a far vagare velocemente lo sguardo lì intorno. Ma doveva ammettere che l’Elfo aveva ragione. Non era ancora andata a riposare perché si era occupata anche lei dei feriti, con tutto quello che c’era stato da fare. Si voltò verso di lui e acconsentì. Mentre stava rientrando nel Palazzo si voltò un’ultima volta, ma della Dama di Lothlorien non vi era traccia. La cercò anche all’interno, ma non la vide.

Lastie percorreva a passo spedito le vie di Edoras. Era sera e le fiaccole illuminavano il cammino. C’era una strana quiete in giro, dopo tutta l’agitazione di quei giorni. Ma era un silenzio greve. Si sentiva solo il lievissimo scalpiccio che facevano le sue scarpe sul fango a terra. Si fermò ad un incrocio restando nel bel mezzo intenta a ricordarsi quale fosse la strada da prendere. Poi imboccò la via a sinistra. Percorse alcuni metri e bussò alla porta della terza casa alla sua destra. Una donna bionda, bassa e dalla corporatura robusta fece capolino e le sorrise, quindi la fece accomodare all’interno.
- Mi dispiace presentarmi all’improvviso, ma sono venuta a recuperare Silwen. – riferì rimanendo sulla soglia.
- Sta ancora dormendo. Non si è svegliata mai, povera ragazza. Ogni tanto vado a controllare che sia ancora viva. – ridacchiò -  Ma posso capire. Aveva veramente un brutto aspetto quando l’ho accompagnata qua stamattina. – spiegò l’altra – Perché non andate a svegliarla voi? Anche se sarei dell’idea di lasciarla dormire fino a che non si sveglia da sola. –
Un sorriso amareggiato comparve sul volto della Dunedain – Sono della vostra stessa idea, ma sapete che… - cominciò.
- Sì, sì! – affermò l’altra interrompendola e sollevando gli occhi verdi al cielo – La cerimonia. – poi sospirò e si voltò di nuovo verso di lei facendole un cenno con il capo di seguirla.
Quella sembrò esitare, poi mosse alcuni passi verso la donna che le fece strada. Entrò nella camera che era completamente al buio. Emmeline accese un lume su un tavolo dall’altra parte del letto. La luce fioca illuminò la stanza e la figura che era distesa sul letto. Lastie si avvicinò e in quel momento la ragazza mugugnò qualcosa di incomprensibile rigirandosi fra le coperte. Alla Dunedain scappò un sorriso. Quindi si chinò e la scosse. Monica continuò beatamente a dormire. Lastie allora ritentò con più veemenza e finalmente l’altra dischiuse gli occhi assonnati. Restò a fissarla per alcuni istanti.
- Mi dispiace svegliarvi, ma dovete seguirmi. – riferì pacatamente.
Quella rimase in silenzio alcuni istanti come a soppesare quello che le era stato appena detto – Che ore sono? – chiese sollevandosi a sedere e sfregandosi un occhio.
- Quasi ora di cena. Ed è per questo che sono qui. La vostra presenza è desiderata al Palazzo d’Oro per onorare i morti in battaglia. Questo mi ha detto Re Eomer. – spiegò.
- Re Eomer? – ripeté Monica sbalordita.
- In persona. – rispose Lastie sorridendole – Non fate quella faccia sorpresa… in fondo è grazie a voi che Edoras è salva. – ricordò.
Monica restò seduta in silenzio con i piedi fuori dal letto – Ma io non… - provò a replicare.
- Silwen… la modestia non serve… avete davvero salvato la città e buona parte di chi vi abita ed era presente in questi giorni. – fece seria.
- Se è per questo anche voi avete i vostri meriti. – dichiarò guardandola.
Lastie si agitò – Beh, sì, più o meno… - bofonchiò distogliendo lo sguardo. E non poteva assicurarlo a causa della semi oscurità in cui era la stanza, ma all’altra sembrò che fosse arrossita.
Le due giovani donne camminavano tra le vie di Edoras in completo silenzio. Lastie stava ripensando a quando un paio d’ore prima, appena sveglia, si era recata alla sala del Palazzo. Vi erano radunate la maggior parte delle figure più importanti e si stava facendo spazio. I feriti erano stati spostati in altri posti. Si era chiesta cosa stesse succedendo e così si era avvicinata al primo gruppetto composto da Glorfindel insieme ad altre due figure: una era Dama Arwen. Stavano parlando delle condizioni di Re Aragorn: appurò che stesse bene, nonostante la ferita alla gamba fosse seria. Chiese allora delucidazioni e la figura che le stava dando le spalle si voltò a risponderle. Fu decisamente stupita nel riconoscere Elrond. Sembrava completamente cambiato, come se avesse riacquistato il vigore di una volta. Perfino i suoi occhi grigi erano tornati a brillare. Sembrava anche ringiovanito. Questo le riferì che si era deciso di celebrare i morti quella sera, quindi stavano facendo spazio per dare la possibilità di partecipare alla maggior parte di persone possibili. In quel momento era arrivato Re Eomer e aveva dichiarato che sarebbe stato felice se fosse stata presente anche Silwen. Glorfindel si era subito offerto volontario per andare a svegliarla, ma in quel momento era entrato Elrohir nella sala e lei era completamente entrata nel panico. Quindi si era offerta volontaria lei di andare a chiamarla e non aspettando la risposta affermativa dei presenti, aveva preso ed aveva lasciato velocemente il Palazzo, il tutto mentre si malediceva per lo stupido comportamento. Tutto questo perché quella mattina Elladan le aveva ricordato cosa avesse urlato ad Elrohir durante il combattimento contro Morwen. Quel “Ti prego, torna da me!” le era scappato di bocca. Non aveva alcuna intenzione di dirlo e non sapeva minimamente perché l’avesse detto. Nel ripensarci il cuore le riprese a battere velocemente. Non capiva perché reagisse in quel modo. Fatto sta che ora la presenza dell’Elfo la agitava e la turbava.
Monica, invece, stava ripensando al sogno che aveva fatto poco prima. Era ancora vivido nella sua mente: stava percorrendo le vie di una città in groppa ad un cavallo dal manto bianco che le ricordò un sacco la cavalla su cui era solita viaggiare ultimamente. Accanto a lei vi era Gandalf, completamente vestito di bianco. Anche la città in cui si trovava era bianca. Vi era parecchia gente in giro e fiori colorati fuori da ogni finestra. Gandalf le stava parlando, ma come ogni volta, non sentiva cosa le stesse dicendo. Avevano varcato l’ingresso della città da poco, lasciando una via sterrata circondata da campi di grano color dell’oro che risaltavano in contrasto al cielo azzurro. Percepiva un senso di beatitudine e felicità. Poi successe qualcosa perché si erano entrambi voltati all’indietro, verso l’ingresso della città. Ora era inquieta. Un uomo corse all’interno. Non sapeva cosa avesse detto, ma in pochi istanti aveva spronato il cavallo al galoppo e si era ritrovata fuori le mura. Dritta sul dorso dell’animale aveva visto in lontananza qualcosa che le fece ribollire il sangue. Vi erano diverse figure che scappavano in tutte le direzioni, nel bel mezzo di un campo di grano ve ne erano due: una donna e un bambino, a pochi passi un branco di Mannari. Senza aspettare oltre, prese l’arco che portava con sé, incoccò una freccia e scoccò mirando ad una bestia. La freccia andò a segno uccidendo l’animale. Le altre bestie spostarono l’attenzione su di lei. Scoccò un’altra freccia che si andò a conficcare nel fianco di un altro Mannaro. Ne rimanevano sette. Intanto la donna aveva preso il bambino in braccio e iniziò a correre nella direzione da cui stava arrivando lei. Ma un Lupo la inseguì e con una zampata la ferì alla schiena. Quella crollò a terra. Disse qualcosa al bambino che aveva protetto, era terrorizzato. Questo, con le lacrime agli occhi, iniziò a correre mentre il Mannaro finiva la donna azzannandole il collo e subito dopo puntò il bambino a pochi metri da lui. Nel frattempo lei aveva incoccato di nuovo la freccia che scagliò in direzione della creatura, colpendola. Ma anche gli altri si stavano avvicinando al bambino. Ripose l’arco e sguainò la spada, ormai a pochi metri anche lei dal piccolo, il cuore in gola; spronò il cavallo per farlo andare più veloce. Un Mannaro si scagliò sul bambino, lei si chinò per afferrarlo al volo. Lo riuscì a prendere e lo issò davanti a lei mentre un dolore lancinante le si propagò dalla spalla sinistra. Il Mannaro l’aveva presa in pieno con gli artigli. Abbassò preoccupata gli occhi sul bambino, ma era sano e salvo. Almeno per il momento. Fece fare una curva larga al quadrupede e poi si diresse di nuovo verso la porta della città che ora svettava imponente e luminosa davanti a lei. Si voltò indietro a controllare le bestie: la stavano inseguendo, nonostante fossero a svariati metri di distanza. Raggiunta la porta arrestò il cavallo e scese. Disse qualcosa al bambino, mentre Gandalf le si fermava accanto sul suo cavallo nero e allungava il bastone bianco in avanti. Lei diede una pacca al suo cavallo che trotterellò all’interno della città portando il bambino al sicuro. Si voltò di scatto e si ritrovò i Mannari a pochi passi. Sollevò la spada, le gambe ben piazzate a terra e iniziò a combattere. Con l’aiuto dello Stregone ci misero poco ad ucciderli tutti. Stavano per rientrare quando sentì degli ululati in lontananza. Sgranò gli occhi sconvolta e si voltò allarmata. Un’orda stava arrivando verso di loro. Questa volta erano molti di più, accompagnati dagli Orchetti a cavallo. Erano troppi per loro due da soli, quasi un centinaio. Gandalf alzò il bastone al cielo e dalla punta partì una luce blu verso il cielo, poi le disse qualcosa e lei affermò con il capo. La determinazione che le scorreva nelle vene. La spada ricoperta di sangue pronta a sferrare altri colpi. Gandalf scese da cavallo e le si piazzo lì accanto. Appena i nemici furono a portata, iniziò a sparare raggi di luce nel campo davanti a loro: prese fuoco in pochi istanti. Riuscì per un po’ a rallentare l’avanzata nemica. Poi furono loro addosso.
Cercava di ucciderne il più possibile con un colpo solo, ma erano veramente troppi e la spalla le stava facendo dannatamente male, nonostante lei usasse il braccio destro. Sentiva che non avrebbe resistito a lungo. Ma proprio quando la situazione si stava facendo drammatica, arrivarono in loro aiuto le guardie della città e non ci impiegarono molto ad annientare definitivamente il nemico.
Affondò la spada nel petto dell’ultimo Orchetto e la ritrasse. Ansimava per la stanchezza e le fitte erano diventate insopportabili. Percepì un pericolo alle spalle, quindi si voltò di scatto sferrando un colpo, ma la sua spada cozzò contro un’altra. Si ritrovò a fissare i due occhi grigi della figura davanti a lei.
Poi era arrivata Lastie a svegliarla. Ma quegli occhi li aveva già sognati tempo prima, quando era tornata da poco lì ad Arda. Ed anche questa volta le avevano lasciato una strana sensazione addosso.
Erano entrambe talmente immerse nei loro pensieri che non si accorsero che erano giunte a destinazione. Lì sulla soglia della sala di Meduseld, Monica ritornò alla realtà ed osservò colpita l’interno. Il posto era stato sistemato e pulito. Vi erano state messe un’infinità di panche e tavoli lunghi pieni di cibo. Il suo stomaco brontolò, ricordandole che era da un bel po’ che non metteva qualcosa sotto i denti. Si domandò come avesse fatto a resistere fino a quel momento. Mentre avanzava nel salone stracolmo di gente insieme all’altra, qualcuno si voltava ad osservarla. Ma erano diversi dagli sguardi che le vennero rivolti ad Imladris i primi giorni. Quelli di adesso erano per lo più di rispetto. Cercò di non badarvi più di tanto, la cosa la metteva comunque in soggezione. Si diressero verso Elladan che stava parlando con Glorfindel, ma non fece in tempo a salutarli che si sentì chiamare da poco più in là. Si voltò sorpresa e vide Elveon che sceso dalle braccia di Melime, le si lanciò incontro di corsa, con un sorrisone larghissimo. Lei si chinò a salutarlo e lui le si gettò tra le braccia stringendola forte. Le era mancato da morire e se ne era resa conto solo in quel momento.
Ebbe il tempo di salutare solo alcuni dei presenti di sua conoscenza che la cerimonia iniziò.
Eomer se ne stava dritto rivolto verso tutti, dando le spalle al trono che vi era nella sala. Era vestito con abiti suntuosi e in quel momento aveva un’aria solenne. Accanto a lui, alla sua destra, vi era la Regina Lothiriel, alla sinistra il figlio Elfwine.
I presenti sedevano intorno a dei tavoli apparecchiati, tutti in attesa che il Re iniziasse il discorso. Erano riusciti a partecipare anche Aragorn ed Eowyn, nonostante le ferite. Il Re di Gondor aveva insistito a voler essere presente.
- Amici miei, so che i vostri cuori e fisici sono ancora stanchi della battaglia, ma c’è un motivo ben preciso per cui ho voluto tenere così presto la cerimonia di cordoglio. Ebbene, appena la mia gente si sarà ripresa avremo da ricostruire la parte della città andata distrutta, ed essendo i danni ingenti, preferirei farlo quanto prima, dato che l’inverno è ancora lungo. Ma prima di tutto dovremo costruire i tumuli per i nostri defunti. E non possiamo certo lasciare i cadaveri lì dove sono ancora per molto. Poi gli Elfi, i Nani, gli Hobbit e la gente di Minas Tirith presto ritorneranno alle loro dimore, anche se già ho riferito loro che, data la situazione, possono restare tutto il tempo di cui hanno bisogno. Prima che ripartano, però, avrei intenzione di tenere un altro Consiglio. Questa volta, senza la presenza di Morwen che annebbi le nostre menti, dovrebbe andare meglio dell’ultima volta. – proferì sorridendo, anche se il sorriso era leggermente forzato – Purtroppo l’assalto ad Imladris e questa battaglia ci hanno resi molto deboli. Sono stati degli attacchi inaspettati e, se possibile, vorrei evitare che si ripetano un’altra volta. Per questo ritengo che un altro Consiglio sia più che legittimo. E dello stesso parere sono tutti coloro che hanno partecipato a quello vecchio. – continuò osservandoli uno ad uno – Detto ciò, mi scuso con tutti per l’urgenza con cui ho voluto tenere questa cerimonia. I nostri morti vanno venerati per quello che hanno fatto. Hanno dato le loro vite per proteggere questa bella città e tutti coloro che vi risiedono dentro. Per non farci cadere ancora di più nella morsa del Male e darci una possibilità di riscatto, nonché una possibilità di vivere in pace. Eppure in cuor mio sento che questo non è che soltanto l’inizio. Ma giuro qui, questa sera, che non renderò vana la loro morte e anche io farò di tutto perché sia la terra di Rohan, sia le terre dei miei amici possano vivere in pace. – dichiarò, lo sguardo deciso. Quindi sollevò il calice in alto e tutti si alzarono in piedi imitandolo – Ai morti! – urlò. E i presenti gli fecero eco. – Prima di iniziare a banchettare vorrei dire altre due parole. Spero non me ne vogliate male, so che molti di voi hanno fame, sono io stesso uno di quelli. Innanzi tutto vorrei dirvi che purtroppo quello che vi posso offrire stasera non è molto. Sapete tutti che l’inverno quest’anno è stato particolarmente rigido e le nostre scorte già scarseggiavano. In più l’assalto dei giorni scorsi ha impedito di poter commerciare con le altre città, quindi ci siamo ritrovati in ginocchio. Ho già mandato dei messaggeri per avvisare i vicini della situazione in cui ci troviamo, spero ci possano aiutare. E poi, volevo assolutamente ringraziare tutti voi, amici miei, che vi siete prestati a combattere al mio fianco e al fianco della mia gente. Ho un grande debito nei vostri confronti, spero di poterlo ripagare. – Quindi fece una pausa e spostò gli occhi azzurri sul tavolo alla sua sinistra, posandoli su una figura in particolare. – Vorrei infine ringraziare Silwen, con tutto il cuore. – a queste parole la giovane sgranò gli occhi sconvolta e si irrigidì. Ora aveva gli occhi di tutti i presenti puntati su di lei – Se non fosse stato per voi, probabilmente la maggior parte di noi non sarebbe qui adesso, e i nostri corpi giacerebbero nella vallata insieme agli altri. Con il vostro pronto intervento ci avete dato la possibilità di difenderci e con il vostro aiuto di poter resistere. Ci avete dato la prova di essere una persona valorosa ed altruista. – Monica era ormai paonazza per l’imbarazzo e per la situazione in cui il Re Eomer l’aveva cacciata – Ed ora vi parlo come uomo e non come Re di Rohan… vi ringrazio infinitamente per aver salvato la vita di mia sorella, una delle persone più preziose che ho al mondo. – la ragazza spostò un secondo gli occhi sulla Dama seduta su un tavolo dall’altra parte della sala che le sorrise e chinò leggermente il capo in segno di ringraziamento. Poi riportò la sua attenzione sul Re di Rohan perché l’aveva di nuovo chiamata – Venite qui, vi prego. –
Monica imprecò. Già stava diventando insostenibile quella situazione, poi voleva pure che andasse lì davanti a tutti, in bella vista. Ma non poteva certo opporsi. Quindi fece come ordinatole.
- Ora inginocchiatevi. – proferì lui sorridendole bonariamente. Lei obbedì titubante e confusa, non capiva cosa volesse fare l’altro. Questo estrasse la spada e gliela poggiò sulla spalla – Da ora siete una scudiera di Rohan, della casata di Meduseld! – esclamò poggiandole la lama sull’altra spalla. Lei sollevò la testa ancora più sconvolta. Non sapeva nemmeno cosa dire. Biascicò un grazie imbarazzatissima mentre tutti la acclamavano contenti. Il Re si chinò e le porse una mano, aiutandola ad alzarsi – Non so se sarà vostra intenzione restare qui o andarvene, ma sappiate che a Rohan sarete sempre la benvenuta. – infine le diede una pacca amichevole sulla spalla – Bene, amici miei, ora mangiamo! – gridò.

Nonostante il cibo fosse scarso, riuscì comunque a saziare tutti. Finito di mangiare, i presenti si sparpagliarono per il grande salone a chiacchierare con i conoscenti, bevendo birra. Monica era stata raggiunta da Garion che l’abbracciò di slancio.
- Non sapete nemmeno quanto sia contento di vedervi ancora viva e tutta intera! – esclamò sorridente – Io e Meinrad eravamo preoccupatissimi per voi. Sarà felice di sapere che siete ancora viva. –
- La ragazza ha una fortuna sfacciata! – si intromise Leonard zoppicante. Era stato ferito ad una gamba, ma non era grave – Allora è vero che voi due vi conoscete. –
- Sì, l’ho aiutata a Tharbad. – rispose l’altro uomo.
- Pensavate vi avessi mentito? – chiese fintamente offesa Monica – Se non fosse stato per lui, non so se sarei mai riuscita a raggiungere Edoras. Almeno non in tempo. – spiegò la ragazza fissando riconoscente Garion.
- Sono anche io in debito con voi. – fece lui serio – Se sono tornato ad Edoras è solo merito vostro. Avevo perso qualsiasi interesse nelle battaglie lasciando così il mio posto di Primo Maresciallo del Mark dopo la morte di mio figlio. –
Monica sgranò gli occhi sorpresa – Eravate il Primo Maresciallo del Mark? –
- Uno dei miei migliori uomini. – precisò Re Eomer spuntato in quel momento, poggiando una mano sulla spalla di Garion – Se è vero che è stato merito vostro, allora vi devo ancora di più. – le disse.
La ragazza sospirò sperando che tutti quegli elogi finissero il prima possibile.
- Beh, diciamo che il suo coraggio mi ha fatto capire molte cose. Soprattutto che non è scappando che posso proteggere coloro a cui tengo veramente, come la mia patria. –
- Garion, quello che ti dissi prima che te ne andasti due anni fa è sempre valido: il posto di Primo Maresciallo del Mark è solo tuo, di nessun altro. Non c’è nessuno che attualmente potrebbe ricoprire quel ruolo. Sei un mio carissimo amico e una delle persone di cui mi fidi di più, nonché un bravissimo guerriero. Se hai deciso di tornare, quel posto sarà di nuovo tuo. – dichiarò deciso il Re.
- Vi ringrazio infinitamente. – fece commosso l’altro.
La serata proseguì allegramente, ma la ragazza dovette sorbirsi i ringraziamenti di Aragorn, Eowyn, Arwen, Faramir, Elboron e tanti altri. Sembrava che quella sera ci tenessero tutti a metterla in imbarazzo e a farla sentire a disagio. Non pensava di meritare tutti quegli elogi, in verità. Quando vide avvicinarsi Glorfindel la sua espressione divenne supplichevole – Vi prego, non ditemi che siete venuto anche voi a ringraziarmi. – mufficò.
- A dire il vero siete voi che dovete ringraziare me per avervi salvata da quel Troll-Talpa. Sono passati diversi giorni e ancora non l’avete fatto. Potrei offendermi. – proferì sorridendole, strappando una risata anche a lei.
- Vi chiedo perdono per non averlo fatto prima. – gli disse divertita - Grazie. – fece quindi seria.
- Avrei anche da rimproverarvi, veramente. – puntualizzò l’Elfo biondo – Mi è giunta voce che avete tentato di affrontare degli Orchetti completamente disarmata… -
- Ehm… sì… è vero. – balbettò mordendosi il labbro inferiore – E in quel momento mi sono anche ricordata dei vostri insegnamenti… -
- E nonostante ciò avete optato per tentare il suicidio. – rincarò quello, quindi sospirò rassegnato – Siete tale e quale Erdie. Anche lei era avventata, la maggior parte delle volte. – sorrise divertito posandole una mano sul capo – Vedete di non cacciarvi di nuovo nei guai, in futuro. –
La ragazza affermò. Poi approfittò del fatto che Glorfindel venne chiamato da Elrohir per dileguarsi. Era troppo a disagio lì dentro. Decise di uscire sul porticato del Palazzo. L’aria gelida le sferzò il viso accaldato. Alzò gli occhi al cielo stellato; la perturbazione si era allontanata lasciando dietro di sé solo tanta neve. Finalmente si poteva rilassare. Non era stanca, quindi non aveva intenzione di tornare alla sua attuale casa. Aveva solo bisogno di stare un po’ da sola, lontana dalle occhiate di venerazione e i ringraziamenti, senza pensare a cose troppo impegnative.
Fu quando iniziò a sentire freddo che decise di rientrare. Non sapeva quanto tempo fosse passato, non se ne era resa conto, ma da dentro le erano giunte all’orecchio svariate canzoni. Qualcuno doveva aver esagerato con la birra. Fece per muovere un passo quando udì una voce melodiosa e calma, la stessa che aveva sentito quella mattina che le chiedeva se andasse tutto bene. Ma questa volta non era nella sua mente. Una figura completamente vestita di bianco era in piedi di fronte a lei, dall’altra parte del porticato. I capelli dorati, lunghissimi, risplendevano di una luce propria, tenue, quasi argentata. Come se catturassero la luce delle stelle. La stessa luce che risplendeva nei suoi occhi blu. Dama Galadriel era lì davanti a lei in carne ed ossa.
   
 
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