Ciao a
tutti!
Mi scuso
per l'enorme ritardo nella pubblicazione di questo capitolo, ma il
lavoro mi sta prosciugando tutte le energie vitali, quindi quando
arrivo a casa la sera(l'unico momemnto in cui posso scrivere)sono
esausta.
Il
capitolo sarebbe dovuto essere più lungo, ma
poichè la scena che sto scrivendo mi sta creando qualche
problema e sono già quasi a 2000 parole, ho preferito
intanto pubblicare questo (quindi vi beccate i pensieri di Thorn anche
nel prossimo capitolo ;) ). Spero vi piaccia!
All'inizio
avevo detto che la storia sarebbe stata lunga 5-6 capitoli ma posso
già dirvi che saranno almeno una decina. Purtroppo non
riesco a promettervi aggiornamenti regolari.
Grazie a
tutti coloro che stanno seguendo questa storia e in particolare a MaxB
(la scena di cui ti ho parlato sarà nel prossimo capitolo).
A presto,
S.
CAPITOLO 4
Thorn chiuse il
quaderno davanti a sé con un sospiro e il suo orologio,
appoggiato sul tavolo,
si aprì di scatto con un tac-tac. Aveva iniziato a
comportarsi in quello strano
modo precisamente sette minuti dopo che Ofelia gliel’aveva
restituito e,
inizialmente, l’Intendente aveva pensato che
l’oggetto fosse stato contagiato
dall’Animismo della ragazza. Solo quando aveva avuto bisogno
di consultarlo per
due volte e il coperchio si era aperto di scatto prima ancora che
potesse
toccarlo, Thorn aveva capito che l’orologio rispondeva alle
sue esigenze, al suo
Animismo.
Cinque ore, 42
minuti e 18 secondi dopo, l’Intendente non si era ancora
abituato a quella
stranezza. Aveva provato ad animare i libri impilati sulla scrivania e
l’armatura che gli sosteneva la gamba mutilata, senza alcun
successo.
L’orologio, però, continuava ad aprirsi non appena
Thorn sentiva il bisogno di
prenderlo in mano. Era impaziente di chiedere spiegazioni ad Ofelia, ma
allo
stesso tempo pensare a sua moglie lo infastidiva. Da quando si era
immersa per
la seconda volta nello specchio, Thorn aveva cercato, invano, di
ignorare il
mix di emozioni che provava.
Ofelia gli aveva
chiesto di non annullare il matrimonio e lui si era ritrovato, ancora
una
volta, a sperare che lei provasse qualcosa, prima di capire che le
motivazioni
erano sempre le stesse. Indipendenza, libertà, voglia di
avventura… Ciò che
spingeva Ofelia era solo il desiderio di far parte del suo piano, di
non essere
esclusa dalla guerra contro Dio. Aveva deliberatamente ignorato la sua
dichiarazione
in prigione, ma insisteva nel rimanere legata a lui. Thorn strinse i
pugni sul
tavolo.
Eppure, per quanto ciò lo ferisse e pur sapendo che
così Ofelia sarebbe
stata in pericolo, lui non riusciva ad opporsi a quella decisione.
Voleva
essere egoista, voleva continuare a considerare Ofelia sua moglie,
voleva averla
per sé. Sentì i suoi Artigli fremere, mentre il
suo stomaco si chiudeva. Aveva
imparato a conoscere la gelosia fin da bambino, guardando Freya e
Godefroy
giocare tra loro senza degnarlo di uno sguardo, osservando le persone
accanto a
sé ricevere amore mentre lui ne veniva escluso, sentendosi
messo da parte a
ogni gravidanza di Berenilde... ma Ofelia riusciva ad amplificare
tutto. Il
pensiero che l’Ambasciatore potesse averla anche solo
sfiorata annebbiava la
sua capacità di ragionamento, la consapevolezza che le
parole di quell’uomo,
così disordinato e lascivo, avessero fatto scattare gli
artigli di Ofelia lo
disturbava, rendendogli difficoltoso anche deglutire. Possibile che per
lei le
considerazioni di Archibald avessero una tale importanza? Con lui
Ofelia si era
arrabbiata, aveva sbattuto il pugno sul tavolo, fatto volare documenti,
l’aveva
accusato di volerla ripudiare, si era opposta alle sue
decisioni… Ma, Thorn
aveva realizzato con estremo disappunto, nulla di tutto ciò
aveva rischiato di
scatenare il suo nuovo potere. Non era stato lui a ritrovarsi vittima
degli
Artigli di Ofelia.
Si alzò dalla
sedia con rabbia e si diresse verso l’armadio. Nonostante le
interruzioni di
Ofelia e i suoi tormenti interiori avessero comportato un ritardo di 25
minuti
sull’orario previsto per la fine dell’ultimo
appuntamento, aveva a disposizione
ancora 93 minuti prima di dover tornare all’Intendenza.
Afferrò uno dei
cappotti e il bastone che si era fatto procurare, ignorando lo specchio
nell’anta dell’armadio. Aveva già deciso
che sarebbe ricorso al suo potere di
Attraversaspecchi solo in casi di estrema necessità.
Detestava guardarsi allo
specchio, osservare la sua figura spigolosa segnata da profonde
cicatrici,
soffermarsi su tutti i dettagli che lo rendevano aberrante…
Non aveva bisogno
di ricordare per quali ragioni Ofelia non ricambiasse i suoi
sentimenti. Inoltre,
la sua Rosa dei Venti era più che sufficiente per fargli
raggiungere la villa
di Berenilde senza perdere tempo.
Thorn lasciò il
cappotto a uno dei domestici e si diresse verso la sala da pranzo, dove
sua zia
e tutti gli ospiti erano radunati per la cena. Il rumore sordo del
bastone sul
pavimento annunciò il suo arrivo e tutte le teste si
voltarono verso di lui.
“Oh
Thorn!”
Berenilde si alzò di scatto dalla sua sedia, a capotavola, e
si lanciò contro
di lui, stringendolo in un abbraccio. L’Intendente, sorpreso
da quello slancio
di affetto, spostò il peso sulla gamba sana, cercando di non
perdere
l’equilibrio. Si era aspettato di trovare sua zia concentrata
sulla figlia. “Ero
così preoccupata!” La donna lo fissò
con apprensione, sfiorandogli il livido
violaceo sullo zigomo. “Come stai? Riesci a camminare? Era
davvero necessario
tornare subito all’Intendenza? Non dovresti riposare? E
cos’è questa storia
dell’annullamento del matrimonio?”
Thorn ignorò il
fiume di domande e spostò lo sguardo su Ofelia. Sua moglie
era seduta, con suo
immenso fastidio, di fronte all’Ambasciatore, che teneva tra
le braccia un
fagotto. Cercò di ignorare il disgusto che la fiducia di
Berenilde nei
confronti di quell’uomo gli suscitava e si
concentrò sulla donna seduta davanti
a lui. A differenza degli altri commensali, che lo fissavano con un
misto di
odio e diffidenza, Ofelia aveva un gran sorriso sul volto e
l’Intendente si
ritrovò a chiedersi se fosse stato il suo arrivo a causarlo
o la presenza di
Archibald.
“Sto
bene”
rispose freddamente, sciogliendo l’abbraccio e avvicinandosi
al tavolo. “Sono
qui perché ho bisogno di parlare con
l’Ambasciatore.”
“Stiamo
cenando!”
sbottò Berenilde afferrandogli il braccio.
“Siediti e mangia qualcosa con noi!
Sembri così sciupato, devi riprenderti!”
Archibald, che
stava facendo smorfie alla neonata tra le sue braccia e ignorando
completamente
la sua cena, alzò lo sguardo con un sorriso divertito.
“Oh siete qui per me,
signor Intendente? Interessante! Ditemi!”
Thorn serrò la
mascella e cercò di trattenere la sua irritazione.
“In privato”, specificò
seccamente.
Il sorriso
dell’Ambasciatore si allargò. “Molto,
molto interessante!” esclamò saltando in
piedi come una molla. “Mia dolce Vittoria, devo assentarmi un
attimo con quel
burbero di vostro cugino!” stampò un bacio sulla
fronte della bambina, che
rispose con un gorgoglio divertito, prima di piazzarla tra le braccia
di una
terrorizzata Ofelia. “Ma non temete, vi lascio con la vostra
madrina!”
Thorn sentì la
sua muscolatura irrigidirsi ulteriormente, mentre Ofelia lo guardava
con gli
occhi spalancati, tenendo la bambina stretta a sé con il
braccio sano. “Thorn,
vi ho detto che non…”
“Non
temete.” La
interruppe bruscamente, l’acredine chiaramente percepibile
nel suo tono. Tutti
gli Animisti avevano smesso di mangiare e osservavano la scena con un
misto di
paura e interesse. Possibile che Ofelia tenesse così tanto a
quell’uomo? Era
davvero preoccupata che potesse ferirlo? “Ve lo
restituirò tutto intero.”
Berenilde si fece
passare la figlia da Ofelia con un sospiro e Thorn si voltò
di scatto, senza
attendere risposta, dirigendosi verso lo studio in silenzio. Dietro di
lui, Archibald
saltellava allegramente.
Entrò nella
stanza e controllò che effettivamente tutti gli specchi
fossero stati rimossi e
Ofelia non potesse origliare, prima di sedersi alla sua scrivania.
Archibald si
tolse il cappello malandato e si sedette di fronte a lui, appoggiando i
piedi
sul tavolo e guadagnandosi un’occhiataccia.
Thorn lo scrutò
per qualche istante in silenzio. Quell’uomo e il disordine
che lo accompagnava
l’avevano sempre infastidito, ma l’idea che Ofelia
potesse trovarlo piacevole,
che potesse provare dei sentimenti per lui… Cercò
di reprimere quel pensiero
con un brivido.
“Cosa le avete
fatto?”
L’Ambasciatore
lanciò per aria il cilindro e lo riprese al volo con un
sorriso. “Non so di
cosa stiate parlando.”
Thorn lasciò
che
i suoi Artigli fremessero alle estremità del suo sistema
nervoso. “Mia moglie.”
Il sorriso
dell’Ambasciatore si allargò ulteriormente.
“Ah, la nostra dolce signora
Thorn”, sospirò prima di fare una leggera smorfia,
percependo gli Artigli. L’Intendente
non aveva apprezzato l’uso di quell’aggettivo
possessivo. “Vi ha convinto a
consumare il matrimonio?”
Thorn serrò la
mascella, cercando di trattenere la rabbia.
Convinto.
Come se lui
avesse bisogno di essere convinto.
“Cosa le avete
fatto?” ripeté lapidario.
“Oh, le ho solo
proposto
di venire da me nel caso in cui si sentisse trascurata”
rispose Archibald
facendogli l’occhiolino, ma la sua espressione
cambiò rapidamente in una
smorfia di dolore. “Se poteste tenere a bada i vostri
Artigli, Signor
Intendente, ve ne sarei grato. Non è eccitante tanto quanto
essere colpiti da
vostra mog… OK, OK, OK!” Thorn era scattato in
piedi e si era sporto in
avanti, spingendo i piedi dell’uomo giù dal tavolo
e afferrando l’Ambasciatore
per i lembi della giacca sgualcita, sollevandolo di peso dalla sedia.
Non
avrebbe tollerato un altro commento su Ofelia, non da
quell’uomo viscido e
senza alcun valore. Percepì i suoi Artigli estendersi
ulteriormente, ma
nonostante l’espressione di dolore l’Ambasciatore
sembrava ancora fin troppo
divertito. Non aveva mai desiderato di colpirlo così tanto,
nemmeno quando…
“Se osate anche
solo sfiorarla,” minacciò Thorn cupo, lasciando
andare l’uomo con disgusto, “dovrete
vedervela con me.”.
“E se fosse lei
a
venire da me?” chiese l’Ambasciatore con tono di
sfida. Thorn gli voltò le
spalle, rivolgendo lo sguardo verso la finestra. Stava facendo di tutto
per non
pensare alla possibilità che Ofelia scegliesse
quell’uomo, continuava a
ripetersi che se davvero lei avesse provato dei sentimenti per
quell’individuo
non avrebbe insistito per mantenere il loro matrimonio. Ma allo stesso
tempo la
gelosia gli attanagliava le viscere, la sua mente non riusciva a
smettere di
chiedersi perché gli Artigli di Ofelia
fossero scattati proprio a causa
dell’Ambasciatore.
Sapeva che,
nonostante i vestiti stracciati e l’aspetto perennemente
disordinato,
l’Ambasciatore era considerato un uomo estremamente attraente
dalle donne del
Polo. Thorn aveva visto 213 donne, Berenilde compresa, restare
ammaliate dalle
sue lusinghe e cadere nel suo letto. Donne sposate, fidanzate, vedove,
illibate, giovani, vecchie, ricche o povere… Sembravano
tutte cedere al suo
fascino nel giro di pochissimo tempo. Quando Ofelia era inizialmente
arrivata
al Polo, aveva temuto non solo che Archibald potesse approfittare di
lei per
puro dispetto, ma anche che alla sua fidanzata quel libertino potesse
piacere.
Eppure Ofelia, a differenza di tutte le altre donne, era apparsa
insensibile al
suo fascino. Le cose erano cambiate? Possibile che
l’Ambasciatore fosse riuscito a vincere il
suo cuore?
Thorn aveva
capito, con il tempo, che ciò che Ofelia apprezzava di
più era la sincerità e
aveva sperato che questo potesse giocare a suo favore. Aveva deciso di
non
nasconderle più nulla, di essere onesto, di dichiararle i
suoi sentimenti… Ma
lei aveva fatto finta di nulla.
Non poteva però
fargliene una colpa. Non era un uomo
affascinante, né particolarmente loquace o divertente. Le
aveva rubato la sua
libertà e indipendenza, strappandola dalla sua Arca e dalla
sua famiglia. Il
suo corpo era ricoperto di cicatrici e, come se tutto ciò
non fosse già stato
abbastanza, l’incontro con il Mille Facce l’aveva
reso uno storpio.
A quel pensiero,
Thorn ignorò la fitta di dolore proveniente dalla gamba e
rimase in piedi. Non
aveva intenzione di mostrarsi debole davanti all’Ambasciatore.
“Ditemi
perché vi
ha attaccato.”
Archibald
sospirò
e sollevò il cilindro, passandosi una mano tra i lunghi
capelli biondi. “Mio
caro Intendente, posso solo dirvi che i vostri Artigli agiscono in modo
piuttosto simile”, disse con un sorrisetto furbo.
Thorn trattenne ancora
una volta la rabbia e il proprio potere familiare. Non riusciva mai a
decifrare
i commenti di quell’individuo.
“Ora se avete
finito con le domande, io tornerei alla mia cena e alla mia adorata
figlioccia”,
aggiunse l’uomo avvicinandosi alla porta dello studio.
“No”,
lo bloccò
Thorn, tornando a voltarsi verso di lui. Deglutì e prese un
profondo respiro. “Vi
devo chiedere un favore”, mormorò estremamente
infastidito.
“Ah!”
l’Ambasciatore scoppiò in una risata fragorosa.
“La vostra dolce zia non vi ha
insegnato le buone maniere? Vi sembra normale aggredire il gentiluomo a
cui
volete chiedere un favore?”
Thorn lo
ignorò.
“Siete in debito.”
“Oh no no
no!”
Archibald alzò la mano e mosse il dito per sottolineare il
suo diniego. “Vi ho
portato una pistola in cella e ho messo a punto un piano per salvare la
vostra
dolce mogliettina in caso di pericolo. Direi che siamo pari.”
L’intendente
percepì la sua mascella contrarsi. “Vi faccio
notare che entrambe le cose si
sono rivelate inutili.”
Il sorriso
dell’Ambasciatore si allargò. “Io ve
l’avevo detto di riporre più fiducia in
vostra moglie!”
Thorn sospirò.
Il
colloquio, indesiderato, che aveva avuto con quell’uomo
mentre si trovava in
cella era stato incredibilmente tedioso. “Ad ogni
modo… Siete ancora in debito
nei confronti di Ofelia. Senza di lei, sareste già morto da
un pezzo.”
“Scommetto che
non vi sarebbe dispiaciuto!” Thorn gli rispose con una
smorfia eloquente.
“Comunque avete ragione, sono in debito con vostra moglie,
non con voi. Cosa le
potrei offrire?” chiese malizioso, spingendo
l’Intendente a chiedersi perché
avesse promesso a Ofelia di riportarle Archibald vivo.
“Il
piano”,
mormorò tra i denti. “Ho bisogno di sapere se
è ancora attuabile.”
Archibald
sembrò
improvvisamente sorpreso. “Avete intenzione di far arrabbiare
nuovamente Faruk
e tornare in cella?”
“No,”
rispose
tetro, “ma Ofelia è decisa a voler testimoniare al
processo.” Testarda,
inarrestabile Ofelia. Ma non le avrebbe permesso di presentarsi
un’altra volta
di fronte a Faruk senza poter fare nulla per aiutarla, per proteggerla.
Gli occhi di
Archibald si fecero improvvisamente seri, e il suo intero aspetto
sembrò
mutare. Sembrava di colpo più vecchio e stanco.
“Farò in modo che il piano sia
pronto”, disse serio, annuendo con un cenno della testa.
“Perché come avete
detto, sono in debito con vostra moglie.”
Thorn annuì,
stupito e sollevato. Non si fidava di quell’uomo, ma sapeva
che possedeva le conoscenze
giuste per portare Ofelia lontana dal Polo in caso di
necessità. “Vi ringrazio”,
mormorò. Le parole che pronunciava così raramente
sembravano ancora più strane
in quel contesto.
Le sopracciglia
dell’Ambasciatore si sollevarono, ma il suo sguardo
continuava ad essere serio.
“L’amore vi rende strano, Intendente…
Quasi umano.” Disse prima di dirigersi verso la
porta. “Ah, vi ripeterò il consiglio che vi ho
dato in cella. Dichiaratevi
esplicitamente, vostra moglie su certe cose è proprio
ottusa.”
“L’ho
fatto”, si
lasciò sfuggire Thorn prima di poter rendersene conto.
“Ah.”
Archibald
si bloccò con la mano sulla maniglia, sorpreso, e Thorn si
maledisse. Perché
mai ne stava parlando con quell’uomo? Non aveva di certo
bisogno dei commenti
di un tipo del genere! “Interessante… Ma non vale
se l’avete fatto mentre consumavate il
matrimonio!” esclamò l’uomo
maliziosamente e l’Intendente lasciò finalmente
liberi i suoi Artigli, irritato verso l’Ambasciatore e verso
se stesso.
Archibald
ridacchiò trattenendo una smorfia di dolore e
uscì dallo studio saltellando.
“Pungete meno di vostra moglie, signor Intendente!”
Thorn lo guardò
tornare
verso il salone da pranzo baldanzoso e sospirò. Parlare
seriamente con
quell’uomo era sempre estremamente difficile, ma almeno era
riuscito ad
ottenere parte di ciò che voleva. Il suo cervello, con suo
estremo disappunto,
continuava però a chiedersi per quale motivo gli Artigli di
Ofelia avessero
attaccato l’Ambasciatore. Afferrò il bastone che
aveva lasciato vicino alla
scrivania e seguì Archibald, chiudendo la porta dello studio
alle sue spalle.
Quando arrivò
in
sala da pranzo Ofelia aveva finito di cenare e stava conversando con il
prozio
e la zia Roseline. Il rumore del bastone la fece voltare e i suoi occhi
corsero
velocemente tra lui e Archibald, che si era fermato vicino a Berenilde
per fare
strane smorfie alla neonata.
“Di cosa avete
parlato?” domandò Ofelia incuriosita.
“Avevo bisogno
di
alcuni dati per terminare i riconteggi. Il funzionario che mi ha
sostituito
durante la mia permanenza in cella non era particolarmente
preciso.”
L’Animista lo
guardò perplessa. “Ed era necessario parlarne in
privato? Adesso?”
Thorn abbassò
lo
sguardo e prese l’orologio dalla tasca della sua giacca,
ignorando le domande.
L’oggetto si aprì di scatto sul palmo della sua
mano e si richiuse velocemente.
“Tra trenta minuti devo incontrare un funzionario del
tribunale nel mio ufficio
e…”
“Per tutti i
tappeti svolazzanti!” la voce della zia Roseline, che li
fissava sconvolta, li
fece girare di scatto. “Il vostro orologio si è
animato!”
“La cerimonia
del
Dono. Ho
ereditato il potere di vostra nipote, il vostro potere”, spiegò
sbrigativamente Thorn, tornando a concentrarsi su Ofelia.
“Comunque, devo
tornare…”
“Siete un lettore
ora?” Thorn lanciò
un’occhiataccia alla donna che l’aveva interrotto
una
seconda volta e il prozio ridacchio lisciandosi i baffi.
“No”,
rispose
seccamente, ripensando a come aveva desiderato leggere quella pistola
in
prigione, a come aveva sperato di poter leggere il Libro di Faruk.
“Ofelia,
devo tornare all’Intendenza a sistemare alcuni documenti
prima del mio prossimo
appuntamento.”
L’Animista
annuì
lentamente, ma sembrava confusa. Thorn si chiese se stesse ripensando
alla
Cerimonia del Dono o se fosse perplessa a causa dell’Animismo
manifestato dal
suo orologio. “Avete mangiato?”
No, i pensieri di
Ofelia non seguivano la normale logica, non poteva prevederli.
Scosse
leggermente la testa e si diresse verso la porta della stanza.
"Ehi!"
“Thorn!”
L’Animista e
Berenilde, con la figlia in braccio, erano scattate in piedi per
seguirlo.
“Thorn, devi
riposarti!”
“Aspettate, devo
chiedervi una cosa!”
Thorn camminò
con
passo veloce verso l’entrata della villa, appoggiandosi al
bastone. Non poteva rischiare di
essere in ritardo. Si fermò vicino alla porta di ingresso.
“Ti prego Thorn,
prenditi cura di te stesso!” esclamò Berenilde
raggiungendolo. Con una mano gli
accarezzò il volto. “Sono così
preoccupata! Gli ultimi giorni sono stati
terribili! E vorrei che tu passassi un po’ di tempo con
Vittoria!”
L’Intendente
sospirò, estraendo nuovamente l’orologio, che si
animò. Non aveva intenzione di
perdere tempo con una neonata.
Ofelia, intanto,
lo fissava quasi preoccupata.
“BERENIIIIILDEEEE”
la voce dell’Ambasciatore sovrastò il frastuono
proveniente dalla tavolata e
Thorn alzò gli occhi al cielo. La presenza di tutta quella
gente, con tutto
quel rumore, lo infastidiva.
Berenilde fece
scorrere lo sguardo tra i due e sorrise. “La tua mamma
è stata proprio brava!”
disse contenta stampando un bacio sulla guancia della figlia.
“Proprio, proprio
brava! Torno
dai miei ospiti, mi reclamano. E voi due non avete più
bisogno di uno chaperon!”
Gli occhiali di
Ofelia, così come le sue guance, arrossirono mentre si
avvicinava a lui,
guardando Berenilde sparire nell’altra stanza. "Dovreste
prendere della zuppa."
“Voi siete
incomprensibile” mormorò Thorn osservandola, e
ancora una volta lei lo stupì.
Il suo viso avvampò ulteriormente e la sua espressione
divenne quasi adirata.
“Cosa significa?
Siete voi quello che non mangia! Arrivate qui all’improvviso,
sparite insieme
ad Archibald e poi ve ne andate senza dirmi nulla! Non so nemmeno se il
nostro
appuntamento è confermato!”
Sua moglie
sembrava furiosa, ma l’Intendente non percepiva la tensione
normalmente
prodotta dal suo potere familiare. Non riusciva a comprendere cosa
avesse
scatenato gli Artigli di Ofelia, ma poteva di certo escludere la
rabbia.
“Era un
complimento” sbottò infastidito. Possibile che non
capisse? In un mondo in cui
chiunque incontrasse gli sembrava noioso e prevedibile, in cui tutto
era comprensibile,
lei era l’eccezione. Lei era l’unica persona che
riusciva a sorprenderlo, a stimolare
la sua curiosità. L'unica che desiderasse avere
intorno.“Vi aspetto a mezzanotte, siate puntuali”
aggiunse prima di
uscire, senza attendere risposta.
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