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Autore: _Gin___    20/01/2021    5 recensioni
“Avete onorato il contratto, piccola di Artemide. Concedo a Thorn un titolo nobiliare e lo affranco dalla sua condizione di bastardo. Di conseguenza sarà sottoposto a un altro processo, stavolta nelle dovute forme. Aprite la porta.”
"What if...?" che parte dalla fine de "Gli Scomparsi di Chiardiluna"
Dopo l'incontro con il Mille Facce, Thorn decide di fidarsi di Ofelia e rinuncia al suo piano di fuga.
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti!
Mi scuso per l'enorme ritardo nella pubblicazione di questo capitolo, ma il lavoro mi sta prosciugando tutte le energie vitali, quindi quando arrivo a casa la sera(l'unico momemnto in cui posso scrivere)sono esausta. 
Il capitolo sarebbe dovuto essere più lungo, ma poichè la scena che sto scrivendo mi sta creando qualche problema e sono già quasi a 2000 parole, ho preferito intanto pubblicare questo (quindi vi beccate i pensieri di Thorn anche nel prossimo capitolo ;) ). Spero vi piaccia!
All'inizio avevo detto che la storia sarebbe stata lunga 5-6 capitoli ma posso già dirvi che saranno almeno una decina. Purtroppo non riesco a promettervi aggiornamenti regolari. 
Grazie a tutti coloro che stanno seguendo questa storia e in particolare a MaxB (la scena di cui ti ho parlato sarà nel prossimo capitolo).
A presto,
S.


CAPITOLO 4


Thorn chiuse il quaderno davanti a sé con un sospiro e il suo orologio, appoggiato sul tavolo, si aprì di scatto con un tac-tac. Aveva iniziato a comportarsi in quello strano modo precisamente sette minuti dopo che Ofelia gliel’aveva restituito e, inizialmente, l’Intendente aveva pensato che l’oggetto fosse stato contagiato dall’Animismo della ragazza. Solo quando aveva avuto bisogno di consultarlo per due volte e il coperchio si era aperto di scatto prima ancora che potesse toccarlo, Thorn aveva capito che l’orologio rispondeva alle sue esigenze, al suo Animismo.
Cinque ore, 42 minuti e 18 secondi dopo, l’Intendente non si era ancora abituato a quella stranezza. Aveva provato ad animare i libri impilati sulla scrivania e l’armatura che gli sosteneva la gamba mutilata, senza alcun successo. L’orologio, però, continuava ad aprirsi non appena Thorn sentiva il bisogno di prenderlo in mano. Era impaziente di chiedere spiegazioni ad Ofelia, ma allo stesso tempo pensare a sua moglie lo infastidiva. Da quando si era immersa per la seconda volta nello specchio, Thorn aveva cercato, invano, di ignorare il mix di emozioni che provava.
Ofelia gli aveva chiesto di non annullare il matrimonio e lui si era ritrovato, ancora una volta, a sperare che lei provasse qualcosa, prima di capire che le motivazioni erano sempre le stesse. Indipendenza, libertà, voglia di avventura… Ciò che spingeva Ofelia era solo il desiderio di far parte del suo piano, di non essere esclusa dalla guerra contro Dio. Aveva deliberatamente ignorato la sua dichiarazione in prigione, ma insisteva nel rimanere legata a lui. Thorn strinse i pugni sul tavolo.
Eppure, per quanto ciò lo ferisse e pur sapendo che così Ofelia sarebbe stata in pericolo, lui non riusciva ad opporsi a quella decisione. Voleva essere egoista, voleva continuare a considerare Ofelia sua moglie, voleva averla per sé. Sentì i suoi Artigli fremere, mentre il suo stomaco si chiudeva. Aveva imparato a conoscere la gelosia fin da bambino, guardando Freya e Godefroy giocare tra loro senza degnarlo di uno sguardo, osservando le persone accanto a sé ricevere amore mentre lui ne veniva escluso, sentendosi messo da parte a ogni gravidanza di Berenilde... ma Ofelia riusciva ad amplificare tutto. Il pensiero che l’Ambasciatore potesse averla anche solo sfiorata annebbiava la sua capacità di ragionamento, la consapevolezza che le parole di quell’uomo, così disordinato e lascivo, avessero fatto scattare gli artigli di Ofelia lo disturbava, rendendogli difficoltoso anche deglutire. Possibile che per lei le considerazioni di Archibald avessero una tale importanza? Con lui Ofelia si era arrabbiata, aveva sbattuto il pugno sul tavolo, fatto volare documenti, l’aveva accusato di volerla ripudiare, si era opposta alle sue decisioni… Ma, Thorn aveva realizzato con estremo disappunto, nulla di tutto ciò aveva rischiato di scatenare il suo nuovo potere. Non era stato lui a ritrovarsi vittima degli Artigli di Ofelia.

Si alzò dalla sedia con rabbia e si diresse verso l’armadio. Nonostante le interruzioni di Ofelia e i suoi tormenti interiori avessero comportato un ritardo di 25 minuti sull’orario previsto per la fine dell’ultimo appuntamento, aveva a disposizione ancora 93 minuti prima di dover tornare all’Intendenza. Afferrò uno dei cappotti e il bastone che si era fatto procurare, ignorando lo specchio nell’anta dell’armadio. Aveva già deciso che sarebbe ricorso al suo potere di Attraversaspecchi solo in casi di estrema necessità. Detestava guardarsi allo specchio, osservare la sua figura spigolosa segnata da profonde cicatrici, soffermarsi su tutti i dettagli che lo rendevano aberrante… Non aveva bisogno di ricordare per quali ragioni Ofelia non ricambiasse i suoi sentimenti. Inoltre, la sua Rosa dei Venti era più che sufficiente per fargli raggiungere la villa di Berenilde senza perdere tempo.



Thorn lasciò il cappotto a uno dei domestici e si diresse verso la sala da pranzo, dove sua zia e tutti gli ospiti erano radunati per la cena. Il rumore sordo del bastone sul pavimento annunciò il suo arrivo e tutte le teste si voltarono verso di lui.
“Oh Thorn!” Berenilde si alzò di scatto dalla sua sedia, a capotavola, e si lanciò contro di lui, stringendolo in un abbraccio. L’Intendente, sorpreso da quello slancio di affetto, spostò il peso sulla gamba sana, cercando di non perdere l’equilibrio. Si era aspettato di trovare sua zia concentrata sulla figlia. “Ero così preoccupata!” La donna lo fissò con apprensione, sfiorandogli il livido violaceo sullo zigomo. “Come stai? Riesci a camminare? Era davvero necessario tornare subito all’Intendenza? Non dovresti riposare? E cos’è questa storia dell’annullamento del matrimonio?”
Thorn ignorò il fiume di domande e spostò lo sguardo su Ofelia. Sua moglie era seduta, con suo immenso fastidio, di fronte all’Ambasciatore, che teneva tra le braccia un fagotto. Cercò di ignorare il disgusto che la fiducia di Berenilde nei confronti di quell’uomo gli suscitava e si concentrò sulla donna seduta davanti a lui. A differenza degli altri commensali, che lo fissavano con un misto di odio e diffidenza, Ofelia aveva un gran sorriso sul volto e l’Intendente si ritrovò a chiedersi se fosse stato il suo arrivo a causarlo o la presenza di Archibald.
“Sto bene” rispose freddamente, sciogliendo l’abbraccio e avvicinandosi al tavolo. “Sono qui perché ho bisogno di parlare con l’Ambasciatore.”
“Stiamo cenando!” sbottò Berenilde afferrandogli il braccio. “Siediti e mangia qualcosa con noi! Sembri così sciupato, devi riprenderti!”
Archibald, che stava facendo smorfie alla neonata tra le sue braccia e ignorando completamente la sua cena, alzò lo sguardo con un sorriso divertito. “Oh siete qui per me, signor Intendente? Interessante! Ditemi!”
Thorn serrò la mascella e cercò di trattenere la sua irritazione. “In privato”, specificò seccamente.
Il sorriso dell’Ambasciatore si allargò. “Molto, molto interessante!” esclamò saltando in piedi come una molla. “Mia dolce Vittoria, devo assentarmi un attimo con quel burbero di vostro cugino!” stampò un bacio sulla fronte della bambina, che rispose con un gorgoglio divertito, prima di piazzarla tra le braccia di una terrorizzata Ofelia. “Ma non temete, vi lascio con la vostra madrina!”
Thorn sentì la sua muscolatura irrigidirsi ulteriormente, mentre Ofelia lo guardava con gli occhi spalancati, tenendo la bambina stretta a sé con il braccio sano. “Thorn, vi ho detto che non…”
“Non temete.” La interruppe bruscamente, l’acredine chiaramente percepibile nel suo tono. Tutti gli Animisti avevano smesso di mangiare e osservavano la scena con un misto di paura e interesse. Possibile che Ofelia tenesse così tanto a quell’uomo? Era davvero preoccupata che potesse ferirlo? “Ve lo restituirò tutto intero.”
Berenilde si fece passare la figlia da Ofelia con un sospiro e Thorn si voltò di scatto, senza attendere risposta, dirigendosi verso lo studio in silenzio. Dietro di lui, Archibald saltellava allegramente.
Entrò nella stanza e controllò che effettivamente tutti gli specchi fossero stati rimossi e Ofelia non potesse origliare, prima di sedersi alla sua scrivania. Archibald si tolse il cappello malandato e si sedette di fronte a lui, appoggiando i piedi sul tavolo e guadagnandosi un’occhiataccia.
Thorn lo scrutò per qualche istante in silenzio. Quell’uomo e il disordine che lo accompagnava l’avevano sempre infastidito, ma l’idea che Ofelia potesse trovarlo piacevole, che potesse provare dei sentimenti per lui… Cercò di reprimere quel pensiero con un brivido.
“Cosa le avete fatto?”
L’Ambasciatore lanciò per aria il cilindro e lo riprese al volo con un sorriso. “Non so di cosa stiate parlando.”
Thorn lasciò che i suoi Artigli fremessero alle estremità del suo sistema nervoso. “Mia moglie.”
Il sorriso dell’Ambasciatore si allargò ulteriormente. “Ah, la nostra dolce signora Thorn”, sospirò prima di fare una leggera smorfia, percependo gli Artigli. L’Intendente non aveva apprezzato l’uso di quell’aggettivo possessivo. “Vi ha convinto a consumare il matrimonio?”
Thorn serrò la mascella, cercando di trattenere la rabbia.
Convinto.
Come se lui avesse bisogno di essere convinto.
“Cosa le avete fatto?” ripeté lapidario.
“Oh, le ho solo proposto di venire da me nel caso in cui si sentisse trascurata” rispose Archibald facendogli l’occhiolino, ma la sua espressione cambiò rapidamente in una smorfia di dolore. “Se poteste tenere a bada i vostri Artigli, Signor Intendente, ve ne sarei grato. Non è eccitante tanto quanto essere colpiti da vostra mog… OK, OK, OK!” Thorn era scattato in piedi e si era sporto in avanti, spingendo i piedi dell’uomo giù dal tavolo e afferrando l’Ambasciatore per i lembi della giacca sgualcita, sollevandolo di peso dalla sedia. Non avrebbe tollerato un altro commento su Ofelia, non da quell’uomo viscido e senza alcun valore. Percepì i suoi Artigli estendersi ulteriormente, ma nonostante l’espressione di dolore l’Ambasciatore sembrava ancora fin troppo divertito. Non aveva mai desiderato di colpirlo così tanto, nemmeno quando…
“Se osate anche solo sfiorarla,” minacciò Thorn cupo, lasciando andare l’uomo con disgusto, “dovrete vedervela con me.”.
“E se fosse lei a venire da me?” chiese l’Ambasciatore con tono di sfida. Thorn gli voltò le spalle, rivolgendo lo sguardo verso la finestra. Stava facendo di tutto per non pensare alla possibilità che Ofelia scegliesse quell’uomo, continuava a ripetersi che se davvero lei avesse provato dei sentimenti per quell’individuo non avrebbe insistito per mantenere il loro matrimonio. Ma allo stesso tempo la gelosia gli attanagliava le viscere, la sua mente non riusciva a smettere di chiedersi perché gli Artigli di Ofelia fossero scattati proprio a causa dell’Ambasciatore.
Sapeva che, nonostante i vestiti stracciati e l’aspetto perennemente disordinato, l’Ambasciatore era considerato un uomo estremamente attraente dalle donne del Polo. Thorn aveva visto 213 donne, Berenilde compresa, restare ammaliate dalle sue lusinghe e cadere nel suo letto. Donne sposate, fidanzate, vedove, illibate, giovani, vecchie, ricche o povere… Sembravano tutte cedere al suo fascino nel giro di pochissimo tempo. Quando Ofelia era inizialmente arrivata al Polo, aveva temuto non solo che Archibald potesse approfittare di lei per puro dispetto, ma anche che alla sua fidanzata quel libertino potesse piacere. Eppure Ofelia, a differenza di tutte le altre donne, era apparsa insensibile al suo fascino. Le cose erano cambiate? Possibile che l’Ambasciatore fosse riuscito a vincere il suo cuore?
Thorn aveva capito, con il tempo, che ciò che Ofelia apprezzava di più era la sincerità e aveva sperato che questo potesse giocare a suo favore. Aveva deciso di non nasconderle più nulla, di essere onesto, di dichiararle i suoi sentimenti… Ma lei aveva fatto finta di nulla.
Non poteva però fargliene una colpa. Non era un uomo affascinante, né particolarmente loquace o divertente. Le aveva rubato la sua libertà e indipendenza, strappandola dalla sua Arca e dalla sua famiglia. Il suo corpo era ricoperto di cicatrici e, come se tutto ciò non fosse già stato abbastanza, l’incontro con il Mille Facce l’aveva reso uno storpio.
A quel pensiero, Thorn ignorò la fitta di dolore proveniente dalla gamba e rimase in piedi. Non aveva intenzione di mostrarsi debole davanti all’Ambasciatore.
“Ditemi perché vi ha attaccato.”
Archibald sospirò e sollevò il cilindro, passandosi una mano tra i lunghi capelli biondi. “Mio caro Intendente, posso solo dirvi che i vostri Artigli agiscono in modo piuttosto simile”, disse con un sorrisetto furbo.
Thorn trattenne ancora una volta la rabbia e il proprio potere familiare. Non riusciva mai a decifrare i commenti di quell’individuo.
“Ora se avete finito con le domande, io tornerei alla mia cena e alla mia adorata figlioccia”, aggiunse l’uomo avvicinandosi alla porta dello studio.
“No”, lo bloccò Thorn, tornando a voltarsi verso di lui. Deglutì e prese un profondo respiro. “Vi devo chiedere un favore”, mormorò estremamente infastidito.
“Ah!” l’Ambasciatore scoppiò in una risata fragorosa. “La vostra dolce zia non vi ha insegnato le buone maniere? Vi sembra normale aggredire il gentiluomo a cui volete chiedere un favore?”
Thorn lo ignorò. “Siete in debito.”
“Oh no no no!” Archibald alzò la mano e mosse il dito per sottolineare il suo diniego. “Vi ho portato una pistola in cella e ho messo a punto un piano per salvare la vostra dolce mogliettina in caso di pericolo. Direi che siamo pari.”
L’intendente percepì la sua mascella contrarsi. “Vi faccio notare che entrambe le cose si sono rivelate inutili.”
Il sorriso dell’Ambasciatore si allargò. “Io ve l’avevo detto di riporre più fiducia in vostra moglie!”
Thorn sospirò. Il colloquio, indesiderato, che aveva avuto con quell’uomo mentre si trovava in cella era stato incredibilmente tedioso. “Ad ogni modo… Siete ancora in debito nei confronti di Ofelia. Senza di lei, sareste già morto da un pezzo.”
“Scommetto che non vi sarebbe dispiaciuto!” Thorn gli rispose con una smorfia eloquente. “Comunque avete ragione, sono in debito con vostra moglie, non con voi. Cosa le potrei offrire?” chiese malizioso, spingendo l’Intendente a chiedersi perché avesse promesso a Ofelia di riportarle Archibald vivo.
“Il piano”, mormorò tra i denti. “Ho bisogno di sapere se è ancora attuabile.”
Archibald sembrò improvvisamente sorpreso. “Avete intenzione di far arrabbiare nuovamente Faruk e tornare in cella?”
“No,” rispose tetro, “ma Ofelia è decisa a voler testimoniare al processo.” Testarda, inarrestabile Ofelia. Ma non le avrebbe permesso di presentarsi un’altra volta di fronte a Faruk senza poter fare nulla per aiutarla, per proteggerla.
Gli occhi di Archibald si fecero improvvisamente seri, e il suo intero aspetto sembrò mutare. Sembrava di colpo più vecchio e stanco. “Farò in modo che il piano sia pronto”, disse serio, annuendo con un cenno della testa. “Perché come avete detto, sono in debito con vostra moglie.”
Thorn annuì, stupito e sollevato. Non si fidava di quell’uomo, ma sapeva che possedeva le conoscenze giuste per portare Ofelia lontana dal Polo in caso di necessità. “Vi ringrazio”, mormorò. Le parole che pronunciava così raramente sembravano ancora più strane in quel contesto.
Le sopracciglia dell’Ambasciatore si sollevarono, ma il suo sguardo continuava ad essere serio. “L’amore vi rende strano, Intendente… Quasi umano.” Disse prima di dirigersi verso la porta. “Ah, vi ripeterò il consiglio che vi ho dato in cella. Dichiaratevi esplicitamente, vostra moglie su certe cose è proprio ottusa.”
“L’ho fatto”, si lasciò sfuggire Thorn prima di poter rendersene conto.
“Ah.” Archibald si bloccò con la mano sulla maniglia, sorpreso, e Thorn si maledisse. Perché mai ne stava parlando con quell’uomo? Non aveva di certo bisogno dei commenti di un tipo del genere! “Interessante… Ma non vale se l’avete fatto mentre consumavate il matrimonio!” esclamò l’uomo maliziosamente e l’Intendente lasciò finalmente liberi i suoi Artigli, irritato verso l’Ambasciatore e verso se stesso.
Archibald ridacchiò trattenendo una smorfia di dolore e uscì dallo studio saltellando. “Pungete meno di vostra moglie, signor Intendente!”
Thorn lo guardò tornare verso il salone da pranzo baldanzoso e sospirò. Parlare seriamente con quell’uomo era sempre estremamente difficile, ma almeno era riuscito ad ottenere parte di ciò che voleva. Il suo cervello, con suo estremo disappunto, continuava però a chiedersi per quale motivo gli Artigli di Ofelia avessero attaccato l’Ambasciatore. Afferrò il bastone che aveva lasciato vicino alla scrivania e seguì Archibald, chiudendo la porta dello studio alle sue spalle.
Quando arrivò in sala da pranzo Ofelia aveva finito di cenare e stava conversando con il prozio e la zia Roseline. Il rumore del bastone la fece voltare e i suoi occhi corsero velocemente tra lui e Archibald, che si era fermato vicino a Berenilde per fare strane smorfie alla neonata.
“Di cosa avete parlato?” domandò Ofelia incuriosita.
“Avevo bisogno di alcuni dati per terminare i riconteggi. Il funzionario che mi ha sostituito durante la mia permanenza in cella non era particolarmente preciso.”
L’Animista lo guardò perplessa. “Ed era necessario parlarne in privato? Adesso?”
Thorn abbassò lo sguardo e prese l’orologio dalla tasca della sua giacca, ignorando le domande. L’oggetto si aprì di scatto sul palmo della sua mano e si richiuse velocemente. “Tra trenta minuti devo incontrare un funzionario del tribunale nel mio ufficio e…”
“Per tutti i tappeti svolazzanti!” la voce della zia Roseline, che li fissava sconvolta, li fece girare di scatto. “Il vostro orologio si è animato!”
“La cerimonia del Dono. Ho ereditato il potere di vostra nipote, il vostro potere”, spiegò sbrigativamente Thorn, tornando a concentrarsi su Ofelia. “Comunque, devo tornare…”
“Siete un lettore ora?” Thorn lanciò un’occhiataccia alla donna che l’aveva interrotto una seconda volta e il prozio ridacchio lisciandosi i baffi.
“No”, rispose seccamente, ripensando a come aveva desiderato leggere quella pistola in prigione, a come aveva sperato di poter leggere il Libro di Faruk. “Ofelia, devo tornare all’Intendenza a sistemare alcuni documenti prima del mio prossimo appuntamento.”
L’Animista annuì lentamente, ma sembrava confusa. Thorn si chiese se stesse ripensando alla Cerimonia del Dono o se fosse perplessa a causa dell’Animismo manifestato dal suo orologio. “Avete mangiato?”
No, i pensieri di Ofelia non seguivano la normale logica, non poteva prevederli.
Scosse leggermente la testa e si diresse verso la porta della stanza.
"Ehi!"
“Thorn!”
L’Animista e Berenilde, con la figlia in braccio, erano scattate in piedi per seguirlo.
“Thorn, devi riposarti!”
“Aspettate, devo chiedervi una cosa!”
Thorn camminò con passo veloce verso l’entrata della villa, appoggiandosi al bastone. Non poteva rischiare di essere in ritardo. Si fermò vicino alla porta di ingresso.
“Ti prego Thorn, prenditi cura di te stesso!” esclamò Berenilde raggiungendolo. Con una mano gli accarezzò il volto. “Sono così preoccupata! Gli ultimi giorni sono stati terribili! E vorrei che tu passassi un po’ di tempo con Vittoria!”
L’Intendente sospirò, estraendo nuovamente l’orologio, che si animò. Non aveva intenzione di perdere tempo con una neonata.
Ofelia, intanto, lo fissava quasi preoccupata.
“BERENIIIIILDEEEE” la voce dell’Ambasciatore sovrastò il frastuono proveniente dalla tavolata e Thorn alzò gli occhi al cielo. La presenza di tutta quella gente, con tutto quel rumore, lo infastidiva.
Berenilde fece scorrere lo sguardo tra i due e sorrise. “La tua mamma è stata proprio brava!” disse contenta stampando un bacio sulla guancia della figlia. “Proprio, proprio brava!
Torno dai miei ospiti, mi reclamano. E voi due non avete più bisogno di uno chaperon!”
Gli occhiali di Ofelia, così come le sue guance, arrossirono mentre si avvicinava a lui, guardando Berenilde sparire nell’altra stanza. "Dovreste prendere della zuppa."
“Voi siete incomprensibile” mormorò Thorn osservandola, e ancora una volta lei lo stupì. Il suo viso avvampò ulteriormente e la sua espressione divenne quasi adirata.
“Cosa significa? Siete voi quello che non mangia! Arrivate qui all’improvviso, sparite insieme ad Archibald e poi ve ne andate senza dirmi nulla! Non so nemmeno se il nostro appuntamento è confermato!” Sua moglie sembrava furiosa, ma l’Intendente non percepiva la tensione normalmente prodotta dal suo potere familiare. Non riusciva a comprendere cosa avesse scatenato gli Artigli di Ofelia, ma poteva di certo escludere la rabbia.
“Era un complimento” sbottò infastidito. Possibile che non capisse? In un mondo in cui chiunque incontrasse gli sembrava noioso e prevedibile, in cui tutto era comprensibile, lei era l’eccezione. Lei era l’unica persona che riusciva a sorprenderlo, a stimolare la sua curiosità. L'unica che desiderasse avere intorno.“Vi aspetto a mezzanotte, siate puntuali” aggiunse prima di uscire, senza attendere risposta.
   
 
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