Senza volerlo sapere
24
dicembre 2003
Per il
giorno successivo, la strega si era ripromessa di essere migliore, di frenare ogni
ansia e pensiero di troppo, di diventare la professionalità fatta persona:
niente battute, niente chiacchierate, niente spintarelle scherzose. L le aveva
detto di non essere rimasto infastidito ma, percorrendo le vie ancora
addormentate di Tokyo, Sophie si era resa conto di quanto la reazione del
detective fosse l’ultimo dei suoi problemi.
Il vero
problema, piuttosto, era il sorrisone che si era portata in giro tutta mattina
come una babbea, o la notte insonne che aveva trascorso a rimuginare su ogni passo
suo o del detective. Tutta quella faccenda la faceva sentire confusa, agitata e
a disagio, tre cose che non c’entravano proprio niente con il motivo per
cui si trovava in Giappone. Era lì per lavorare, e quell’atteggiamento da
adolescente doveva sparire, evaporare, adìos!
Signor
sì, avrebbe mantenuto le distanze.
… Anche
se lei faceva abbastanza schifo, a mantenere le distanze.
Il
mattino della Vigilia di Natale, Sophie scrisse un paio di lettere per Harry e
gli altri, trovandosi a compiere uno stretto slalom tra tutti gli argomenti
tabù: aggiornamenti sul caso, aggiornamenti sulle sue giornate, informazioni su
quali parti della città avesse visto o su cosa stesse facendo, o su cosa loro
stessero facendo. Verso la fine, si ritrovò a contemplare la scarna
missiva; in quel momento, un tarlo ridondante tornò a farsi sentire.
Non
aveva dimenticato lo strano atteggiamento di Robards, quella preoccupazione che
aveva prepotentemente riempito il suo sguardo mentre la guardava partire per il
Giappone. Il Capo non era mai stato uno da smancerie o esitazioni, era un uomo
burbero e determinato che mai mostrava il minimo segno di timore ai suoi
Auror, sempre sbrigativo e, in un certo senso, rassicurante.
Certo,
quelle erano circostanze particolari, non v’era alcun dubbio, però…
Sophie
aggiunse un paio di righe in cui si raccomandava di rassicurare Robards e
tenerlo d’occhio, poi sigillò la busta e si diresse in salotto con la civetta
di Harry, in cerca di Siler: preferiva che il barbagianni la accompagnasse per
parte della strada, come garanzia contro le intercettazioni.
Esitò
per un attimo nell’aprire la porta che dava sulla zona comune della suite.
Professionalità,
sii professionale si ripeté.
Pochi
minuti dopo, però, si trovava curva sopra lo schienale di una poltrona, intenta
a sbirciare la pergamena che levitava a pochi centimetri dal naso di L.
«Gli
omicidi si stanno concentrando sempre di più nella zona del Kanto?» chiese, già
dimentica del suo mantra.
Anzi,
trattenne una risata al lievissimo sobbalzo di L, segretamente soddisfatta di
riuscire a sfuggire al fine udito del detective: evidentemente, anni di
allenamento non erano andati buttati.
La sua
attenzione fu però nuovamente catturata dai rapporti, e dall’ennesima
dichiarazione di guerra che celavano. Era passata qualche settimana da quando
L, con lo stratagemma della diretta tv “nazionale” aveva scoperto dove si
trovasse Kira, portandolo a uccidere proprio mentre la trasmissione veniva
mandata in onda solo nel Kanto. Ebbene, il messaggio non poteva essere più
evidente: se tutti sapevano che Kira si trovava nel Kanto, allora avrebbe
ucciso ancora di più entro i suoi confini.
«Ti
sfida usando le proprie vittime, di nuovo, da come le manipola a dove le
fa morire… bastardo infantile» mormorò, guardando finalmente il detective.
Troppo
vicino.
Arrossì
un po'.
Beh, si
era comunque ripromessa un lavoro graduale.
«Ehm,
non dovevo leggere?»
«No»
rispose lui, mordicchiandosi un pollice. «Ma hai perfettamente ragione. Kira
usa le sue vittime per punzecchiarmi»
«Disgustoso»
commentò Sophie, aggrottando la fronte. Poi estrasse la lettera dalla tasca dei
jeans, mostrandola al mago.
«Ok,
qua dentro non ci sono informazioni inerenti a caso, solo auguri di Natale e
lamentele per la totale assenza di Burrobirra in Giappone… devo
aggiungere qualcosa? Per Robards?»
«Non è
necessario»
«Perfetto»
disse la ragazza, sorridendo. Accostò due dita alla bocca per emettere un
fischio sottile; Siler comparve dal buio del soffitto, dove si era appisolato
su un lampadario spento, e si posò sulla sua spalla.
«Tyto
tenebricosa». L stava studiando Siler, incuriosito, attirando di rimando
l’attenzione del rapace, e la ragazza passò un rapido sguardo tra i due.
Professionale!
«Sì,
esattamente, tenebricosa. Sì.»
Magari
senza farfugliare?
«Una
scelta insolita.» Siler lanciò uno stridio indignato e il mago specificò: «Non
cattiva, insolita… lo trovo un animale molto interessante, a dire la
verità. Posso?»
Sophie
non fece nulla per nascondere la sorpresa, né l’esitazione: Siler non era uno
degli animali più fiduciosi del mondo, e L… beh, non aveva ancora dimenticato
il terrore di averlo rotto.
Il
detective si avvicinò e si sporse appena in avanti, studiando il gufo che non
si era mosso dalla sua spalla.
Distante!
Si
disse Sophie, rimanendo immobile e con lo sguardo ostinatamente rivolto su
Siler. In effetti, quel manto screziato di grigi, neri e marroni, era uno
spettacolo, piume dall’aspetto vellutato che sfumavano fino al capo candido, a
forma di cuore, dove spiccavano due grandi, liquidi occhi neri.
Sì, un
meraviglioso barbagianni.
Era
comprensibile che L fosse curioso.
E che
fosse a mezzo metro da lei.
Quindi
Sophie non aveva nessuna ragione per essere improvvisamente arrossita, o
per non essere del tutto sicura di come respirasse normalmente.
La
strega ringraziò silenziosamente la civetta di Harry, che d’improvviso si alzò
in volo nella cornice della finestra aperta, sferzandole il volto con ventagli
di aria fredda.
«Nidifica
in Indonesia e Australia»
«… Eh?»
«Il
barbagianni tenebricosa» chiarì L, indicando Siler in una domanda
sottintesa.
«Oh,
sì, è una storia lunga…»
Gli
occhi ambrati della strega cercarono quelli del detective, dubbiosi, ma lui
stava chiaramente aspettando che continuasse.
«Ehmm
beh… è stato lui a portarmi la lettera per Hogwarts…» la sua voce si fece più
dolce, un sorriso disegnato sulle labbra, «era un cosino tutto spaventato, mi
ha praticamente lanciato addosso la busta nel bel mezzo della notte ed è fuggito
via... Ehi, è vero!» ridacchiò, mentre il gufo apriva le ali indignato e volava
sulla cornice della finestra. Sophie rimpianse il peso familiare del rapace
sulla sua spalla, improvvisamente conscia di non avere più uno scudo tra lei e
L. Si schiarì rumorosamente la voce.
«Quando
lo trovai nella Gufiera di Hogwarts, scoprii che quella della mia lettera era
stata la sua prima e ultima consegna… almeno fino a quel momento» spiegò
soddisfatta, un largo sogghigno sulle labbra, «so essere particolarmente testarda».
Siler
rispose con un lamento cupo.
«Come è
finito a Hogwarts? Hagrid?»
«Beh,
sì, ma…» la strega si bloccò di colpo, elaborando ciò che L aveva appena detto.
Hagrid?
Conosce Hagrid? Perché se conosce Hagrid…
Sophie guardò
la faccia da poker del detective, e ritenne più saggio conservare
quell’informazione per un’altra volta. «Ehm, Hagrid l’aveva trovato in un
negoziaccio di Nocturn Alley, di quelli che commerciano varia merce di
contrabbando» proseguì tranquilla, dissimulando la sorpresa, «… fu Silente a
dirmi di tenerlo, dato che sembravo essere l’unica a piacere all’indomabile
bestiolina, ma in realtà bastavano un po’ di fiducia e pazienza… e biscotti
secchi, un sacco di biscotti secchi».
Rimase
in silenzio, guardando il detective per capire se avrebbe chiamato il suo
bluff: conoscendolo, non aveva tirato in ballo quel dettaglio per nulla, sapeva
che Sophie avrebbe capito. Lei, ormai, trovava una certa familiarità in
quei piccoli test.
«Siler,
dal latino “silere”» commentò infine il ragazzo, e lei annuì.
«Anche
per un barbagianni, è estremamente silenzioso… come vedi, se l’è già
filata da un pezzo» disse fiera Sophie, chiudendo la finestra da cui il rapace
era scivolato via senza che se ne accorgessero.
Appoggiò
la schiena alla vetrata fredda, trovando L ancora troppo vicino. Incrociò le
braccia, a disagio sotto quello sguardo penetrante.
Professionalità,
distanza… sì quella roba lì pensò, sforzandosi inutilmente
di distogliere lo sguardo da quello del detective.
«Ti
piacciono le sfide» sentenziò lui, dopo un po’.
«O i
casi persi» scherzò, iniziando a battere in ritirata verso la porta d’ingresso.
«Beh, io devo andare o farò tardi… a dopo!».
L
rimase solo davanti alla finestra, perso nei suoi pensieri.
Dopo
qualche minuto, chiamò Watari.
«Intercetta
la lettera che Winchester ha appena spedito… e procurami della Burrobirra».
***
Sophie non
l’aveva presa bene.
All’inizio
si era quasi spaventata, credendo che qualcuno avesse scoperto il nascondiglio
di L, poi aveva storto il naso: se fossero stati compromessi, Watari l’avrebbe
subito contattata e portata in una nuova base, per ristabilire le misure di
sicurezza. Anche il più sciatto dei Quartier Generali avrebbe fatto
così, figurarsi uno coordinato da quei due.
Inoltre,
a metà mattina, Sophie aveva avvistato Siler. Era seminascosto tra le fronde di
un albero per non attirare l’attenzione dei Babbani, ed era la conferma che qualcosa
era andato storto… però il gufo sembrava essere sereno.
A quel
punto, aveva tratto l’ovvia conclusione, e non l’aveva presa bene.
La cosa
peggiore, era stata dover aspettare tutto il giorno, continuando a tallonare i
suoi sospettati per ore interminabili. Quando era finalmente calata la notte e
tutti erano rientrati alle proprie case, la rabbia di Sophie non era sbollita nemmeno
un po’.
No,
perché quel pomeriggio dei sospettati avevano fatto un’uscita di gruppo, e
Sophie si era ritrovata a incrociare nuovamente la strada di
quell’insopportabile di Penber. Penber che, a metà pomeriggio, aveva perso una
fotografia lungo la strada.
Fottuto
Pollicino.
Esasperata,
Sophie si era automaticamente chinata a recuperare la foto, studiandone il
contenuto prima di infilarla in una tasca interna del cappotto: a ricambiare il
suo sguardo erano il collega e una ragazza giovane, dai lunghi capelli
neri. I due erano abbracciati, entrambi in costume da bagno e con un sorriso
contagioso ed amorevole sul volto.
Più
tardi, aveva teso un agguato al collega, gustandosi lo spavento che si prese.
«Non
perdere effetti personali in giro» aveva praticamente abbaiato la ragazza,
tendendogli la foto.
«Grazie!»
sbottò entusiasta, già dimentico del tono abrasivo della strega. «È la mia
fidanzata».
«Non
te l’ho chiesto» aveva ribattuto stancamente Sophie. In realtà, era
meravigliata che un idiota del genere fosse fidanzato. Prima di potersi
trattenere, gli aveva chiesto: «Quando vi sposate?»
Il
sorrisone di Penber era quasi tenero. «L’estate prossima, tra qualche giorno mi
porterà anche a conoscere i suoi» aveva spiegato, l’emozione che trapelava
dalla voce.
La
strega, suo malgrado, aveva pensato che quel tizio non fosse poi così malaccio.
«Sai,
lei era una Auror, e molto in gamba! Figurati, ora vorrebbe sapere tutto sul
caso, ma io le ho vietato di indagare, le ho detto di ricordarsi della
promessa: non immischiarsi più con gli affari da Auror, dopo le dimissioni.
Sai, è successo un bel casino, un po’ di tempo prima che si ritirasse» aveva
aggiunto inarcando le sopracciglia con aria buffa e facendo sorridere appena la
collega. «Le ho detto che d’ora in poi a lei spettano i figli, la famiglia, la
casa: quello è il suo compito, non certo quello di giocare a rincorrere
criminali» aveva concluso, incrociando le braccia con aria boriosa.
Il
viso di Sophie si era contratto all’istante, la fronte aggrottata e i denti
stretti da cui era uscito un ringhio davvero poco consono ai suoi tratti
delicati.
«Sei
proprio un emerito deficiente, e con questo non ho altro da dirti, razza di
misogino!»
No,
dopo quella giornataccia, Sophie non era per niente calma.
Non era
più titubante, non si sentiva più in colpa o in dovere di cambiare il suo
atteggiamento, e non si fece problemi a entrare nella suite a passo di marcia,
un’espressione minacciosa sul volto acceso dal freddo.
Soprattutto,
sapere di avere ragione eliminava ogni traccia di disagio dal suo portamento, e
Sophie non aveva alcun dubbio: Siler era perfettamente in ordine, non una piuma
torta o un segno di colluttazione, perciò era chiaramente stato intercettato da
qualcuno di cui si fidava. Questo restringeva drasticamente il cerchio a…
«L!»
ringhiò la strega, fissandolo con uno sguardo omicida. «Si può sapere che
bisogno c’era, vuoi spiegarmelo?! Ti avevo già detto che non avevo scritto
niente sul caso o su di te! E poi che diavolo di motivo avrei
avuto per farlo? Sapevo che potevi intercettare la mia posta e-»
«Se
l’avevi previsto, Sophie, non vedo il problema» la interruppe lui,
imperturbabile, senza alzare gli occhi dal suo computer. Era seduto sul tappeto
in una posizione stranamente normale: la schiena contro il divano, le lunghe
gambe piegata l’una sotto l’altra, un pollice premuto sulle labbra e un gomito
mollemente poggiato sul ginocchio.
La
strega decise di ignorare la novità, troppo concentrata sull’impellente e
nefasto bisogno di strangolare il Cacciatore di Maghi Oscuri più brillante di
sempre.
«Questo
è, è… del tutto irrilevante! Non ti dà il diritto di farlo»
«Al
contrario, ho il pieno diritto di controllare che non trapeli alcuna
informazione da qui, per la tua sicurezza, oltre che la mia, quella di Watari e
di tutta l’operazione».
Sophie
boccheggiò per l’indignazione. «Oh, sì, effettivamente ora mi sento molto
più sicura!»
«Perfetto
allora»
«Sai
quello che ho appena detto? Ecco, si chiama sarcasmo»
«Ad
ogni modo, non preoccuparti, non ho letto la tua lettera»
«… Ah»
«L’ha
letta Watari».
Sophie
prese un respiro profondo, trattenendo un ringhio esasperato e molto poco
professionale. Tanto non avrebbe concluso niente, litigare col capo delle
indagini non risolveva niente. Certo, era anche abbastanza sicura che
rovesciargli in testa una caraffa di tè bollente avrebbe perlomeno migliorato
la situazione.
«Ryuzaki»
«Che?»
sbottò la strega, alterata.
«Ryuzaki,
è così che mi deve chiamare».
Lei annuì,
ancora più rigida, prima di scattare verso camera sua.
Slacciò
il mantello e lo gettò a terra assieme alla sciarpa, per poi iniziare a
marciare avanti e indietro. L’abitudine l’aveva presa da Harry che, fin dai
tempi di Hogwarts, quando aveva bisogno di riflettere prendeva a camminare
avanti e indietro: al Quartier Generale spesso faceva inciampare i colleghi
senza neanche rendersene conto.
In
verità, Sophie aveva un altro metodo per concentrarsi, ma quella dannata sera non
pioveva.
Sbuffò,
continuando a camminare sugli stessi metri di moquette fino a lasciarvi un
solco. La strega non sopportava situazioni come quelle: quello di L era
stato un gesto legittimo, tecnicamente, ma che la metteva in discussione come
Auror, come persona di fiducia.
E
quindi?
La
strega si fermò, mordendosi un labbro fin quasi a tagliarlo. In fondo, era poi
così strano che un tipo diffidente come lui, Merlino, che L mettesse le
mani avanti? Con lei, poi, una collaboratrice estera con cui non aveva mai
lavorato e che conosceva da una settimana, cosa si aspettava?
Sophie
strinse le braccia consorte sotto il seno, le spalle talmente rigide da farle
quasi incassare la testa. Una parte della sua rabbia sfumò rapidamente,
un’altra le ricordò che L avrebbe potuto semplicemente chiederglielo.
Si
passò le dita affusolate fra i capelli, strattonando scocciata quando una
ciocca s’impigliò in uno dei suoi anelli.
«Ahi!» sibilò, massaggiandosi la cute dolorante mentre andava alla scrivania
per recuperare una matita. Fu allora che li vide, sul ripiano di noce: una
lucida bottiglia di vetro, assieme ad un calice. Riconobbe subito l’etichetta
viola.
Lì
accanto, scritto con una grafia stretta e frettolosa, la aspettava un
cartoncino dai bordi dorati.
“Buon
Natale”
Improvvisamente,
alla strega sembrò di avere il volto in fiamme. Rimase immobile, fissando la
bottiglia e mordendosi nervosamente un’unghia.
Merlino,
come non ti capisco.
Alla
fine sbuffò, estraendo la bacchetta e puntandola contro il calice: «Gemino».
Come in una bizzarra scissione cellulare, quello si divise in due, e la
strega svuotò la Burrobirra in entrambi. Stando attenta a non rovesciare
niente, tornò in soggiorno.
«Buon
Natale anche a te» mormorò, posando uno dei calici sul tavolino e trattenendo
una risata al leggero sussulto del detective.
L la
studiò con aria circospetta, mentre si accomodava sulla poltrona solitamente
occupata da lui. Si sistemò con la schiena contro un bracciolo e le
gambe a penzoloni sull’altro, un libro di Trasfigurazione Molto Avanzata in
grembo e la Burrobirra stretta al petto.
Dopo
pochi secondi, sospirò. «Non l’ho avvelenata, sai? Per stavolta.»
Lui
inarcò un sopracciglio. «Per stavolta?»
«Sì»
confermò la rossa, serissima. Poi, con tono più morbido, aggiunse: «Senti,
chiedimelo la prossima volta, ok? Non ho problemi con le misure di sicurezza,
ma non attuarle alle mie spalle.»
Una
vocina paranoica le diceva che stava esagerando, che non solo aveva
mandato completamente al diavolo il suo piano di smettere di fare l’amicona con
L, ma ora gli dava pure ordini? La vocina fu presto affogata in un altro
sorso di Burrobirra.
La
Burrobirra che lui le aveva fatto procurare non sapeva bene dove e non sapeva
come. Con un biglietto di buon Natale.
Lo spiò
con la coda dell’occhio e, divertita, vide che ancora non accennava a bere la
sua parte. «Seriamente, non te ne ho ceduta metà solo per fartela fissare».
Lui la
guardò ancora per un momento, poi entrambi bevvero, in silenzio.
La
mente stanca di Sophie si perse in ricordi lontani, mentre lasciava che quel
dolce nauseabondo le inondasse i sensi.
Baffi
dorati e bianchi di schiuma sul volto di suo padre, sua madre che lo metteva in
guardia su tutta la Burrobirra che beveva.
Non le
piaceva nemmeno così tanto, la Burrobirra. Certo, da bambina era stata la sua
delizia, quella che era sempre presente a ogni tavolata o che beveva di
nascosto con suo nonno, prima che nonna li sgridasse perché l’avevano già
bevuta a pranzo. Crescendo, era il sapore familiare dell’infanzia, un piccolo
rimando a casa sua quando la ordinava ai Tre Manici di Scopa di Hogsmade, dimenticando per un momento lo stress di qualche esame incombente o
di una punizione di Piton. Poi…
Baffi
dorati e bianchi di schiuma sul volto di suo padre, sua madre che lo metteva in
guardia su tutta la Burrobirra che beveva.
Un
fascicolo scarno, una foto stropicciata, due corpi freddi e deturpati in un
soggiorno devastato.
Poi
aveva iniziato a darle la nausea.
«Te ne può
procurare dell’altra».
Sophie
si riscosse dai suoi pensieri, guardando confusamente il detective.
Ancora
una volta, L non si era minimamente accorto dell’arrivo della ragazza, e la
cosa iniziava a dargli sui nervi. Era una sensazione curiosa, però, perché
raramente qualcosa lo toccava tanto da infastidirlo, e il fatto che i
passi felpati dell’Auror riuscissero sempre a sfuggire al suo finissimo udito
lo infastidiva molto.
Così
come l’apparente indifferenza che la strega aveva mostrato nel sedersi nella
poltrona, quella che utilizzava sempre lui e dunque aveva eletto a sua.
Un vezzo derivante del suo lato più infantile e possessivo, ne era pienamente
consapevole e altrettanto noncurante.
Poi lei
aveva roteato gli occhi con aria esasperata, un modo di fare che cozzava con i
tentativi molto flebili di compostezza che l’aveva vista attuare negli ultimi
giorni, e gli aveva sorriso.
Sorrideva
spesso, Sophie. Sorrideva sempre.
Anche
mentre lo minacciava velatamente e senza alcuna esitazione, le labbra della ragazza
erano rimaste piegate in un sorriso sincero, quasi trattenuto. Quel nuovo modo
di fare, improvvisamente schietto e sincero, lo intrigava: sembrava che la
temporanea rabbia di poc’anzi avesse finalmente rimosso quei filtri traballanti
con cui, palesemente, la strega cercava di tamponare il suo carattere
esuberante.
L aveva
finto di non notare nulla, nei giorni passati, studiando il conflitto interiore
della giovane. Fino ad ora.
Ora
Sophie pareva aver raccolto abbastanza determinazione da fissarlo con aria di
sfida, gli occhi ambrati, quasi dorati nella luce della stanza, stretti fra le
ciglia scure in due fessure affilate.
Sì, intrigante,
pensò bevendo rapidamente la sua Burrobirra. Gli occhi grigi scivolarono sul
libro che la strega teneva in grembo, poi nuovamente al suo volto: lo sguardo
di Sophie si era fatto lontano, vuoto, e la sua bocca si era adagiata in una
linea inespressiva.
Il
detective curvò il capo, incuriosito. Lì c’era qualcosa. Qualcosa che
gli poteva servire.
Ricordi?
Tracce di quel passato frammentario che né lui, né i numerosi contatti di
Watari erano riusciti a completare? Indizi che avrebbero finalmente iniziato a
condurlo verso la soluzione?
Attese
in silenzio, finché non gli parve che il respiro della giovane si fosse fatto
stressato.
La
verità era lì, ne era sicuro, era a un passo, forse a un piccolo gioco di
prepotenza, una piccola spinta di Legilimanzia di cui non si sarebbe nemmeno
accorta…
L
aggrottò la fronte, la mascella improvvisamente rigida.
«Te ne
può procurare dell’altra».
Sophie
si voltò di scatto, e il tempo sembrò rallentare mentre L studiava quegli occhi
improvvisamente stanchi, che lo fissavano dal volto che tanto spesso
vedeva arrossire, ma che ora pareva pallido dietro tutte le lentiggini.
L alzò
il calice vuoto. «Di Burrobirra, Watari te ne può procurare dell’altra. O
qualsiasi altra cosa tu non riesca a trovare, devi solo chiedere».
La rossa
si affrettò a ricomporre un sorriso fiacco, ringraziandolo e raccomandandosi di
ringraziare anche Watari per lei. Il mago era infatti sparito dopo
l’intercettazione, impegnato coi suoi affari in Inghilterra, ma lei sembrò non
volerne indagare l’assenza, altro dettaglio inconsueto per la curiosa Auror.
Un
silenzio tranquillo calò nella stanza, mentre Sophie si faceva assorbire nei
meandri sicuri dello studio, ben incastrata contro lo schienale della poltrona
e la fronte corrucciata nei passaggi più complessi. Anche quello, pensò
L, doveva essere approfondito.
Quello,
ma prima ancora il suo passato frammentario: L doveva riunire i pezzi,
doveva capire se ci fosse qualcosa di rilievo, qualcosa che avrebbe
potuto connetterla definitivamente a quell’indagine.
Il
detective si ritrovò più volte a scrutare il profilo delicato della strega,
quella notte. Il suo profilo, o le lentiggini dorate sparse sul suo volto, o il
modo in cui teneva le maniche attorcigliate attorno ai polsi sottili e sotto le
dita affusolate, o i riflessi ramati dei suoi capelli, legati disordinatamente
con la bacchetta. Si ritrovò a voler restare lì a guardarla, guardarla finché
non lo avesse beccato e fissato di rimando con un sopracciglio inarcato. Si
ritrovò a guardarla senza sapere il perché, e senza volerlo sapere.
***
25 dicembre 2003
Per
Natale, Sophie aveva ricevuto ben tre gufi, coordinati per trasportare un cesto
dalle dimensioni imbarazzanti. La strega sperò vivamente che fosse
passato inosservato agli ospiti dell’albergo, ai passanti e, soprattutto, a L.
Nonostante
la ragazza potesse con tranquillità sdraiarsi nel cesto di paglia, senza
nemmeno piegare troppo le ginocchia, Hermione doveva aver nuovamente utilizzato
un Incantesimo di Estensione Irriconoscibile. Divenne evidente quando, tra
sbuffi e imprecazioni, Sophie cercò richiudere l’armadio in cui aveva stipato
tutti i regali ricevuti: dalla signora Weasley, una serie di libri di ricette
accompagnò il suo maglione d’ordinanza; Sophie sospettò che, se avesse potuto,
Molly le avrebbe mandato direttamente il suo pasticcio di carne e calderoni
di minestra, ma grazie a Merlino esistevano le leggi doganali. Dai Tiri Vispi
Weasley, George le mandò una collezione nuova fiammante di Gadget Magici,
accuratamente impacchettata in un cofanetto natalizio. Da Hermione, un nuovo
set di carta da lettere che la fece squittire di gioia, e un paio di libri
appena pubblicati. Da Ginny, la nuova maglietta delle Holyhead Harpies e dei
Montrose Magpies, in qualche modo già firmate da tutti i giocatori
nonostante la stagione del Campionato dovesse ancora iniziare. Da tutto il
Quartier Generale, un set di Detector Oscuri nuovo di zecca che le fece
lanciare un gridolino, dato che solitamente usava i pidocchiosi, semi-distrutti
detector del Ministero.
Quando
uscì dalla stanza, un enorme sorriso a illuminarle il volto, vide disordinati
ciuffi di capelli neri sbucare dalla poltrona che le dava le spalle. Si
avvicinò di soppiatto, colta dall'irrefrenabile, infantile voglia di coglierlo
di sorpresa.
Nell’attimo
di scattare davanti al detective numero uno al mondo, però, uno squillante “Buongiorno!”
le morì in gola. Strinse le labbra tra i denti, gli angoli della bocca che
tradivano un piccolo sorriso.
Così, a
quanto pare, anche L dormiva.
Era
rannicchiato nella sua solita posizione fetale, ma il capo gli ricadeva contro
i lati dello schienale, schiacciando i capelli corvini. Il volto pallido del
detective era rilassato, gli occhi perennemente sottolineati da occhiaie
pesanti erano finalmente chiusi in un meritato riposo. La bocca sottile, per
una volta, non era vittima di qualche tic nervoso, o aperta per fare qualche
osservazione tagliente, ma socchiusa. Un respiro leggero e stabile gli muoveva
appena il petto, coperto solo dalla solita, sottile maglietta bianca.
Sembrava
così… solo, costretto in quella posa difensiva anche mentre dormiva, caduto
certamente addormentato mentre stava ancora lavorando, dato che una pergamena
giaceva srotolata ai piedi della poltrona.
Sophie
si morse un labbro, abbassandosi per arrotolare con cura il documento e riporlo
sul mobile più vicino.
Alzò il
capo sul detective e, scrutandolo in un momento tanto vulnerabile, fu
come se lo vedesse per la prima volta.
Per la prima
volta, non vide il capo delle indagini, l’indiscutibile autorità del mondo
della giustizia, l’interessante collega con cui discutere fino a notte fonda
divorando biscotti.
Per la
prima volta, Sophie vide una semplice persona, un semplice ragazzo. Non
era niente più che un ragazzo, quello che si batteva quotidianamente per la
giustizia e per la salvezza di tutto il mondo, quello con gli occhi
perennemente segnati dal sonno e la pelle esangue di chi non vedeva mai la luce
del sole.
Per la prima
volta, provò una sottile vena di preoccupazione: oltre a Watari, c’era qualcuno
che si preoccupasse per lui? Non per L, no, per quel ragazzo. Qualcuno
che lo strigliasse quando non mangiava come si deve, come la signora Weasley;
qualcuno che lo trascinasse via dal lavoro per bersi una birra, come Harry e
Ron; qualcuno che ogni tanto si presentasse alla sua porta con una pizza per
spezzare la solitudine, come Ginny; qualcuno che ribattesse ogni sua parola e
si lamentasse se si vestiva troppo leggero, ma che poi portasse sempre il suo
tè preferito, come Draco.
La
strega non si poteva arrogare il diritto di sapere davvero qualcosa sulla vita
del detective, né poteva immaginare chi o cosa lo aspettasse a casa… però aveva
l’impressione di sapere la risposta.
Aggrottò
la fronte, estraendo la bacchetta per trasfigurare una pergamena vuota in una
coperta. La drappeggiò sul corpo rannicchiato di L, imponendosi di mettersi al
lavoro e di smettere di fissarlo come una maniaca.
Quando
uscì dalla suite, non si accorse che Watari aveva assistito a tutta la scena,
un sorriso sotto i baffi candidi.
***
27
dicembre 2003
Quella
sera, c’era qualcosa che non andava.
Ancora
una volta, un gruppo di studio della scuola di preparazione si era ritrovato
per un ripasso generale. Ancora una volta, sia sospettati di Sophie che
sospettati di Penber, e probabilmente anche di qualche altro Auror, si
trovavano negli stessi dintorni.
Solo
che di Penber non c’era traccia.
E di
Penber c’era sempre traccia.
Se è
per quello, la strega non aveva notato nessun altro individuo che potesse
identificare come Auror, ma magari i colleghi di Penber erano semplicemente più
bravi nel loro lavoro. La rossa, per quanto formidabile nel notare quel genere
di cose, non era infallibile.
Ciononostante,
e venendo meno al suo dovere, non seguì i suoi sospettati a casa.
Seguì
quelli di Penber. Prima la figlia maggiore del Capitano Kitamura, poi quello
del Sovrintendente Yagami.
Non
incrociò nemmeno un’anima sulla loro scia.
Ferma
vicino a casa Yagami, appostata invisibile dietro un lampione, spiò dalle
finestre accese dell’abitazione; dopo aver contato i presenti, si bloccò,
congelata dallo sgomento.
Pensava,
infatti, che il ritardo del collega fosse dovuto a un’eventuale complicazione
con gli indiziati, ma sia i membri della famiglia Kitamura che di quella Yagami
erano al loro posto. E dell’Americano ancora nessuna traccia.
Forse
sta solo seguendo un’altra pista.
Non ci
sarebbe stato nulla di strano.
Però L
non gli aveva accennato a nessun cambio di programma.
Sophie
strinse le mani a pugno e respirò profondamente, tentando di non perdere la
calma. Doveva decidere cosa fare, e molto in fretta: seguire l’istinto
era sempre considerato il cliché di ogni buon poliziesco, ma da Auror sapeva perfettamente
quanto certe cose non andassero realmente ignorate. E quella non era una
coincidenza.
Non
perse tempo e, risoluta, cercò un vicolo deserto per Smaterializzarsi, seguendo
la voce che la spronava a correre da L.
«Ryuzaki!» ansimò poco più
tardi, spalancando la porta della suite dopo aver fatto le scale dell’hotel due
a due. «Ryuzaki, c'è qualcosa che non va, l’Americano...»
«Sei viva» la voce
bassissima ed esterrefatta del detective colse la strega impreparata.
«Cosa- come?»
«Raye Penber è morto» la
informò L, che con gli occhi spalancati sembrava scandagliarla come ad
assicurarsi che non fosse un fantasma. «… E così tutti gli altri, Kira li ha
uccisi».
Sophie
aprì e chiuse un paio di volte la bocca, interdetta.
«Che... Che vuoi dire?»
«Tu sei l’unica
sopravvissuta».
Beh,
visto che ho tardato un sacco con lo scorso capitolo, anticipo un po’ questo ;3
…
E
mi sono anche un po’ rotta di ripassare per la sessione, ma dettagli.
Comunque,
spero che sia
tutto abbastanza scorrevole (piccolo uragano, santa patrona dei dialoghi,
proteggimi tu).
Un
abbraccione, e grazie mille a tutti quelli che
recensiscono/seguono/ricordano/preferiscono, vi si ama assai.
Custode delle Chiavi e dei Luoghi a Hogwarts,
grande amante delle creature magiche, soprattutto se illegali o in qualche modo
nocive.
Villaggio magico accanto a Hogwarts,
dove gli studenti possono recarsi dal terzo anno.