Mike&Jim
The gentle art of
making enemies
Mike sembrava avere un talento naturale nel procurarsi
dei nemici.
La maggior parte delle volte non lo faceva apposta, gli
bastava essere se stesso per attirarsi addosso l’antipatia altrui: in fondo era
soltanto un ragazzino senza troppa esperienza proveniente da una cittadina
dimenticata da tutti, nessuno gli aveva insegnato che il mondo non era semplice
come l’aveva sempre conosciuto e che non poteva comportarsi ovunque come se
fosse a casa sua.
Certo, aveva anche tante buone qualità. Non appena era
entrato a far parte dei Faith No More, quella strana band di San Francisco alla
disperata ricerca di un cantante, aveva dimostrato una maturità sorprendente
per i suoi vent’anni: aveva preso il suo ruolo sul serio, si era impegnato fin
da subito per scrivere i testi e dare il suo contributo artistico nella stesura
delle canzoni.
Lavorava duro e non si lamentava mai, perché amava
profondamente ciò che faceva. Gli altri quattro componenti dei Faith No More ne
rimasero impressionati, erano stati davvero fortunati a trovare un artista già
così serio e maturo.
Ma, tra le tante pieghe – e pecche – del suo carattere, ce
n’era una in grado di provocare parecchia irritazione in chi gli stava attorno:
Mike scherzava, non si prendeva mai sul serio e non prendeva sul serio gli
altri. E spingeva le sue burle oltre il limite, non conosceva il confine tra
divertimento e fastidio; non sapeva quando fermarsi.
Chi riusciva a stare ai suoi giochi e a capire le buone
intenzioni che lo muovevano, finiva per amarlo.
Chi invece non tollerava il suo scarso buon senso e non
sopportava i suoi eccessi, finiva per odiarlo.
Questi ultimi erano coloro che lo divertivano di più in
realtà, costituivano i suoi principali bersagli: a Mike piaceva portarli al
limite della sopportazione. Dopotutto era soltanto un ragazzino impertinente
che aveva ancora tanti aspetti di sé da comprendere e da smussare.
Tra i tanti che faticavano a digerire le sue bravate
c’era Jim, riservato e stravagante chitarrista della band.
Jim, così statico e chiuso, era la sua perfetta antitesi.
Jim sembrava avere
un talento naturale nel procurarsi dei nemici.
Era difficile comprendere
se lo facesse apposta o meno – era difficile affermare qualsiasi cosa su di
lui, a dirla tutta.
Nemmeno gli amici
che lo conoscevano da anni erano in grado di decifrarlo, introverso com’era, e
anche quando decideva di aprirsi non si riusciva a capire se parlasse sul serio
o meno.
Avere a che fare con
lui significava essere sottoposti a tante bizzarrie. A volte ciò lo rendeva
divertente, altre volte ambiguo, ma di certo c’era che non lasciava entrare
nessuno nel suo mondo e nei suoi pensieri.
Qualche volta però
si irritava e lo dava a vedere senza freni. Era abbastanza permaloso, se la
prendeva più spesso di quanto si potesse pensare – dopotutto voleva solo essere
lasciato in pace.
Era fatto così: se non
lo si infastidiva, lui se ne stava per i fatti suoi e non arrecava disturbo a
nessuno; non si lamentava nemmeno quando gli si giocava qualche scherzo, finché
non lo si portava sulla soglia dell’esasperazione.
Capire cosa gli
desse realmente fastidio e cosa no, questo era un altro paio di maniche.
Un’altra delle –
poche – cose certe era la sua volontà di fare musica. Jim amava suonare la sua
chitarra, amava comporre e aveva le idee ben chiare in testa sulla direzione
artistica che voleva prendere.
Fin troppo chiare,
talvolta. Così come era difficile portarlo fuori dal suo guscio, era dura
indurlo a rompere gli schemi e aprirsi a qualcosa di nuovo, a sperimentare. Tra
i suoi tanti difetti, la difficoltà ad accettare ciò che era diverso dalle sue
idee e convinzioni era il più evidente.
Tra i tanti che non
riuscivano a interpretare o accettare le sue volontà c’era Mike, rumoroso ed
esuberante cantante della band.
Mike, così dinamico
e aperto, era la sua perfetta antitesi.
Quella che si era
instaurata tra loro era una guerra fredda.
Nessuno dei due
sapeva affermare con esattezza quando tutto ciò fosse cominciato – forse dal
primo sguardo che si erano scambiati, forse dalla prima sessione di prove in
saletta, forse dal primo palco che avevano condiviso.
Era stato così
semplice dar vita a quella tensione, come una scintilla: non era però
altrettanto facile arrestarla.
Andò avanti per
anni.
Giorno dopo
giorno, il rapporto tra Mike e Jim si logorava – ma c’era mai stato un vero
rapporto?
Giorno dopo
giorno, i Faith No More si logoravano.
Tutto nasceva da
delle divergenze artistiche.
Al cantante
piaceva cambiare, sperimentare, aprire nuove strade per il futuro della band –
era l’ultimo arrivato e aveva portato una ventata d’aria fresca.
Al chitarrista le
cose andavano bene come stavano, aveva un tipo di musica ben definito in testa
e lo voleva realizzare – era uno dei membri più anziani, c’era da sempre e
riteneva di poter esprimere liberamente la sua opinione.
Non trovavano un
accordo, mai.
Allora Mike si
indispettiva – perché gli era toccato un chitarrista così ottuso? – e
gli andava contro, faceva ironia su di lui, gli giocava scherzi… e sì, forse
cercava anche l’appoggio degli altri componenti della band.
Jim non ci stava
proprio, ai cambiamenti che Mike voleva apportare.
Mike non ci stava
proprio, alla totale contrarietà di Jim verso qualsiasi proposta.
Era un tira e
molla senza fine, senza tregua – senza nessuno scopo, se non dichiarare guerra
al proprio nemico.
Del resto Mike era nato per questo: ferire gli altri
senza accorgersene.
E Jim era soltanto uno dei tanti che portavano addosso le
sue cicatrici.
Del resto Jim era
nato per questo: rifiutare gli altri senza accorgersene.
E Mike era soltanto
uno dei tanti che restavano chiusi fuori dal suo mondo.
° ° °
Ma sotto sotto, anche se non lo avrebbe mai ammesso, Mike
si era affezionato a Jim. Solo un po’.
Era un tipo singolare e appariva un po’ burbero, però lo
incuriosiva e lo intrigava molto: aveva provato, nel primo periodo, a conoscere
le sue sfaccettature e addentrarsi nelle pieghe della sua personalità. Forse
nel modo sbagliato, ma ci aveva provato per davvero.
Lo chiamava affettuosamente – e ironicamente – Big Jim,
per via della sua altezza e del fatto che fosse il più anziano della band. E
non poteva negare che, nel momento in cui era entrato a far parte dei Faith No
More, l’aveva preso come una sorta di punto di riferimento: Mike era così
piccolo rispetto agli altri, non conosceva nessuno e non sapeva ancora di chi
fidarsi, che direzione prendere.
Per una volta la staticità di Jim era stata la sua ancora
di salvezza.
Certo, spesso gli faceva saltare i nervi, ma forse non
avrebbe mai potuto fare a meno di quel ragazzone dall’aspetto sinistro e
ostile, con quella chioma di ricci, gli occhi sempre nascosti dietro le lenti
scure e sempre abbigliato di nero.
Ma era decisamente troppo orgoglioso per dirglielo.
E forse, anche se
nemmeno lui ne era consapevole, Jim si era affezionato a Mike. Solo un po’.
Il cantante aveva
tanto da offrire, irrequieto e creativo com’era, e lui in fondo era curioso di
scoprire il suo potenziale. Se solo fosse stato in grado di reggere tutte quelle
novità e quei cambiamenti…
Nel primo periodo ci
aveva davvero provato, ce l’aveva messa tutta per stare appresso alla sua
esplosività; la pazienza di cui era dotato, tuttavia, non gli era bastata – si
era definitivamente esaurita quando aveva constatato che le sue idee non
venivano più prese in considerazione come un tempo.
Eppure, quando Mike
era entrato nella band, Jim l’aveva visto come un ragazzino spaesato su cui
gettare un occhio di riguardo. Era stato lui stesso a presentarlo agli altri e
coinvolgerlo in quell’avventura, dopotutto aveva fiducia in lui – era la sua
scommessa.
E non pensò mai di
essersi sbagliato, perché Mike aveva dato una scossa ai Faith No More e li
aveva portati a un successo che non si erano nemmeno mai sognati.
Certo, i suoi scherzi
di cattivo gusto lo sfinivano, ma forse non sarebbe mai riuscito a fare a meno
di quel ragazzino dagli occhi scuri e penetranti, il sorrisetto impertinente di
chi è pronto a sfidare il mondo e l’abbigliamento fuori dagli schemi.
Ma era decisamente troppo
orgoglioso per dirglielo.
“Me ne vado. Non
appena finisce il tour, lascio la band.”
Erano passati
quattro anni e mezzo da quando avevamo cominciato a lavorare insieme e nessuno
dei due era riuscito a smussare i suoi difetti.
Anzi, li avevano
ingigantiti col solo intento di darsi fastidio a vicenda.
Si erano portati
l’un l’altro allo sfinimento pur di non fare il primo passo. Perché essere
nemici, per loro, era più semplice che essere amici.
Mike si voltò
lentamente. Il parcheggio era deserto, fatta eccezione per il loro tour bus, e
un cielo limpido e trapuntato di stelle li sovrastava.
Jim aveva una
spalla poggiata alla carrozzeria del loro mezzo e teneva una sigaretta tra le
labbra, lo sguardo puntato su nulla in particolare.
Non sapeva perché
avesse pronunciato quelle parole, o meglio, non sapeva perché le avesse dette
proprio a Mike. Avrebbe voluto aggiungere dell’altro, ma si lasciò bruciare la
gola dal tabacco e tacque.
Forse perché
l’umiliazione era troppa: Mike Patton aveva vinto.
Quest’ultimo lo
scrutò, cercando di leggere la sua espressione nella penombra. Ma tanto, anche
se fosse riuscita a scorgerla, non sarebbe riuscito a decifrarla.
Ma c’erano cose
più importanti da interpretare in quel momento, come le emozioni che provava.
“Davvero?” disse
soltanto in tono piatto, sollevando un sopracciglio.
Avrebbe dovuto
esultare: si era impegnato per indisporre Jim a suon di scherzi e accuse apposta
per indurlo a cedere. Ma ora che il suo desiderio si era avverato, le parole e
la gioia gli rimanevano imprigionate in gola; non voleva davvero esultare.
Eppure aveva vinto
lui, Jim Martin aveva perso.
Nessuno dei due
però sapeva quando fosse cominciata la sfida e soprattutto quale fosse
il premio in palio.
Jim annuì,
seguendo il filo di fumo della sua sigaretta fino a immergere lo sguardo nello
scuro cielo estivo. Avrebbe voluto dire che non era vero, che non si sarebbe
arreso e che sarebbe rimasto, che avrebbe provato a cambiare e aprirsi anche
alle idee degli altri. Avrebbe voluto urlare al mondo che i Faith No More erano
la cosa più importante per lui, poi avrebbe voluto scusarsi con Mike e
ammettere di essere stato un idiota a non averlo mai accettato e non essergli
andato incontro.
Ma non fece
niente.
Mike lo osservò e
si accorse che le mani gli tremavano appena, ma non sapeva il perché. Avrebbe
voluto aprir bocca e lasciar fluire all’esterno tutto ciò che sentiva: avrebbe
voluto chiedere a Jim di restare, avrebbe voluto dirgli che senza di lui non
sarebbe stata la stessa cosa, che lui contava più di quanto gli avessero fatto
credere negli ultimi anni. Avrebbe voluto chiedergli scusa, a nome di tutti,
per il modo in cui si erano comportati, e poi avrebbe voluto dirgli che era
ancora parte della famiglia.
Ma non fece
niente.
Forse era troppo
tardi per le scuse, o forse era troppo tardi per loro per cambiare.
Non dissero
niente, e non seppero mai cosa si erano persi.
Non scoprirono mai
quante cose avevano in comune, quanta musica li avrebbe potuti unire, quanto
sarebbe stato facile capirsi con uno sguardo, quanto sarebbe stato bello ridere
insieme.
Scherzare in modo
sano, essere complici, essere amici.
Mike si accostò a
lui, sospirò e poggiò a sua volta la schiena contro il tour bus. Aveva una gran
voglia di abbracciarlo – e lui in genere non aveva mai voglia di abbracciare
nessuno.
Jim gli lanciò uno
sguardo con la coda dell’occhio e continuò a fumare in silenzio. Aveva una gran
voglia di piangere – e lui non piangeva mai.
L’ennesima
occasione di chiarirsi andata persa, insieme a tutto ciò che li avrebbe potuti
accomunare in quattro anni e mezzo.
E alla fine
entrambi avevano perduto talmente tante cose che nessuno dei due aveva
l’impressione di aver vinto.
L’unica cosa che
avevano guadagnato era un nemico da aggiungere in cima alla lista.
Perché l’arte in
cui entrambi riuscivano meglio – ancor meglio della musica – era quella di
procurarsi dei nemici.
♠ ♠ ♠
Sono morta!
Ci ho messo quattro ere geologiche per scrivere questa
sottospecie di storia introspettiva che non serve a niente XD e nemmeno mi
piace, perché nella mia testa doveva essere più approfondita ed “emotiva”, ma
non ce la posso fare AHAHAHAHAH! Anche perché questi due non aiutano: se già
Mike e Jim sono complicati da gestire singolarmente, figuriamoci INSIEME! Mamma
mia, avrei bisogno di un corso formativo (???) per capirli, ammesso e non
concesso che loro stessi si siano mai capiti AHAHAHAH!
E spero che questa “incomprensibilità” dei personaggi si
sia intuita nella storia, era un po’ il mio intento ^^
Ci tenevo troppo a scrivere questa storia – ci pensavo da
tempo – perché il rapporto conflittuale tra Mike e Jim mi intriga sempre un
sacco. È risaputo (almeno per i fan dei FNM) che non si sono mai sopportati,
che si sono sempre messi i bastoni tra le ruote e la loro convivenza nella band
non è mai stata tranquilla… ma allo stesso tempo, quando li vedo nello stesso
contesto, mi fanno tanta tenerezza e mi piace pensare che abbiano almeno
provato a partire col piede giusto. Ci spero, che sotto tutti questi strati di
ironia ci fosse un minimo d’affetto.
Per quanto riguarda coloro che non conoscono il fandom
(giudice compresa), posso dire che gran parte di ciò che ho riportato qui è
vero: Mike è stato l’ultimo membro a prendere parte alla formazione “dei tempi
d’oro” dei Faith No More, sul finire del 1988. Se non erro, è stato proprio Jim
a “pescarlo” e suggerirlo agli altri componenti della band, quando erano alla
disperata ricerca di un cantante.
Mike, neanche compiuti i ventun anni, si è subito messo
all’opera per comporre testi e linee vocali di The Real Thing, album
uscito nell’89 e che ha portato la band al successo.
Sono andati avanti così fino all’estate del ’93. In
questi anni hanno inciso Angel Dust (1992), a mio avviso uno degli album
più belli *-* ma ormai già in quel periodo le tensioni erano insostenibili,
così al termine del tour promozionale dell’album Jim ha deciso di lasciare la
band, nell’estate del ’93. O meglio, non si è ben capito se lui abbia mollato o
l’abbiano cacciato, ma la versione in cui Jim lascia la band è la più
accreditata.
Sta di fatto che da allora le loro strade si sono
inesorabilmente divise (purtroppo, perché insieme erano il top T.T).
È vero anche che Mike si rivolgeva a Jim chiamandolo “Big
Jim”; non so perché di preciso, ma è vero sia che il chitarrista fosse il più
alto della band, sia il più anziano ^^
Il titolo della storia (che è stato suggerito dalla mia
cara Kim per il contest a cui questa storia partecipa) è, guarda caso, il
titolo di un brano dei Faith No More, presente nell’album King For A Day…
Fool For A Lifetime (1995), in cui però Jim non era più presente. Anche per
questo ho voluto cogliere la palla al balzo per scrivere su questo fandom e su
questi personaggi!
Infine, spero sia chiaro anche il modo in cui ho
diviso/impaginato la storia, dividendo tra focus su Mike (a sinistra), focus su
Jim (a destra) e focus senza distinzione (al centro).
Dovrebbe essere tutto! Grazie a chiunque sia giunto fin
qui (ancora vivo, soprattutto XD), grazie a Kim per il titolo e a Freya per il
bellissimo contest! :3
Alla prossima!!! ♥
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