Era
stato un inverno molto umido, carico di pioggia, pieno di giornate
cupe e raramente serene ma Demelza era certa che lo avrebbe ricordato
come il più magico della sua vita. Il suo pancione cresceva
col
procedere
della stagione, il suo piccolo scalciava vivace e lei tutto sommato,
anche se si sentiva sempre più simile a Prudie, stava bene
ed era in
pace con se stessa e il mondo.
La
partenza di Ross per Londra l'aveva rattristata ma si era ripromessa
di essere forte e di aspettarlo tranquillamente a casa, sapendo che
la lontananza era giustificata da un fine più grande e
sicura che
sarebbe tornato quanto prima per accogliere il loro primo figlio.
Aveva
mantenuto le sue promesse ed era stata tranquilla a casa senza
sforzarsi, durante l'assenza di suo marito, dedicandosi al cucito e
al corredo per il bimbo, alla cucina, aveva preparato conserve con
Prudie e certe volte, nelle giornate serene, aveva insegnato ai suoi
piccoli allievi nel salotto di Nampara dove li accoglieva con una
fetta di torta e del succo d'arancia, cosa indispensabile per la
salute dei bambini in crescita, come le aveva detto Dwight che la
seguiva da medico passo dopo passo.
Quando
Ross era tornato, a metà aprile, il suo pancione era
evidente e si
sentiva più una orsa goffa che una donna. Aveva temuto che
Ross non
la trovasse più bella ma la prima notte insieme dopo mesi
aveva
fugato ogni suo dubbio facendole trovare col marito tenerezza,
passione e amore. Con sorpresa aveva saputo da Ross che era stato un
preoccupato Falmouth ad insistere perché tornasse a casa
quanto
prima ed ancora più sorprendente era stato scoprire che lo
stesso
lord aveva lasciato i lavori a Westminster per tornare in Cornovaglia
col suo pupillo per essere nelle vicinanze quando il bimbo fosse
nato. Si sentiva amata, molto. Da suo marito e anche da quello strano
ed austero padre improvvisato che era diventato parte importante
della famiglia che aveva creato prima con Hugh ed ora con Ross.
Aprile
passò veloce e anche la prima parte di maggio.
Ross
riprese subito a lavorare alla Grace anche se rincasava sempre sia
per pranzo sia al pomeriggio presto, evitando di stare fuori troppe
ore e quando era a casa ne approfittava per fare quei lavoretti di
manutenzione di cui Nampara aveva bisogno da fin troppo tempo e che
aveva sempre rimandato: aveva sistemato il tetto, aggiustato alcune
assi sconnesse nella stalla e tagliato legna facendone scorta per
tutto l'inverno successivo e anche l'estate, se fosse stata fresca,
in modo che suo figlio potesse sempre stare al caldo. Poi, con i
guadagni e il benessere che la Wheal Grace stava donando a lui e ai
suoi lavoranti, aveva comprato nuove sedie e nuova mobilia, abbellito
il salotto e aveva regalato una nuova spinetta a Demelza che amava
suonare per rilassarsi. E lui amava ascoltarla mentre lo faceva...
Spesso cantava per lui, la sera, una deliziosa canzone su una donna
che si punge il dito con la spina di una rosa, una canzone inno
all'amore che era dedicata solo a lui e che era diventata la colonna
sonora del loro rapporto.
Fu
nella notte fra il 24 e 25 maggio del 1788 che Demelza
iniziò ad
avvertire le prime eloquenti avvisaglie del travaglio.
Ross
si svegliò immediatamente e nel panico fece persino fatica a
vestirsi per andare a svegliare Jud e Prudie e poi correre a chiamare
Dwight. E se non fosse stato per Demelza che si era infine alzata dal
letto per aiutarlo, sarebbe uscito di casa in mutande e senza
pantaloni...
Prudie,
in camicia da notte, fu subito da lei e con ordini precisi
mandò Jud
di sotto a scaldare dell'acqua e a prendere dei panni puliti mentre
Ross usciva a cavallo a chiamare Dwight.
Garrick
e Sun, agitati per il trambusto, facevano avanti e indietro dal
salotto alla camera da letto, facendo capolino insieme coi loro
musetti, ma Demelza sentiva sempre più forti le contrazioni
e non
riusciva a dar loro retta.
Prudie
le strinse la mano. "Sai ragazza, lo ricordo quando sei venuta
quì la prima volta. Pensavo che avresti portato molti
guai...".
Stringendo
i denti, Demelza si sistemò meglio sul cuscino per cercare
di
calmare il dolore. "Oh, perfetto! E così è
stato?".
La
domestica rise. "Quella nei guai ora sembri tu!".
"Già"
- mormorò Demelza, cercando i calmare le contrazioni con
delle
carezze sul pancione. "Ma sai, lo desideravo talmente tanto".
"Lo
desideri anche adesso, col male che ti spacca in due?".
Nonostante
tutto, Demelza sorrise. "Sì, anche adesso!".
Prudie
le tamponò la fronte bagnata. "Per domattina sarà
tutto finito
e avremo in casa un nuovo piccolo ed urlante Poldark e un grande ed
urlante Jud che griderà perché il piccolo Poldark
gli spaccherà i
timpani coi suoi strilli".
"O
una piccola Poldark...".
Prudie
alzò le spalle. "Chissà... Avete scelto un nome
per il
marmocchio?".
"Sì.
Jeremy, se sarà maschio... O Julia Grace se sarà
una bambina...
Volevo dare come secondo nome quello
dei genitori di Ross ma lui mi ha permesso di farlo solo per quello
femminile. Non vuole rischiare, dice, di avere un nuovo Joshua in
casa, che potrebbe
diventare
il nuovo seduttore del circondario
come fu suo padre dopo che rimase vedovo".
Prudie
ridacchiò. "Ricordo il signor Joshua e il signor Ross ha
ragione. Meglio non rischiare".
Demelza
la osservò incuriosita. "E Grace? Lei com'era?".
Prudie
la accarezzò la guancia. "Un angelo. E il suo nome
sarà di
buon auspicio, in caso a nascere sia una femmina".
Demelza
avrebbe voluto dire altro, ma una nuova forte contrazione la
bloccò,
facendola imprecare come quando, da bambina, viveva con suo padre.
Beh, Prudie la prendeva sul ridere ma era decisamente contenta che
Ross non fosse presente in quel momento...
Ma
il sollievo di essere sole durò poco perché in
quell'istante Dwight
entrò nella stanza.
...
Julia
Grace Poldark nacque alle sei del mattino, presentandosi al mondo con
un sonoro pianto. Era una bambina 'in carne', così la
definì Dwight
quando la vide e coi suoi quasi quattro chili di peso, i radi capelli
color miele tendenti al rosso, le manine strette a pugnetto e le
guance piene, era uno splendore.
Calde
lacrime presero a scendere dal viso di Demelza appena Dwight le mise
la piccola sul petto e stringendola a se pensò a quanta
strada
avevano fatto lei e la sua bambina per arrivare fin lì, a
quali
miracolose casualità avessero portato a quel lieto evento, a
quanto
aveva pianto pensando che quella gioia a lei fosse preclusa e alla
felicità unica che provava in quel momento. "E' sana?" -
riuscì solo a chiedere, mentre la piccola le si attaccava al
seno
con estrema facilità, come se non avesse fatto che quello da
sempre.
Dwight,
asciugandosi le mani che aveva lavato in un catino e sistemandosi le
maniche della camicia, le sorrise. "E' il ritratto della salute,
una bambina perfetta, sana come un pesciolino, forte come un leone e
con una voce potente come quella di un cantore di strada.
Congratulazioni".
Demelza
si chinò, orgogliosa, a baciare la testolina della piccola.
Dwight,
dopo averle raccomandato qualche giorno di riposo, la lasciò
sola e
poi scese di sotto dove Ross, a furia di fare avanti e indietro,
aveva fatto quasi un solco nel pavimento. "Complimenti, sei
padre di una bambina".
Ross
si sentì mancare e trattenne quasi il fiato. "Sta... Stanno
bene?".
Dwight
annuì, gli sfiorò il braccio e poi gli sorrise.
"Sono più in
forma di te, a giudicare da quanto sei pallido. Vuoi un cordiale o
pensi di farcela a non svenire?".
Ross
ridacchiò nervosamente. "Lasciamelo sul tavolo, credo che lo
berrò dopo essere andato di sopra".
"E
allora corri, ti stanno aspettando".
"Santo
cielo, Dwight stavo impazzendo nell'attesa! Quanto diavolo ci hai
messo a far nascere la mia bambina?".
Dwight
sospirò, prendendo la sua borsa. "Il tempo necessario e a
dire
il vero Demelza è stata fin troppo veloce. Cosa che non sei
tu, che
invece che correre da lei stai quì come uno stoccafisso con
me a
dire stramberie. Sbrigati o troverai tua figlia grande abbastanza per
fidanzarsi!".
Ross
non se lo fece ripetere, oltrepassò Prudie che scendeva le
scale
con le lenzuola sporche quasi investendola, corse di sopra e appena
vide Demelza seduta sul letto, con un fagottino fra le braccia,
sentì
il cuore esplodere di gioia come non mai. Coi suoi capelli sciolti,
il viso arrossato e stanco ma perfetto, Demelza era il ritratto della
salute e della felicità.
Appena
lo vide, la donna si chinò sulla piccola. "Julia Grace,
credo
che sia ora che tu
saluti tuo padre".
Ross,
a piccoli passi, si avvicinò, sedendosi sul letto accanto a
loro.
Col cuore in gola guardò fra le coperte che proteggevano la
sua
bambina e appena la vide, sentì di essersene innamorato
all'istante.
E
l'orgoglio, profondo, di chi ha costruito qualcosa di perfetto ed
unico. Era
semplicemente meravigliosa,
splendida. E sua... "Julia Grace..." - disse piano, con la
voce rotta dall'emozione.
Demelza
sorrise dolcemente. "Dwight dice che è il ritratto della
salute".
Ross
prese la piccolina, stringendola delicatamente a se. "Lo vedo,
è
perfetta! Come siamo riusciti a fare qualcosa di così...".
Le
parole si spezzarono nella gola di Ross e Demelza si
rannicchiò
contro di lui. "Dwight potrebbe spiegartelo in termini
scientifici ma io preferisco che rimanga un mistero...".
"Cosa?".
"Come
possa essere che un uomo e una donna facciano l'amore e dal nulla
prenda vita tutto questo così, come per magia".
Ross
annuì, Demelza aveva ragione. Era magia e nessuna
spiegazione medica
ne avrebbe scalpito il fascino e il mistero intrinseco
che ogni nascita, ogni
vita
racchiude in se.
"Stai bene?"
- le chiese, solamente.
"Sto
bene, sono solo un pò stanca".
"Devi
riposare e stare a letto, promettimi che lo farai. Dwight si
è molto
raccomandato...".
"Lo
farò, giuro".
Rimasero
abbracciati per lunghi istanti, in un silenzio carico di emozione e
serenità dove respirarono quei primi istanti da genitori. Fu
Ross a
spezzarlo, baciando teneramente le fronti di entrambe. "Lo
ricordi? La prima volta che ci siamo incontrati?".
Demelza
annuì. "Sì, pensavo fossi davvero un soggetto...
strano...".
Ross
sorrise. "Ti ho voluta da subito! Credo di aver desiderato
baciarti per farti stare zitta persino lì, su quel balcone,
con Hugh
a pochi passi da te".
Lei
rise. "Farmi stare zitta?".
"Eri
così molesta e avevi una notevole sfacciataggine e lingua
lunga.
L'hai ancora, se devo essere onesto... E infatti ti bacio spesso
proprio per questo!".
"Buono
a sapersi! E comunque, per la cronaca, spero la abbia anche nostra
figlia la lingua lunga! Il coraggio di dire sempre ciò che
sente
senza paura è la massima espressione di forza ed
intelligenza".
Ross
strinse la bambina. "Oh, la avrà di sicuro! E' una Poldark e
noi non amiamo troppo il silenzio e le mezze misure".
Julia,
fra le sue braccia, si stiracchiò tranquilla
e poi li osservò incuriosita per quello strano
chiacchiericcio di
cui era protagonista indiscussa.
"Sai" - disse Demelza - "E' così fortunata. Ha due
genitori che la amano, uno zio che la
adora e che già pensa al suo futuro meglio di noi...".
Ross
alzò gli occhi al cielo, ricordando bene la stramba idea di
Falmouth
che tanto l'aveva fatto discutere con lui. "Odio che dia soldi
per mia figlia e che a nostra insaputa le abbia aperto un conto alla
Banca di Londra, informandoci solo a cose fatte!".
Demelza
rise di nuovo. "Vuole essere parte integrante della costituzione
della sua dote. Dice che con due genitori come noi, ci vuole uno con
un pò di cervello che pensi al futuro dei nostri eredi. In
fondo
Ross, che c'è di male? Abbiamo scelto di essere una famiglia
e lui
sarà lo zio di Julia e questo è uno dei suoi modi
per dimostrarle
il suo affetto. Non è quello che fanno gli zii?".
Ross
alzò le spalle. "Mio zio Charles non ha mai aperto alcun
conto
a mio nome".
"Ma
Julia avrà uno zio diverso che vorrà prendersi
cura di lei e
dobbiamo considerarla una fortuna. La ama e lo sai anche tu! Non ha
mai lasciato i lavori a Westminster in anticipo per nessuno, lo ha
fatto solo per lei. Più amore c'è, meglio
è. Giusto?".
Ross
pensò a quelle semplici parole che spesso, dette da sua
moglie,
racchiudevano realtà ben più profonde che a lui
sfuggivano
nell'immediato. Era vero, non aveva forse imparato che l'amore segue
tante strade, tante vie tortuose e ha mille modi di manifestarsi? Non
era forse il periodo migliore della sua vita, con una famiglia tanto
ampia e aperta al futuro? Non era bello prendersi cura l'uno
dell'altro tutti insieme, come una squadra, ognun a proprio modo? Non
era bello che sua figlia avesse attorno tante persone che pensavano a
lei? "Hai ragione, più amore c'è, meglio
è".
Garrick
e Sun comparvero ancora dalla porta e questa volta Demelza li
chiamò
a se sul letto, per fargli conoscere Julia. E loro lo fecero,
annusando il visino di quella placida e perfetta bambina e poi
rannicchiandosi sulle coperte accanto a loro.
"Devono
proprio stare quì?" - chiese Ross, borbottando.
"Più
amore c'è, meglio è" - gli ricordò
Demelza con ironia. "E
siamo una grande famiglia dove c'è spazio per tutti".
Ross
sospirò, prima di chinarsi su di lei e baciarla sulle
labbra. 'Più
amore c'è, meglio è'... Era abbastanza convinto
che da quel momento
in poi quello sarebbe diventato il mantra del suo futuro e la base di
tutto quello che la vita avrebbe riservato a lui e alla sua famiglia.
Il passato, con le sue ombre, era svanito, il futuro era a portata di
mano e con amore, sarebbe stato roseo e felice per il resto delle
loro esistenze.
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