2
– The Riddle
Si
tratta di un indovinello, avvolto in un mistero all'interno di un
enigma (Cit. Winston Churchill)
Fatte
le dovute presentazioni e rientrati nel locale, Julian
ascoltò il
breve resoconto di Death Mask ed Élan senza scomporsi
particolarmente; man mano che elencavano i dettagli dello scarabeo
rosso, il suo comportamento non cambiò ma la sua espressione
si fece
cupa e la sua postura rigida.
-E
voi siete assolutamente certi che fosse uno scarabeo? Magari era un
maggiolino o...-
Prima
che potesse completare la frase, Death Mask batté il palmo
sul
tavolo con rabbia.
-Sono
stufo marcio che ce lo chieda! Quante altre volte te lo dovremo dire
che era proprio uno scarabeo, pensi che non sappia distinguere una
blatta dall’altra?!-
-Death
Mask, datti una regolata- tagliò corto Élan -Stai
parlando con
l’unica persona che potrebbe esserci d’aiuto, non
è il caso di
farti prendere da una botta da mignotta.-
-Una
COSA?!-
Sebbene
la fata potesse capire la preoccupazione di Julian, non riusciva a
comprendere cosa la scatenasse di preciso e l’ostinata rabbia
del
Cavaliere non era nient’altro che una distrazione non
necessaria ma
difficile da ignorare.
-Devo
dedurre che il problema sia bello grosso. Non andarci per il sottile
e dicci di che si tratta: è una malattia incurabile? Un
veleno
potente? Uccide in tempi brevi? La cura è difficile da
trovare?
Oppure non esiste proprio?- Élan non prese fiato pur di
esporre le
sue preoccupazioni e Julian venne sommerso da così tante
domande che
non riuscì quasi a trovare il tempo per risponderle.
-Temo
che la faccenda sia più complicata- prese un sorso dal suo
boccale e
sospirò prima di continuare il discorso -Tre anni fa Vesuvia
venne
colpita da una terribile pestilenza passata alla storia come
“la
Peste Rossa” e il primo mezzo di contagio, era il veleno
portato
proprio dagli scarabei rossi; credo che la causa principale fosse una
corruzione del sangue ma non potrei affermarlo con certezza. Ne
morirono a migliaia durante l’epidemia, traghettare gli
infetti al
Lazzaretto servì solo in parte ad arginare il problema e
nonostante
i miei sforzi per trovare una cura, non riuscii nel mio intento; la
peste sparì improvvisamente e le persone ancora malate
guarirono da
sole. Fui felice di non dovermene più occupare ma persi
anche il mio
scopo: d’altro canto, a chi serve un medico della peste se
non c’è
nessuna peste?-
Il
tono malinconico con cui enunciò le ultime parole, spinsero
Élan a
poggiargli una mano sul polso con solidarietà; Julian
sorrise con
una triste gentilezza ricambiando il gesto della ragazza che ora lo
osservava con occhi incoraggianti.
-Un
medico sarà sempre necessario, Julian. Noi siamo qui
apposta, e se
non noi, ci sarà senz’altro qualcuno che
avrà bisogno delle tue
doti- tentò di rincuorarlo ma Death Mask, che aveva alzato
gli occhi
al cielo, decise che fosse una bellissima serata per remarle contro.
-E,
amico, se ti fa schifo la disoccupazione, puoi sempre fare domanda
come becchino- suggerì assaggiando l’intruglio che
il rosso aveva
deciso di offrirgli in onore della loro scazzottata -È un
mestiere
che non muore mai, dopotutto.-
Il
ragazzo arrossì violentemente squadrando il suo compagno di
bevute
con una faccia a metà tra l’atterrito e lo
sconcertato; per
evitare di terrorizzare o disgustare gli altri clienti col sangue che
gli impregnava i vestiti, si era infilato nel suo camice nero a
doppio petto e nel suo ampio mantello a collo largo, assumendo un
aspetto più lugubre rispetto a prima ma non era
così inquietante da
sembrare un becchino, giusto?
Sotto
il tavolo, Élan tirò un calcio al Cavaliere che
non sentì granché
se non un riverbero sulla corazza; stuzzicarla fino
all’esasperazione
non era solo una delle attività che gli riuscisse meglio ma
anche
una delle sue preferite.
-Death
Mask! Zitto o ti ammazzo!- lo minacciò, voltandosi verso di
lui e
incrociando le mani davanti al volto.
-Vorrei
proprio vederti provare!- la sbeffeggiò scompigliandole i
capelli
con fare arrogante.
La
giovane bloccò il respiro, poggiò le mani sul
tavolo e chiuse le
dita con intimidatoria lentezza, fissando un punto non meglio
precisato del locale; nella prima e unica occasione in cui le aveva
riservato quel gesto, lei gli aveva giurato che quella successiva
sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe avuto le mani:
rimaneva
solo da decidere come farlo.
Valutò
l’idea di cominciare spaccandogli un boccale sulla testa per
infilarsi poi dietro al bancone a cercare una mannaia, quando la
risata di Julian interruppe il filo dei suoi pensieri.
-Ahahahah,
ho capito, era una battuta la tua!- lo elogiò, battendo le
mani un
paio di volte -Dovevo immaginarlo che facessi così con le
persone
che ti vanno a genio- sorrise compiaciuto.
-Mica
tanto, smilzo. Volevo fartela pagare per prima. Se non posso
spezzarti le ossa, allora spezzerò il tuo cazzo di orgoglio-
ringhiò
cupo mentre Élan sentiva il cuore stringersi in una morsa di
vergogna.
-Oddio,
che figura...- mormorò col viso nascosto tra le mani -Death
Mask,
scusati immediatamente!-
-No
no, ha ragione- Julian scosse la testa, i suoi modi erano rilassati
-Anzi, sono io che dovrei scusarmi. Stavo cercando di testare i
limiti del mio marchio e potrei aver tirato un po’ troppo la
corda-
ammise stringendosi nelle spalle -Di solito non sono così...-
-Viscido?-
gli suggerì la fata.
-Stavo
per dire “libertino” ma se ti ho dato
un’impressione simile,
allora devo scusarmi due volte, soprattutto con te, bella fanciulla-
Julian sollevò la mano di Élan e le
baciò le nocche a fior di
labbra, scrutandola oltre le ciglia. Le occhiaie donavano al suo
sguardo un aspetto malaticcio a primo impatto, ma profondo
più a
lungo lo si studiava.
Alla
dichiarazione del medico, la gola di Death Mask si seccò
privandolo
del suo piglio di tracotanza: non era la galanteria mostrata nei
confronti del suo interesse romantico, ma la realizzazione di essere
stato sfruttato.
Un
Cavaliere di Atena, dotato di straordinari abilità
combattive e
partecipe a gloriose battaglie per il trionfo del bene sul male, ed
era stato usato per provare un giocattolino nuovo?
-Cioè
non eravamo nient’altro che delle variabili in un test da
laboratorio, una misera scelta per uno stupido esperimento?- gli
domandò asciutto.
-Mi
scuso anche con te, mio buon amico. Spero di poter trovare il modo
per sdebitarmi e che accetterai le mie scuse- disse il medico con un
leggero cenno del capo.
-Ho
la faccia da cavia secondo te?!-
-No,
ma la faccia da scemo ce l’hai tutta...- gli rispose
Élan venendo
beatamente ignorata.
-Sai
che cosa mi ci pulisco con le tue scuse?!- gli ringhiò il
Cavaliere
valutando se riservagli un altro calcio nei denti o due. Tanto non
sarebbe stato “rotto” troppo a lungo.
-Niente
che ci interessa tu metta sul tavolo adesso- sospirò
un’altra
volta la fata scatenando l’ilarità del ragazzo.
Quando
Death Mask, in barba al divertimento di Julian, si alzò e lo
afferrò
nuovamente per i vestiti, Élan decise di non poter
sopportare oltre
e che fosse giunto il momento di far sentire la sua di voce. Si
alzò
anche lei e per attirare l’attenzione batté le
mani sul tavolo.
-Ragazzi!
Stiamo andando fuori tema! Tu, Death Mask, a cuccia!- gli
ordinò
indicandolo -E tu, Julian, cosa stavi dicendo su questi scarafaggi?
Se la peste è finita, perché sei tanto
preoccupato?- domandò al
ragazzo indicandolo a sua volta.
-È
finita, è vero, ma non si è mai capito il
perché, ciò significa
che non si è mai trovata né una cura,
né una soluzione al
problema, e se l’insetto che ha morso Death Mask era proprio
uno di
quelli, allora la peste potrebbe stare tornando e quanto accaduto
farebbe del nostro Cavaliere...-
-Il
paziente zero di una nuova ondata…-
-Esattamente.-
Death
Mask si fece calmo tutto d’un colpo, ascoltando con freddezza
insolita; lasciò andare Julian rimettendosi al suo posto
più serio
che mai. Non c’era malattia nell’universo che
avrebbe potuto
consumarlo, era un Cavaliere D’oro del Grande Tempio! La sua
resistenza era sovrumana e la sua forza impareggiabile, ma da quando
aveva conosciuto Élan, da quando aveva legato con lei, aveva
iniziato a comprendere cosa volesse dire mettersi nei panni altrui,
aveva conosciuto l’empatia ed era proprio uno dei peggiori
casini
che potessero capitare: la paura di Julian suonava così
sincera da
tenerlo appeso per la gola.
Dopo
un silenzio quasi infinito tra i tre, fu Élan a spezzare la
calma
glaciale.
-Troveremo
una cura a tutti i costi, stavolta non sei solo- dichiarò
determinata.
-P-potrei
anche sbagliarmi- balbettò il rosso -Magari era una di
progenie non
velenosa; a nord della città c’è un
canale in cui scorre acqua
rossa che non è nociva da anni- Julian si
illuminò, ricordandosi di
un’altra capacità che gli aveva donato il suo
marchio -In ogni
caso non dovete preoccuparvi e sapete perché? I miei poteri
non si
limitano solo all’autoguarigione, sono capace anche di altro!-
Si
sfilò un guanto e poggiò una mano sulla ferita
del Cavaliere D’oro;
le sue dita sottili erano così fredde sulla pelle
congestionata da
portare una sorta di sollievo. Nell’istante in cui toccarono
la
ferita, presero a brillare di magia e in una manciata di secondi il
morso non fu solo guarito, sembrò non ci fosse mai stato. Il
tatuaggio del granchio era di nuovo pulito e ben visibile mentre la
faccia del medico era deformata in una smorfia di dolore.
-Straordinario!
Come hai fatto?- Élan si animò di
felicità; passò la mano sul
braccio del compagno constatando come effettivamente non ci fossero
trucchi o inganni. Conosceva così poco di Vesuvia eppure
già ne
adorava i metodi taumaturgici.
-Semplice:
ho trasferito il danno a me. Il marchio lo guarirà e
sarà come se
non fosse successo niente- spiegò il rosso man mano che il
morso si
rimarginava sotto la divisa.
-Non
so come ringraziarti- la ragazza fu sul punto di commuoversi ma
l’espressione scura dell’altro la costrinse a
ricredersi.
-Aspettate
a farlo. Ho guarito il danno superficiale, è vero, ma
c’è
dell’altro: quando ho canalizzato il potere per individuare
anche
solo un barlume di Peste Rossa, non ne ho trovati.-
Death
Mask inarcò un sopracciglio incerto del perché
fosse una cattiva
notizia.
-E
sarebbe male perché…?-
-Solo
perché non ne ho trovati non significa che tu non sia
malato; la
Peste Rossa ci metteva dai tre giorni alla settimana per uccidere una
volta che i primi sintomi si manifestavano, il virus potrebbe essere
in incubazione. Il mio consiglio è di restare a Vesuvia per
almeno
un po’ di tempo: solo così potremo dire se sei
completamente fuori
pericolo.-
Sebbene
il tono di Julian fosse onesto e fermo, la dose di empatia per quella
notte era esaurita, e il Cavaliere emise un verso sprezzante.
-Non
se ne parla neanche! Noi adesso ripartiamo e se sorgeranno problemi,
ti manderemo a chiamare. Forza, Élan, andiamocene.-
Élan,
in tutta risposta, incrociò le dita sotto al mento,
poggiò i gomiti
al tavolo e guardò Death Mask con grandi occhioni da
ammaliatrice.
-Death,
tesoro- cinguettò melliflua -Devo ricordarti del nostro
simpatico
rendezvous sulla Man of Medan? Ricordi cos’è
successo perché non
hai dato ascolto all’esperta?- il suo tono si fece
così
improvvisamente perentorio che Julian, per poco, non si
sentì in
dovere di scusarsi -Io a scappare come una povera disgraziata mentre
tu, sballato dalla nebbia gialla, mi davi la caccia per uccidermi!
Tutto perché non avevi voluto indossare quella maschera
antigas del
cazzo! Se il dottore ha detto di restare, noi restiamo e tu
obbedisci!-
Il
Cavaliere D’oro cominciava ad averne un po’ troppo
delle libertà
che l’impudente fatina si stava prendendo nei suoi confronti.
“Attenta,
ragazza. Apprezzo la tua compagnia, ma attenta” sorrise tra
sé e
sé, compiaciuto e disturbato allo stesso tempo.
-Anche
se decidessimo di farlo, dove troviamo un posto in cui stare? E i
soldi? Non ne abbiamo.-
Prima
che la ragazza potesse suggerire di vendere l’armatura,
Julian
presentò loro una comoda soluzione.
-Di
vitto e alloggio me ne posso occupare io- sorrise, lanciando sul
tavolo un paio di dobloni e facendo cenno ai due viaggiatori di
seguirlo di nuovo per le buie strade di Vesuvia -Mazelinka non abita
molto lontano da qui e so che vi potrà dare
ospitalità per tutto il
tempo necessario.-
Le
strade di ciottoli erano un po’ dissestate per muoversi senza
inciampare ogni tanto, le luci provenienti dalle lanterne erano
sporadiche e non molto forti, inoltre il percorso che li costrinse a
seguire, li fece passare per vie secondarie ancor meno illuminate, ma
grazie all’andatura decisa di Julian, raggiunsero la dimora
indicata in una manciata di minuti al massimo.
Una
volta che si trovarono davanti alla porta legnosa di
un’anonima
costruzione in pietra, il rosso esitò a bussare: Mazelinka
era una
brava donna e con Élan avrebbe legato di sicuro, ma come far
notare
a Death Mask che il suo atteggiamento non proprio affabile avrebbe
potuto essere inappropriato al contesto della casa?
-Cercate
di essere gentili, non ama le persone brusche, non fate commenti
scortesi e vedete di non contraddirla. Non troppo almeno- si
raccomandò nervosamente.
-Guarda
che sta parlando con te!- si accusarono a vicenda i due sbandati
dietro di lui.
Le
spalle di Julian gli caddero con spensieratezza quando vide che il
problema dell’avvisare si fosse risolto da solo. Come fare?
Non
serviva fare! Tanto ci avrebbe pensato Élan a dirlo!
Come
aveva anche solo potuto pensare che quella ragazza si riassumesse in
una fragile e ingenua damigella, non riusciva a capirlo.
Bussò
alla porta con tre secchi colpi e un’anziana, bassa signora
la
schiuse di uno spiraglio; si rilassò nel vedere che a farlo
fosse
stato Julian e aprì l’uscio completamente.
-Julian,
ragazzo mio! Che ci fai in giro a quest’ora tarda della
notte?
Sbrigati ad entrare- gli fece cenno.
La
padrona di casa era la perfetta rappresentazione di una babushka:
indossava un semplice vestito marrone scuro e lo scialle blu a
macchie nere che teneva legato in testa era così lungo da
arrivarle
alle ginocchia. I capelli ingrigiti erano pettinati in due
metà
perfette e gli incisivi superiori erano distanziati di qualche
millimetro.
-Mazelinka,
loro sono due miei nuovi amici. Questa è Élan-
indicò voltandosi
verso di lei.
-Buonasera,
signora- la salutò la fata sporgendosi oltre la sagoma
allampanata
del rosso per farsi vedere meglio.
-Ciao,
tesoro!- ricambiò Mazelinka sorridendole già
conquistata.
-E
questo è Death Mask. Potreb...-
-Ehi,
smilzo!- tuonò il diretto interessato -È
“sommo Death Mask”,
per te! Hai la benché minima idea della
difficoltà che richiede
conquistarsi un’armatura d’oro? Secondo te mi sarei
sbattuto
tanto solo per essere chiamato col mio nome?!-
Il
tono di voce con cui interruppe Julian fu così possente da
far
trasalire sia lui che la sua compagna ma non smosse neanche di un
centimetro la vecchia ex-piratessa.
-Fammi
indovinare, tu devi essere quello di buone maniere- commentò
piattamente la donna, per niente impressionata.
-Sono
uno dei sacri Cavalieri di Atena, custode della Quarta Casa del
Grande Tempio, Death Mask del Cancro e portatore della relativa
armatura d’oro- annunciò, cercando il rispetto che
gli era dovuto.
Mazelinka
lo squadrò da capo a piedi arricciando le labbra con
disappunto.
Fece schioccare la lingua e si spostò di lato.
-Come
ti pare. Entrate. Prima che vi senta tutto il vicinato.-
Per
accogliere la sua richiesta, Death Mask fu costretto a mettersi di
lato perché la larghezza dei suoi spallacci, con relative
decorazioni a zampe di granchio, non gli permetteva di passare
attraverso le porte in modo convenzionale.
L’interno
della casa era piuttosto modesto ma accogliente, l’arredo era
costituito da poco più che un paio di tavoli e qualche
tappeto
grezzo, sul fuoco bolliva una mistura dall’odore di erbe e
negli
scaffali sopra al camino spiccavano una miriade di barattoli colmi di
piante essiccate e polveri, ognuna con la propria etichetta scritta a
mano; un mazzolino di lavanda dava un buon profumo alla casa e la
luce del falò rendeva l’illuminazione fioca ma
gradevole.
Mazelinka
scostò un tendaggio verde scuro e fece accomodare i due
viandanti
nella sua camera da letto; un materasso sorretto da una struttura
semplice in legno occupava gran parte dello spazio e su uno sgabello
in legno vi era poggiata una singola candela accesa.
-Mettetevi
comodi, io devo parlare con Ilya- disse la donna mentre il diretto
interessato faceva loro un cenno con la mano.
-Tornerò
a vedere come vanno le cose, ve lo prometto- nel suo cordiale sorriso
si nascondeva una nota di preoccupazione che non era riuscito a
reprimere da quando aveva prestato le sue cure a Death Mask.
-Ci
conto, rosso.-
-Buonanotte,
Julian, e grazie di tutto- lo salutò Élan prima
che Mazelinka
facesse ricadere la stoffa pesante al suo posto.
Mentre
Ilya la metteva al corrente della situazione, Death Mask ed
Élan
diedero una rapida occhiata a quella che sarebbe stata la loro alcova
per i giorni successivi.
-Tsk,
che posto cencioso- sbuffò il Cavaliere D’oro
già stufo all’idea
di dover fare attenzione a non ribaltare il vasellame che occupava
tanto spazio nella così piccola dimora.
La
quarta Casa, oltre ad essere un tempio, era praticamente un attico di
lusso, pieno di arredi scuri e raffinati e con stanze abbastanza
larghe da potercisi muovere in tutta tranquillità pur
tenendo
l’armatura addosso.
-Suvvia,
non è così male. Almeno abbiamo un tetto sopra la
testa e un letto-
fece presente Élan poggiando entrambe le mani sulle doghe
per
testarne la resistenza.
-A-ah,
e abbiamo anche una megera non richiesta. Che altro abbiamo da
esporre alla fiera dell’ovvio?- la rimbeccò il
compagno con un
sorriso sardonico.
-Be’
abbiamo una finestra e abbiamo le pareti, abbiamo una porta di casa,
e poi abbiamo questo!- la fata raccolse la sfida lanciatale assieme a
una piccola fiala di erbe sul davanzale -Non so che cosa sia,
però
lo abbiamo!-
Il
Cavaliere accolse la seconda sconfitta che la giovane gli inflisse
con una risata sommessa ma vibrante. Mentre Élan gli dava la
schiena
per rimettere il vasetto al suo posto, le cinse la vita con un
braccio e se la tirò vicino.
-L’unica
cosa che vorrei possedere adesso, sei tu- le sussurrò mentre
le
prendeva il mento tra le dita per farla voltare verso di lui. Le loro
labbra si sfiorarono delicatamente lasciandoli entrambi
insoddisfatti.
-Non
siamo da soli e non siamo alla quarta Casa. Se mi volessi rifiutare
in onore della pudica decenza?- lo stuzzicò la giovane
voltandosi
nella sua presa per fronteggiarlo con comodità. Gli mise
anche lei
le dita sotto al mento barbuto per avvicinarselo un po’ e lui
ricambiò, accarezzandole la guancia. Prima la seduzione alla
locanda, adesso questo: la fata non capiva davvero da dove gli
salisse tanto ardore ma aveva intenzione di assecondarlo.
-Perché,
avresti in programma di farlo?- la fissò negli occhi
mordendosi un
labbro carnoso.
-Lei
no, ma io sì.-
Proprio
quando stavano per scambiarsi il primo di una serie di baci ardenti,
la voce secca di Mazelinka li interruppe bruscamente, costringendo
entrambi a prestarle attenzione.
-Ditemi-
cominciò puntando le mani sui fianchi pronunciati -Siete una
coppia
sposata?-
-Cosa?
No! Preferirei rimanere incastrata nella lavatrice di nuovo!-
esclamò
Élan puntando le mani sull’armatura per liberarsi
dal Cavaliere.
-Ehi!
Sarei un ottimo marito!- si difese lui senza allentare la presa -E
comunque avrei un paio di domande...-
-Già,
pure io- annuì la donna -Prima di tutte,
com’è che tu saresti un
ottimo marito?-
-Sul
serio?! Qui avete zero tecnologia, vivete nel Medioevo ma la prima
cosa che ti preoccupa sapere riguarda le mie doti coniugali?!-
sbottò
lui ma la sua interlocutrice si limitò a sventolargli un
mestolo di
legno davanti al naso.
-In
ogni caso non farete nulla che farebbe una coppia maritata. Non sotto
il mio tetto e non finché ci sarò io-
precisò indicando anche Élan
con l’utensile da cucina.
-Allora,
vegliarda mia, perché non vi andate a rinfrescarvi il
gargarozzo,
eh? Vi gioverebbe di sicuro, considerato il vostro solare senso
dell’umorismo!-
La
serafica calma di anni passati a tirare su pargoli ribelli come lo
era stato Julian, andò a farsi benedire quando la simpatica
vegliarda diede il mestolo in testa a Death Mask.
Il
violento Death Mask, il temutissimo e sanguinario. Tristemente noto
in tutto il Grande Tempio per aver decorato le pareti della sua Casa
con i volti di coloro che aveva ucciso in battaglia e non.
Fosse
stato per lui, avrebbe incenerito sul posto la vecchia ma la
guizzante risata di Élan smontò ogni violento
proposito. Aveva un
dono e non se ne rendeva nemmeno conto.
-Se
vi becco a fare porcherie che non dovreste, ne risponderete entrambi
a me- mise in chiaro la babushka con occhi severi.
-Certo,
befana...- mormorò il Cavaliere guadagnandosi
un’altra mestolata
in testa -Volevo dire “madam”- nel pugno che aveva
stretto sul
fianco, c’era tutta la repressa furia omicida che prima o poi
avrebbe dovuto sfogare facendo a pezzi qualcosa.
-Meglio-
annuì Mazelinka -Adesso filate entrambi a dormire. Domani
sarà una
lunga giornata e avrò bisogno del vostro aiuto per alcune
faccende.-
-Oh,
ma dove siamo finiti?! Ne “La casa nella
prateria”?! Sono un
Cavaliere D’oro, combatto magnifiche battaglie per il trionfo
della
dea Atena!-
-Certo,
come no. Cavaliere D’oro, a casa tua. Qui se non dai una mano
sei
solo un idiota in lattina che si riempe la bocca di belle parole- lo
smontò la donna prima di lasciarli soli.
Prima
che la situazione potesse davvero degenerare, Élan mise un
freno
alle sue risate per voltarsi verso Death Mask e convincerlo, con uno
sguardo interlocutore, a sfogare la sua rabbia su un bersaglio che
non respirasse.
Il
Cavaliere cercò una vittima adatta oltre la finestra
spalancata e la
individuò in un paio di comignoli fumanti lontani un
centinaio di
metri; si concentrò, alzò un braccio illuminato e
carico di Cosmo e
scagliò una sfera distruttiva centrando il primo dei suoi
obbiettivi.
Mentre
Cancer scaricava la rabbia, Élan oltrepassò il
tendaggio che
fungeva da porta.
-Deve
scusare il mio compagno, signora; è un tipo dinamico, non
regge bene
la calma piatta, ma per me sarà entusiasmante fare qualcosa
di nuovo
che non sia combattere- la rassicurò venendo ricambiata da
un
affabile sorriso a trentadue denti.
-Chiamami
pure Mazelinka, tesoro. E fai attenzione al tuo amico, mi sembri il
tipo di ragazza troppo dolce e attraente per essere lasciata da sola
con un uomo irruento come lui.-
Élan
apprezzò il complimento affettuoso ma si levò in
ferrea difesa del
Cavaliere D’oro.
-Potrei
giurarlo con la mia vita: per quanto sia difficile vedere dietro alla
mancanza di buone maniere e all’apparente
insensibilità, non è
soltanto l’armatura ciò che Death Mask ha
d’oro.-
Nel
frattempo, il diretto interessato stava giocando a spaventare
anguille, pesci e ogni possibile fauna acquatica lanciando loro
contro ogni tipo di improperio.
L’ex-piratessa
studiò gli occhi determinati della giovane, leggendoci un
inequivocabile e tenace sentimento: una donna che difendeva con tanta
ostinazione un così bizzarro personaggio, poteva solo essere
innamorata o fuori di testa, e spesso le due cose coincidevano.
-Temo
che solo lui potrà farmi cambiare davvero idea-
sentenziò infine,
cercando di non farsi trascinare in un turbine di sentimenti forse
più romanzati del necessario -Buonanotte, Élan.-
-Buonanotte,
Mazelinka- annuì la fata apprezzando
l’imparzialità ma trovandola
un’arma a doppio taglio.
Tornò
verso la camera riflettendo sulle parole della donna: la sua
dichiarazione poteva sembrare una sfida ma non c’era prova
che
Death Mask non avrebbe potuto superare, ci avrebbe scommesso la sua
stessa esistenza. Ne aveva passate così tante con lui,
sapeva cosa
ci fosse sotto alla scarsa parvenza di buona educazione e se
c’era
una cosa che aveva imparato davvero bene, era che buono non sempre
significasse gentile.
Per
quando rientrò nella camera da letto, il protagonista delle
sue
riflessioni aveva distrutto altri due comignoli, un paio di barili e
fatto esplodere dei colpi nei cunicoli, spaventando gli abitanti
delle case.
Poteva
dimostrare di essere una bella persona, ma ahilei, ci sarebbe voluto
davvero un grande sforzo.
-Preso
a mestolate...- borbottò il Cavaliere comandando alla sua
armatura
di staccarglisi dal corpo -Di tutte le prove fisiche che ho dovuto
superare per guadagnarmi il titolo, il tradizionale mestolo in testa
proprio mi mancava.-
I
pezzi dell’armatura turbinarono in aria lasciando una serie
di
scintille dorate nel loro passaggio prima di ricomporsi in un
rettangolo di onice nera sul letto; gli angoli erano abbelliti da
intricati ghirigori e al centro brillava una sottospecie di simbolo
del cancro, una figura cuneiforme e appuntita.
-Sarebbe
potuta andare peggio: poteva essere uno zoccolo di legno-
suggerì
Élan mentre Death Mask poggiava il contenitore
dell’armatura alla
parete stendendosi, poi, sul letto.
Le
lenzuola erano un po’ ruvide e i cuscini piuttosto bassi ma
tutto
era perfettamente pulito ed emanava una gradevole fragranza.
Senza
quasi farci caso, il Cavaliere si mise a fissare la ragazza mentre si
spogliava a sua volta: la divisa che le aveva procurato era elegante
e pratica, in più la faceva sembrare una vera guerriera, ma
non era
come le sacre vestigia dei Cavalieri di Atena, toglierla voleva dire
compiere ogni passaggio a mano. D’altro canto, voleva anche
dire
che per il bel Cancer, uno spettacolo sensuale era garantito ogni
notte.
Mentre
Élan si preparava per dormire, l’uomo si
concentrò anche sui
rumori della casa: Mazelinka che gettava un secchio d’acqua
sul
fuoco per spegnerlo, il pentolone bollente che pian piano smetteva di
gorgogliare, il garrito dei gabbiani in lontananza e il fruscio di
coperte di un secondo letto. C’era una nicchia scavata nel
muro con
tutto il necessario per ricavarne un giaciglio abbastanza decente, e
la padrona di casa vi si accomodò non appena ebbe finito di
sistemare la dimora per la notte.
Presto
Élan si distese sul letto accanto a lui e Death Mask si rese
conto
di aver distolto lo sguardo ma non avrebbe compiuto di nuovo lo
stesso errore, non con lei avvolta in un kimono ricavato dallo
scialle plissettato della divisa e con le luci della luna e della
candela che disegnavano vivaci giochi luminosi sui suoi tratti pieni
di armonia.
Le
scostò i capelli, più lunghi sul lato sinistro
del viso, e cominciò
a seminarle una serie di baci dalla guancia fino alla punta
dell’orecchio che morse piano; mentre Élan rideva
sommessamente
per quel gesto, le accarezzò la coscia studiandole il volto:
non
c’era notte che passava senza che lei lo ammaliasse con la
sua
delicata bellezza.
Le
infilò un braccio sotto la vita e la strinse a sé
mentre con
l’altra mano si divertiva a palparle un seno; adorava il modo
in
cui sembrava vulnerabile tra le sue braccia.
-Death...-
lo riprese Élan con tono vagamente perentorio; avrebbe
voluto
lasciarlo continuare più di ogni altra cosa, ma aveva dato
la sua
parola e intendeva rispettarla -Lo s-sai che non pos-siamo-
balbettò
sentendolo scorrere un dito sotto l’elastico delle sue
mutandine.
-Sarò
silenzioso- promise lui con un sorriso malandrino che scioglieva il
cuore.
Mettendole
una mano sulla spalla, la fece distendere sulla schiena, le
divaricò
le gambe e si accucciò tra le sue cosce; i loro bacini si
incontravano alla perfezione e l’uomo pregustava
già il momento in
cui i loro corpi sarebbero stati connessi in una cosa sola. Si
chinò
per succhiarle il collo e affondò le dita nei suoi morbidi
capelli
color smeraldo mentre la fata sollevava il mento per dargli
più
accesso alla gola.
Per
un momento perse la concezione del luogo e delle circostanze,
rischiando seriamente di buttare alle ortiche la promessa di
entrambi; avrebbe voluto accarezzargli la schiena per poi graffiarla
quando la passione avesse preso il sopravvento, disarcionarlo,
mordergli le spalle con ferocia e asserire la sua dominanza in quel
gioco perverso ma il gracchiare di un corvo sul davanzale la
riportò
alla realtà con uno scatto. Osservando il grande e nero
volatile,
pose una mano sulla clavicola di Cancer e lo spinse via da
sé.
-Ma
io non lo vorrei- confessò guardandolo negli occhi -Quando
sarà il
momento, capirai che sarà valsa la pena aspettare, ma non
voglio che
sia stasera. Non se non siamo da soli, non se dobbiamo fare
attenzione a tutto. Inoltre il corvo mi mette soggezione.-
Death
Mask si girò verso la finestra proprio nel momento in cui
Malak, il
famiglio ci Julian, si involava nel buio della notte a raggiungere il
suo sgangherato padrone.
La
stessa illuminazione che aveva definito il viso della fata si
ripropose sull’uomo e lei non riuscì a respirare
in modo regolare,
facendosi sfuggire un sospiro trasognante: così come la
fiamma della
candela sottolineava la dolcezza nei tratti di lei, altrettanto
faceva con l’uomo, ma mettendo in particolar evidenza la
durezza di
quella mascella incorniciata dalla barba blu scuro rasata alla
perfezione.
-Non
che mi dispiaccia- riprese a parlare Élan cercando di
nascondere la
sua adorazione con la confusione -Ma stasera sei un po’
più strano
del solito. Da dove ti salta fuori tutta questa carica erotica?-
-Ti
desidero, che altro c’è da sapere?- fu la risposta
secca che le
diede Death Mask -Più che una novità, credevo
fosse reciproco.-
Nel
tono piccato della sua voce si nascondeva qualcosa di indecifrabile,
ma non si trattava dell’offesa per essere stato respinto; era
stato
rifiutato in altre occasioni e mai aveva reagito in malo modo,
semplicemente non era da lui. Se una donna gli avesse dato un due
picche avrebbe fatto spallucce, dichiarato che era lei a rimetterci e
sarebbe partito alla volta della conquista successiva, ma stavolta
c’era una sorta di impellenza nella sua voce,
magari… Ansia?
-Sicuro
sia soltanto questo?- gli domandò, prendendogli con
delicatezza il
viso tra le mani -Sai che puoi dirmi ogni cosa. Parlami, ti prego.
Cos’è che ti angustia? È forse il morso
dello scarabeo?-
La
comprensione nella voce di Élan, tanto quanto il desiderio
di
conoscenza nel suo sguardo, erano così sconfinati e
struggenti che
Death Mask fu portato in seria tentazione di dirle tutta la
verità,
solo la verità e nient’altro che la
verità; il Cavaliere prese un
profondo respiro e ricambiò la sua occhiata, ma per quando i
suoi
polmoni si furono svuotati, si accorse che la volontà di
confidarsi
era volata via col suo fiato, le sue vere apprensioni erano destinate
a restare in fondo al suo cuore per una notte ancora.
Élan
continuò a fissare con intensità
l’unico rimasto tra i due
profondi occhi azzurri, scorgendo dietro alla sinteticità
della sua
dichiarazione un intero mondo, uno in cui la repressione delle
proprie preoccupazioni era la regola; in realtà
c’era moltissimo
altro di cui venire a conoscenza e lei lo sapeva, ma così
tanto
gravava sulle loro spalle dopo la giornata trascorsa che
preferì non
insistere.
-Se,
per adesso, non me lo vuoi dire, non c’è problema-
disse puntando
i gomiti sui cuscini per mettersi a sedere; scavalcò il
compagno e
si avvicinò al bordo del letto, dove bruciava ancora
l’unica
candela della stanza.
La
vista dei suoi glutei sodi fasciati in un paio di mutandine
praticamente inesistenti, l’arricciatura delle sue labbra
piene
quando soffiò sulla fiamma e la curva che la sua schiena
prendeva se
si reggeva con i palmi sulle ginocchia, rischiò di mandare
in
delirio il Cavaliere del Cancro. Preoccupato, certo, ma quanto poteva
tentarlo con un gesto così semplice? Quanto poteva essere
facile
cedere alle sue richieste e quanto poteva essere difficile resisterle
allo stesso tempo? Nessuno poteva capirlo.
-Ricordati
solo che quando ne vorrai parlare, per te, sarò sempre
pronta- gli
sorrise lei calorosamente.
Cancer
aprì le labbra per dirle qualcosa ma non appena si accorse
di non
avere nulla di intelligente da aggiungere, si limitò a
sdraiarsi sul
materasso e ad augurarle di dormire bene.
-Sogni
d’oro, ragazzina.-
-Intendi
dire che mi auguri di sognare te?- lo punzecchiò la fata
sdraiandosi
al suo fianco.
-Ahahah-
rise l’uomo con tono profondo e inaspettatamente provocante
-Cara,
io sono sempre un sogno. Anche da sveglio.-
-Oh,
falla finita, spaccone che non sei altro!-
Élan
riuscì a scucirgli un’altra risata dandogli un
leggero colpetto
col tallone mentre entrambi iniziavano a prendere sonno.
Kamya
stava passeggiando per le vie di Vesuvia immersa nei suoi pensieri;
era passato un giorno da che aveva accettato l’incarico di
Nadia e
nonostante si fosse imbattuta in Julian, non l’aveva fatto
arrestare.
A
portarlo da lui era stata una lettera trovata sulla sua vecchia
scrivania nella biblioteca del Castello; Kamya vi aveva lanciato un
incantesimo di tracciamento sperando che funzionasse e, non appena
aveva incrociato il ragazzo fuori dal Corvo Chiassoso, aveva compreso
che le sue preghiere fossero state ascoltate. Il contenuto della
lettera rivelava solo che Julian avesse una sorella ma nulla di
più.
Prima che la maga avesse potuto porgli delle domande circa il suo
delitto, le guardie avevano compiuto un giro di ronda per quelle vie,
costringendoli a porre fino al loro incontro.
Avrebbe
potuto, anzi, dovuto consegnarlo alle autorità ma
l’istinto le
aveva suggerito che non fosse ancora il momento adatto. Forse era
stata la sua affabilità, la ferrea convinzione che un altro
lato
della storia andasse ascoltato o la disperata sincerità nel
suo
sguardo, fatto stava che quando una sentinella le si era avvicinata,
Kamya si era limitata ad affermare che dovesse tornare a palazzo per
una cena con la Contessa.
Per
sua immensa fortuna, Nadia non le aveva chiesto come avesse trascorso
la giornata ma aveva accennato alla sete di sangue che i vesuviani
nutrivano nei confronti dell’assassino del Conte;
l’immagine di
Julian che pendeva dalla forca non mancava di farle torcere lo
stomaco ogni volta.
Quello
era il secondo giorno che dedicava alle indagini, doveva incontrarsi
con Portia in piazza a mezzogiorno per dare assieme a lei
l’annuncio
della Mascherata, ma fino ad allora era libera di passare il tempo
come preferiva e aveva deciso di tornare alla bottega di Asra; voleva
raccogliere reagenti, erbe, un libro di magia, tutto ciò che
potesse
tornare utile.
Saliti
i gradini del negozio, premette un palmo sulla porta e sciolse
l’incantesimo di protezione che vi aveva lanciato, quando si
rese
conto che un borsellino di pelle era stato legato alla maniglia;
aprendolo sentì un forte odore di erbe, mirra sopratutto:
era una
mistura protettiva e qualcuno l’aveva lasciata lì
per lei, ma chi?
Lanciare un’occhiata ai lati della strada deserta, non
rispose alla
domanda.
Decise
di accantonare la questione per sbloccare la serratura ma nel momento
in cui afferrò il chiavistello, la porta si
spalancò rischiando di
gettarla addosso all’ultima persona che si era aspettata di
vedere;
la sorpresa fu tale da congelarla sul posto, farle cadere il
borsellino di mano e renderle difficile articolare i pensieri.
-Ma
salve! È bello vederti qui, Kamya- ghignò Julian,
inarcando le
sopracciglia in modo comico -Ehm, magari non così
sorprendente. Io,
ah, ero nei paraggi...- prese a farfugliare torcendosi le mani
nervosamente ma vedendo che la ragazza lo stava fissando sbigottita,
tentò di ricomporsi buttando su qualche apprezzamento -E tu
sei, er,
splendida! Meravigliosa! Devo proprio smettere di sfregarmi le
mani...-
Kamya
fu tentata di chiamare le guardie ma si trattenne: era la seconda
volta che Julian faceva irruzione nel suo negozio, e se avessero
creduto che gli stesse dando asilo?
La
maga lo guardò in tralice incrociando le braccia.
-È
la seconda volta che ti pizzico nel mio negozio, si può
sapere che
cosa stai cercando?-
Death
Mask ed Élan avevano passato l’ultima giornata
senza avere notizie
dello sconsiderato dottore ed era decisamente il caso che lui
tornasse da Mazelinka a vedere come procedesse la salute del
Cavaliere, però non poteva farlo ignorante
com’era; aveva bisogno
di un tomo, un cristallo incantato, un abracadabra di qualsiasi
genere che gli permettesse almeno un po’ di anticipare una
diagnosi
accurata. Non che avesse intenzione di rubare, si sarebbe trattato di
un semplice prestito. Non autorizzato e senza garanzia di ritorno ma
pur sempre un prestito.
Il
problema era sorto davanti all’ampiezza
dell’inventario: Julian
era un uomo di scienza, non di magia, sapeva di dover scegliere
qualcosa ma cosa?! Il suono del chiavistello aveva solo peggiorato la
sua indecisione suggerendogli di darsela a gambe.
Tutto
questo, però, a Kamya non lo poteva dire.
-Niente,
non sto cercando niente, perché dovrei?Spero che tu non
pensi sia un
ladro. Sono tante cose ma non quello- arrossì prima di far
rispuntare sulla faccia il suo caratteristico sorrisetto -Immagino,
però, che la mia parola non ti basti- senza lasciare che la
maga
controbattesse, Julian si sbottonò il camice nero, aprendo
le
braccia con un ampio gesto lo fece svolazzare a mezz’aria e
alzò i
palmi in segno di sottomissione -Perquisiscimi. Se trovi qualcosa di
tuo, mi consegnerò alla folla. Coraggio, cerca
finché non sei
soddisfatta- la sfidò con un tono fiero e irritante.
Kamya
si sentì avvampare: non poteva fare sul serio, giusto? Era
ovvio che
fosse una scusa per distrarla o per costringerla a toccarlo!
Maledizione a lei se ci fosse cascata!
-Lo
sai, anche se ho passato poco tempo con te, comincio a capire di che
pasta sei fatto- dichiarò seccata -Forse non sei un ladro ma
dalle
tue parti, dove il tuo nome non è infangato, hai la
reputazione di
rubacuori, e adesso ti aspetti che io, incantata dai tuoi modi
appariscenti, ti metta le mani addosso fino a raggiungere il tuo
posticino speciale per esclamare ‘Qualcosa di mio
l’ho trovato!’.
Be’, sai cosa? Non succederà oggi, bello!-
Kamya
aveva sputato fuori quella specie di monologo con tono perentorio per
darsi un contegno e far capire a Julian che i suoi scialbi trucchetti
non attaccassero, ma dal sorriso malizioso che le rivolse il rosso,
capì di aver commesso un errore non trascurabile.
-Non
succederà oggi-
precisò lui guadagnandosi dall’apprendista un
sospiro così cupo
che avrebbe rimesso in riga il Diavolo in persona.
-Oggi
e mai nella vita se ti faccio arrestare, quindi fila via prima che
chiami le guardie...- sibilò esasperata.
Ridacchiando
sommessamente, il medico si rivestì e fece per compiere un
lungo
passo oltre Kamya, contorcendo la sua dinoccolata figura
cosicché
non si scontrassero, quando il suo ghigno scomparì.
Lo
shock si impossessò del suo volto mentre la maga guardava
con
cautela oltre la sua spalla per vedere cosa gli avesse fatto chiudere
quella dannata boccaccia: Portia.
Doveva
essere andata a cercarla per l’annuncio in piazza, ma adesso
non le
stava prestando attenzione. Tutta la sua concentrazione, la sospesa
incredulità nei suoi occhi erano per l’uomo che le
stava davanti.
-Ilya?-
il sospiro che le uscì di bocca era carico di un sentimento
inedito
ma che le partiva dal profondo del cuore; incespicò nei
ciottoli
della strada gettandosi sulla figura del dottore -Ilya, sei davvero
tu?- gli mise le mani tremanti sulle guance scarne e gli occhi di lui
presero a luccicare.
-Sono
io- fu la sua semplice risposta.
-Tu…
Tu…- gli occhi di Julian erano lucidi ma quelli di Portia
erano
colmi di lacrime e le sue parole fecero pentire amaramente Kamya di
averlo minacciato -Tu, bastardo! Che cosa ci fai qui?
All’aperto!
Stai provando a farti ammazzare?!- sussultò.
Julian
fece una smorfia di vergogna quando Portia gli afferrò la
testa con
più foga mettendogli le mani sulle orecchie.
-Sei
cresciuta forte, Pasha. Mi dispiace non essere stato presente per
vederlo...-
-Ti
farò vedere io quanto sei dispiaciuto! Tu, incredibile...-
la voce
le si spezzò mentre lo afferrava per il collo del mantello e
lo
trascinava via dai gradini -Kamya!- la studentessa si sentì
quasi in
pericolo sentendo il proprio nome chiamato in mezzo al trambusto
-C-ci vediamo più tardi!-
Senza
aggiungere altro, Portia sparì in un vicolo portando con
s’è il
medico che annaspava per la differenza di statura; rimasta a
riflettere tutta da sola, Kamya entrò nel negozio di magia
diretta
al retrobottega. Se prima aveva nutrito dei dubbi, adesso erano stati
completamente fugati: Julian e Portia erano senz’altro
fratelli.
Passare
una mano sugli averi del maestro, la allontanò
dall’improbabile
famigliola dandole un profondo senso di conforto; i vestiti di Asra,
le reliquie magiche, il profumo affumicato, era tutto così
familiare
da farle sentire di avere di nuovo il controllo di se stessa. Non
potendo trattenersi a lungo, raccolse ciò di cui aveva
bisogno ma il
libro era sparito; lo cercò in lungo e largo ma non si
trovava da
nessuna parte. Possibile che Asra l’avesse preso con
sé alla sua
partenza? Per un attimo, la possibilità che fosse stato
Julian a
rubarlo, si impadronì di lei e una rabbia cocente fece per
infiammarla quando si rese conto che se così fosse stato,
lui non si
sarebbe mai offerto di farsi perquisire, inoltre non c’era
modo che
avesse nascosto un tomo così ingombrante nei suoi vestiti.
Il
rintocco di un orologio lontano segnò l’ora e
Kamya scattò in
piedi.
L’annuncio!
Non si era resa conto che il sole fosse tanto alto!
Mordendosi
il labbro nervosa, abbandonò le sue ricerche, chiuse il
negozio in
tutta fretta e si diresse a passo svelto verso la piazza della
città.
Il piazzale era gremito di gente, piccoli gruppi e ritardatari si
ammassavano lungo il perimetro in cerca di un buon punto
d’osservazione. Portia era in piedi sul carrozzone reale e un
piacevole odore si diffondeva nell’aria.
-Udite,
udite! Questo è un annuncio da parte della vostra Contessa
Nadia!
Durante l’anniversario della dipartita del Conte Lucio, la
Contessa
aprirà i cancelli del palazzo. Esatto, gente! Siete tutti
invitati
non a compiangere, bensì a festeggiare lo spirito
dell’amato
Conte!-
La
folla esplose in uno scroscio di entusiasmo e Kamya si sentì
investita dal calore tipico della gente in festa; l’odore
gradevole
che aveva sentito prima, le cullava anche l’olfatto. Fece per
raggiungere Portia inspirando a pieni polmoni, ma qualcosa la
convinse a fermarsi a metà strada. Il profumo non si
diffondeva dal
carrozzone ma da un lato della piazza, e non era del tutto
sconosciuto: si trattava di mirra.
L’apprendista
fece scorrere lo sguardo sui cittadini più ai bordi e
notò una
figura che troneggiava su tutte le altre; i suoi occhi, corrucciati
sotto un paio di folte sopracciglia, erano tenuti all’ombra
di una
grezza pelliccia. Sebbene l’eccitazione si stesse diffondendo
a
macchia d’olio, la figura sembrava portare un annuncio di
disperazione. La potente voce di Portia distrasse la maga richiamando
la sua attenzione su di sé.
-Sarà
una Mascherata come nessun’altra vista finora! Diffondete la
notizia, parlatene ai vostri amici! Non vorrete perdervela!-
Mentre
il popolo scoppiava di felicità un’altra volta, la
massiccia
figura si mosse verso una strada secondaria, portando con sé
l’odore
di mirra. Kamya si lanciò al suo inseguimento e, una volta
superata
la ressa, riuscì a raggiungere il misterioso straniero; il
suo
andamento pesante era facile da sostenere e le permise di
raggiungerlo a metà di una traversa del mercato.
-Ehi,
Fermati! Chi sei, dove stai andando?- cercò di richiamare la
sua
attenzione ma l’uomo non rispose; si voltò a
guardarla con
lentezza come se temesse la sua vista.
-Ciecamente
al macello. Come il resto di voi.-
-Come
sarebbe a dire? Sii più chiaro, per favore.-
Per
un momento Kamya pensò di accelerare per oltrepassarlo e
guardalo
bene in faccia ma desistette. Tutta quella situazione era assurda, e
non solo per il fatto che un losco figuro le avesse lasciato alla
porta un sacchetto di erbe protettive, l’avesse fissata in
mezzo a
una folla enorme e che avesse provato a svignarsela quando lei
l’aveva notato, era anche il fatto che lei gli fosse corsa
dietro.
Da dove le partiva un gesto così impulsivo? E se non fosse
stata sua
l’iniziativa del sacchetto ma fosse stato pagato da qualcun
altro
per mettercelo? Se lui fosse stato un uomo pericoloso? Se doveva
indagare, doveva prendere le dovute precauzioni.
-Non
importa cosa dico. Le mie parole non dureranno… Non lo fanno
mai-
il tono della sua voce era profondo ma inespressivo e quasi
sovrastato dal rumore delle catene che aveva ai polsi e al collo.
Si
allontanò trascinando i piedi ma con una domanda della
ragazza, la
sua marcia si arrestò.
-Il
sacchetto di pelle al negozio, ce l’hai lasciato tu, non
è vero?-
Scoperto,
l’uomo si bloccò e si girò
così in fretta che il cappuccio
lacero gli cadde sulle spalle; i suoi occhi erano di un verde
profondo che ricordava la selva fuori da Vesuvia e i suoi capelli
neri una zazzera arruffata sulla testa. Parte del viso era segnato da
un paio di vecchie cicatrici sbiadite e una barba sottile inscuriva
la pelle del mento e delle guance.
Come
la ragazza fece per avvicinarsi, riprese a camminare, allungando il
passo su per la scalinata; la via era così stretta e le sue
spalle
così massicce da rasentare i muri. La sua andatura si era
fatta
serrata e quando Kamya raggiunse il mercato, sentì un tuffo
allo
stomaco: l’aveva perso in mezzo alla folla.
O
forse no…
L’imponente
straniero stava costeggiando il mercato per evitare la fiumana e si
era fermato dietro al palo di una bancarella; era decisamente troppo
stretto per nascondercisi per cui, quando Kamya gli si
avvicinò, le
sfuggì di nuovo. Si appostò dietro a un carretto
di mele ma, anche
se era impilato di frutta, lo sovrastava.
Stava
provando a nascondersi da lei?
Al
suo terzo tentativo di avvicinarglisi, si nascose dietro a…
Un cane
randagio.
Realizzò
la futilità del gesto proprio mentre il cane si alzava e
trotterellava via.
-Vattene-
ordinò minaccioso alla ragazza nel momento in cui se la
ritrovò
davanti.
-Non
lo farò senza che tu abbia risposto a una domanda, per cui,
se mi
vuoi fuori dai piedi, sarà saggio da parte tua
accontentarmi-
dichiarò mettendosi un pugno sul fianco.
Lo
sconosciuto convenne che fosse la soluzione più rapida per
levarsela
di torno, sospirò e fece un silenzioso cenno di assenso con
la
testa.
-Grazie
mille- gli sorrise la maga giungendo le mani e chinando la testa
-Adesso dimmi, conosci Asra?-
-Meglio
di chiunque altro- la voce dell’uomo era tetra e i suoi occhi
carichi di rabbia ma la sua risposta sembrava sincera.
-Ti
ha mandato a controllarmi?-
-...Sì-
improvvisamente il maciste arrossì, facendo una smorfia di
disappunto che stuzzicò le simpatie della sua interlocutrice
-È il
mio unico amico.-
Kamya
tirò un sospiro di sollievo: se Asra l’aveva
mandato a tenerla
d’occhio e l’aveva fatto perché lo
conosceva, allora poteva
stare più che serena.
-Penso
che non siamo poi così diversi. Mi fido di Asra
più di chiunque
altro: possiamo essere amici anche noi due- gli offrì lei
trovando
un freddo rifiuto.
-No.
Perché dovremmo?-
-Condividiamo
l’amicizia con Asra, mi farebbe piacere avere questo legame
con
te.-
I
suoi modi si erano ammorbiditi e provava a tutti i costi a suonare
rassicurante ma invano.
-Non
voglio un altro amico. Specialmente se si tratta di te.-
Quell’affermazione
sembrava nascondere più di quanto non apparisse e a Kamya
sorse un
dubbio.
-Ci
siamo già incontrati prima d’ora?-
-Non
importa. Non siamo amici- tagliò corto l’altro.
-E
non potremmo?- insistette l’apprendista.
Una
sfumatura rosata colorò nuovamente le guance
dell’uomo facendo
risaltare una delle cicatrici. Sarebbe stato interessante conoscere
meglio quella montagna umana e capire se davvero fosse così
orso
come si vendeva ma non ce ne fu il tempo.
Un
urlo di avvertimento fece girare la ragazza in tempo perché
vedesse
il carretto della frutta venirle addosso; incespicò sul
pietrisco
dissestato e per quando ebbe riguadagnato l’equilibrio, lo
sconosciuto era scomparso. Per davvero stavolta.
La
frustrazione le bruciò il petto prima di essere stroncata di
botto
dalla confusione: ricordava di essere andata in piazza per
l’annuncio, e poi… Era scappata verso il mercato,
ma perché?
Cercò di ricordare ma non aveva tempo da perdere, doveva
tornare da
Portia.
La
trovò in piazza dove l’aveva lasciata; dal
carrozzone reale stava
lanciando petali e riso ai cittadini che danzavano.
-Kamya,
eccoti! Hai visto che folla? Spero non ci siano stati incidenti al
negozio o nulla fuori dall’ordinario- le sorrise con
un’ombra di
apprensione mentre le sue palpebre sbattevano supplichevolmente.
La
maga salì sul carro accanto a lei e stette per risponderle
ma il
mezzo si rimise in moto con uno scossone; il suono delle risate
accompagnò la loro marcia seguito dal diffondersi della
novità
festaiola.
-Kamya?-
L’apprendista
ci mise un attimo prima di registrare la voce della rossa.
-Scusa,
stavi dicendo?- le rispose riscuotendosi dai suoi pensieri.
-Incontrerai
i cortigiani quando arriveremo a palazzo. Vuoi sapere in anticipo i
loro nomi?- le fece l’occhiolino Portia e Kamya si
sentì come una
bambina sperduta. La testa era improvvisamente vuota e la bocca secca
ma non arida di domande.
-Oh
miei Arcani, pensi che sia il caso? Si aspettano che sappia chi sono
prima che li abbia mai visti? È qualcosa che dovrei sapere?
Non ho
mai studiato la storia della nobiltà di Vesuvia! Avrei
dovuto?
Potrebbero offendersi se...-
-Kamya?-
-Sì?-
-Ci
stia rimuginando troppo- Portia le diede un colpetto con la spalla
facendo ridacchiare l’amica.
-Lo
so, scusami, è che ci tengo a fare bene questo lavoro. Ne va
della
reputazione mia e di Asra. Non posso permettermi stupidaggini- adesso
era il suo lo sguardo supplichevole e intimidito.
-Non
lo farai, stai tranquilla. Allora, ci sono la Procuratrice Volta, il
Pretore Vlastomil, il Pontefice Vulgora, la Questrice Valdemar e il
Console Valerius- spiegò contandoli rapida con le dita.
L’espressione
della studentessa di magia doveva ancora essere persa perché
le
diede una rassicurante pacca sulle spalle.
-Valerius
è quello più importante; Milady gli dà
maggiore importanza che
agli altri; sono un po’ eccentrici ma dovrebbero essere
gentili con
te.-
Giunte
a palazzo, Portia la scortò presso un’area in cui
aleggiava il
profumo di una mezza dozzina di fragranze. Kamya intuì di
essere
arrivata al salotto dall’ovattato suono di una sofisticata
melodia
e dalle risate fragorose che risuonavano nei corridoi.
Vedendola
esitare davanti alla porta con una mano alzata, la servitrice
incoraggiò la ragazza.
-Forza,
Kamya, queste persone non vedono l’ora di incontrarti-
sorrise
dolcemente e le sue parole ispirarono l’altra.
Persone.
Non erano altro che persone.
Bussò
alla porta con tre colpi decisi e la voce di Nadia le rispose,
invitandola ad entrare; la stanza era resa caliginosa da eleganti
sbuffi di fumo che danzavano nell’aria.
Esclusi
i verdi tendaggi, il mobilio bianco e le pareti dove brillavano dei
candelabri a muro, tutto era sui toni del viola e dell’oro;
le
figure dei cortigiani, seduti comodamente su divani imbottiti, erano
illuminate da una tenue illuminazione e Nadia sedeva dietro a un
lucente organo da camera, prestando poca attenzione al fitto
chiacchiericcio.
Sollevò
lo sguardo non appena Kamya varcò la soglia e le sue dita
eseguirono
un vittorioso accordo.
-Bentornata,
Kamya- girò le pagine del suo spartito, annuendo con un
sorriso
-Portia, per cortesia, introduci la nostra onorevole ospite.-
-Annuncio
Kamya, amica del Palazzo e apprendista del mago Asra- obbedì
la
rossa con solennità.
Mentre
si alzavano dalle loro confortanti sedute, Kamya cercò di
ricollegare un nome a ciascuno dei loro volti.
-Sei
tu Kamya? Ohoh, sei proprio carina!-
La
prima a parlare fu una donna inverosimilmente piccina, con
l’occhio
sinistro pigro e un incisivo che sporgeva dal labbro inferiore; le
sue vaporose vesti nere la facevano sembrare ancora più
magra di
quanto già non fosse e da sotto l’ampia cuffia
bianca, spuntavano
dei riccioli di un rosso spento. Lei era la Procuratrice Volta.
-Che
incantevole sorpresa, stavamo giusto parlando di te!-
A
seguirla fu un uomo dalla dita rachitiche, un folto pizzetto color
cenere e le orecchie a punta; dal suo gonfio cappello si stendeva una
lunga piuma sfumata e la sua tunica nera bordata d’oro,
ricordava
quella di Volta: costui era il Pretore Vlastomil.
-Siediti!
No, non con loro, con ME, Kamya!-
Il
Pontefice Vulgora puntò alla maga, incitandola a sedersi
così
veemente da farlo sembrare un ordine. Era un uomo tracagnotto, la cui
figura era resa tozza da una rigonfia casacca rossa; le rosse e
dorate maniche a sbuffo spuntavano da una mantella nera e dei guanti
metallici rendevano la sua presa salda ma pungente. I suoi occhi
gialli lampeggiavano di curiosità sotto alle spesse
sopracciglia
rosse e Kamya non poté fare a meno di notare come il
complesso
copricapo che, coi suoi veli quasi gli inghiottiva il volto,
ricordasse un paio di corna.
Portia
aveva ragione: erano davvero eccentrici. Ma anche gentili e
l’apprendista si sentì presto stordita da tanto
entusiasmo, senza
disprezzarlo neanche per un secondo.
Le
mani ben curate dei cortigiani la fecero accomodare su un divano e la
lanciarono nel mezzo della conversazione; la Contessa Nadia stette ad
osservare tutta la scena suonando dei toni contemplativi.
-Dimmi,
Kamya, com’è stato accolto l’annuncio?-
-Uno
può solo immaginarlo! Neppure noi, i favoriti della
Contessa, ne
avevamo idea!- il Pretore Vlastomil non lasciò il tempo di
rispondere e la Procuratrice Volta lo seguì a ruota.
-Una
così magnifica sorpresa dalla nostra amata Contessa! Una
Festa in
Maschera!-
-Ah!
E non abbiamo dovuto alzare nemmeno un dito!- rise forte il Pontefice
Vulgora.
Nadia
scosse la testa, sorridendo; era consapevole e fiera
dell’entusiasmo
che era riuscita a suscitare presso i suoi cortigiani, ma era stato a
Kamya che aveva chiesto di parlare e l’indomito gruppetto
doveva
ricordare quali fossero le buone maniere da usare in compagnia di
ospiti.
-Oh
Cielo, sarebbe fortunata Kamya se riuscisse a proferire parola in
mezzo a voi- li punzecchiò.
-Secondo
il mio verm… Ehm, volevo dire verbo, fortunata lo
è già!- si
animò il Pretore Vlastomil, non cogliendola frecciatina
-Essere
scelta dalla Contessa, lei, un’anonima apprendista!-
Nadia
arcuò un sopracciglio ma non disse nulla. Dubitava forse
della sua
capacità di giudizio?
Kamya
aveva avuto abbastanza tempo a quel punto per accorgersi di due altri
dettagli che accomunava i cortigiani: una era la spilla di rubino a
forma di scarabeo, e l’altra una carnagione inverosimilmente
pallida. Tutti avevano la pelle bianca in modo bizzarro eccetto
per…
-Che
rischio, che rischio- rantolò una voce graffiante -Davvero
non
tipico della nostra ponderata e meticolosa Contessa.-
Kamya
si rese conto della presenza di un quarto cortigiano quando la
Questrice Valdemar parlò tenue e gelida. La donna, o almeno
lo
sembrava, aveva un lunghissimo camice bianco e dei guanti di pelle
che le arrivavano fino all’attaccatura delle braccia; da una
tasca
del grembiule nero facevano capolino degli strumenti medici puliti e
il suo volto era nascosto dietro a una mascherina da chirurgo.
Fissò
la maga con uno sguardo infiammato, facendole correre dei brividi
lungo la schiena.
La
spilla rossa era là come per gli altri membri di corte ma il
suo
incarnato era di un verde olivastro a dir poco malsano, o forse era
solo l’illuminazione della stanza a dare lo strano effetto;
per
quanto intimidatoria che fosse, il peggio doveva ancora arrivare ma
non tardò a palesarsi nel momento in cui un uomo con una
lunga
giacca grigia e una treccia scura che sfumava verso il biondo, prese
la parola.
-Forse
la Contessa vorrebbe informare la sua adorante
corte- la intimò, abbassando lo sguardo verso
l’apprendista -Com’è
che ha fatto esattamente a trovarsi alla porta della strega quella
notte.-
Il
Console Valerius parlò con un’inflessione di
disgustata enfasi e,
nonostante il suo modo ricercato di costeggiare il divano o di tenere
un calice di vino, si poteva intuire la sua concreta disapprovazione
senza grandi giri di fantasia. Era tutta lì, in un singolo
arricciamento del labbro.
Si
vedeva come si distinguesse dagli altri cortigiani, e non solo per la
sua totale mancanza di partecipazione al generale entusiasmo, ma
anche per la spilla attaccata alla stuoia nera; attorno al collo,
oltre alla treccia che poggiava sulla spalla opposta, vi era una
piccola ariete d’oro.
-O
magari la strega vorrebbe dircelo lei stessa- la sfidò,
allargando
le braccia per indicare tutta la sala.
“Magari
potreste non chiamarmi così” pensò
Kamya deglutendo forte per
sopprimere quella risposta.
-Magari
potrei- si limitò a replicare mentre Nadia tornava a
prestare
attenzione all’organo e i cortigiani le si stringevano
attorno;
sembravano famelici di ricevere succosi dettagli su un incontro
così
chiaramente dettato dal destino, non si erano affatto resi conto
della tensione accresciuta tra Valerius e Kamya.
-Coraggio,
dicci tutto!- la incitò Vulgora.
-Abbiamo
sentito solo i pettegolezzini-
ridacchiò Vlastomil -È vero che la Contessa
è giunta a voi nel
cuore della notte, incespicando scalza e lacrimando per strada?-
Il
viso di Kamya si contrasse perplesso a sentire un tale cumulo di
panzane e occhi impazienti le si piantarono addosso, studiandone ogni
movimento.
-Cos…?
No? Chi si è inventato una simile fandonia? È
venuta e ha
semplicemente... Bussato alla porta.-
Volta
prese la parola colma di ansia.
-Vi
prego, devo sapere se la mia amata Contessa stesse piangendo!-
-Non
lo stava facendo, ma l’ora era tarda e la Contessa era
piuttosto
insistente.-
I
suoi nuovi compagni si raggrupparono ancora più vicini a lei
man
mano che esponeva la storia; rapiti, rimasero incantati da ogni
singola parola. Finito il resoconto, Nadia terminò il pezzo
con un
impressionante trillo. Avendo passato tanto tempo in sua compagnia,
solo Portia poté notare come nelle ultime note si fosse
insinuato
parte del fastidio accresciuto nella Contessa a sentire come un
semplice episodio fosse stato infiorettato di tanti teatrali quanto
inesatti dettagli.
-Se
ci tenevate tanto ardentemente a sapere cosa fosse accaduto quella
notte, potevate semplicemente chiederlo. I miei mal di testa erano
peggiorati e stavo avendo problemi a dormire. Durante quella not...-
-Come
state avendo da un po’ di tempo, Contessa- la interruppe
Volta con
un sorriso sghembo.
-Sì,
Procuratrice- sospirò Nadia, restituendole un sorriso
più amaro del
voluto -Durante quella notte mi ero svegliata tormentata dallo
spettro di un sogno che non voleva abbandonare la mia mente. Stavo
davvero cercando qualcuno, chiunque, che mi potesse essere
d’aiuto.
Sono stata io la fortunata, poiché mi sono imbattuta
così presto in
colei di cui avevo bisogno- il suo viso si era addolcito e le sue
spalle si erano rilassate -Un universo benevolo ci ha fatto
incontrare, non è vero, Kamya?-
I
suoi luminosi occhi rossi sorrisero affettuosamente
all’apprendista
e i cortigiani si agitarono, studiandola con una nuova
intensità; la
stanza si riempì di nuovo calore ma si spezzò in
fretta a un arioso
sospiro di Valerius. Il Console sbirciò la figura
dell’ospite
d’onore distorta dal bicchiere vuoto.
-Contessa,
ci ferisce sapere che vi siate sentita in dovere di cercare altrove
un orecchio simpatizzante- Valerius raccolse la brocca di vino sul
tavolino al centro della stanza e riempì nuovamente la sua
coppa
-Dovreste considerarci degni della vostra fiducia, siamo libri aperti
per voi!-
Con
un altro plateale gesto delle braccia, gettò parte del
contenuto
addosso a Kamya, innaffiandone le vesti pregiate. Un sussulto
collettivo animò la stanza mentre il liquido scarlatto si
insinuava
nella stoffa e sulla pelle della maga rimasta a bocca aperta.
La
Contessa si alzò di scatto dall’organo, dipinta in
volto aveva una
furia omicida.
-Che
sbadato- fece spallucce il Console, fintamente dispiaciuto -Di sicuro
conoscerete qualche stramberia per rimediare al danno.-
Certa
che sarebbe stata perdonata, Kamya fece per rispondergli per le rime
ma Nadia la bruciò sul tempo.
-Basta
così, Valerius! Avete esaurito la mia pazienza per stasera!-
sibilò
glaciale -Tutti voi, fuori!-
Mentre
i cortigiani abbandonavano la stanza passandole timidamente accanto
in punta di piedi, Kamya non riuscì a scollare lo sguardo
dal
tappeto intarsiato; il vino si stava rapprendendo rendendo i pregiati
tessuti appiccicosi e sgradevoli e non solo quelli che aveva addosso:
anche il divano candido ne stava risentendo. Rimase da sola con la
Contessa che le mise una delicata mano sulla spalla in un accorato
gesto di consolazione.
-Mi
dispiace, Kamya. Dobbiamo liberarci di questi vestiti rovinati,
ovviamente...- si dolse, disprezzando uno spreco che si sarebbe
potuto evitare.
-Ma
guardate, magari viene via con altro vino. Com’era quel
trucchetto
che il vino rosso viene via col bianco? E poi non è
così male,
almeno i toni di colore si abbinano- tentò di incoraggiarla
con la
stoffa attaccata alla pelle che seguiva ogni movimento del petto.
-Non
dire sciocchezze- sorrise la donna facendo sentire alla sua ospite di
essere riuscita a portare a casa almeno una mezza vittoria; per
qualche strano motivo, un sorriso della Contessa valeva più
di tutta
l’approvazione che le avevano mostrato gli altri cortigiani
-Mi
sono presa un paio di libertà col tuo guardaroba, per cui
non
esitare: dimmi cosa sarebbe di tuo gradimento. E non badare a spese.-
Kamya
si guardò un’altra volta ricordando la mattina del
giorno
precedente, quando Portia le aveva consegnato un completo nuovo di
zecca, gentile omaggio della Contessa. La seta era delle migliori
della regione e ogni secondo vissuto con quello indosso
l’aveva
fatta sentire come degna di servire a palazzo, ma le mancavano i
vestiti che aveva rimodernato apposta per stare a corte.
Portia
si mise sull’attenti e Nadia incrociò le mani in
fervida attesa;
sembrava come sperare che Kamya le elencasse una serie infinita di
ricchezze. Che forse le piacesse ricoprire la gente di doni?
-Grazie
infinite, ma non mi serve niente di speciale.-
Al
suo rifiuto, Nadia lasciò scivolare le spalle in basso
stupita.
-Ah,
immaginavo lo avresti detto- ridacchiò Portia.
-Siete
fin troppo generosa con me, Contessa, ma gradirei solo riavere
indietro i miei abiti. Li ho abbelliti per l’occasione dopo
la
nostra prima cena e, anzi, vorrei scusarmi per non averci pensato
prima- si scusò l’apprendista, pensando ce ne
fosse il bisogno.
-Umile
come sempre. Molto bene, allora. Il tuo benessere qui è di
grande
importanza per me- dichiarò Nadia prima di rivolgersi alla
sua
servitrice -Portia ti riaccompagnerà nei tuoi alloggi. Ti
verrà
fatto un bagno e i tuoi indumenti restituiti. Anche se, Kamya, sei la
mia ospite d’onore: potresti essere più esigente,
se lo gradissi.-
-M-ma
non vorrei approfittare...- sorrise lei di imbarazzo espirando con
gli occhi puntati a terra.
I
toni tubanti dell’organo echeggiarono nei corridoi mentre le
due
ragazze proseguivano verso l’ala degli ospiti.
Quando
Kamya si fu lavata ed ebbe fatto ritorno nella sua stanza, un
pacchetto l’attendeva accanto alla finestra; una nota
richiusa in
una stretta spirale stava sopra di esso.
Era
indirizzata dalla Contessa.
Un
dono per la mia cara ospite, questo smeraldo sembra chiamare il tuo
nome. Indossalo in buona salute. E, Kamya, puoi chiamarmi Nadia.
I
caratteri si stendevano sulla carta in ordinati riccioli deliziosi e
senza una sbavatura d’inchiostro, la calligrafia di Nadia
rispecchiava tutto ciò che rappresentava: ricercatezza,
distinzione
ma soprattutto disinvoltura.
Kamya
si fece scivolare la catenina tra le dita e, più teneva il
monile
nel palmo, più riconosceva la sua energia; con un sussulto
la magia
sembrò affievolirsi ma ad un nuovo tentativo di
concentrazione,
tornò a farsi vivida come prima. Che si sbagliasse forse?
No,
conosceva quella forza fin troppo bene, così rilassante e
accogliente.
Asra.
Se
era stata capace di rintracciare Julian con una lettera, poteva darsi
che…?
Attese
che i saloni del castello fossero silenziosi per sgattaiolare fuori
dalla propria stanza; con lo smeraldo che le pendeva dal collo, Kamya
si diresse verso il giardino avvolta da una calma surreale. Il solo
pensiero di poter sentire di nuovo la voce del suo maestro, le faceva
sussultare il cuore di una dolorosa speranza.
Raggiunta
la veranda, discese i gradini cullata da una gentile brezza; ombroso
e lussureggiante, al centro del parco le siepi formavano un percorso
labirintico e una fontana con un capricorno impennato faceva scorrere
le sue acque mitigando la sonnacchiosa atmosfera. Al di sopra della
spaziosa vasca, un salice piangente gettava le sue fronde verso il
terreno come una verde imitazione delle acque sottostanti. Kamya
alzò
la testa e da uno dei rami vide pendere un serpente del grano color
lavanda.
-Faust!-
la chiamò entusiasta, interpretando il loro incontro come di
buon
auspicio -Non sei andata con Asra? Che ci fai qui?-
Faust
sibilò e le cadde sulle spalle in tutta risposta, il suo
corpicino
lucido la salutò con una strizzatina. Sembrava
l’avesse sempre
aspettata lì.
Kamya
si sedette sul bordo della vasca e si sporse verso l’acqua,
osservando il suo riflesso restituirle lo sguardo. Faust
dimostrò
interesse immediato per il pendaglio nel momento in cui la maga se lo
sfilò dal collo; chiuse gli occhi, prese un profondo
respiro, lo
fece dondolare sopra alla superficie e lo lasciò cadere. La
luce
catturò ogni sfaccettatura verde mentre raggiungeva i
mosaici sul
fondale.
L’acqua
cominciò a gorgogliare cambiando colore, degli schizzi
incrinarono
la quiete dei bordi e più la maga si concentrava sulle forme
che
assumevano, più esse cambiavano.
Prima
che se ne potesse rendere conto, il suo riflesso era sparito e al suo
posto… C’era Asra.
Si
stava togliendo l’acqua dal viso, ogni goccia che gli
scivolava via
dalle mani cadeva nell’acqua della fontana, provocando altre
increspature e distorcendo la sua immagine. L’apprendista era
così
sconvolta che poté solo restare a bocca aperta in silenzio,
timorosa
che qualunque suono avesse prodotto, avrebbe spezzato
l’incantesimo.
Asra si scosse la riccioluta e fulgente chioma, qualche altra goccia
gli scivolò via dalle ciglia mentre guardava la sua allieva
dritta
negli occhi.
-Kamya?
Puoi, puoi sentirmi?- pronunciò insicuro e sconvolto; la
ragazza
annuì incredula il doppio di lui.
Se
quello non era un incantesimo dei suoi allora come aveva fatto lei a
contattarlo? Il ragazzo si sporse in avanti, era talmente vicino che
gli si potevano vedere ancora delle gocce imperlargli le lunghe
ciglia.
-Incredibile!-
rise lui di cuore. Era seduto a gambe incrociate accanto a uno
stagno, una mastodontica cavalcatura gli stava accanto, riposando il
muso sul ginocchio del mago -E Faust è con te, vedo che ti
ha
trovato senza problemi. Non ero sicuro di volertela lasciare, ma dopo
la lettura che mi hai fatto, ho pensato di seguire il mio istinto.-
Prima
che Asra partisse, Kamya aveva consultato i tarocchi e le carte lo
avevano avvisato che si fosse allontanato troppo dall’arcano
della
Papessa.
Nel
luogo in cui si trovava, delle alte palme gli ondeggiavano alle
spalle contro una marea di stelle scintillanti, e i suoi capelli ne
raccoglievano ogni argenteo riflesso; Faust sfiorò
l’acqua con la
coda agitando altre increspature.
-Faust,
hai un aspetto magnifico. Stare accanto a Kamya ti fa
quell’effetto,
non è vero?-
-Sono
contenta che sia qui- la accarezzò Kamya passandole un dito
sulla
testolina. Il simpatico famiglio sembrava molto fiero di se stesso.
Ora
che lo stupore di averla trovata era svanito, Kamya era sollevata di
poterla avere accanto a sé; nell’acquoso riflesso,
anche Asra
aveva un’espressione compiaciuta.
-Sono
felice di poterti vedere, Asra. Sei partito da così poco
eppure mi
manchi già così tanto...-
Il
giovane arrossì e la creatura che era con lui
sbadigliò
rumorosamente.
-Vedo
che c’è un salice piangente dietro di te, sei a
Palazzo?-
tergiversò, all’improvviso in ambascia.
Kamya
annuì e provvedette a raccontargli tutto ciò che
era accaduto dalla
sua partenza; i suoi occhi brillavano coinvolti ad ogni parola
finché
il senso di colpa non prese il sopravvento.
-Incredibile,
il giorno in cui sono partito, era il giorno in cui avevi bisogno di
me più che mai...- presto il suo animo si riaccese di
orgoglio -E
anche così, non hai bisogno di me affatto. Sono contento che
almeno
Faust sia in tua compagnia. Se dovesse succedervi qualcosa, lo
verrò
a sapere.-
-Dove
sei?- si affrettò a domandargli la ragazza, sentendo di
doversi
appropriare di tale informazione come dell’aria che respirava.
Asra
si guardò alle spalle, alle lucenti galassie che gli
turbinavano
sopra la testa.
-Un
posto dentro di me. Chi l’avrebbe mai detto che saresti stata
capace di raggiungermi qui?- sorrise rilassato -Le tue doti magiche
sono impareggiabili, presto sarai capace di superarmi- Faust
costeggiò i fianchi della ragazza per far scattare la lingua
biforcuta verso l’acqua -E Faust si sta aprendo con te. Forse
è
ora che faccia altrettanto.-
Kamya
si sentì praticamente soffocare e l’espressione
che fece dovette
essere di particolare gusto per il maestro che esplose in una
sfrenata risata.
-No,
davvero, voglio cominciare a essere più onesto con te. Che
cosa ti
passa per la testa? Chiedimi tutto quello che vuoi. Ciò che
ti
chiedo io, è che l’onestà sia
reciproca.-
La
cortesia nei suoi grandi occhi viola era un balsamo per
l’anima, ma
tutta la gentilezza del mondo non avrebbe potuto acquietare la
bruciante domanda che premeva sulle labbra della sua studentessa per
essere espressa.
-Chi
è Julian per te?- si decise, rammentando la vasta gamma di
sentimenti che avevano solcato il volto del Dottore quando parlava
del mago.
A
tale domanda, però, fu il volto di Asra a tingersi di tante,
disparate emozioni, dalla sorpresa, a una fugace nostalgia, fino a un
rancore la cui profondità gareggiava con quella dei cieli
sopra la
sua testa.
-Julian?
Ah, già… Risponde anche a quel nome, me lo
ricordavo con uno
diverso. È stato… Un amico, un tempo. Poi di
più. Poi
qualcos’altro… Chi è Julian per me? Chi
lo è per chiunque?
Chiunque gli serva essere pur di ottenere ciò che vuole.-
La
cripticità di una simile risposta avrebbe fatto alzare gli
occhi a
Kamya se non avesse saputo di essere vista; Asra aveva parlato di
sincerità, eppure, una volta ancora, si teneva sul vago.
-Pensare
che è venuto a cercarmi dopo tutto quello che è
successo… Ma
lasciamo perdere. È un medico dilettante con molto da
imparare e
finché non lo farà, nulla di buono
potrà venire da lui- con uno
accorato sospiro e uno scatto della testa, Asra scacciò i
pensieri
negativi -C’è qualcos’altro che vorresti
chiedermi?-
Kamya
si sporse un po’ troppo verso la fontana, la testa le
ciondolava
terribilmente e le palpebre si facevano difficili da tenere aperte.
-Direi
di no, per adesso. Si sta facendo tardi e se non ritorno a letto ora,
domattina dovrò dare un sacco di spiegazioni sul
perché ho dormito
nella fontana.-
-Non
mi ero reso conto di che ora si fosse fatta, il tempo scorre
diversamente qui dentro. Vatti a riposare, Kamya e abbi fiducia che
ci sentiremo presto. So che mi troverai.-
Asra
si avvicinò alla sua allieva, il suo tocco
deformò l’immagine e
in un attimo era sparito.
Faust
sembrava quasi delusa di non vederlo ancora lì ma dopo un
po’ di
ritrosia, si arrampicò sul braccio di Kamya e si mise a
riposare nel
suo grembo mentre raggiungevano l’ala degli ospiti.
A
dire della giovane, il talentuoso maestro non era stato abbastanza
esaustivo; Julian era un medico con molto da imparare, e allora? Se
non l’avesse fatto qualcuno ne avrebbe risentito, e allora?
Ovvio
che se un medico non sa fare il suo mestiere a pagarne le conseguenze
sono i pazienti!
Avrebbe
sperato di carpire qualche straccio di informazione in più,
un
indizio, un suggerimento sulla sua pericolosità ma Asra si
era
tenuto in una snervante neutralità.
Se
non fosse stata tanto vinta dalla stanchezza, i fiorenti dubbi su un
Julian torturatore, manipolatore e dannatamente pericoloso, non le
avrebbero fatto dormire sonni tranquilli; fortuna sua che fosse
esausta dopo una giornata così intensa per dare credito a
certe
fantasie!
Ma
non era solo la stanchezza a giocare un ruolo a suo favore:
c’era
anche la convinzione che Asra non l’avrebbe mai e poi mai
lasciata
in una situazione di pericolo. O forse era una qualche sorta di prova
da superare? Che ci faceva poi Julian al loro negozio? Poteva fidarsi
della sua parola secondo cui non si era impossessato di niente?
Troppe
domande per una sola notte, troppi indovinelli per una sola
affaticata mente che la canzonò in tutti i sensi, intonando
le note
di uno spettacolo che Asra l’aveva portata ad assistere
qualche
settimana prima.
Kamya
si mise a canticchiare sommessamente a Faust entrando nella sua
camera; era buffo da dirsi, ma le strofe avevano un che di profetico.
Guarda
come la virtù ti ripaga
Ti
giri e qualcuno ti tradisce
Tradiscilo
per primo
E
il gioco è ribaltato!
Perché
siamo tutti intrappolati
Nel
mezzo di un infido, lungo indovinello
Posso
fidarmi di te? Puoi tu fidarti di me?
Barcolliamo
attraverso questo inferno
Raccogliendo
più segreti da vendere
Finché
verrà il giorno
In
cui venderemo le nostre anime*
*”The
riddle” dal musical “The scarlet
pimpernel”, un po’ tutto il
testo quadra bene con la fanfiction ma non potevo mettercelo per
intero ._.
N.d.A.
Sperando
che questo capitolo e il precedente siano stati di vostro gradimento,
vorrei premettere una cosa: so che potrebbe sembrare un mezzo lavoro
di copiatura della storia originale, ma vi garantisco che dai
prossimi capitoli le cose cominceranno a prendere piede, specie con
gli altri due protagonisti della storia u-u non appena si
incroceranno le due ship vi garantisco che molto prenderà
forma
soprattutto a corte. Ho appunti e file ovunque con tutte le idee, le
battute e varie <3
Stay
tuned, ne vedrete delle belle!
|