Oggi
I
capelli scuri raccolti con una pinza sulla nuca, le maniche della
giacchetta verde militare tirate fino ai gomiti, Carina Carvex
abbassò le buste della spesa per aprire un cancello per soli
pedoni
e riprenderle per sorpassare un vialetto con cespugli di rose intorno
al sentiero. Sembrava l'inizio di una bella giornata, ma doveva
ammettere a se stessa che non le piaceva particolarmente quando Alex
Danvers non la seguiva per scoprire i suoi segreti. Doveva aver avuto
un impegno e le seccava non essere lei quell'impegno.
La
sua anziana vicina era china davanti a una delle aiuole intenta a
tagliare i rami in eccesso e la salutò sventolando le
cesoie,
riservandole un grande sorriso. «Come stai,
tesoro?», la signora si
sporse, tirando in su la visiera che la riparava dal sole.
Carina
si fermò, decidendo di ricambiare al sorriso con il proprio.
«Magnificamente».
«Oh, ne sono felice. Volevo sapere da te una cosa»,
arricciò le labbra,
«Quand'è che torna a trovarti quel bel maschietto,
eh? Volevo
chiedergli se mi aiutava, sai?», le indicò un
albero alle sue
spalle e Carina seguì lo sguardo.
«Purtroppo…».
«Non
mi dirai che avete litigato?!». Le scrollò le
spalle e la donna si
mostrò particolarmente contrariata, riprendendo a sventolare
le
cesoie. «Ooh…
ma così non va bene, però! E ora chi mi
aiuterà? Guarda che non ne
trovi altri belli e gentili come lui, eh? È merce rara,
bella mia»,
le puntò contro le cesoie. «Eh eh, ti conviene
fare pace», le
sventolò ancora, «Così magari viene
anche da me ad aiutarmi, no?
Un giovanotto così a modo…», e di
nuovo, destra e sinistra, sopra
e sotto.
Appena
Carina le afferrò velocemente la mano con le cesoie, la
signora
sussultò. Seria, le sorrise di nuovo, sfilandogliele di
mano. «Stia
attenta con queste. Potrebbe farsi male».
«Oh,
sì, hai ragione… Che brutto vizio che
è», rise appena, mentre le
poggiava le cesoie sull'erba. «Ma tu pensaci per quel bel
maschietto, tesoro».
Carina
la salutò con un sorriso e la sorpassò verso il
portone, tornando
seria di colpo, dandole le spalle. Salì le scale per il
secondo
piano e, aperta la porta, lasciò le buste della spesa sul
primo
tavolino a vista, dando uno sguardo in giro: una valigetta aperta,
pile di documenti, cravatte sulla spalliera di una sedia…
alcuni di
quel documenti sparsi per un tappeto, una cravatta era finita quasi
sotto un mobiletto, e c'era una grande orma contornata da polvere
lasciata da un tappeto che aveva tolto di recente. Gonfiò le
guance,
per poi sbuffare. Aveva ragione la sua vicina, probabilmente: doveva
pensare al suo giovanotto a modo e ripulire un po', non poteva
trascurare la sua casa, doveva mettere in uno scatolone tutte le sue
cose. Specie se un giorno Alex Danvers avrebbe accettato di andare da
lei: quale figura ci avrebbe fatto a lasciare quel porcile a vista?!
Giorni di lavoro pieni che non aveva avuto tempo per nient'altro. Ma
intanto pensò di sbarazzare la spesa, che era più
urgente. E
controllò subito il telefono, infastidendosi appena nel
leggere un
messaggio. Lasciò un vasetto di passato sul tavolo vicino a
una
delle buste e si allontanò per fare una telefonata.
«Cosa
significa revocato?
Mi stavo occupando io del loro territorio, Inze si è presa
un'altra
fetta?», fece una pausa aggrottando la fronte, ascoltando il
suo
interlocutore. «Dico solo che da quando Inze è
fuori mi state
sconvolgendo continuamente i piani… So che deve setacciare
National
City, ma continuando in questo modo avrò troppo tempo libero
e sono
stata appena lasciata, non saprò cosa fare», si
imbronciò. Poi, di
lampo, il suo sguardo si accese: «Oh, non Inze…
Voglio parlare con
Kweskill, allora. Non mi interessa se è impegnato, voglio
parlare
con lui». All'ennesimo no,
Carina roteò gli occhi. «E va bene, quindi ne
parlerò direttamente
col Generale. È impegnato anche lui? Deve ricevermi o
farò una
capatina in centrale. Bene»,
sorrise, «Di pomeriggio sarò fuori per lavoro,
voglio parlare con
lui prima di pranzo. Sia. Buongiorno anche a te».
Riattaccò e il
sorriso svanì. «Gamma
rompiballe…»,
bofonchiò, dando uno sguardo all'orologio sul polso e
andando a
finire di sbarazzare la spesa prima di lavarsi per uscire.
Era
il duemilasei quando fu arrestata per aver provato ad accoltellare
con un taglierino il suo insegnante di matematica. Aveva quindici
anni ed era la terza volta volta che finiva davanti alla scrivania di
un poliziotto. Certo, non erano a conoscenza di altre volte in cui
probabilmente ci sarebbe dovuta finire. A sua madre bastava sbattere
le ciglia ed era libera di andare, «è
una ragazza problematica»,
diceva, ma quella volta andò diversamente: lì
conobbe Adrian Zod.
Lui l'aveva guardata a lungo prima di parlare: come muoveva gli occhi
annoiata, la bocca e se la mordeva, come si sistemava sulla sedia
scendendo il sedere e accavallando le gambe. Non l'avrebbero trovata
a disagio, o sofferente, si stava solo perdendo la sua serie
preferita in televisione e nulla di più.
«Comoda?».
«Abbastanza.
Se si può avere una cioccolata calda…».
Un
altro poliziotto pronto a farle la predica, a minacciarla, a
chiederle il perché delle sue azioni cattive… no,
quell'uomo il
perché glielo aveva chiesto, ma si era anche permesso di
aggiungere
delle domande come se le piaceva e come la faceva sentire. Quel
poliziotto aveva provato a comprenderla, era una cosa singolare.
Prima di lui ci aveva provato uno psicologo, ma lo aveva fatto per
lavoro e non era per davvero interessato, era un nome da spuntare in
agenda, ma non quel poliziotto; il suo interessamento nei suoi
confronti aveva interessato lei. Si erano rivisti fuori nei giorni
successivi, avevano parlato, era riuscito a convincerla a pensare e a
contare prima di stringere un taglierino, a provare a comportarsi
normalmente per vivere con gli altri e a relazionarsi, facendole
conoscere altri ragazzi della sua età con cui parlare,
alcuni dei
quali problematici
come lei. Secondo sua madre, Dru Zod l'aveva salvata. Forse era vero,
riconosceva Carina: sarebbe finita in prigione prima di diventare
maggiorenne, ci avrebbe scommesso, ma sua madre non sapeva cosa
faceva come secondo lavoro, a distanza di anni, proprio per la
persona che l'aveva salvata.
Dru
Zod sbuffò, dando una nuova occhiata all'orologio al polso.
Rimise
dritte le gambe che aveva intrecciato in attesa e si alzò
dal cofano
della sua macchina dal quale si era appoggiato, nel parcheggio
interno di un supermercato. Stava per prendere in mano il cellulare
che sentì dei passi. «Sei in ritardo».
Carina
Carvex fece mezzo inchino, mostrandogli un sorriso orgoglioso.
«Chiedo perdono, Generale, ho dovuto fare il giro largo per
seminare
un'agente del D.A.O. che mi fa da ombra».
«Alex
Danvers è all'Angel
Children's Memorial,
in questo momento. Non provare… a mentirmi», disse
secco e lei
puntò altrove lo sguardo.
«Mi
sta tenendo d'occhio?», domandò con tono quasi
ferito. «O tiene
d'occhio lei?».
«Carvex,
mi stai facendo perdere tempo», guardò di nuovo
l'ora. «Per il
momento ti è stato revocato l'incarico, non
parlerò oltre di
questo, con te».
Lei
sospirò seccata. «E per quale motivo ha accettato
di vedermi,
allora?».
A
quella domanda, l'uomo si avvicinò, scrutando il suo
sguardo. «Per
ricordarti quali sono gli ordini impartiti e qual è il tuo
posto».
Alzò una mano, appoggiandogliela pesantemente su una spalla.
Lei
era immobile e lo guardava a sua volta, proprio come allora, a suo
agio e quasi annoiata. «Gli ordini? Non dicevano forse di
controllare fino a che punto sono al D.A.O. con le indagini contro
l'organizzazione? Ho tutto sotto control…». Si
fermò non appena
le dita dell'uomo la strinsero e si guardarono negli occhi.
«Gli
ordini includevano il non
importunare
Alexandra Danvers», la riprese. «Ti stai facendo
seguire, ti sei
messa in luce, sospetta di te», continuò premendo
più forte, ma da
lei neanche un brusio. «Anni spesi per entrare nel D.A.O. a
rischio
perché ti piace giocare con le persone, Carvex. La stai
marcando.
Dimmi cosa provi».
«Lei
è interessante, Generale. Ha qualcosa».
«Cosa
provi», ripeté, non soddisfatto.
Lei
girò lo sguardo. «Mi piace. Provo… calore?
Vuole davvero che le descriva cosa provo? Diciamo che
vorrei…
vederla sotto un'altra prospettiva».
«Stai
mentendo di nuovo».
«No.
Vorrei davvero vederla sotto una nuova luce, ha così
potenziale…».
«Permesso
negato», la lasciò andare e Carvex
sbuffò.
«Non
vuole che giochi con lei solo perché è la
compagna della sua
beniamina», vide Zod tornare sui suoi passi,
«Oppure perché…
gira una certa voce».
«Tutti
hanno un ruolo, Carvex. E io non devo ripetere il tuo. Ci
sarà un
grande cambiamento, presto. Il programma potrebbe velocizzarsi e gli
ordini subire variazioni».
«Sì,
Generale».
Lui
le diede due pacche, accostandosi il tanto per parlarle a un
orecchio: «Non permetterti mai più di parlarmi in
questo modo né
di minacciarmi: non devi mettere piede in centrale, non devi vederla
neppure dall'altra parte della strada e, soprattutto, non devi
preoccuparti delle voci che girano. Sono stato chiaro?». La
vide
annuire ma non gli bastava: «Sono stato chiaro?».
«Sì,
Generale».
«Ottimo.
Sei una mina vagante. Non farmi pentire di non aver dato ascolto a
pareri che mi consigliavano di sbatterti fuori», la
guardò e annuì,
convincendo lei a fare lo stesso. Le passò un'altra pacca e
camminò
fino a raggiungere lo sportello del guidatore della sua auto.
«Hai
visto un certo Colin Chavez, di recente?», aprì lo
sportello. «So
che usciva con te».
Lei
strinse i denti. «L'ho lasciato da poco,
veramente… se n'è
andato. Conserverò bei ricordi».
L'uomo
la guardò a lungo, serio, prima di proferire qualcosa.
«Attieniti
al tuo lavoro, Carvex. Non vorresti vedermi arrabbiato. Non sono
ammesse sorprese», la ammonì e lei
delineò un sorriso.
Appena
il presidente dell'organizzazione lasciò il parcheggio con
la sua
automobile, Carina Carvex lanciò un pugno contro una parete
e perse
il sorriso. «Phillings…»,
sussurrò. Quel maledetto, lo scienziato, parlava spesso con
lui ed
era l'unico che poteva raccontare al Generale di lei e Alex Danvers.
Mai avrebbe pensato che i due parlassero ancora tra loro, dopo essere
stato cacciato dall'organizzazione per qualcosa di grave. A che gioco
stava giocando quel vecchio? Era stato lui ad aver consigliato al
Generale di allontanarla? Si morse un labbro tanto forte da
tagliarsi, stringendo i pugni di rabbia.
Carina
Carvex sorrise con gaudio appena sbatté il portone del
vecchio
palazzo, per aprirlo. Piede di porco in mano, salì due a due
gli
scalini scricchiolanti di quella scalinata spingendo i condomini che
intralciavano il suo passaggio, andando di fretta. Non appena la vide
con quello in mano, un ragazzo tentò di fermarla e lei lo
ignorò,
continuando spedita verso un appartamento al quarto piano. Il giovane
non poté fare nulla per impedirle di aprire una porta con il
piede
di porco, infine spingendola a calci, entrando di peso.
«Vecchio!
Devo parlare di una cosa con te». Passò il
corridoio deserto e
prese a calci la porta della camera adiacente, ma restò di
sasso
quando vide che era vuota. Dovevano esserci tavoli polverosi, in
fondo una scrivania con tre schermi sopra, le provette, dei
posacenere colmi di puzzolenti sigarette spente. Era rimasto il
puzzo, le finestre chiuse come al solito. Un camice sporco e
macchiato era gettato in un angolo, tra cenere e mozziconi che
riempivano il pavimento. «Che cosa… diavolo
è successo qui?», si
voltò di scatto al ragazzo dietro di lei, che
alzò le mani per
ripararsi. «Dov'è il vecchio? Phillings!
Dov'è andato?».
«Se…
Se si fosse fermata, agente, sarei riuscito a dirglielo
poc'anzi»,
la guardò aprendo un occhio solo, temendo il piede di porco.
Era un
agente del D.A.O., ma non era la prima volta che l'aveva vista di
pessimo umore quando andava a trovare il suo amico ed era meglio non
farla arrabbiare. «Mi ha restituito le chiavi
dell'appartamento due
mattine fa, si è… trasferito, vede, da che so ha
finalmente
ricevuto i soldi che aspettava», concluse con una vocina
bassa e
acuta da sembrare uno squittio.
«Soldi?»,
sbottò, portandosi l'altra mano sulla fronte. «E
dov'è andato?
Cosa ha detto?».
«Che-Che
sarebbe riuscito a portare avanti i suoi esperimenti. Ne era felice.
Le ha lasciato questo». Frugò una tasca dopo
l'altra dei suoi
jeans, facendola spazientire. «No, no, è che
devo-devo averlo
messo… Eccolo». Glielo porse e lei lo
strappò di mano, lasciando
cadere sul pavimento il piede di porco.
Spiegò
in fretta il foglietto:
Sapevo
che saresti tornata presto e che non avresti avuto buone intenzioni.
Ma io sono più saggio e me ne sono andato. Sono arrivati i
fondi che
tanto mi servivano per andare avanti col mio progetto, anche se non
come mi ero immaginato. Che sorpresa la vita! Sono certo
sarà capace
di sorprendermi ancora. Intanto, ti auguro buona fortuna con la tue
turpe mentali, ragazzina. Non sarò più qui ad
ascoltarti.
Addio,
Phil.
Accartocciò
il foglietto e lo gettò a terra. Riprese il piede di porco e
non
degnò il custode di occhiata, decidendo di andarsene. Se
Phillings
credeva davvero di svignarsela si sbagliava di grosso,
pensò. Prima
o poi avrebbe scoperto dove si era rintanato e avrebbero tenuto
quella discussione che, ora, le stava molto a cuore.
1963
Piccoli
angeli su sedie a rotelle: adatte per rappresentare i loro handicap,
anche se non tutti ne facevano uso. Louie Luthor seguiva con lo
sguardo ogni delicata curva nei loro volti di pietra sulla scultura
nella piazza, concentrato. Riusciva a captarne la morbidezza: era un
effetto ottico, ma era così meravigliosa anche solo la
sensazione da
sembrargli veri.
Kristen
si era accostata lentamente, guardando la scultura e il volto assorto
del ragazzo: batteva i denti e muoveva impercettibilmente la testa
seguendo linee immaginarie, collegato al picchiettio con due dita che
faceva contro la sedia a rotelle. Non voleva disturbarlo ed era
rimasta ferma e in silenzio fino a quando lui, soddisfatto in
ciò
che vedeva, si era voltato.
Gli
operai stavano ancora lavorando agli ultimi ritocchi e la piazza non
era aperta al pubblico: Louie era lì a controllarli
più di prima,
dal momento che Levi aveva abbandonato il timone dopo la loro
discussione.
Lei
si era lisciata la gonna, il maglioncino e i capelli, sistemando la
coroncina, solo allora lo aveva affiancato. «Mi chiedevo una
cosa»,
lo aveva guardato di straforo, nascondendo un sorriso. Lui l'aveva
guardata appena. «Cosa succede se un membro di quella
società,
quella che stiamo immaginando, compie un'azione orribile? Se tutti si
proteggono a vicenda, non potrebbero denunciarlo e farlo
arrestare»,
si era fatta dubbiosa. «Come si comporterebbero con lui? Lui
potrebbe ripagarli con la stessa moneta, o che so io, diventare
pericoloso per tutti, quelli fuori e dentro la
società», lo aveva
guardato, «Louie?».
Il
ragazzo aveva girato la sedia a rotelle, dando le spalle alla
scultura. «Lascia stare».
«Come?».
«Lascia
stare, chi se ne importa! Era una bambinata senza senso».
«Perché
adesso dici così?», si era rattristita, cercando
di captare dal suo
volto duro cosa c'era che non andava. «Cosa
succede?».
«Vedi
Levi, da queste parti?».
Lei
si era girata, allungando lo sguardo. Poi aveva dovuto scuotere la
testa. «No, forse non è ancora arriva-».
«Non
verrà», era stato lapidale. «Non
verrà perché ho parlato a lui e
a Lara della nostra idea e si è arrabbiato», aveva
così
confessato, mordendosi il labbro inferiore. «Magari sono
stato
avventato».
«Tu
hai…». Lei ne era rimasta sorpresa, naturalmente:
parlava con
Louie di quella società perché riusciva a
distrarre entrambi, non
che avesse voluto crearla davvero, un giorno. «Credevo
che-», aveva
forzato un sorriso e, all'ultimo, scosso la testa, ripensando a cosa
dire. «E-Era… Tu volevi realizzarla
veramente?».
Lui
non si era mosso, zitto, aveva dato una nuova occhiata alla scultura.
Cosa ne avrebbe pensato Mark? Lo avrebbe preso in giro anche lui, o
lo avrebbe appoggiato? Voleva fare il tassista e vedere posti
nuovi…
Le automobili sarebbero state più facili da guidare, anche
per chi
non muoveva le gambe. La fabbrica in perdita, le armi, i
debiti… Il
suo cervello continuava a macinare un pensiero dopo l'altro, intanto
che Kristen aspettava. Infine l'aveva guardata. «Un'azione
orribile
di che tipo?», le aveva chiesto, assottigliando gli occhi e
tossendo. «Perché una persona giusta, selezionata
per entrare nella
nostra nuova società, dovrebbe compiere un'azione
orribile?».
Kristen
aveva sollevato le spalle. «Perché è
una persona
prima che giusta.
E succede che le persone si scoprano orribili che fanno azioni
orribili. Potrebbe capitare».
Louie
aveva annuito, poi aveva formato un sorriso. «Verrebbe
allontanata»,
aveva riso e così tossito di nuovo, «Perderebbe
ogni privilegio e
diritto, non sarebbe più parte dell'insieme, né
verrebbe protetta».
«Volevi
realizzarla veramente?».
Lui
si era morso le labbra spaccate, battendo le dita sulla sedia e
fissando Kristen. Aveva la mascella pronunciata e gliel'aveva
delineata con lo sguardo. I capelli scuri lisci, a parte le punte.
Aveva delineato anche quelle. Il labbro inferiore aveva un solco al
centro e Louie aveva assottigliato gli occhi per delineare anche
quello, più piccolo, cercando di vederlo meglio. Se
sbagliava a
visualizzarle i dettagli e non gli veniva bene nella sua lavagna
mentale, doveva ricominciare.
«Louie?».
«Sì»,
aveva chiuso gli occhi con forza e alzato la voce, voltandosi e
spostando la sedia. «Ti ho sentita». Le sue
fissazioni e i disegni
mentali erano aumentati dalla morte di Mark, la lite con Lara e Levi
non aveva fatto altro che peggiorare le cose. Aveva preso un bel
respiro e riaperto gli occhi, quel
solco incredibilmente vicino,
quando aveva sentito la ragazza accostarsi; Kristen si era abbassata.
«Sai
perché sono rimasta con te da quando
Mark…?». Aveva aspettato la
sua reazione per continuare: «Perché stare con
te… era come un
po' stare con lui. Vi volevate bene, Louie. So come… E ora
che ti
conosco meglio… Per qualunque cosa, qualsiasi, che ti
tormenta,
parlamene. Sono venuta da te per Mark, ma rimarrò per te.
Perché
non mi hai detto che volevi realizzarla veramente?».
«Non
lo so… Era una bambinata, qualcosa che non
porterà da nessuna
parte. Se non posso fare nulla per proteggere le classi sociali
più
deboli, le minoranze, allora realizzerò il desiderio di
Mark».
«Il
suo desiderio?».
«Mark
non potrà mai fare il tassista, ma qualcun altro per lui
sì».
Lei
aveva subito sorriso, rialzandosi. «E come pensi di
partire?».
«Da
Lara e Levi».
Non
aveva mai avuto un grande rapporto con suo fratello e sua sorella
più
grandi, mai fino a quel momento della sua vita. Lara spendeva quasi
tutto il suo tempo libero a disegnare bozzetti per qualche progetto,
aveva solo bisogno che qualcuno direzionasse il suo genio. Levi
doveva salvare la fabbrica di famiglia e aveva bisogno di idee
fresche e veloci. La soluzione era sempre stata davanti a loro, se
solo si fossero scoperti una squadra, una famiglia, molto prima. E
così, mentre Levi Luthor scendeva in campo ed ereditava la
fabbrica
dal loro padre che si stava ammalando, Lara e Louie la cambiavano
dall'interno con innovazioni che, durante gli anni successivi,
avrebbero preso sempre più spazio, sottraendoli alla
costruzione di
armi. Levi parlava al personale e alle conferenze con discorsi
scritti da Louie di progetti che ideava Lara. La fabbrica era
riuscita a saldare i suoi debiti col tempo, e cresceva. Il loro padre
era venuto a mancare in quel periodo e i suoi figli avevano dedicato
a lui la nuova azienda nata dalle ceneri della vecchia fabbrica.
Aprirono a nuovi posti di lavoro, si spostarono su costruzioni
più
spaziose, il loro patrimonio aumentava e riuscirono ad aiutare i
più
deboli negli anni a venire, aprendo nuove scuole in paesi meno
fortunati e case rifugio per senzatetto. Ognuno di loro aveva un
ruolo e tutto sembrava bilanciarsi; i giornali parlavano di come Levi
Luthor stesse costruendo un impero e di come la loro famiglia si
stesse riservando un posto tra quelle più influenti
d'America.
Era
il millenovecentosessantasette quando Louie Luthor era riuscito a
testare la prima automobile possibile da guidare senza fare uso delle
gambe; quando nacque Lorna, la figlia sua e di Kristen diventata
Laura Luthor col matrimonio; quando aveva capito, finalmente, che
Mark aveva ragione e i miracoli esistevano davvero.
I miracoli, ognuno ha il suo ruolo, mine vaganti e persone orribili
che compiono azioni orribili, per non parlare di certe voci che
girano e di una Carina Carvex particolarmente interessata ad Alex. A
proposito di Carina, ora sappiamo un po' di più sul suo
conto. E
quel Phillings? Ve lo ricordavate? Era lo scienziato che lei era
andata a trovare in uno degli scorsi capitoli: fumo di sigaretta,
voleva vendere il suo progetto al generale Lane ma Max Lord lo aveva
battuto sul tempo e lui non aveva i fondi per continuare il suo
lavoro, ma a quanto pare per quello ha appena risolto.
Chissà come e
cosa sarà successo… E ora sappiamo che era stato
per certo
cacciato dall'organizzazione, nonostante parli ancora con il
Presidente, il Generale Zod. Chissà per quale azione
orribile era
stato cacciato… O forse il titolo non si riferisce (solo) a
questo?
È vero, questo minicapitolo è più
corto, li ho tagliati per
argomento, sorry.
Inoltre, nel passato abbiamo potuto trovare un Louie disilluso dopo
aver parlato con il fratello e la sorella maggiori, e per fortuna ha
trovato altro su cui concentrarsi: non solo realizzare il sogno di
Mark, ma crearsi una famiglia, e proprio con Kristen, la ragazza che
era fidanzata del defunto Mark, passata al nome Laura, il suo secondo
nome, quando è andata in sposa a lui, che è un
Luthor. Benvenuta in
famiglia, eh! È lei la madre di zia Lorna.
I tre fratelli hanno trovato il modo di collaborare e salvare il
futuro della famiglia. Il genio della sorella maggiore Lara viene
così sfruttato, il cuore di Louie diffuso e, allo stesso
tempo, ecco
che chi ci mette la faccia è il fratello di mezzo, Levi,
quello che
tutti volevano. Avevano vinto tutti, o almeno per ora.
E dire che John Jonzz c'era proprio vicino quando indagava sulla
famiglia…
E con questa chiudo, al prossimo minicapitolo che si intitola
Riscatto: La famiglia è la cosa più
importante di tutte…
Chissà chi seguiremo, tra presente e passato…
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