PERSONAGGI
PRINCIPALI:
Lily
Luna Potter, Serpeverde, 5°anno, fidanzata di Tom Davies
Tom
Davies, Corvonero, 7°anno, fidanzato di Lily Luna Potter
Albus
Severus Potter, Grifondoro, 7°anno, fidanzato di Scorpius
Scorpius
Hyperion Malfoy, Serpeverde, 7°anno, fidanzato di Albus
Harry
Potter, ex Grifondoro, auror
Ronald
Bilius Weasley, ex Grifondoro, auror
Carter
Morgan, ex Corvonero, auror
James
Sirius Potter, ex Grifondoro, auror
ALTRI
PERSONAGGI PRESENTI NEL SECONDO
CAPITOLO:
Ernest
Shelley, ex Corvonero, auror anziano
Isobelle
Verne in Shelley, ex Corvonero, moglie di Ernest Shelley
Lorcan
Scamander, Corvonero, 6°anno
Suzie
Parrott, Corvonero, 6°anno
Hansel
Saxton, Corvonero, 6°anno
Nathaniel
Cowley, Serpeverde,
6° anno
Benjamin
Roberts, Serpeverde,
6° anno
Ileen
Selwyn,
Serpeverde,
5°anno, amica di Lily
Madalynn
Nott, Serpeverde,
5°anno,
amica di Lily
Grace
Hoogan, Tassorosso, 5°anno
Black
Widow
La
Vedova Nera
CAPITOLO
2
2.
1
Parole.
Frasi.
Si
rincorrevano e si mescolavano, accavallandosi.
Rumore.
Il
Ministero era ormai quasi completamente deserto, le locande
cominciavano a chiudere.
Ernest
Shelley aveva appena terminato di verbalizzare l’ultimo caso.
Con
fatica si alzò dalla sedia e uscì
dall’ufficio cominciando a
barcollare lungo i corridoi bui in direzione dell’area camini.
Le
gambe, gonfie e pesanti, dolevano ad ogni passo, e il signor Shelley
sperò ardentemente di rientrare trovando la moglie
addormentata…
Non voleva sorbirsi per la centesima volta le sue suppliche e la sua
preoccupazione!
Medimaghi
pubblici, privati… Non sarebbero serviti proprio a nulla per
il suo
problema! Ne era più che sicuro, Ernest, lui non aveva
alcuna
malattia. Stava semplicemente invecchiando, e forse avrebbe dovuto
ricordare alla sua dolce Isobelle la fortuna di essere sottoposti
insieme a quella condanna, a molti negata.
Immerso
com’era nei propri pensieri, non fece caso alla fioca luce
che
irrompeva nel corridoio, rischiarandolo, dalle fenditure di una delle
porte alla sua sinistra, né ai rumori.
Raggiunse
un camino e, dopo aver gettato una manciata di polvere volante a
terra, sparì, lasciando il Ministero più vuoto di
prima.
Vi
era soltanto più una lampada accesa al secondo livello.
L’ufficio
dell’undicesima squadra auror era illuminato a giorno da una
plafoniera dalle dimensioni esagerate.
Carter
Morgan, seduto alla scrivania, si massaggiava con gli indici le
tempie pulsanti, sbarrando e schiudendo gli occhi cerchiati ad
intervalli regolari.
Harry
Potter e Ronald Weasley continuavano a camminare su e giù,
su e giù,
su e giù per la stanza, confrontandosi, battibeccando,
borbottando…
il tutto, il tutto, ad un volume
decisamente
troppo
alto.
E
allora Carter si mordeva il labbro, chiudeva gli occhi, e tornava a
prendersi la testa fra le mani, esasperato, stanco, stufo, irritato.
Parole.
“Chiunque.
Potrebbe essere stato chiunque.”
“Eppure
deve esserci qualcosa. Un indizio.
Nessuno è infallibile.”
Frasi.
“E
se fosse entrato qualcuno dall’esterno? Un vecchio seguace di
Voldemort?”
“Non
saprei, Harry. Dopo tutti questi anni...”
“E
non dimentichiamoci dei professori…”
“Ho
sempre avuto l’impressione che la McGranitt fosse decisamente
più
affidabile di Silente, per questo genere di decisioni.”
“Ma
non possiamo escludere nessuno dalla lista dei sospetti.”
Si
rincorrevano e si mescolavano, accavallandosi.
“...qualche
casino per conto suo...”
“...o
così dicono.”
“...aver
fatto una cosa del gene...”
“...l’età
di Hugo...”
“...assassino
a piede libero...”
“...parlare
nuovamente con Luna.”
“...come
con Raptor...”
“...lo
sguardo di un assassino?”
“Sono
solo ragazzi.”
Rumore.
Un
pugno sul tavolo.
“Basta!
Piantatela,
adesso.
Piantatela...”
Il
viso tirato di Carter si tinse
improvvisamente
di rosso vermiglio. I
suoi occhi, secchi e arrossati, si posarono sui
visi maturi e incolti dei colleghi, che ricambiarono il suo sguardo
con un’espressione spiazzata.
Carter
si
passò una mano tra i capelli polverosi e con un colpo di
bacchetta
richiamò l’impermeabile gommato color
antracite.
A passi lunghi e ben distesi si avvicinò alla porta.
“Quello
che state facendo adesso… Non serve a niente”
asserì, prima di
lasciarsi l’ufficio alle spalle.
Ronald
si voltò verso l’amico di vecchia data, che
immobile osservava la
porta con aria confusa.
“Vado
a chiamarlo?” chiese, trattenendo uno sbadiglio. Harry scosse
la
testa.
“Ha
ragione”
proseguì dopo qualche istante. “Andiamo
a casa, proviamo a riposare... continueremo
domani mattina a mente fresca.”
Ron
osservò il cognato, stupito… contrariato.
Da
una parte c’era Lysander, poco più che un
ragazzino, le lacrime di
Luna, il viso pallido e smarrito della McGranitt, i suoi
figli…
Hogwarts, e un assassino a piede libero. Dall’altra
c’era
Hermione, una cena nutriente, un letto caldo. Cose
che sembravano appartenere ad un’altra vita e in quel momento
apparivano quasi frivole e insensate.
Harry
gli poggiò una mano sulla spalla.
“È
per loro che dobbiamo essere al nostro meglio. In questo momento
valiamo meno di zero, Ron. Non mi piace, non piace per niente
ammetterlo, ma ha ragione Carter: non possiamo essere utili a nessuno
in queste condizioni… e lo sai, lo sappiamo.”
Seguirono
alcuni istanti di silenzio, poi Ronald annuì facendo su e
giù con
il collo.
2.
2
Non
si sentiva così provato da anni.
Carter
si allontanò frettolosamente dall’ufficio,
respirando a
singhiozzo.
Raggiunse
l’ascensore quasi di corsa e, una volta entrato, si
lasciò
scivolare lungo la sua parete metallica e fredda. Accovacciato a
terra si portò le braccia attorno al busto: provò
a controllare il
respiro, mentre la nausea cresceva. Gli sembrò di tornare ai
tempi
dei M.A.G.O., quando per mesi aveva passato le sere a vomitare
l’anima nel primo gabinetto trovato. Ringraziò lo
stomaco vuoto e
la fame, sentendosi improvvisamente ridicolo e, per la prima volta,
inadatto al compito per cui aveva tanto studiato.
Erano
passati quattro giorni dalla morte di Lysander Scamander, eppure le
indagini erano ancora ad un punto morto. I giornalisti mettevano
pressione, e il popolo aveva bisogno di rassicurazioni che
l’undicesima squadra non poteva dare. Carter sapeva che il
sentimento di impotenza e preoccupazione che soffocava il team non
faceva altro che abbassare le probabilità di successo
dell’indagine,
e che in quell’occasione proprio lui sarebbe dovuto essere
l’anello
forte – quello che, per intenderci, riesce a quietare lo
spirito
del gruppo dall’irrazionalità crescente, quello
che, rimanendo
calmo, ristabilisce il metodo –, ma sapeva anche che per
risolvere
quella situazione non bastava il cervello, serviva
bensì un qualcosa di diverso, che a lui purtroppo mancava:
l’abilità
di rimanere tranquilli nei momenti di tensione. Carter si sentiva
inquieto e non riusciva a pensare in modo lucido, eppure non voleva
fuggire dalle proprie responsabilità. Aveva imparato, con
l’esperienza, a mettere da parte le proprie emozioni e a
concentrarsi con freddezza sui corpi come se fossero oggetti, a
trattare le persone come incognite, le prove come dati e i casi come
problemi matematici. Aveva imparato a vedere nel proprio caposquadra
un esempio, se non di abilità deduttive, per lo meno di
condotta.
Grazie all’importante ruolo avuto nell’arresto di
Renn Dahl, “Il
Delinquente Inacciuffabile”, era riuscito a guadagnare
visibilità
e rispetto, ed era stato notato da Harry Potter, che l’aveva
voluto
nella sua squadra.
La
promozione lo aveva riempito di dubbi. Harry era molto diverso dal
suo vecchio capo, l’aveva stimato e trattato con rispetto sin
dal
primo giorno, alla stregua di Ronald, e l’aveva ascoltato
come se
fosse stato suo pari. Carter aveva appreso che nelle prime tredici
squadre un comportamento del genere era comune, perché erano
formate
soltanto da quelli che – per un motivo o per
l’altro – erano
considerati i migliori, quindi la funzione di caposquadra aveva un
valore quasi unicamente burocratico, non vi era infatti un secondo
–
o braccio destro – e un terzo, ma soltanto compagni.
Le
differenze tra l’undicesima e la trentacinquesima squadra,
però,
non finivano lì. Ronald ed Harry erano persone estremamente
emotive,
e non nascondevano questo lato del loro carattere nemmeno durante le
indagini.
Harry
aveva capito che oltre l’apparente
imperturbabilità di Carter si
nascondeva un uomo poco incline ad accettare le proprie emozioni, e
si aspettava che, prima o poi, sarebbe scoppiato. Non avrebbe potuto
predire che sarebbe accaduto proprio quel giorno, o forse
sì, ma
fatto sta che i suoi pensieri quando successe erano altrove. Harry
non reagì all’uscita di scena di Carter
perché era stato preso
alla sprovvista, e non avrebbe saputo cosa dirgli. Non avrebbe potuto
ammonirlo, dopotutto, per qualcosa che aveva fatto lui stesso per
giorni: perdere la calma. E si rendeva conto, in fondo, che quello
che pensava Carter era giusto.
Nonostante
la stanchezza il volto semi-immobile
dell’auror si distese
in un sorriso quasi impercettibile, finalmente il collega rivelava
i suoi veri colori. Ci
erano voluti mesi
perché quell’uomo mostrasse una crepa ed Harry si
sarebbe
aggrappato ad essa con entrambe le mani, continuando a girare il
coltello nella piaga affinché lui, Carter e Ron non sarebbero
diventati una cosa sola: una vera e propria Squadra con la S
maiuscola, una nuova famiglia.
Le
ombre e i pregi dei colleghi non dovevano mai essere sottovalutati in
un lavoro come quello. Un dettaglio trascurato poteva significare la
morte, e l’improvvisazione – usanza più
comune di quanto a
qualunque auror sarebbe piaciuto ammettere – poteva rivelarsi
una
strategia vincente solamente quando accompagnata da una sintonia e
affiatamento eccezionali,
che potevano
essere raggiunti solo grazie alla perfetta conoscenza reciproca.
Sotto
lo sguardo contrariato del cognato, che nonostante tutto
seguì
presto il suo esempio, Harry uscì dalla stanza, e
si apprestò
a raggiungere casa.
La
notte non offrì un lungo ristoro, ma le ore passarono, e
presto fu
mattina.
2.
3
Lo
specchio lo consolava e lo distruggeva. Ancora in pigiama, Lorcan
osservava la sua smorfia riflessa, un goffo tentativo di copiare
l’espressione naturale di Lys: vispa, vitale,
sicura…
Caratteristiche che solo parzialmente appartenevano al suo viso a
riposo, quindi piuttosto difficili da replicare con la sottigliezza
richiesta dai suoi ricordi vividi.
Una
volta l’espressione gli era venuta così bene che
quasi si era
illuso di avere davanti il fratello, però poi gli era venuto
da
sorridere, così, a modo suo, la magia si era rotta, e Lorcan
si era
trovato nuovamente davanti a se stesso, solamente se stesso, ed era
scoppiato a piangere per quell’attimo perduto, e per
tutti quelli passati.
Quella
mattina tremava talmente tanto da non riuscire a tenere ferme le
labbra, ad angolarle con precisione, a storcerle nel modo giusto, con
la vista così annebbiata riusciva a malapena a distinguere i
contorni umanoidi della figura riflessa allo specchio, che sarebbe
potuta appartenere più o meno a chiunque, e che eppure
Lorcan
sentiva estranea e distante. Cellula dopo cellula il suo corpo
abbandonava il passato, abbandonava Lysander, e a Lorcan sembrava di
percepire questo processo ogni minuto del giorno. E si disperava,
pensando che presto, troppo presto, del fratello non gli sarebbe
rimasto che uno sfocato ricordo.
La
morte di un gemello è sempre, oltre che a una tragedia,
un’amara
condanna.
Benjamin
e Nathaniel avevano cominciato a passare sempre più tempo
con
Lorcan, Hansel e Suzie, illudendosi di farlo per star vicino e
aiutare il fratello del loro defunto amico. In realtà,
inconsciamente, si erano convinti che se avessero fatto finta che
Lorcan fosse Lysander, tutto sarebbe stato più semplice. Ci
era
voluto poco, però, per rendersi conto che Lorcan non poteva
che
essere una pallida imitazione di Lys. I gesti, il ritmo della voce...
tutto era sbagliato.
Benjamin
era sempre più sconfortato, Nathaniel invece, oltre a
tristezza,
cominciava a provare rabbia. Perché Lys
e non
Lorcan? E perché tutti si preoccupavano tanto
per lui?
I due gemelli, dopotutto, non erano così legati. Loro
erano
stati i suoi migliori amici per sei anni, eppure nessuno aveva
pensato che potessero essere loro ad aver bisogno
di piangere,
di sfogarsi, di qualcuno da abbracciare.
In
realtà Nat si rendeva conto di avere pensieri estremamente
egoistici, e capacitarsene lo faceva sentire decisamente in colpa,
quindi si metteva – per quanto possibile –
l’anima in pace, e
rimaneva in quel piccolo gruppo in cui, per lo meno, poteva coltivare
il proprio dolore senza badare al resto del mondo che, incapace di
fermarsi, continuava ad andare avanti.
Lorcan
sapeva di provocare disagio in chi lo incontrava, più volte
era
stato squadrato con facce stranite o confuse da chi non sapeva che
Lysander avesse un fratello. Una ragazza dai capelli arruffati una
volta era persino scoppiata a piangergli in faccia. E poi
c’erano
Hansel e Suzie, che inutilmente provavano a sostenerlo e
confortarlo... Lorcan temeva che presto si sarebbero stufati di tutta
quella negatività, e aveva deciso che, almeno per finta,
avrebbe
dovuto dimostrare di essersi un po’ ripreso. Inoltre voleva
lasciare ai due amici più spazio: la loro relazione era
cominciata
da solamente due settimane e desiderava che i due coltivassero quel
sentimento, non che stessero lì con lui a rabbuiarsi.
Allora
provava a farsi vedere sereno, a parlare del più e del meno,
a dar
l’impressione di pensare ad altro... I
giorni passavano
e pian piano lui riuscì a convincere un
po’ tutti che era
vero, sì, Lysander era morto, ma il tempo per le lacrime era
finito,
ed era giunto il momento di fingere e ricominciare ad essere quelli
di prima.
Benjamin
e Nathaniel, irritati da quel comportamento, cominciarono ad
allontanarsi; Hansel e Suzie invece, conoscendo la
personalità
dell’amico da tempo, si avvicinarono un po’ di
più al capire
cosa passasse per la sua testa: forse bisogno di solitudine, di
rimettersi insieme un pezzetto per volta, forse bisogno di rifugiarsi
nei ricordi ancora per un po’, senza nessuno che potesse
distrarlo.
In ogni caso, gli lasciarono più spazio; Lorcan raggiunse il
suo
obiettivo.
2.
4
Lily
era sdraiata, il ginocchio destro racchiuso tra le cosce umide di
Tom, la gamba sinistra intrappolata nel lenzuolo blu.
Il
suo corpo morbido toccava in più punti quello definito del
ragazzo,
eppure non vi si fondeva mai. Allungò il braccio, ormai
segnato
dalle pieghe della maglietta sul quale era appoggiato, e con
l’indice
ripassò i solchi sul petto di Tom. Era così
diverso da… No, non
doveva pensarci.
Aprì
gli occhi, fingendo indifferenza. In quei giorni si sentiva
così
strana, così distante... Guardò il bellissimo
ragazzo sdraiato
ancora nudo di fronte a sé, il ragazzo che non avrebbe mai
amato, si
riaggiustò la maschera esteriore e si sforzò di
sorridere.
Non
era amore quel letto tiepido, non era amore quel corpo solido, eppure
passare
le serate con Tom solitamente non le dispiaceva. Quel giorno invece,
avrebbe solamente voluto rivestirsi il più in fretta
possibile e
andarsene via.
Si
sentiva malinconica, e quella sensazione la infastidiva. Non poteva,
si ripeteva, sentirsi così per una persona che conosceva a
malapena;
non era come se fosse morto, che so, Al, o James, o uno dei suoi
genitori. Era solo Lysander, eppure ciò che la seccava di
più era
pensare che quello che per lei era solo Lysander, per qualcuno
potesse essere una persona importante. Insomma, saperlo.
Lily
si inumidì le labbra, sovrappensiero, e baciò
Tom: prima sulla
fronte e poi sulle labbra. La porta della stanza cigolò
aprendosi,
rumore, parole, ecco rientrare i
compagni di stanza del
suo ragazzo. Con un’occhiata veloce Lily controllò
che le tende
attorno al letto fossero ancora serrate, poi mosse il ginocchio
destro fino al sesso ormai molle di Tom, facendolo gemere. Sorrise,
ignorando il malumore, e lo baciò ancora una volta.
“Mi
farai morire...” mugugnò Tom, perdendosi nello
sguardo lascivo
della ragazza, che, senza smettere di guardarlo, ghignando, si
tirò
su a sedere sul letto, pronta a rassettarsi.
Se
ne sarebbe andata senza destare alcuno scalpore: dopotutto i compagni
di Tom erano ormai rientrati, e lei non aveva di certo
l’abitudine
di restare a dormire dal suo ragazzo, anzi, a dirla tutta non aveva
mai condiviso l’intimità del sonno con nessuno. I
sogni,
pensava, rendono vulnerabili. E lei voleva essere
forte.
A
volte però non sono i sogni a renderci deboli, ma quelle
emozioni
che ci rifiutiamo di ammettere ad alta voce.
Indossare
una maschera le pesava, eppure le dispensava l’importanza che
aveva
sempre bramato. Finalmente il rispetto, l’invidia,
l’ammirazione...
e persino l’odio... tutti quei sentimenti non erano
più rivolti ad
un cognome, ma a un nome: Lily Luna. E lei con orgoglio accettava il
suo nuovo destino da protagonista.
Fu
andando contro la sua stessa logica che Lily, una volta raggiunta la
sala comune di Corvonero, si fermò ad osservare
l’unica figura
presente, quella che la tormentava da giorni.
Lorcan,
a sua volta, notò la silhouette estranea ma nota della
minore dei
Potter, e i suoi occhi titubanti, discreti ma curiosi, che lo
osservavano con un vago imbarazzo e un ancor più vago timore.
Mille
pensieri, mille calcoli, mille contraddizioni si agglomeravano nella
mente della più giovane, che avrebbe soltanto voluto
voltarsi,
alzare le spalle e andarsene via, eppure Lily continuava a restare e
a fissare Lorcan con sguardo perso.
“Mi
dispiace così tanto...” riuscì
finalmente a proferire dopo troppi
secondi, avvicinandosi al ragazzo e al sofà sul quale era
seduto,
“so che non serve a nulla, purtroppo non posso cambiare il
passato…
Però ho dei fratelli, posso immaginare come ti senti, e non
so cosa
fa-”
“Non
devi fare nulla”, la interruppe Lorcan con un sussurro
asciutto, “e
poi non puoi capire, non puoi immaginare quello ch-”, la sua
voce
si spezzò, “ed è meglio
così.”
“Lo
so.”
“...Aveva
una cotta per te”, le riferì poi dopo alcuni
istanti di quiete,
“non so se avrebbe voluto che tu lo sapessi ma…
dopo quello che è
successo a maggio ha continuato a pensarti...”
Lily
non si infastidì nello scoprire che Lysander non aveva
tenuto la
loro avventura segreta, forse perché aveva capito che era
stata
semplicemente una confessione fraterna, forse perché stava
già
pensando alla mano di Lorcan, posata tra le sue cosce a dimostrazione
di un desiderio inesprimibile, che sapeva di proibito, ma nonostante
tutto condiviso.
Ognuno
aveva le proprie ragioni per ricercare quel contatto: Lorcan voleva
poter provare le sensazioni già vissute dal fratello,
trasformarsi
in lui per un momento, per ritrovare quel legame che lentamente, lo
sentiva, si stava affievolendo, Lily invece voleva illudersi che
fosse ancora maggio, dimenticare tutto il resto, e tornare a quando
aveva imparato a toccare i suoi
primi corpi
estranei, tornare a quelle prime
iniziative timide come la
mano di Lorcan tra le sue cosce.
Quella
mano e quel desiderio straziante vinsero qualunque giudizio,
qualunque logica: dimenticarono il luogo, le più banali
accortezze,
e cedettero ai loro istinti e pulsioni.
La
sala era fredda e vuota; il coprifuoco già scoccato. E i
loro corpi
bollenti si cercavano, si trovavano, si fondevano – a far da
testimone il firmamento soltanto, che dalle ampie vetrate sembrava
inondare la stanza. Con gli occhi lucidi volti al passato si
osservavano, senza far caso a null’altro, e il presente si
legava
ai ricordi, rendendoli vivi per solo un istante. Veri. Un
istante.
Serenità e malinconia, sensazioni opposte ma
indissolubilmente
legate, si alternavano in una danza di fluidi nella quale sudore e
lacrime malamente represse reggevano il gioco. Paura e mancanza,
sicurezza e passione, impeti e slanci – tra labbra, tra
fianchi,
tra sguardi.
Ma
un rifugio precario non può durare per sempre, e fuori
imperversava
tempesta.
2.
5
Le
giornate si rincorrevano; la routine era di nuovo sul trono,
riconosciuta sovrana del giorno – quasi da tutti.
Lysander
era ormai per Lily un pensiero lontano, relegato alle riflessioni
notturne, e così Lorcan, il suo errore; ogni volta che lo
incontrava
travestiva la vergogna di indifferenza e lo osservava, troppo
vanitosa per evitare il suo sguardo, troppo imbarazzata per mostrare
nuovamente se stessa, parlare, spiegare.
Le
capitava in Sala Grande, soprattutto, di vederlo. E anche quella sera
lo guardava, mentre Scopius guardava lei, e lui chiacchierava con
Suzie, e Ileen parlava, parlava, parlava del nuovo lavoro di gruppo
che avrebbero svolto con Grace, e Madalynn Nott si inventava
l’ennesima dieta – l’ultima
cosa di cui, così pelle
e ossa, avresti bisogno,
pensava Lily, che però
poi sempre approvava le pazze idee dell’amica-rivale:
“Sì,
mi sembra un buon piano d’azione, Mad”, convenne
infatti, “e
Ileen, ormai persino i professori avranno sentito quanto sei
entusiasta del tuo nuovo gruppo di lavoro, forse è ora di
darci un
taglio, eh?”
Ed
ecco quegli occhi tristi posarsi finalmente su di lei, ed eccolo
abbozzare un sorriso stanco, tirato, imbarazzato, ma pur sempre un
sorriso – ricambiato.
Come
per un riflesso involontario.
Allo
stesso tavolo, poco distante dal gruppetto delle ragazze del quinto
anno, sedeva Benjamin Roberts, la forchetta immobile tra
l’indice e
il medio, la mano sinistra ad accompagnare, ancora una volta, il
bicchiere alle labbra.
Nonostante
continuasse a bere, aveva l’impressione che la gola gli
diventasse
sempre più secca, così arida da fargli mancare il
respiro.
“Sarà
la folla… sarà il rumore...”
pensò, sapendo di sopportare ben
poco, in quel periodo.
Poi
però arrivarono i crampi allo stomaco, presto violenti, e
Ben
ripensò alla morte di sua zia e a sua madre che per un anno,
da
allora, non aveva fatto altro che ammalarsi di continuo.
“Somatizzazione del dramma,”
si
disse, “non può essere altro.”
Nathaniel,
inconsapevole dello stato dell’amico, continuò a
mangiare
l’arrosto speziato servito quella sera, senza porsi troppe
domande
nemmeno quando Ben gli annunciò che se ne tornava in camera:
erano
abituati a ritirarsi presto, la gente era sempre di troppo, e le
lacrime si versavano soli.
Anche
per quello ultimamente le parole tra loro si erano ridotte al minimo:
il mondo sensibile aveva come perso importanza, da… allora.
Quando
un ragazzo, dal tavolo dei Tassorosso, venne portato in infermeria
accusando gli stessi dolori di Ben, Nathaniel non si
allarmò. Se ne
avesse saputo qualcosa, forse l’avrebbe fatto.
In
ogni caso, a quel punto, qualunque azione sarebbe stata inutile. Il
futuro era già scritto.
NOTE:
Ciao a tutti e grazie per essere arrivati fin qui.
Mi dispiace aver fatto passare tutto questo tempo prima di aggiornare,
purtroppo però non è stato un anno facile.
Come sappiamo i tempi non sono dei migliori un po' per tutti,
in aggiunta alla pandemia ho avuto però anche dei problemi
personali, abbastanza risolti, e problemi familiari, che invece
andranno avanti ancora per un po'... Insomma, non ho avuto proprio la
testa per scrivere, infatti questo capitolo è stato scritto
un po' a febbraio del 2020, e un po' tra febbraio e marzo del 2021...
Lo so, un disastro!
Purtroppo non posso promettere di riuscire a fare aggiornamenti
costanti, ma non lascierò la storia incompiuta, è
un mio obbiettivo finirla, e ho già la scaletta degli
avvenimenti bella pronta... devo solo trovare il momento e la calma per
scriverla.
Spero che a qualcuno piaccia, e nel caso ci siano errori, orrori, o
cose che non vi piacciono, sentitevi liberi di farmelo sapere: scrivo
per migliorare e ogni consiglio è utile! Se volete, fatemi
anche sapere se la storia vi sta piacendo, mi sarebbe utile per capire
se sto andando nella direzione giusta.
Ancora grazie a tutti... e spero che la storia stia cominciando ad
appassionarvi!
|