Capitolo cinque: Nel quale si
canta e si dipinge
Kim
“Forse dovrei dirti una cosa” dissi a Rob mentre,
stretta al suo petto, mi accarezzava i capelli.
“Cioè?”.
“Secondo te questa è, tipo, la storiella estiva di
due persone che si annoiano? Guarda che devi dire la verità,
non devi dire di no solo per farmi piacere” dissi alzandomi
sui gomiti.
Ci pensai davvero. Ci pensai per diverso tempo. Alla fine giunsi alla
conclusione: “No. Non direi proprio. Non dico di essere
innamorato di te, però mi piaci. Tanto. Potrei innamorarmi,
anche se questo mi è capitato una volta sola in tutta la
vita”.
Presi fiato. Questa cosa non l’avevo detta a nessuno tranne
che ai più cari amici, e ovviamente anche la famiglia lo
sapeva. “Ho fatto la mia lista l’altro giorno,
appena dopo aver finito di fare degli esami. Dovranno darmi il
risultato fra” contai sulle dita, “cinque giorni
ancora”.
Robert si era fatto serio. Non capiva ancora quello che dicevo, ma con
una premessa del genere non poteva che essere una cosa brutta.
“Ho fatto quella lista” deglutii, ricacciando sul
fondo dello stomaco un groppo che mi si era incastrato in gola
“nel caso i risultati degli esami siano stati, insomma,
pessimi. Ora … se mi dici che quello che abbiamo fatto non
è stata una cosa così, allora
…”.
“No. No non lo è stata” disse Robert
mettendosi seduto di scatto. Mi coprii con la coperta e mi sporcai un
po’ di sabbia. Mi sentivo il cuore in gola.
“Non è vero che devo andare a vivere fuori New
York” dissi guardandolo negli occhi. “Ho il
cancro”.
Rob
Non riuscivo a parlare. Non riuscivo nemmeno a capire di cosa stavamo
parlando.
Il mio cuore aveva smesso di battere per un po’. Le mie
viscere erano sparite, mi sentivo svuotato di tutto. Senza cuore, senza
stomaco, senza cervello. Solo un guscio.
“Che cosa?” chiesi, e tutto mi ritornò
dentro con violenza.
“Non farmelo ripetere” disse Kim. Ovviamente non
avrei voluto risentirlo.
Restammo in silenzio.
Ma perché appena trovavo qualcuno con cui volevo stare, con
cui mi trovavo bene, doveva succedere questo? Significava che
c’era poco tempo? Probabilmente Dio non mi amava. Mi aveva
dato qualcosa di bello, qualcosa per cui valeva veramente la pena
svegliarsi la mattina, e me lo portava via così, subito.
Come dandomi un assaggio di dolce per poi strapparmelo dalle mani.
Presi una decisione. Forse per me, per il puro egoismo di poter stare
ancora con Kim. Forse per lei, per aiutarla.
Mi alzai, cercando maglietta e pantaloni. Kim mi osservava in silenzio,
vagamente dispiaciuta. “Non fare quella faccia.”
dissi, “Guarda, è l’alba. Non volevi
camminare sulla spiaggia all’alba?” chiesi
risoluto. Volevo essere naturale. Certo, non potevo fare finta che non
fosse successo nulla, ma non volevo sprecare un attimo. Mi inginocchiai
di fronte a Kim. “Non perdiamo tempo, ok?” dissi
guardandola negli occhi. Tutti e due sapevamo bene a che cosa mi
riferivo ma preferivamo non dirlo ad alta voce.
“D’accordo” disse lei sorridendo.
Era l’alba. Camminammo lungo la riva osservando il sole, che
si rifletteva sull’acqua dell’oceano. Era un
momento di calma apparente. Sembrava che non dovesse succedere nulla di
più. In effetti era già successo di tutto.
La calma dopo la tormenta. Era qualcosa di surreale.
“Come … quando l’hai
scoperto?” chiesi con una voce strana.
“E’ stato cinque anni fa” disse Kim come
se stesse parlando di quando era andata a comprare la frutta al
mercato. “Quando mi sono ammalata a casa c’erano
solo mio fratello e mio padre. In realtà io abito in
America, sono venuta qui solo sotto consiglio del mio medico, tipo
… più di un anno fa. Ho fatto una cura e sono
quasi guarita ma il cancro si potrebbe sempre presentare di nuovo. Gli
esami li ho fatti per vedere se è guarito del tutto. Mi
hanno chiaramente detto che se la malattia c’è
ancora potrei … avere poco tempo”.
“Ma … forse un’altra cura. Hai detto che
sei quasi guarita” azzardai.
“Si lo so. Ma non mi va di fare un’altra
chemio”. Alla parola chemio
sussultai. Sembrava peggiore la malattia se si parlava di chemio. Kim
continuò imperterrita: “Piuttosto di stare sempre
negli ospedali e non guarire mai preferisco stare fuori, anche se per
poco, e fare quello che voglio io”.
“Vivere la vita è quello che dobbiamo fare in
fondo. Forse è una scelta giusta” dissi molto
filosoficamente.
“Ma chi sei, Aristotele? Da dove ti escono?”.
“Dal …” cominciai, ma Kim mi
fermò.
“Zitto. Non dirlo. Rovineresti l’alba”
disse schiacciandomi una mano sulla bocca.
Kim
“E ora cosa facciamo?” chiese Robert.
“Ora gli insegniamo il tuo nome” dissi cercando di
accarezzare sulla testa il pappagallino.
“Perché il mio?”.
“E’ più corto” dissi
eloquentemente.
“Potremmo insegnargli a dire solo Kim, o Rob”.
“Vediamo” dissi inginocchiandomi per trovarmi alla
stessa altezza del pennuto. Mi guardava in modo intelligente, di sicuro
sarebbe riuscito a capire subito di cosa parlavamo.
Eravamo in uno zoo. Io non ci ero mai stata a causa delle cure, ma era
sempre stato un mio sogno fin da bambina e, ovviamente, dovevo farlo
prima o poi. Appena glielo avevo detto Robert si era ingegnato per
trovare uno zoo il più vicino possibile. In quel momento
eravamo lì, di fronte ad un pappagallo colorato, e volevamo
insegnargli i nostri nomi.
“Kim” dissi al pappagallo. Quello non
profferì parola, né diede segno di aver capito
alcunché. “Dove ce le hanno le orecchie i
pappagalli? Io non gliele vedo”.
“Le avrà più o meno dove le abbiamo
noi” disse Robert abbassandosi a osservare
l’animale, che piegò di scatto la testa.
“Non è detto. Le cavallette le hanno
sull’addome” dissi.
“Ma di sicuro lui no”.
“Riproviamo. Kim!” esclamai. Il pappagallo si
rifiutava. Ci prendeva in giro osservandoci con un vago sorriso e
sfidandoci a farlo parlare. Pensava di essere al sicuro solo
perché fra noi e lui c’era una gabbia.
“Rob!” tentò Robert.
“Rob” dissi io. “Rob, Kim. Kim,
Rob!”.
“E dai!” esclamò Robert. “Non
è così difficile. Parla … ok, che cosa
vuoi in cambio?”.
“Vive in uno zoo, ha tutto quello che gli serve”
obbiettai.
“Ha uno sguardo troppo intelligente per essere un pappagallo.
Di sicuro vorrà qualcosa da noi” disse Rob
guardando malevolmente il pennuto che, per tutta risposta, fece
schioccare il becco.
Riprovai: “Rob!”.
E Robert disse: “Kim!”.
Quindi, ormai arresosi al nostro comando, egli parlò:
“Rob! Kim!” disse con voce gracchiante. Dopo due
secondi: “Rob! Kim!”.
“Si!” esclamai voltandomi verso Robert. Lui mi
diede un grosso bacio sulla bocca e sorrise. Restammo ancora un
po’, finché il pappagallo non disse:
“Rob! Ha un pooorro sul naso! Rob!”. Quindi Robert
si volle allontanare.
“Era carino” obbiettai mentre lui mi trascinava via.
Visitammo tutto lo zoo e comprammo in due una porzione maxi di zucchero
filato rosa.
La gabbia più bella era quella della tartaruga che si
chiamava Mzee. Era australiana e stava nella gabbia con un cucciolo di
ippopotamo che aveva perso la mamma, e ora erano diventati amici. Tutte
queste cose ce le disse il custode. Se portavano via Mzee il cucciolo
si arrabbiava e non mangiava più, così avevano
deciso di lasciarli assieme.
“Da grande lavorerò in uno zoo” dissi
convinta.
“Starai in una gabbia?” mi chiese Rob.
“Sarebbe anche meglio di quello che spero io. Tipo in quella
di Mzee, o delle tartarughe marine”.
“Io starei in quella degli elefanti”.
“Ti piacciono gli elefanti?” chiesi.
“Veramente mi piacciono di più le pantere, ma non
starei mai in gabbia con loro. Per … ovvi motivi”
precisò Robert.
“Se gli elefanti sapessero che sono solo un ripiego si
arrabbierebbero a morte con te”.
“Non glielo dire allora” disse lui cingendomi la
vita con una mano.
Tornammo a casa di Robert solo verso le quattro di pomeriggio. A
metà strada lui insistette per fermarsi in un colorificio e,
quando tornò indietro, aveva con sé diversi
fogli, matite, pennelli, tempere, acquarelli, pastelli, di tutto!
“E’ per il disegno che mi hai promesso”
disse rispondendo al mio sguardo indagatore.
“D’accordo. Però così mi fai
venire voglia di disegnare” obbiettai.
“E tu disegna”.
“Farò il tuo ritratto, però poi ho
voglia di cercare un bel paesaggio e dipingerlo”.
“Ah come fanno vedere nei cartoni animati? I pittori francesi
coi baffetti, la maglietta a righe e il cappellino che dipingono per
strada?”.
“Esatto!” dissi io.
“E a che posto pensavi?” mi chiese mentre ci
avviavamo verso casa.
“Non ne ho idea. Però non credo che ci siano tanti
paesaggi qui in città, vero?”.
“Dovremmo uscire da Londra per trovare un paesaggio. Andare
in campagna. Però conosco un bel posto qui vicino, ti ci
porto. E’ vicino al fiume”.
“Ma è in piena Londra?”.
“Si però … non puoi capire
finché non lo vedi. Non ti fidi del mio giudizio
artistico?” chiese indignato.
Sorridendo dissi: “Mi fido”.
Quella sera Robert si sedette, in modo così semplice e
naturale, al tavolo della cucina. Aveva una mano poggiata sul legno del
tavolo e teneva con le dita il ritmo di una canzone che non conoscevo.
Con l’altra mano si sosteneva la testa, voltata verso di me.
Aveva un leggerissimo sorriso, quasi non si notava. Era ancora migliore
di quello della Monna Lisa. Dava luminosità al suo viso in
modo impercettibile però ero sicura che se non ci fosse
stato il suo volto sarebbe cambiato completamente.
“Non mi è venuto molto bene” commentai
quando ebbi finito. “Ho messo un paio di ombre solo su di te,
il resto è bianco”.
“Vediamo” disse allungando una mano. Gli porsi il
disegno. Restò a guardarlo per lungo tempo. “Ti
è venuto bene. Però pensavo che … sono
io ad avere bisogno di un ritratto tuo, non il contrario”.
“E’ come se ci fossi perché
l’ho fatto” protestai.
“Aspetta” dissi riprendendomi il disegno. Quando
glielo restituii ci avevo scritto in basso a destra il mio nome e una
dedica:
A Robert.
Grazie
per essere una persona così
diversa
e uguale a me.
Ricorda
di dimenticarmi
In
fretta.
Robert lesse. Poi si alzò e mi abbracciò.
“Anche con tutta la buona volontà …
sarebbe difficile dimenticarmi di te” disse stringendomi
così forte che avevo paura di sentire male.
“Il mio egocentrismo è molto felice”
dissi.
“Adoro il tuo egocentrismo” disse sciogliendo
l’abbraccio e sorridendo. “Tutti vogliono sempre
far vedere il loro lato migliore, però è meglio
non fingere”.
“Sai” dissi pensierosa, “credo che tu non
lo faccia. Non ne sono sicura, però mi sembri la persona
più sincera che abbia mai conosciuto. A parte dei vecchi
amici, forse”.
Robert mi condusse nella sua stanza, mentre il cane ci ballava fra i
piedi. “Ti piace?” chiese accendendo la luce.
“Carina. Hai un chitarra, suoni?” chiesi, vedendo
la chitarra classica poggiata in un angolo.
“Da un bel po’”.
“Posso sentire?”.
“Mi pare il minimo. Tu mi hai fatto un disegno,
dovrò pur ricambiare” disse prendendo lo strumento
e sedendosi sul letto. Io mi misi di fronte a lui.
Cominciò a pizzicare le corde in modo così calmo
che le note sembravano uscire da qualche altra parte. Chiusi gli occhi
e mi stesi. La melodia era così dolce che non ci si poteva
non rilassare. Il mondo era sicuramente fermo in quegli istanti. Tutti
stavano ascoltando. Come non avrebbero potuto? Improvvisamente, ma
così delicatamente che era perfetto, Robert
iniziò a canticchiare. Non erano parole, solo un suono
regolare proveniente dalla sua gola, talvolta grave, talvolta acuto.
Finì piano, come era iniziato.
Sentii la chitarra posata a terra e poi Robert, che si sdraiava accanto
a me e poggiava il viso al mio ventre.
Ad un tratto mi alzò la maglietta e cominciò a
darmi piccoli baci e morsetti.
“Credo seriamente che tu abbia qualche problema con il cibo
se tratti le tue fidanzate allo stesso modo di una bistecca”
dissi.
“Le altre no, solo tu. Hai un’aria
appetitosa”.
“Che doppio senso”.
“C’e l’ho messo apposta”
replicò lui. Si allungò lungo il letto e spense
la luce, per tornare a tormentare il mio corpo, ormai schiavo delle sue
carezze.
Rob
“Ecco qua” dissi indicando fieramente
l’albero.
“Wow, ma è bellissimo!” disse Kim
sorridendo e stringendo il cavalletto.
Eravamo sulle rive del Tamigi. Quello era un posto che mi piaceva
molto. Non c’era nulla nel raggio di un kilometro circa,
tranne questo ciliegio. Stava lì tutto solo accanto
all’acqua, però era molto suggestivo.
Kim cominciò a gironzolare per trovare
l’angolazione adatta per dipingere. Ero molto curioso di
sapere come sarebbe venuto il quadro. Forse non lo avrebbe dipinto
tutto in un giorno, anzi, probabilmente non lo avrebbe fatto,
però la curiosità mi uccideva.
Purtroppo c’era una cosa che dovevo fare.
“Io vado” dissi a Kim. Lei si voltò
verso di me. Improvvisamente lasciò a terra tutto quello che
aveva in mano e mi corse incontro. Mi si gettò addosso con
tale slancio che indietreggiai di almeno un metro. Mi scoccò
un bacio sulla guancia e poi se ne andò.
Rimasi per un secondo folgorato. Come uno scemo che non capisce nulla
mi arrampicai sulla strada, dove c’era Greg con la macchina
ad aspettarmi. Per la prima volta in tutto il tempo che lo conoscevo
lui sorrise e mi aprì la portiera.
“Dove la porto signore?” chiese una volta entrato,
tornato quello serio -e un po’ inquietante- di sempre.
“Alla prima libreria che trovi” dissi.
“D’accordo signore”, e mise in moto.
Credo che Greg fosse stato un agente della CIA, o magari
dell’FBI; forse mi faceva da autista solo come copertura. Ma
perché mi faccio i viaggi?
Comunque … fu più difficile di quanto pensassi.
Avevo dato un’occhiata alla lista di Kim e avevo visto il
titolo di un libro: Racconti
sparsi che ho trovato in soffitta. L’autore non
c’era scritto. Kim mi aveva raccontato che aveva iniziato a
leggerlo, poi l’aveva perso (solo lei poteva farlo). Quindi
mi ero messo alla ricerca del libro.
Ci misi più di un’ora e, quando lo trovai, ero
dall’altra parte della città. Lo feci incartare
dalla commessa e uscii dal negozio.
Appena messo piede fuori mi scontrai con qualcuno.
Tipico. Sempre a me succedono queste cose. Credo di essere
predestinato, o qualcosa del genere: se c’è
qualcosa di strano, come Kim, o di pericoloso, come mio padre
quand’è incazzato, state sicuri che mi
troverà. Devo fare molta attenzione quando cammino per la
strada, o forse sono solo paranoico.
“Kristen! Che ci fai qui?” dissi osservando meglio
la ragazza che mi stava di fronte.
“Ciao. Sono a casa di alcuni amici, per le vacanze”
disse lei stupita.
“Come stai? Da un po’ che non ci vediamo”
dissi raccogliendo una borsa che le era caduta nello scontro.
“Tutto bene, si. E tu?”.
Sbuffai. “Potrebbe andar meglio”.
“E’ successo qualcosa?” mi chiese
vagamente preoccupata e incuriosita.
“Mah, si … una tipa”. Non mi andava di
raccontare quello che era successo, in fondo erano affari di Kim.
“Ah” disse Kristen con un mezzo sorriso.
“Capito. E’ per lei?” chiese indicando il
libro impacchettato.
“Si” dissi passandomi una mano fra i capelli.
Recentemente mi accorgevo di quando lo facevo.
“Sai, mi ha telefonato Nikki, vuole che facciamo una specie
di rimpatriata prima di iniziare Eclipse. Avevo idea di chiamarti
appena tornata a casa” disse.
“E per quando?”.
“Nikki diceva domani sera. In una trattoria che conosce. Tu
vieni?”.
“Hemm …”
“Puoi portare anche … la ragazza dei tuoi
pensieri” disse.
“Posso? Non saremo solo noi?” chiesi.
“No, figurati. Ci saranno un po’ di persone in
effetti. Nikki ha detto a tutti di invitare qualcuno, se
vogliono”.
“Ah bene. Allora dove? A che ora?” mi informai.
“Ti spiego. E’ un posto un po’ complicato
da raggiungere …”.
Quando tornai erano quasi le cinque. Prima di arrivare chiamai Kim, per
essere sicuro che fosse ancora lì. La raggiunsi sulla riva
del fiume e osservai il dipinto. Praticamente c’era solo il
ciliegio dipinto a macchie nervose e veloci, e una piccola porzione di
fiume ed erba. Non era male.
“Hey ciao. Fa molto stile impressionista” dissi
apparendo dietro di lei e poggiandomi sulla sua spalla. “E a
te piace com’è venuto?”.
“Abbastanza. Lo sai, forse potrei considerare anche questo un
punto della lista”.
“Potresti?”.
“In realtà volevo fare tipo un murales, ma questo
è meglio”.
“Se va bene a te … ti ho preso un
regalo” dissi poggiandole sulle ginocchia il pacchetto.
“Wow grazie” disse. “Adoro spaccare la
carta” e così dicendo strappò
l’involucro colorato. “Cos’è?
Oh … bellissimo!” disse spalancando gli occhi.
“Grazie” mi disse voltandosi e dandomi un bacio.
“Figurati. Mi è ci è voluto un sacco
per trovarlo, sai? Dov’eri arrivata?”.
“Quasi a metà” disse.
In macchina, con l’agente Greg, Kim cercò il punto
del libro dov’era rimasta. Speravo che sarebbe riuscito a
finirlo.
“Ah, a proposito” dissi ricordandomi
improvvisamente di Kristen. “Mi hanno invitato ad una cena,
domani sera. Andiamo?”.
“E’ una cena per star del cinema?” chiese
Kim.
“Più o meno. Nel senso che ci saranno delle star
del cinema, però ci saranno anche altre persone”
chiarii.
“Ok, andiamo. Ci potrà essere qualcuno che
conosco?”.
“Non lo so. Forse potresti conoscere … Nikki
Reed?” tentai.
“Si! Si certo che la conosco! Ha fatto un film bellissimo, si
chiama Lords of Dogtown.
E’ un film …”
“L’ho visto” la interruppi.
“Perché l’ha fatto la stessa regista che
diretto Twilight,
quindi ero curioso”.
“Davvero? Dovrò vederlo questo film: Twilight. Quando
è uscito sapevo che c’era, solo che tutti ne
parlavano allora lo odiavo”. Mi uscì un suono fra
una sbuffo e una risata. “Non puoi immaginare. Ovunque mi
girassi sentivo parlare di quello. Perciò mi sono rifiutata
di guardarlo”.
“B’è io non lo guarderò certo
con te. Sarebbe brutto guardare con qualcun altro un film dove ci sono
io. E poi faccio la parte di un morto vivente un po’
emo”.
“Ma non l’hai visto?” chiese lei
incredula.
“Si, ma solo alla prima. Poi basta” precisai.
Ed ecco svelato il misterioso
mistero! Allora, vi dico subito di non arrivare a conlusioni affettate:
ci sono buone probabilità di sopravvivenza come di ... morte
imminente! Mhuahahah! No, ok, che cattiva che sono.
Un paio di appunti: le cavalette hanno davvero le orecchie ai lati
dell'addome; Mzee la tartaruga e il cucciolo di ippopotamo
esistono davvero (solo che stanno in Australia mi pare, e l'ippopotamo
ha perso la madre nello tzunami avvenuto qualche anno fa, suppongo lo
ricordiate tutti).
Poi, qui vediamo Kim disegnare, non volevo che fosse un genio, quindi
diciamo solo che è molto brava a disegnare.
La parte che volevo tanto dire: Greg l'autista doveva essere solo una
comparsa, ma è tanto simpatico! XD
E infine, spero di non aver fatto arrabbiare qualche emo a bestia o
qualche Twilight fan convinto con la battuta del vampiro emo. E'
tutto.
Satyricon: grazie per i complimenti. Mi dispiace ma riguardo a Kim
è così, vedremo cosa accadrà in
seguito. Grazie mille comunque, ciao! ^^
ilachan89yamapi: che ne dici del Robert triste version, o Rob
che vuole corrompere il pappagallo? XD Grazie della recesione ^^
Xx_scritirce88_xX: ta-daaan! Il mistero è svelato. Spero di
non essere caduta nel banale o nel troppo triste, che dici?
Nymph: in effetti non ci vuole molta fantasia. Una lista di cose da
fare prima che accada qualcosa d'importante! Ma che cosa potrebbe
essere in una fic? XD Tanto così, per curiosità:
per la storia in generale mi sono ispirata ad un film molto bello con
Jack Nicholson e Morgan Freeman che si chiama Non è mai troppo tardi.
Grazie a tutti i lettori e chi ha messo la fic fra preferite e seguite
(siete così tanti *O*). Al prossimo capitolo,
Patty.
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