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Autore: PattyOnTheRollercoaster    28/08/2009    4 recensioni
Kim: quando conobbi Robert lui era solo un punto in più sulla mia lista. Il punto numero sei, se vogliamo essere precisi. Ma il corso degli eventi è stato leggermente diverso di come me l'ero immaginato. Tutto cominciò quando saltai sul sedile posteriore della sua limousine.
Rob: ultimamente mi capitano cose strane, e non mi fido più delle persone come una volta, quindi, lo ammetto, me la feci quasi addosso quando una ragazza s'intrufolò nella mia macchina. Ma è stato un bene, perchè dopo tanto casino, posso dirmi con sicurezza un uomo felice.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo cinque: Nel quale si canta e si dipinge

Kim
“Forse dovrei dirti una cosa” dissi a Rob mentre, stretta al suo petto, mi accarezzava i capelli.
“Cioè?”.
“Secondo te questa è, tipo, la storiella estiva di due persone che si annoiano? Guarda che devi dire la verità, non devi dire di no solo per farmi piacere” dissi alzandomi sui gomiti.
Ci pensai davvero. Ci pensai per diverso tempo. Alla fine giunsi alla conclusione: “No. Non direi proprio. Non dico di essere innamorato di te, però mi piaci. Tanto. Potrei innamorarmi, anche se questo mi è capitato una volta sola in tutta la vita”.
Presi fiato. Questa cosa non l’avevo detta a nessuno tranne che ai più cari amici, e ovviamente anche la famiglia lo sapeva. “Ho fatto la mia lista l’altro giorno, appena dopo aver finito di fare degli esami. Dovranno darmi il risultato fra” contai sulle dita, “cinque giorni ancora”.
Robert si era fatto serio. Non capiva ancora quello che dicevo, ma con una premessa del genere non poteva che essere una cosa brutta. “Ho fatto quella lista” deglutii, ricacciando sul fondo dello stomaco un groppo che mi si era incastrato in gola “nel caso i risultati degli esami siano stati, insomma, pessimi. Ora … se mi dici che quello che abbiamo fatto non è stata una cosa così, allora …”.
“No. No non lo è stata” disse Robert mettendosi seduto di scatto. Mi coprii con la coperta e mi sporcai un po’ di sabbia. Mi sentivo il cuore in gola.
“Non è vero che devo andare a vivere fuori New York” dissi guardandolo negli occhi. “Ho il cancro”.

Rob
Non riuscivo a parlare. Non riuscivo nemmeno a capire di cosa stavamo parlando.
Il mio cuore aveva smesso di battere per un po’. Le mie viscere erano sparite, mi sentivo svuotato di tutto. Senza cuore, senza stomaco, senza cervello. Solo un guscio.
“Che cosa?” chiesi, e tutto mi ritornò dentro con violenza.
“Non farmelo ripetere” disse Kim. Ovviamente non avrei voluto risentirlo.
Restammo in silenzio.
Ma perché appena trovavo qualcuno con cui volevo stare, con cui mi trovavo bene, doveva succedere questo? Significava che c’era poco tempo? Probabilmente Dio non mi amava. Mi aveva dato qualcosa di bello, qualcosa per cui valeva veramente la pena svegliarsi la mattina, e me lo portava via così, subito. Come dandomi un assaggio di dolce per poi strapparmelo dalle mani.
Presi una decisione. Forse per me, per il puro egoismo di poter stare ancora con Kim. Forse per lei, per aiutarla.
Mi alzai, cercando maglietta e pantaloni. Kim mi osservava in silenzio, vagamente dispiaciuta. “Non fare quella faccia.” dissi, “Guarda, è l’alba. Non volevi camminare sulla spiaggia all’alba?” chiesi risoluto. Volevo essere naturale. Certo, non potevo fare finta che non fosse successo nulla, ma non volevo sprecare un attimo. Mi inginocchiai di fronte a Kim. “Non perdiamo tempo, ok?” dissi guardandola negli occhi. Tutti e due sapevamo bene a che cosa mi riferivo ma preferivamo non dirlo ad alta voce.
“D’accordo” disse lei sorridendo.
Era l’alba. Camminammo lungo la riva osservando il sole, che si rifletteva sull’acqua dell’oceano. Era un momento di calma apparente. Sembrava che non dovesse succedere nulla di più. In effetti era già successo di tutto.
La calma dopo la tormenta. Era qualcosa di surreale.
“Come … quando l’hai scoperto?” chiesi con una voce strana.
“E’ stato cinque anni fa” disse Kim come se stesse parlando di quando era andata a comprare la frutta al mercato. “Quando mi sono ammalata a casa c’erano solo mio fratello e mio padre. In realtà io abito in America, sono venuta qui solo sotto consiglio del mio medico, tipo … più di un anno fa. Ho fatto una cura e sono quasi guarita ma il cancro si potrebbe sempre presentare di nuovo. Gli esami li ho fatti per vedere se è guarito del tutto. Mi hanno chiaramente detto che se la malattia c’è ancora potrei … avere poco tempo”.
“Ma … forse un’altra cura. Hai detto che sei quasi guarita” azzardai.
“Si lo so. Ma non mi va di fare un’altra chemio”. Alla parola chemio sussultai. Sembrava peggiore la malattia se si parlava di chemio. Kim continuò imperterrita: “Piuttosto di stare sempre negli ospedali e non guarire mai preferisco stare fuori, anche se per poco, e fare quello che voglio io”.
“Vivere la vita è quello che dobbiamo fare in fondo. Forse è una scelta giusta” dissi molto filosoficamente.
“Ma chi sei, Aristotele? Da dove ti escono?”.
“Dal …” cominciai, ma Kim mi fermò.
“Zitto. Non dirlo. Rovineresti l’alba” disse schiacciandomi una mano sulla bocca.

Kim
“E ora cosa facciamo?” chiese Robert.
“Ora gli insegniamo il tuo nome” dissi cercando di accarezzare sulla testa il pappagallino.
“Perché il mio?”.
“E’ più corto” dissi eloquentemente.
“Potremmo insegnargli a dire solo Kim, o Rob”.
“Vediamo” dissi inginocchiandomi per trovarmi alla stessa altezza del pennuto. Mi guardava in modo intelligente, di sicuro sarebbe riuscito a capire subito di cosa parlavamo.
Eravamo in uno zoo. Io non ci ero mai stata a causa delle cure, ma era sempre stato un mio sogno fin da bambina e, ovviamente, dovevo farlo prima o poi. Appena glielo avevo detto Robert si era ingegnato per trovare uno zoo il più vicino possibile. In quel momento eravamo lì, di fronte ad un pappagallo colorato, e volevamo insegnargli i nostri nomi.
“Kim” dissi al pappagallo. Quello non profferì parola, né diede segno di aver capito alcunché. “Dove ce le hanno le orecchie i pappagalli? Io non gliele vedo”.
“Le avrà più o meno dove le abbiamo noi” disse Robert abbassandosi a osservare l’animale, che piegò di scatto la testa.
“Non è detto. Le cavallette le hanno sull’addome” dissi.
“Ma di sicuro lui no”.
“Riproviamo. Kim!” esclamai. Il pappagallo si rifiutava. Ci prendeva in giro osservandoci con un vago sorriso e sfidandoci a farlo parlare. Pensava di essere al sicuro solo perché fra noi e lui c’era una gabbia.
“Rob!” tentò Robert.
“Rob” dissi io. “Rob, Kim. Kim, Rob!”.
“E dai!” esclamò Robert. “Non è così difficile. Parla … ok, che cosa vuoi in cambio?”.
“Vive in uno zoo, ha tutto quello che gli serve” obbiettai.
“Ha uno sguardo troppo intelligente per essere un pappagallo. Di sicuro vorrà qualcosa da noi” disse Rob guardando malevolmente il pennuto che, per tutta risposta, fece schioccare il becco.
Riprovai: “Rob!”.
E Robert disse: “Kim!”.
Quindi, ormai arresosi al nostro comando, egli parlò: “Rob! Kim!” disse con voce gracchiante. Dopo due secondi: “Rob! Kim!”.
“Si!” esclamai voltandomi verso Robert. Lui mi diede un grosso bacio sulla bocca e sorrise. Restammo ancora un po’, finché il pappagallo non disse: “Rob! Ha un pooorro sul naso! Rob!”. Quindi Robert si volle allontanare.
“Era carino” obbiettai mentre lui mi trascinava via.
Visitammo tutto lo zoo e comprammo in due una porzione maxi di zucchero filato rosa.
La gabbia più bella era quella della tartaruga che si chiamava Mzee. Era australiana e stava nella gabbia con un cucciolo di ippopotamo che aveva perso la mamma, e ora erano diventati amici. Tutte queste cose ce le disse il custode. Se portavano via Mzee il cucciolo si arrabbiava e non mangiava più, così avevano deciso di lasciarli assieme.
“Da grande lavorerò in uno zoo” dissi convinta.
“Starai in una gabbia?” mi chiese Rob.
“Sarebbe anche meglio di quello che spero io. Tipo in quella di Mzee, o delle tartarughe marine”.
“Io starei in quella degli elefanti”.
“Ti piacciono gli elefanti?” chiesi.
“Veramente mi piacciono di più le pantere, ma non starei mai in gabbia con loro. Per … ovvi motivi” precisò Robert.
“Se gli elefanti sapessero che sono solo un ripiego si arrabbierebbero a morte con te”.
“Non glielo dire allora” disse lui cingendomi la vita con una mano.
Tornammo a casa di Robert solo verso le quattro di pomeriggio. A metà strada lui insistette per fermarsi in un colorificio e, quando tornò indietro, aveva con sé diversi fogli, matite, pennelli, tempere, acquarelli, pastelli, di tutto!
“E’ per il disegno che mi hai promesso” disse rispondendo al mio sguardo indagatore.
“D’accordo. Però così mi fai venire voglia di disegnare” obbiettai.
“E tu disegna”.
“Farò il tuo ritratto, però poi ho voglia di cercare un bel paesaggio e dipingerlo”.
“Ah come fanno vedere nei cartoni animati? I pittori francesi coi baffetti, la maglietta a righe e il cappellino che dipingono per strada?”.
“Esatto!” dissi io.
“E a che posto pensavi?” mi chiese mentre ci avviavamo verso casa.
“Non ne ho idea. Però non credo che ci siano tanti paesaggi qui in città, vero?”.
“Dovremmo uscire da Londra per trovare un paesaggio. Andare in campagna. Però conosco un bel posto qui vicino, ti ci porto. E’ vicino al fiume”.
“Ma è in piena Londra?”.
“Si però … non puoi capire finché non lo vedi. Non ti fidi del mio giudizio artistico?” chiese indignato.
Sorridendo dissi: “Mi fido”.
Quella sera Robert si sedette, in modo così semplice e naturale, al tavolo della cucina. Aveva una mano poggiata sul legno del tavolo e teneva con le dita il ritmo di una canzone che non conoscevo. Con l’altra mano si sosteneva la testa, voltata verso di me. Aveva un leggerissimo sorriso, quasi non si notava. Era ancora migliore di quello della Monna Lisa. Dava luminosità al suo viso in modo impercettibile però ero sicura che se non ci fosse stato il suo volto sarebbe cambiato completamente.
“Non mi è venuto molto bene” commentai quando ebbi finito. “Ho messo un paio di ombre solo su di te, il resto è bianco”.
“Vediamo” disse allungando una mano. Gli porsi il disegno. Restò a guardarlo per lungo tempo. “Ti è venuto bene. Però pensavo che … sono io ad avere bisogno di un ritratto tuo, non il contrario”.
“E’ come se ci fossi perché l’ho fatto” protestai. “Aspetta” dissi riprendendomi il disegno. Quando glielo restituii ci avevo scritto in basso a destra il mio nome e una dedica:

A Robert.
Grazie per essere una persona così
diversa e uguale a me.
Ricorda di dimenticarmi
In fretta.

Robert lesse. Poi si alzò e mi abbracciò.
“Anche con tutta la buona volontà … sarebbe difficile dimenticarmi di te” disse stringendomi così forte che avevo paura di sentire male.
“Il mio egocentrismo è molto felice” dissi.
“Adoro il tuo egocentrismo” disse sciogliendo l’abbraccio e sorridendo. “Tutti vogliono sempre far vedere il loro lato migliore, però è meglio non fingere”.
“Sai” dissi pensierosa, “credo che tu non lo faccia. Non ne sono sicura, però mi sembri la persona più sincera che abbia mai conosciuto. A parte dei vecchi amici, forse”.
Robert mi condusse nella sua stanza, mentre il cane ci ballava fra i piedi. “Ti piace?” chiese accendendo la luce.
“Carina. Hai un chitarra, suoni?” chiesi, vedendo la chitarra classica poggiata in un angolo.
“Da un bel po’”.
“Posso sentire?”.
“Mi pare il minimo. Tu mi hai fatto un disegno, dovrò pur ricambiare” disse prendendo lo strumento e sedendosi sul letto. Io mi misi di fronte a lui.
Cominciò a pizzicare le corde in modo così calmo che le note sembravano uscire da qualche altra parte. Chiusi gli occhi e mi stesi. La melodia era così dolce che non ci si poteva non rilassare. Il mondo era sicuramente fermo in quegli istanti. Tutti stavano ascoltando. Come non avrebbero potuto? Improvvisamente, ma così delicatamente che era perfetto, Robert iniziò a canticchiare. Non erano parole, solo un suono regolare proveniente dalla sua gola, talvolta grave, talvolta acuto. Finì piano, come era iniziato.
Sentii la chitarra posata a terra e poi Robert, che si sdraiava accanto a me e poggiava il viso al mio ventre.
Ad un tratto mi alzò la maglietta e cominciò a darmi piccoli baci e morsetti.
“Credo seriamente che tu abbia qualche problema con il cibo se tratti le tue fidanzate allo stesso modo di una bistecca” dissi.
“Le altre no, solo tu. Hai un’aria appetitosa”.
“Che doppio senso”.
“C’e l’ho messo apposta” replicò lui. Si allungò lungo il letto e spense la luce, per tornare a tormentare il mio corpo, ormai schiavo delle sue carezze.

Rob
“Ecco qua” dissi indicando fieramente l’albero.
“Wow, ma è bellissimo!” disse Kim sorridendo e stringendo il cavalletto.
Eravamo sulle rive del Tamigi. Quello era un posto che mi piaceva molto. Non c’era nulla nel raggio di un kilometro circa, tranne questo ciliegio. Stava lì tutto solo accanto all’acqua, però era molto suggestivo.
Kim cominciò a gironzolare per trovare l’angolazione adatta per dipingere. Ero molto curioso di sapere come sarebbe venuto il quadro. Forse non lo avrebbe dipinto tutto in un giorno, anzi, probabilmente non lo avrebbe fatto, però la curiosità mi uccideva.
Purtroppo c’era una cosa che dovevo fare.
“Io vado” dissi a Kim. Lei si voltò verso di me. Improvvisamente lasciò a terra tutto quello che aveva in mano e mi corse incontro. Mi si gettò addosso con tale slancio che indietreggiai di almeno un metro. Mi scoccò un bacio sulla guancia e poi se ne andò.
Rimasi per un secondo folgorato. Come uno scemo che non capisce nulla mi arrampicai sulla strada, dove c’era Greg con la macchina ad aspettarmi. Per la prima volta in tutto il tempo che lo conoscevo lui sorrise e mi aprì la portiera.
“Dove la porto signore?” chiese una volta entrato, tornato quello serio -e un po’ inquietante- di sempre.
“Alla prima libreria che trovi” dissi.
“D’accordo signore”, e mise in moto. Credo che Greg fosse stato un agente della CIA, o magari dell’FBI; forse mi faceva da autista solo come copertura. Ma perché mi faccio i viaggi?
Comunque … fu più difficile di quanto pensassi. Avevo dato un’occhiata alla lista di Kim e avevo visto il titolo di un libro: Racconti sparsi che ho trovato in soffitta. L’autore non c’era scritto. Kim mi aveva raccontato che aveva iniziato a leggerlo, poi l’aveva perso (solo lei poteva farlo). Quindi mi ero messo alla ricerca del libro.
Ci misi più di un’ora e, quando lo trovai, ero dall’altra parte della città. Lo feci incartare dalla commessa e uscii dal negozio.
Appena messo piede fuori mi scontrai con qualcuno.
Tipico. Sempre a me succedono queste cose. Credo di essere predestinato, o qualcosa del genere: se c’è qualcosa di strano, come Kim, o di pericoloso, come mio padre quand’è incazzato, state sicuri che mi troverà. Devo fare molta attenzione quando cammino per la strada, o forse sono solo paranoico.
“Kristen! Che ci fai qui?” dissi osservando meglio la ragazza che mi stava di fronte.
“Ciao. Sono a casa di alcuni amici, per le vacanze” disse lei stupita.
“Come stai? Da un po’ che non ci vediamo” dissi raccogliendo una borsa che le era caduta nello scontro.
“Tutto bene, si. E tu?”.
Sbuffai. “Potrebbe andar meglio”.
“E’ successo qualcosa?” mi chiese vagamente preoccupata e incuriosita.
“Mah, si … una tipa”. Non mi andava di raccontare quello che era successo, in fondo erano affari di Kim.
“Ah” disse Kristen con un mezzo sorriso. “Capito. E’ per lei?” chiese indicando il libro impacchettato.
“Si” dissi passandomi una mano fra i capelli. Recentemente mi accorgevo di quando lo facevo.
“Sai, mi ha telefonato Nikki, vuole che facciamo una specie di rimpatriata prima di iniziare Eclipse. Avevo idea di chiamarti appena tornata a casa” disse.
“E per quando?”.
“Nikki diceva domani sera. In una trattoria che conosce. Tu vieni?”.
“Hemm …”
“Puoi portare anche … la ragazza dei tuoi pensieri” disse.
“Posso? Non saremo solo noi?” chiesi.
“No, figurati. Ci saranno un po’ di persone in effetti. Nikki ha detto a tutti di invitare qualcuno, se vogliono”.
“Ah bene. Allora dove? A che ora?” mi informai.
“Ti spiego. E’ un posto un po’ complicato da raggiungere …”.
Quando tornai erano quasi le cinque. Prima di arrivare chiamai Kim, per essere sicuro che fosse ancora lì. La raggiunsi sulla riva del fiume e osservai il dipinto. Praticamente c’era solo il ciliegio dipinto a macchie nervose e veloci, e una piccola porzione di fiume ed erba. Non era male.
“Hey ciao. Fa molto stile impressionista” dissi apparendo dietro di lei e poggiandomi sulla sua spalla. “E a te piace com’è venuto?”.
“Abbastanza. Lo sai, forse potrei considerare anche questo un punto della lista”.
“Potresti?”.
“In realtà volevo fare tipo un murales, ma questo è meglio”.
“Se va bene a te … ti ho preso un regalo” dissi poggiandole sulle ginocchia il pacchetto.
“Wow grazie” disse. “Adoro spaccare la carta” e così dicendo strappò l’involucro colorato. “Cos’è? Oh … bellissimo!” disse spalancando gli occhi. “Grazie” mi disse voltandosi e dandomi un bacio.
“Figurati. Mi è ci è voluto un sacco per trovarlo, sai? Dov’eri arrivata?”.
“Quasi a metà” disse.
In macchina, con l’agente Greg, Kim cercò il punto del libro dov’era rimasta. Speravo che sarebbe riuscito a finirlo.
“Ah, a proposito” dissi ricordandomi improvvisamente di Kristen. “Mi hanno invitato ad una cena, domani sera. Andiamo?”.
“E’ una cena per star del cinema?” chiese Kim.
“Più o meno. Nel senso che ci saranno delle star del cinema, però ci saranno anche altre persone” chiarii.
“Ok, andiamo. Ci potrà essere qualcuno che conosco?”.
“Non lo so. Forse potresti conoscere … Nikki Reed?” tentai.
“Si! Si certo che la conosco! Ha fatto un film bellissimo, si chiama Lords of Dogtown. E’ un film …”
“L’ho visto” la interruppi. “Perché l’ha fatto la stessa regista che diretto Twilight, quindi ero curioso”.
“Davvero? Dovrò vederlo questo film: Twilight. Quando è uscito sapevo che c’era, solo che tutti ne parlavano allora lo odiavo”. Mi uscì un suono fra una sbuffo e una risata. “Non puoi immaginare. Ovunque mi girassi sentivo parlare di quello. Perciò mi sono rifiutata di guardarlo”.
“B’è io non lo guarderò certo con te. Sarebbe brutto guardare con qualcun altro un film dove ci sono io. E poi faccio la parte di un morto vivente un po’ emo”.
“Ma non l’hai visto?” chiese lei incredula.
“Si, ma solo alla prima. Poi basta” precisai.




Ed ecco svelato il misterioso mistero! Allora, vi dico subito di non arrivare a conlusioni affettate: ci sono buone probabilità di sopravvivenza come di ... morte imminente! Mhuahahah! No, ok, che cattiva che sono.
Un paio di appunti: le cavalette hanno davvero le orecchie ai lati dell'addome; Mzee la tartaruga e il cucciolo di ippopotamo esistono davvero (solo che stanno in Australia mi pare, e l'ippopotamo ha perso la madre nello tzunami avvenuto qualche anno fa, suppongo lo ricordiate tutti).
Poi, qui vediamo Kim disegnare, non volevo che fosse un genio, quindi diciamo solo che è molto brava a disegnare.
La parte che volevo tanto dire: Greg l'autista doveva essere solo una comparsa, ma è tanto simpatico! XD
E infine, spero di non aver fatto arrabbiare qualche emo a bestia o qualche Twilight fan convinto con la battuta del vampiro emo. E' tutto.

Satyricon: grazie per i complimenti. Mi dispiace ma riguardo a Kim è così, vedremo cosa accadrà in seguito. Grazie mille comunque, ciao! ^^

ilachan89yamapi: che ne dici del Robert triste version, o Rob che vuole corrompere il pappagallo? XD Grazie della recesione ^^

Xx_scritirce88_xX: ta-daaan! Il mistero è svelato. Spero di non essere caduta nel banale o nel troppo triste, che dici?

Nymph: in effetti non ci vuole molta fantasia. Una lista di cose da fare prima che accada qualcosa d'importante! Ma che cosa potrebbe essere in una fic? XD Tanto così, per curiosità: per la storia in generale mi sono ispirata ad un film molto bello con Jack Nicholson e Morgan Freeman che si chiama Non è mai troppo tardi.

Grazie a tutti i lettori e chi ha messo la fic fra preferite e seguite (siete così tanti *O*). Al prossimo capitolo,
Patty.
   
 
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