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Spingendo il carrello pieno di buste, raggiunse la macchina e
aprì il bagagliaio per caricare la spesa. Il sole era
tramontato
e i commessi avevano cominciato ad abbassare le saracinesche del
supermercato già mentre lei era in fila alla cassa. Il
responsabile del turno serale stava ultimando i conteggi e la chiusura.
Sul piazzale erano rimaste pochissime vetture, gli ultimi clienti
depositavano gli acquisti nel bagagliaio e a poco a poco lasciavano il
grande parcheggio.
-Peter, vai a rimettere a posto il carrello?-
Il bimbetto annuì. Finì di ordinare con
meticolosa
precisione i giocattoli che la mamma gli aveva comprato e si
aggrappò al carrello. Era molto più alto di lui
ma Peter
si divertiva un mondo a riportarlo a posto. Si dava la spinta puntando
a terra i piedini, si aggrappava alla barra e si lasciava trasportare,
mentre le ruote giravano a casaccio, prendendo sempre la direzione
opposta a quella in cui doveva andare. Così ci metteva un
tempo
infinito e alla fine sua madre era costretta ad andarlo a recuperare.
Sollevò la figlia dal seggiolino e si strinse al petto quel
frugoletto di un anno e mezzo. Joy emise un gridolino entusiasta e lei
indugiò a spupazzarla. Sentiva Peter che, alle sue spalle,
guidava il carrello verso il punto di raccolta imitando con cupi
borbottii il rumore del motore di una macchina. Il parcheggio era ormai
vuoto, non correva nessun pericolo e lei lo lasciò giocare.
I lampioni del piazzale si accesero mentre apriva la portiera
posteriore. Posò la borsa sul sedile e tenendo Joy stretta a
sé, scostò peluche e cuscini che
l’irrequietezza di
Peter aveva fatto finire dappertutto. Udiva poco distanti il suo
borbottio e le sue risate. La sua allegria e la sua voglia di giocare
erano inesauribili. Si volse a cercarlo, lo vide infilare il carrello
negli altri. Allora si chinò per sistemare la bimba sul
seggiolino. Joy si lasciò solleticare il pancino e rise,
scaldandole il cuore con i suoi gorgoglii infantili. Era bellissima
quando rideva, le fossette spuntavano sulle guance piene e profumate di
latte.
-Mammi!-
L’urgenza del grido la fece scattare. Si tirò su e
si volse.
Vicino al ciglio della statale erano comparse tre grandi motociclette.
O forse erano già lì, perché non le
aveva sentite
arrivare. Semplicemente non le aveva notate. E Peter era finito
chissà come al centro dell’attenzione di un gruppo
di
giovani, radunati intorno a lui sotto il cono di luce di un lampione
che si accese giusto in quell’istante. Capelli sparati in
aria
dal gel, borchie di metallo attaccate agli abiti, collari e bracciali,
giacche di pelle nera, jeans, anfibi: la quintessenza di un manipolo di
teppisti. Uno di loro lo teneva per un braccio. Tutti erano voltati
verso di lei e tutti sorridevano. Si sentì rabbrividire
mentre
tornava a posare gli occhi su suo figlio. Peter non piangeva ma cercava
di divincolarsi da chi lo teneva stretto. Sembrava più
incollerito che impaurito e mostrava a quei brutti ceffi il suo
coraggio dando calci e pugni scatenati.
-Stavi dimenticando qualcosa, bambolina!-
L’uomo che stringeva il polso di Peter alzò di
colpo il
braccio. Il bambino fu sollevato in aria, appeso per la mano. Lei
sbiancò.
-Lascialo! Gli fai male!-
Peter non fiatò, ma l’espressione sofferente sul
visetto
fu fin troppo eloquente. La ragazza si guardò intorno in
cerca
di aiuto. Invano. Il parcheggio era deserto, nessuno sarebbe accorso a
soccorrerla, avrebbe dovuto cavarsela da sola.
Si chinò nell’abitacolo, slacciò la
cinghia del
seggiolino e sollevò Joy tra le braccia. La bimba
gridò
entusiasta a quell’improvviso cambio di programma. Sua madre
non
fu per niente sicura che fosse un bene portarla con sé, ma
non
si fidava neppure a lasciarla in macchina da sola. Afferrò
anche
la borsetta, forse sarebbe bastato offrire a quei tizi qualche migliaio
di yen per pagarsi la birra e se ne sarebbero andati per la loro
strada. Quando si tirò di nuovo su, si accorse che Peter era
tornato a posare i piedi a terra. In definitiva erano tre contro tre,
anche se a spalleggiare lei c’erano soltanto i suoi figli,
rispettivamente di un anno e mezzo e di quattro.
Avanzò verso il gruppo, coltivando la speranza di riuscire a
recuperare Peter e filarsela nel modo più indolore
possibile.
Fissò negli occhi il teppista che lo teneva e
deglutì
prima di parlare. Voleva evitare di mostrarsi intimorita
perché
la paura non l’avrebbe aiutata ma la sua voce
tremò lo
stesso.
-Cosa vuoi da lui? È solo un bambino.-
-Infatti il bambino non ci interessa.- mollò la presa e
spinse il ragazzino verso di lei.
Peter la raggiunse, si aggrappò ai suoi jeans e alla
camicia.
Lei gli accarezzò rassicurante la testolina, gli
sussurrò
di scappare alla macchina e lo spinse via. Dopodiché si
volse e
prese a correre dietro di lui, Joy aggrappata così
strettamente
ai capelli da farle male. I tre teppisti gridarono,
dopodiché
reagirono.
Lei riuscì a guadagnare soltanto qualche metro, poi venne
raggiunta e afferrata per la vita in modo così brusco da
toglierle il fiato. Perse l’equilibrio e strinse di
più
Joy, che protestò con un gridolino. La presa
dell’uomo le
impedì di cadere. Lui la tirò indietro e gli
cadde
addosso, le spalle contro catene e catenelle che gli pendevano dal
collo. Il volto del teppista si insinuò tra suoi i capelli,
intriso dell’odore di fumo e di alcol. Il tanfo la
disgustò. Passò Joy sull’altra spalla
per tenerla
il più lontano possibile da quell’individuo.
Poi prese a gridare.
-Toglimi le mani di dosso! Lasciami immediatamente!- afferrò
con
la mano libera il braccio che la stringeva e tentò di
liberarsi
affondando le unghie nel giubbotto di pelle -Cosa vuoi da me?-
-Mammi!-
Peter le fu di nuovo accanto. Sentì le sue manine sulle
gambe.
Il bambino era tornato da lei in un ingenuo tentativo di difenderla. Ma
cosa poteva fare contro quei brutti ceffi?
Aveva sperato che almeno lui fosse al sicuro nella macchina e lo
sgomento di rendersi conto che purtroppo non era così fu
tale da
paralizzarla. Poi si sentì strappare Joy dalle braccia. Uno
dei
teppisti indietreggiò con la bambina, mentre
l’altro le
afferrò i polsi e la immobilizzò per impedirle di
riprendersela.
-Su, non fare storie, bellezza! Ci divertiamo un po’ insieme
e poi ti lasceremo andar via.-
L’espressione gioiosa della piccola mutò
all’istante. Scoppiò a piangere e a gridare
disperata,
assordandoli tutti con gemiti acuti.
A Joy non piaceva chi la teneva, non piaceva la puzza che sentiva.
Voleva tornare dalla mamma e tendeva le braccia paffute verso di lei,
le manine si agitavano nell’aria, i lacrimoni le rotolavano
sulle
guance. Avrebbe intenerito chiunque con un po’ di cuore. Quei
ceffi invece neppure la guardavano, ridevano e se la passavano come se
fosse una palla.
La giovane si dimenò dalla stretta del teppista.
-Stai buona, tesorino. È meglio per tutti, lo sai?-
-Vigliacchi, restituitemi mia figlia!-
-Mammi!-
Continuarono a ridere, Joy a piangere, Peter a chiamarla e
quell’energumeno che la teneva a sussurrarle proposte oscene
nelle orecchie. A un certo punto perse Joy di vista, udì
soltanto il suo pianto che si allontanava alle sue spalle.
-Cosa state facendo? Dove la state portando?-
-Stai tranquilla, zuccherino. Lui è un esperto di marmocchi.
È talmente affidabile che se l’avessi, gli
affiderei anche
mia sorella. Penserà alla tua pupetta mentre noi due ci
divertiamo.-
L’altro giovane si avvicinò.
-E poi gli darò il cambio.-
-Ho dei soldi. Lasciatemi in pace e prendeteli tutti. Potete comprarvi
delle birre, pagarvi il ristorante, le sigarette. Tutto quello che
volete.-
-Nessuno ci impedisce di fare l’una e l’altra cosa.
Abbiamo
l’intera notte a disposizione, farfallina. Possiamo
divertirci e
poi andare a cena insieme.-
Si dimenticarono di Peter, ma lui era sempre lì.
Sferrò
un calcione sullo stinco dell’uomo che teneva la sua mamma.
Lui
ululò di dolore e mollò la presa. Lei
poté
voltasi, individuare Joy e correre a riprendersela. Ma
riuscì
solo a sfiorarla, chi la inseguiva l’agguantò. Due
braccia
la strinsero da dietro, serrandole lo stomaco. Le lacrime le rigarono
le guance e le annebbiarono la vista. Non sapeva più che
fare,
non sarebbe riuscita a scappare, non si sarebbe liberata di quei tre.
Era nei guai fino al collo.
-Lasciatemi! Lasciateci in pace!-
-Non agitarti dolcezza, non ce n’è motivo. Non
vogliamo farti del male.-
-Ci terrai compagnia per qualche ora e nient’altro.-
Al pianto della bambina si aggiunsero anche le urla di Peter.
-Mammi! Aiuto!-
Quel terrore infantile le trafisse il cuore. Non riusciva neppure
più a vederlo. Cercò di voltarsi, di liberarsi e
raggiungerlo anche se, davanti a lei, Joy seguitava a singhiozzare
sull’orlo dell’isteria.
-Piccola scimmietta pestifera!-
L’uomo spintonò Peter per togliersi
definitivamente di
torno il corpicino che gli si era aggrappato e non lo mollava. Il
bambino gridò, piombò sull’asfalto, poi
più
niente.
-Fermo! Alt! Stooooooop!-
L’urlo perforò le orecchie di Mark.
Schiacciò il
pedale per arrestare il furgone mentre Philip tirava il freno
a
mano. La vettura ruotò su se stessa in un improvviso e
violento
testacoda. A Bruce il cocktail tornò su con un rigurgito e
solo
un miracolo gli impedì di vomitare. Philip
spalancò lo
sportello e saltò giù che il furgone non si era
ancora
arrestato. Corse indietro sulla strada verso il parcheggio del
supermercato.
-Philip!- lo richiamò Julian -Dove accidenti vai?-
-Forse in bagno?- tentò Bruce.
-Cazzo e non poteva dirmelo in un altro modo?- Mark teneva il volante
stretto tra le mani, faticando ancora a credere di essere riuscito a
fermarsi senza danni -C’era bisogno di inchiodare
così?-
-Deve essere stato uno stimolo improvviso e parecchio urgente.- Julian
cercò l’amico attraverso i finestrini, ma
quell’accozzaglia che riempiva il retro del furgone gli
impediva
di vedere.
-Torna indietro Mark!- lo sollecitò Amy.
-Devi andare in bagno anche tu?-
-No!-
-Allora per quanto mi riguarda possiamo anche lasciarlo qui. Stiamo
più larghi.-
Philip si fermò senza fiato davanti a un brutto ceffo che
teneva
una bimba in lacrime sospesa in aria per le bretelline di una minuscola
salopette di jeans. Lei si agitava, le lacrime e il moccio le rigavano
il viso, le guance le erano diventate scarlatte per lo sforzo. Una
mollettina con Hello Kitty le penzolava sulla fronte, appesa a una
ciocca sfilacciata di capelli, lì lì per cadere.
Indossava solo una scarpina bianca, l’altra era finita a
terra.
Un corpicino con dei pantaloncini blu e una maglietta verde mela era
riverso sul selciato. Giaceva su un fianco, un braccio sotto la testa,
l’altro adagiato scompostamente lungo il corpo. Teneva gli
occhi
chiusi, lunghe ciglia nere gli ombreggiavano le guance paffute.
L’uomo che teneva la bambina guardò Philip, poi il
furgone
che faceva retromarcia e avanzava a tutta birra. La vettura li
raggiunse in quel momento di stallo, con uno stridio di freni e una
puzza di copertoni bruciati.
Mark evitò per un pelo di investire il ragazzino steso a
terra
di cui s’accorse, minuscolo com’era, solo
all’ultimo
istante. Julian e Bruce saltarono giù per primi, poi lo fece
anche Landers, tremante, cadaverico, le mani a premersi le guance, gli
occhi spalancati.
-Non l’avevo visto!- urlò fuori di sé
-Porco mondo
non l’avevo visto! C’è mancato un pelo!
Mioddio!- si
lasciò cadere in ginocchio tremante, accanto al bambino, in
preda allo shock -Non l’avevo visto! Non l’avevo
visto! Non
ci posso credere! Per poco non lo investo! Non lo avevo visto! Mondo
bastardo, non l’avevo visto!- continuò con una
litania che
fece da sottofondo alla fuga dei tre motociclisti, i quali sparirono in
una puzzolente nuvola di gas.
-Codardi!- gridò Bruce agitando i pugni in aria -Ora
scappate,
cazzoni!- appagato da una vittoria che non gli era costata mezza
fatica, si volse per capire chi avevano soccorso.
Jenny era a un passo da lui, lacrime di sollievo che le inondavano il
viso. La fissò sbigottito, aprì la bocca per dire
qualcosa poi ci ripensò e si volse in cerca di Philip. Lui
stava
accorrendo con la bimba in braccio, la scarpina in una mano e
l’espressione ancor più sorpresa di quella del
compagno.
-Oh Philip!- gemette la ragazza tremando come una foglia -Che paura ho
avuto!-
Julian diede voce allo stupore di tutti.
-Non ci posso credere! Philip, come hai fatto a riconoscerla? Voglio
dire, non andavamo mica così piano!-
Il silenzio che seguì fu riempito dalla nenia di Mark. Si
volsero a guardarlo. Continuava a stare inginocchiato accanto a Peter,
le braccia tese verso di lui, senza il coraggio di toccarlo.
-Non l’ho visto! Non l’ho visto! Vi rendete conto?
Potevo
investirlo! È stato un miracolo! Porca miseria non
l’avevo
visto! Potevo ucciderlo! Potevo diventare un omicida! Un uccisore di
bambini, un infanticida! Oddiooooo!-
Bruce gli andò vicino e lo spintonò.
-Ahò, mo’ smettila. Che è?- Mark
alzò su di
lui uno sguardo da ebete -Non l’hai investito, non
l’hai
preso, non l’hai ammazzato. Falla finita!-
Jenny corse verso di loro, si chinò a sollevare il figlio
tra le braccia e se lo strinse al petto.
-Grazie Mark, ci hai salvati. Sei arrivato appena in tempo!-
La gratitudine di Jenny lo riscosse. Riacquistò il
controllo, la calma. Si mise in piedi e la guardò tronfio.
-Hai proprio ragione! Sono arrivato appena in tempo e vi ho salvati!-
Philip si avvicinò camminando rigido come uno zombie e
tenendo
ancora la bimba stretta a sé. Joy aveva smesso di piangere e
si
era aggrappata con le piccole dita alle pieghe della maglietta del
ragazzo. Sprofondata tra quelle braccia che la tenevano stretta,
sembrava finalmente a suo agio. Le sue guance erano ancora arrossate,
il viso bagnato di lacrime e di moccio che le colava dal nasino. Jenny
si avvicinò, tirò fuori un fazzoletto dalla tasca
dei
pantaloni e con la mano libera cercò di ripulirla. Poi
rimise a
posto la mollettina sui capelli e le sorrise.
-Stai bene?-
Joy era troppo piccola per capire e risponderle, però le
sorrise e mugolò felice.
-Ta-taaa!-
Quando aveva urlato a Mark di fermarsi, Philip non sapeva
perché
lo aveva fatto. Ciò che gli era comparso davanti, passando
veloce a bordo del furgone, era stato lo sguardo disperato di due
occhioni terrorizzati. Tutto il resto era inspiegabile. Non immaginava
assolutamente di andare a salvare Jenny.
Bruce gli si accostò e lo sgomitò.
-Adesso è tutto chiaro, Philip.-
Lui si volse speranzoso.
-Davvero?-
-L’hai lasciata perché non hai voluto assumerti le
tue responsabilità.-
-Siediti dietro Callaghan.- gli disse Mark -Non puoi stare davanti con
la bambina in braccio.-
-Allora passo io davanti.-
Harper corse verso il furgone solo per accorgersi deluso che Julian
aveva avuto la sua stessa idea.
-Andiamo con ordine, Bruce. Sono arrivato prima io.-
Philip non si mosse. Preferì restare piantato come un palo
dove
gli altri lo avevano lasciato. Osservava Joy che gli sorrideva, gli
ingranaggi della sua testa giravano impazziti.
La bimba, grata dell’attenzione che lui le stava dedicando,
alzò una manina sporca di lacrime e di moccio e gliela
passò sullo zigomo in una goffa carezza. Philip si
tirò
istintivamente indietro, si affrettò a ripulirsi e per
sicurezza
l’allontanò un po’ da sé.
-Chi accidenti sei tu?-
-Ta-taaa!- rispose lei con un verso entusiasta.
Mark si sporse dal finestrino.
-Insomma Callaghan, sali o no?- e sottolineò il suo richiamo
con una strombazzata di clacson.
Philip si riscosse, raggiunse di corsa gli altri e montò sul
furgone accanto a Bruce. Jenny sedeva dietro di loro, in terza fila tra
Evelyn e Amy. Era ancora pallida di spavento e stringeva a
sé il
bambino privo di sensi, accarezzandogli la testa e mormorandogli
qualcosa.
Mark incrociò il suo sguardo attraverso lo specchietto
retrovisore.
-Stai bene, Jenny?-
-Sì, non mi sono fatta niente.-
-E il miracolato?-
-Adesso dorme.- lanciò un’occhiata a Peter, poi si
protese verso Philip che le sedeva proprio davanti.
Joy se ne stava tranquilla tra le braccia del ragazzo, un pugnetto in
bocca e gli occhi fissi sulla strada, incantata dalle luci dei lampioni
che comparivano e sparivano in successione. Jenny le
accarezzò
la testolina, attirando così l’attenzione della
piccola
che tirò fuori dalla bocca il pugno gocciolante di saliva e
lo
allungò verso di lei.
-No, grazie. Mangialo tu.-
La bambina rise e se lo rimise in bocca, tornando a fissare la strada.
-Philip, quando sei stanco di tenerla passala a me.-
Il ragazzo rispose con una specie di grugnito. Mark rise.
-E quindi? Non sei contento di aver riunito la tua famigliola?-
-Certo Philip che potevi pure dirlo. Cos’è questa
moda di
fare le cose di nascosto? Prima Amy e Julian, poi tu e
Jenny…-
-Dire cosa?-
-Che ti sei riprodotto.-
-Non mi sono riprodotto, non sono una moltiplicazione.-
-Sei lo stesso triplicato!-
-Pensa che io avevo capito che vi eravate lasciati.- buttò
lì Evelyn con aria saputa.
-Oh Mark, accidenti!- l’improvvisa esclamazione di Jenny li
fece
sobbalzare -Devi assolutamente tornare indietro, ho dimenticato la
spesa in macchina… Non l’ho neanche chiusa, la
macchina!-
-Non dire stronzate. Sai quanta benzina ci vuole per rifare tutta la
strada? E solo per un paio di buste!-
-C’erano anche i pannolini! Come faccio a cambiarla? A
quest’ora ormai i negozi sono chiusi.-
Evelyn gliene piazzò davanti una confezione integra.
-Questi qui non vanno bene?-
-Vanno benissimo! Ma guarda, sono esattamente gli stessi che compro io!-
-Mark, perché vai in giro con una scorta di pannolini?-
-Non ne so nulla, Harper. Ce li avrà messi Philip.-
-No, io no!-
-Be’, chi ce li ha messi è stato previdente.- rise
Jenny contenta e soddisfatta.
-Risolto il problema pannolini, vi faccio presente che sono quasi le
dieci e io ho sonno, oltre che fame. Dove ci fermiamo? Qui intorno non
c’è niente.-
Bruce aveva ragione. Da quando avevano lasciato il parcheggio del
supermercato procedevano nel buio più assoluto. Non
c’era
un lampione, non c’era un negozio, non c’era una
casa e la
stradina tutta curve che Landers aveva imboccato senza accorgersene
aveva cominciato a inerpicarsi in un bosco fitto e impenetrabile.
-Amy, hai una piantina della zona?-
La ragazza frugò nello zaino scampato
all’incidente. La
trovò e la porse a Julian, ancora umidiccia e molto, molto
fragile.