CAPITOLO TRE
La savana della Tanzania sembrava
estendersi
ininterrottamente fino all'orizzonte: una immensa distesa d'erba
punteggiata
qua e là da qualche pozza d'acqua e da alcuni stagni poco
profondi che
lentamente si asciugavano nella calura estiva e da qualche grossa
roccia
circondata da bassi cespugli. In alcune aree la prateria cedeva il
posto a
boschetti di acacie spinose, con qualche gigantesco baobab a rompere la
monotonia.
Se la vita vegetale appariva
abbastanza rinsecchita, quella
animale era lussureggiante: vicino ad una delle polle più
grosse c'era un
grande branco di gazzelle, i mantelli chiari sul dorso, scuri sui
fianchi e
bianchi sul ventre che si confondevano nelle ondate di calore. Alcune
erano
chine sull'acqua fangosa per bere, altre brucavano l'erba giallastra.
Poco
lontano, un gruppo di grossi elefanti color marrone rossiccio sembrava
muoversi
quasi senza una meta, con l'indolenza di chi sa di non avere nulla da
temere.
Di fronte ad una delle macchie d'alberi, due giraffe dal mantello
maculato, che
andava a formare un disegno regolare e quasi ipnotico mangiavano
tranquillamente le foglie delle acacie, incuranti delle spine aguzze.
Verso l'orizzonte si intravedeva una
mandria di grossi
animali cornuti, probabilmente gnu, che trottavano in una nube di
polvere.
Tutti gli animali sembravano
tranquilli: l'intero scenario,
in effetti, trasmetteva una grande sensazione di calma, ed era simile
alle
fotografie che ritraggono gli scenari idilliaci del continente africano.
Le antilopi furono le prime ad
avvertire la presenza di
qualcosa di pericoloso, ma non ebbero il tempo di reagire: sul gruppo
piombò di
colpo un grosso leone maschio, lungo più di due metri e alto
oltre la metà al
garrese. Sia il mantello giallastro che la criniera erano sporche di
polvere e
strinate di sangue. Doveva essersi avvicinato di soppiatto, arrivando a
brevissima distanza dalle prede prima che queste lo sentissero. Le
antilopi
tentarono una fuga disperata, ma il felino aveva già
afferrato una femmina, e,
una volta rovesciatala a terra, le spezzò l'osso del collo
con un solo morso.
La povera bestia morì all'istante. Il leone, lanciato un
ruggito di sfida al
cielo, iniziò a mangiare.
«Sua maestà ha
fame. Strano, visto che solo tre giorni fa ha
spolpato due indigeni fino alle ossa».
Le parole erano state pronunciate
all'interno di un
boschetto: nascosti dietro dei bassi cespugli, due uomini armati
osservavano la
scena di caccia con i binocoli. Il primo appariva completamente fuori
posto:
tarchiato, pallido, apparentemente spaventato, si asciugava
continuamente il
sudore. Portava un paio di antiquati occhiali rotondi, e sembrava
dimostrare
almeno quarant'anni, anche se con ogni probabilità ne aveva
una decina di meno.
Nonostante stringesse in mano una nuovissima carabina a ripetizione,
somigliava
più ad un ragioniere che ad un cacciatore. L'altro, quello
che aveva parlato,
doveva essere più vecchio, vicino almeno alla cinquantina, e
sembrava il
perfetto esempio del duro e dell'avventuriero: capelli castani corti
completamente nascosti da un cappello
a
tesa larga, camicia blu scura segnata, come anche il suo viso, da un
lungo
periodo passato all'aria aperta, così come il gilet
marroncino che portava
sopra di essa. In mano teneva una doppietta Holland & Holland
di grosso
calibro e dalla canna lunga, una splendida arma da caccia grossa.
Dietro i due uomini, appena visibile
attraverso le frasche,
si intravedeva una grossa jeep verde, il mezzo migliore per spostarsi
attraverso i vari ambienti della savana.
«E' lui, mister
Masterson?» chiese.
«Si, ne sono sicuro, mister
Buckley» rispose l'uomo chiamato
Masterson.
«Mi chiami Harry - disse il
più anziano, calcandosi bene il
cappello sulla testa - Ne è sicuro?».
«Si. Quella cicatrice che
ha sulla schiena… gliel'ho fatta
io con una fucilata quando ha attaccato il cantiere della ferrovia.
Purtroppo
non ho mirato abbastanza bene, o non saremmo qui».
In effetti dal dorso del leone
sembrava mancare un pezzo di
carne, apparentemente strappato da un proiettile di striscio, ma la
ferita era
già quasi cicatrizzata. Henry continuò ad
osservare l'animale che mangiava per
qualche secondo, poi tolse la sicura al fucile ed afferrò un
sasso.
«Cosa sta
facendo?» chiese Masterson, stupito dal gesto. In
quel momento ricordò di non conoscere affatto il cacciatore
che aveva
assoldato, il quale era in effetti un ranger, guardacaccia nella parco
nazionale di Serengeti. Quando era andato a denunciare alle forze
dell'ordine
due aggressioni successive a distanza di pochi giorni al cantiere
ferroviario
che gestiva da parte di un grosso leone, che gli erano costati cinque
uomini e
l'interruzione dei lavori alla strada ferrata che avrebbe dovuto
migliorare il
collegamento con il Kenya, gli era stato detto che, quando si trattava
di mangiatori
di uomini, l'unica soluzione era abbatterli, ed avevano affidato il
caso al
loro migliore ranger, l'inglese figlio di una famiglia di coloni Harry
Buckley,
ex cacciatore di professione e tiratore eccezionale, anche se dal
carattere un
po' insolito. Masterson non lo sapeva, ma stava per assistere ad una
delle
particolarità del suo metodo di caccia.
«Io concedo sempre una
possibilità alla mia preda, signor
Masterson» rispose, e prima che il direttore del cantiere
potesse comprendere
ciò che stava per accadere, scagliò il sasso con
violenza e colpì il leone al
fianco sinistro. L'animale, colto di sorpresa, si voltò, e
subito vide i due
uomini. Il suo muso coperto dal sangue della gazzella si
deformò in una
maschera di furore, e ruggì con rabbia. Harry aveva
già alzato il fucile, e
seguiva nel mirino i movimenti della testa dell'animale. Masterson,
invece,
tremava come una foglia, e non riusciva neppure a tirare indietro la
leva per
inserire un proiettile nell'otturatore.
Il leone ruggì di nuovo, e
si lanciò al galoppo verso i due,
le zanne scoperte in un ringhio silenzioso.
Masterson cacciò un urlo,
lasciò cadere il fucile e si gettò
a terra, le mani sopra la testa. Sentì un ruggito distante
non meno di due
metri, poi un singolo sparo, un tonfo, poi più nulla. L'uomo
rimase sdraiato
ancora per qualche secondo, poi alzò gli occhi, trovandosi
di fronte il muso
del leone.
Terrorizzato, balzò
indietro cercando di raccogliere il
fucile, per notare subito dopo che la testa della belva era spappolata
da una
scarica di pallettoni. Alzando lo sguardo, vide il ranger con il fucile
fumante
ancora sotto braccio che sorrideva.
«Un solo colpo?
Wow!» esclamò il direttore, già
dimentico
della pessima figura che aveva fatto, e balzò in piedi
esultante.
«Mi aiuti a caricarlo sulla
jeep, voglio tornare alla
centrale prima di notte».
La jeep entrò nella
città di Seronera, ai confini del parco
di Serengeti. Harry la diresse verso il comando dei Rangers, con il
corpo del
leone abbattuto nel retro. Aveva già lasciato Masterson al
suo cantiere.
L'auto attraversò un
cancello arrugginito e si fermò di
fronte ad un'ampia costruzione ad un solo piano costruita in pietra e
legno.
Vicino c'era un ampio capannone di lamiera che veniva utilizzata come
deposito
per gli automezzi.
Dalla struttura, che era la sede dei
Rangers che avevano il
compito di sorvegliare il parco di Serengeti, uscirono due uomini,
entrambi con
in testa un cappello verde a tesa larga, e si diressero verso la jeep.
«Complimenti, Harry! -
disse uno dei due, un ragazzone sui
ventisei o ventisette anni, con i capelli quasi biondi e gli occhi
color
ghiaccio, vestito con la divisa regolare dei Rangers, alla vista del
leone - Un
animale gigantesco! E' una delle tue prede migliori».
«Grazie mille, Jim. Non ne
avevo mai visto uno tanto grande.
E' stato un peccato doverlo abbattere, ma si era abituato troppo al
sapore
della carne umana per rimanere in vita. Ci pensi tu a bruciare il
corpo?».
«Si, certo - rispose il
ragazzo - Harry, c'è un uomo dentro
che vuole parlare con te. E' venuto fin qui apposta».
«Chi
è?».
«Non ha detto il suo nome,
ma sembra un uomo d'affari o
qualcosa di simile da come è vestito».
«Odio gli uomini d'affari,
ma dubito di poterlo evitare.
Dov'è?».
«Credo sia in sala mensa -
disse Jim con voce ironica -
Buona fortuna!».
Harry entrò nella centrale
ridacchiando e si diresse verso
la mensa. L'ampia stanza era in quel momento vuota, ad eccezione di un
uomo
tarchiato sulla quarantina, vestito con giacca bianca e pantaloni dello
stesso
colore, che mangiava tranquillamente una bistecca offertagli dai
Rangers.
«Buon appetito»
disse Harry con artificiosa gentilezza.
L'uomo alzò gli occhi, lo
squadrò da capo a piedi, poi
chiese: «Harry Buckley, suppongo».
«In persona. Lei chi
è?».
«Mi chiamo George Mc
Manaman. Piacere» disse, alzandosi dal
tavolo e stringendo la mano ad Harry.
«Mi hanno detto che lei
voleva parlarmi. E' vero?».
«Si, ma si tratta di una
faccenda molto importante, e
preferirei parlarne in privato».
Dopo aver gettato un'occhiata
dubbiosa alla sala vuota,
Harry si costrinse a dire: «Venga nella mia stanza,
allora» e si diresse verso
l'uscita. Mc Manaman raccolse da terra una valigetta nera e lo
seguì, lasciando
metà della bistecca nel piatto.
Attraversarono un corridoio, poi
entrarono in una stanza
relativamente piccola, arredata, almeno parzialmente, in stile
tropicale:
un'amaca di rete al posto del letto, un armadietto d'acciaio, una
scrivania, un
attaccapanni appeso al muro e una sedia di vimini. Harry Buckley era un
tipo
decisamente spartano, nonostante quella stanza fosse il luogo dove
passava la
maggior parte del suo tempo. Aveva una casa a Seronera, ma vi passava
al
massimo un giorno ogni venti.
Harry appese cappello e fucile
all'attaccapanni, poi si
sedette sull'amaca: «Avanti, parli. Qui non può
sentirci nessuno».
Mc Manaman si sedere sulla sedia, poi
estrasse semplicemente
una fotografia e la porse ad Harry: «Mi dica se riconosce
l'animale che è
raffigurato qui sopra».
Harry la guardò: ritraeva
un grande lucertolone, color verde
sporco sul dorso e color polvere sul ventre, con un collo lunghissimo
terminante in una testa minuscola, un corpo massiccio, quattro zampe da
elefante e una possente coda poco più corta del collo. Era
sulla riva di un
fiume, in mezzo ad una distesa di erba verdissima, con un bosco di
alberi sullo
sfondo.
Resistendo alla tentazione di
sospirare, chiedendosi se il
suo interlocutore lo stesse prendendo in giro, Harry disse:
«E' un dinosauro,
un sauropode direi, almeno a quanto ne so. Un modello fatto molto bene,
tra
parentesi: non ne avevo mai visti di così realistici,
neanche in televisione.
Tecnologia digitale?».
«No, signor Buckley. E'
fatto così bene perché non è
finto».
«Come, scusi?».
«Quello che ha davanti non
è né un modello riprodotto né una
ricostruzione al computer: quella foto l'ho scattata io all'animale
vivente».
Harry lo fissò con aria
perplessa, sempre più convinto che
l'uomo fosse un buffone o un folle: «Mi sta prendendo in
giro, vero?».
Mc Manaman tirò fuori una
seconda fotografia: «Le sembra un
modello o una ricostruzione al computer questa?».
Stavolta l'immagine mostrava lo
stesso animale mentre
brucava tranquillamente le fronde di una pianta simile ad una conifera,
ma non
era solo: dietro di lui c'era un intero branco di creature lontanamente
simili
a rinoceronti, ma dotati di un collare osseo intorno alla testa, due
corna
supplementari sopra gli occhi e una lunga coda da rettile. Non aveva
modo di
stabilirne precisamente le dimensioni, ma confrontandoli con gli alberi
sembravano più grandi di un elefante. Harry da ragazzo si
era molto interessato
ai dinosauri, e riconobbe negli animali dei triceratopi, o comunque una
specie
dello stesso genere. Con un brivido, dovette ammettere che non
sembravano
veramente modellini e riproduzioni. Se da una parte sembravano a dir
poco
perfetti, dall'altra sui corpi si vedevano le piccole imperfezioni, le
ferite,
le rughe tipiche di animali reali. Sembravano… vivi.
«Com'è
possibile? - chiese Harry, che quasi balbettava, non
volendo ammettere quella che era l'impensabile verità - Non
possono… non è
possibile che… sta dicendo che sono veri?».
Mc Manaman lo fissò negli
occhi, leggendo incredulità, ma
anche la gioia di un bambino che spera di veder realizzato un sogno
impossibile.
Annuì con la testa.
Harry rischiò seriamente
un infarto: era bianco come uno
straccio, e sudava copiosamente. La sorpresa era stata totale. Tutto
ciò che
riuscì a dire fu: «Com'è
possibile».
«Lei per caso ha letto il
libro "Jurassic Park"?».
Harry scosse la testa: «No,
ho visto solo il film. Cosa
c'entra?».
«Io sono il direttore di
un'industria di ingegneria genetica
- rispose Mc Manaman - La G.G.E., che sta per Global Genetic
Engeneering. Ci
occupiamo di tutto, dagli interventi per rendere più
produttivi i vegetali per
la produzione alimentari a rendere resistenti alle malattie gli animali
da
allevamento, ma abbiamo sempre avuto piani molto più ampi.
Se libro e film di
"Jurassic Park" sono piaciuti al mondo intero, per noi sono stati una
fonte di ispirazione. Non avevamo mai neanche pensato alla
possibilità di
ricreare i dinosauri, ma dopo due anni di studi approfonditi abbiamo
concluso
che esistesse veramente la tecnologia necessaria per provare a creare
dei cloni
di animali preistorici. Sono serviti altri tre anni di lavoro, ma alla
fine,
impiegando delle tecniche in parte simili a quelle che aveva immaginato
Crichton, ci siamo riusciti: combinando il DNA recuperato da zanzare
conservate, per l'appunto, nell'ambra, e completandolo con quello di
uccelli
moderni, i parenti più prossimi dei dinosauri, abbiamo
ricostruito diverse
creature risalenti al Mesozoico, sia vegetariane che carnivore, inclusi
alcuni
animali giganti, come ha visto dalla foto. Abbiamo ripreso dal libro
anche
l'idea dell'isola: abbiamo preso in gestione dal Belize un remoto lembo
di
terra nel Golfo del Messico, l'abbiamo modificata con piante ed alberi
antichi
perché ricordasse il più possibile il mondo di 65
milioni di anni fa, vi
abbiamo trasferito animali ed attrezzature e per due anni abbiamo
continuato il
lavoro, ricreando quasi una ventina di specie di dinosauro provenienti
da ogni
parte del mondo, che siamo riusciti ad attribuire a specie ritrovate
nel corso
degli ultimi due secoli. Abbiamo costruito un centro per i visitatori,
un
laboratorio per gli scienziati ed i paleontologi che avessero voluto
studiare i
nostri fossili viventi, delle recinzioni elettrificate per separare i
territori
delle diverse specie, visto che non avevamo intenzione di scatenare una
indiscriminata lotta per la sopravvivenza, un piccolo eliporto per
facilitare
l'accesso di turisti e materiali, visto che non siamo riusciti a
trovare un
punto adatto per un porto stabile, ed una modernissima centrale
elettrica,
funzionante in parte grazie al movimento delle onde ed in parte ad
energia
solare».
Harry era letteralmente stupefatto:
ciò che stava sentendo
sembrava la trama di un film di fantascienza, eppure sentiva che, per
quanto
assurdo, poteva essere reale.
«Credevamo che fosse tutto
perfetto - continuò Mc Manaman -
ed eravamo pronti per rivelare la nostra scoperta al mondo intero,
quando si
verificò un problema imprevedibile: la centrale elettrica
subì un gravissimo
guasto, e noi impiegammo oltre ventiquattro ore per farla ripartire,
abbastanza
da esaurire i generatori che avevamo predisposto. Nelle quasi sei ore
di
assenza totale di corrente gli animali sfondarono le recinzioni,
uccisero
diversi operai e guardiani ed arrivarono ad assalire il centro di
controllo.
Capimmo di non avere alcuna possibilità di riprendere il
controllo, perciò
decidemmo di evacuare l'isola. La G.G.E. rischiò la
bancarotta. Molti, nel
consiglio direttivo della società, proposero di sterminare
gli animali e
cancellare ogni traccia di quello che avevamo fatto, ma riuscii ad
oppormi:
feci notare che, se la situazione sull'isola si fosse stabilizzata,
avremmo
avuto la possibilità di presentare ugualmente la nostra
scoperta. Un Mondo
Perduto, per quanto artificiale, dove i dinosauri avevano ricostruito
l'ambiente naturale di un'epoca scomparsa. Ci avrebbe reso comunque
degli eroi.
Le azioni della compagnia sarebbero salite alle stelle. Abbiamo quindi
deciso
di lasciare le cose come stanno per almeno un decennio, aspettando di
vedere
come si sarebbero evolute le cose».
Harry era completamente stupefatto, e
faticava addirittura a
parlare: «E' incredibile - riuscì a dire - Su
un'isola dei Caraibi esistono dei
dinosauri vivi e veri. E'… fantastico! Da quanti anni vivono
liberi lì?».
«Quasi due»
rispose semplicemente Mc Manaman.
«Ok, sto cercando di
accettare questa cosa - borbottò Harry
- Non è facile, credo lo possa capire. C'è una
cosa, però, che non capisco:
tutto questo com'è legato a me? Perché, su un
intero pianeta, ha deciso di
rivelare questa bomba proprio a me?».
«Perché di
recente è sorto un problema di natura
assolutamente inaspettata. L'isola che abbiamo preso in gestione, Isla
de Rocas
Negras, è disabitata, e con qualche mazzetta abbiamo
convinto il Belize a
dichiararla zona militare vietata. Quindi, da quando abbiamo evacuato,
non c'è
più stato alcun essere umano. Due settimane fa,
però, una delle poche
telecamere di controllo ancora attive sull'isola ha individuato quelli
che noi
abbiamo identificato come i resti di un battello da diporto schiantati
su una
delle spiagge. Su di essi era ancora leggibile il nome "Green Star".
Abbiamo fatto qualche ricerca, ed abbiamo trovato una segnalazione di
scomparsa
fatta alle capitanerie di porto di tutti gli Stati Uniti e di Kingston:
una
barca con quel nome è scomparsa durante una tempesta nel
Golfo del Messico. A
bordo c'erano un grosso industriale di Biloxi, Lawrence Roberts, suo
figlio
Alexander ed un capitano di mare, che era il timoniere del battello,
John
Garrett. La ex moglie di Roberts aveva denunciato la sua scomparsa
dieci giorni
prima. Abbiamo individuato delle tracce semi-cancellate che
dimostravano che i
tre uomini, sopravvissuti al naufragio, si erano inoltrati nella
giungla».
Harry fece due veloci conti mentali:
«E' passato quasi un
mese da quando sono finiti sull'isola, mi sembra impossibile che tre
esseri
umani possano essere sopravvissuti tanto a lungo in mezzo ai
dinosauri».
«Sembrava assurdo anche a
noi, a dire la verità, ma ci sono
dei fatti nuovi: non più di dieci giorni fa una seconda
telecamera, in un'area
diversa dell'isola, ha registrato una sagoma di sembianze umane che
attraversava rapidamente i cespugli, e non più di una
settimana fa il solo microfono
ancora attivo sull'isola ha registrato quello che è stato
identificato come uno
sparo. Questo ci ha convinto che, appena sette giorni fa, ci fosse
ancora
qualcuno vivo sull'isola, e potrebbe esserlo ancora».
«Non lo avrei mai detto:
crederei a stento se mi
raccontassero che un uomo è sopravvissuto un mese da solo
qui nella savana,
figuriamoci in quello che sembra il luogo più pericoloso del
mondo. In ogni
caso, per quanto abbia suscitato la mia curiosità, non ho
ancora capito il mio
ruolo in questa storia».
«Credevo che ormai fosse
chiaro - rispose Mc Manaman - Abbiamo
deciso che sarebbe disumano lasciare degli uomini a morire
lì, ma anche ammesso
che le autorità credessero alla nostra storia,
impiegherebbero tanto di quel
tempo a muoversi che, una volta che fossero pronti a salvarli, le ossa
dei naufraghi
sarebbero già divenute dei fossili. Visto che in un certo
senso è colpa nostra
se attualmente sono in pericolo, abbiamo stabilito che è
responsabilità della
G.G.E. salvarli, quindi stiamo organizzando una piccola spedizione che
si recherà
sull'isola. Abbiamo già assoldato un paleontologo, un
esperto in macchinari, un
meccanico di prima scelta, un pilota e diversi esperti in sicurezza.
Abbiamo
acquistato armi ed attrezzature all'avanguardia, ma ci manca qualcuno
in grado
di guidare l'operazione sul campo: gli uomini che ho reclutato sono
esperti, ma
sono sostanzialmente dei mercenari, mi serve qualcuno che sappia come
sopravvivere in natura, che sappia confrontarsi con il lato selvaggio
del
mondo. Qualcuno come lei. Che cosa ne pensa?».
Harry lo fissò come un
savio può guardare un pazzo: «E' sicuro
di sentirsi bene?».
Mc Manaman sembrò
adombrarsi: «Senta, ci stiamo organizzando
affinché questa missione sia curata nei minimi dettagli:
stiamo lavorando alla
sicurezza e prevedendo anche gli imprevisti, in modo che nessuno si
faccia
male».
«Come avete fatto quando
avete preparato l'isola per
ospitare i dinosauri? - chiese con sarcasmo il ranger - Sembra che non
abbiate
capito un accidente dai vostri sbagli! Quanto a me, vedermela con i
leoni ed i
coccodrilli è una cosa, li conosco da una vita e sono capace
di prevedere le
loro mosse, in un certo senso. I dinosauri, dai quali nessun essere
vivente può
sapere cosa aspettarsi, sono una faccenda completamente
diversa».
«So bene che ci sono
centinaia di cose che possono andare
storte - insistette l'uomo d'affari - Con animali simili non si
può essere
realmente sicuri di niente, ma non possiamo neanche lasciare degli
esseri umani
a morire lì senza tentare nulla per salvarli! Stiamo
lavorando affinché
l'intera operazione non duri più di due giorni, il tempo
necessario per trovare
i naufraghi e portarli via. Cercheremo, nel frattempo, di tenerci
lontani dai
territori dei carnivori. Comunque, non abbiamo discusso della cosa
più
importante per lei».
«Cioè?».
«Il suo compenso: le offro
quarantamila dollari».
Harry sbuffò. Erano tanti
soldi, ma non abbastanza per
rischiare la vita fino a quel punto: «Neanche per il doppio
ci verrei».
«Allora le offro il
quadruplo - ribatté Mc Manaman deciso -
Centosessantamila dollari per al massimo cinque giorni di lavoro. Anzi,
no:
sono disposto ad arrivare a duecentomila».
Ad Harry iniziarono a fischiare le
orecchie: non aveva mai
visto una simile quantità di denaro nella sua vita, e
perfino i quarantamila
iniziali sarebbero stati oltre due anni di stipendio come ranger.
«Ha detto due giorni
sull'isola?» chiese con tono vago.
«Esatto, non di
più».
«E che cercheremo di
tenerci quanto più lontano possibile
dai carnivori?» proseguì.
«Si, ma non posso credere
che un uomo con la sua fama abbia
paura di queste creature».
«Chiunque con un po' di
cervello ne avrebbe, ma per
duecentomila dollari sono pronto a scendere all'inferno a tirare la
coda al
Diavolo. Accetto, mister Mc Manaman».
L'uomo sorrise: «Perfetto!
Inizierò subito a programmare il
suo trasferimento per via aerea a…».
«Un attimo solo».
L'uomo d'affari rimase bloccato a
metà del discorso.
«Lei è stato
piuttosto vago su ciò che avete creato - lo
incalzò Harry - Voglio sapere quali animali ci troveremo di
fronte. Quali sono
le specie che avete creato?».
Mc Manaman impiegò qualche
secondo per rispondere: «Beh, la
risposta non sarà esattamente precisa: alcune delle nostre
specie non
corrispondono esattamente ai ritrovamenti fossili. Le abbiamo
attribuite per
comodità a specie descritte, ma probabilmente si tratta di
animali appartenenti
alla stessa famiglia, benché distinti. Servirebbe uno studio
prolungato da
parte di un team di biologi e paleontologi per capirlo con esattezza -
tirò fuori
dalla valigetta un documento dall'aria ufficiale - In ogni caso, questa
è la
lista completa delle creature attualmente presenti sull'isola. Non
abbiamo però
un'idea precisa del numero dei soggetti, dall'ultimo conteggio ci sono
stati
quasi due anni di predazione e riproduzione incontrollate».
Harry afferrò il foglio ed
iniziò a scorrerlo:
G.G.E
Lista creature ricreate
- Corythosaurus
- Parasaurolophus
- Kritosaurus
- Tenontosaurus
- Hypsilophodon (?)
- Gastonia (?)
- Pinacosaurus
- Prenocephale (?)
- Psittacosaurus
- Bagaceratops
- Triceratops
- Styracosaurus
- Stegosaurus (?)
- Brachiosaurus (?)
- Camarasaurus
- Saltasaurus
- Pteranodon
- Pterodactylus (?)
- Peteinosaurus
- Coelophysis (?)
-
Cryolophosaurus (?)
-
Noasaurus (?)
-
Rugops (?)
-
Tyrannosaurus Rex
-
Velociraptor (?)
Harry sobbalzò diverse
volte leggendo i nomi dei carnivori,
e rischiò un mancamento quando I suoi occhi si posarono sul
T-Rex, ma fu
l'ultima riga a colpirlo particolarmente: dovette leggere tre volte
prima di
convincersi che c'era veramente scritto "Velociraptor".
Alzò lo sguardo dal
foglio: «Qualcosa capisco di dinosauri:
per "Velociraptor" intendete…».
Mc Manaman sembrò
arrossire: «Beh, il nome in realtà non
è
esatto. Abbiamo ritrovato l'ambra in Nord America, quindi non
è sicuramente la
specie asiatica. Per di più è decisamente
più grande, anche dei fossili di Deinonychus.
Potrebbe trattarsi di una specie imparentata con l'Utahraptor, ma
considerando
che il nome con i quali li conosce la maggior parte della gente
è quello…».
«E voi siete stati tanto
folli da ricreare una macchina di
morte come un Raptor gigante? - incalzò Harry - Un branco di
leoni è nulla in
confronto ad una muta di esseri come quelli».
Sul volto dell'uomo d'affari si
dipinse uno sguardo
indignato: «Senta, quando ci è capitata
l'occasione e sono nati i primi
esemplari non abbiamo potuto non approfittarne! Si tratta di una delle
specie
più famose al mondo, addirittura più del
tirannosauro. Inoltre, quei
duecentomila dollari dovrà pure guadagnarseli! - poi
tornò a sorridere con
cordialità: «Se faremo le cose nel modo giusto,
comunque, non li vedrete
neanche. Sarà una semplice passeggiata nella
foresta».
Harry rimase pensieroso per qualche
secondo, poi disse:
«Verrò, ma non da solo. Le credo sulla parola
riguardo alla bravura dei
mercenari che ha reclutato, ma io voglio qualcuno di cui potermi fidare
ad
occhi chiusi. Se non mi consente di reclutare un secondo ranger di
questo
parco, può anche rinunciare alla mia presenza».
Mc Manaman dovette riflettere per
poco: «Va bene, può
arruolare un altro uomo, purché lo faccia in
fretta».
Harry non dovette chiedersi per
più di qualche secondo chi
chiamare, e ancora meno tempo occorse a convincere Jim: non appena ebbe
chiara
la situazione, risultò subito chiaro che il ragazzo sarebbe
andato anche
gratuitamente, pur di vedere i dinosauri. Alla fine, però,
firmò ugualmente un
contratto da centomila dollari.
Occorsero solo poche ore ai due
ranger per prendersi un paio
di settimane di congedo: già prima di sera, sistemate le
pratiche burocratiche
ed impacchettate armi e bagagli, salirono su un piccolo aereo che li
condusse
all'aeroporto internazionale di Nairobi, dove li attendeva un jet che
li
avrebbe condotti in Belize, a supervisionare gli ultimi preparativi per
la
spedizione.
Harry non lesse mai il retro del
foglio che gli era stato
fornito da Mc Manaman: lasciò la Tanzania convinto che la
cosa peggiore che si
sarebbe trovato ad affrontare sarebbero stati i presunti Velociraptor.
Non
poteva sapere della presenza di altri due tipi di dinosauri. Il primo
genere, i
Compsognathus, non lo avrebbe certamente preoccupato: si trattava di un
minuscolo carnivoro, poco più grande di un pollo.
Diversa era la situazione per il
secondo tipo:
- Giganotosaurus
|