CAPITOLO QUATTRO
«Questo bestione deve
essere corazzato in maniera
intelligente! Non possiamo appesantirlo troppo, altrimenti non si
muoverebbe
neanche! Ve lo ripeto: mettete tutto quel metallo sul rivestimento e
rimarremo
bloccati nella prima pozzanghera!».
Erano due giorni che Harry strepitava
come un disperato con
il gruppo di meccanici installati in un capannone della G.G.E. a Belize
City,
nel tentativo di sistemare i giganteschi problemi di organizzazione che
Mc
Manaman aveva limitato come "semplici dettagli".
La prima, fondamentale problematica
riguardava i veicoli: la
G.G.E. aveva realizzato diverse strade e sentieri che si intersecavano
nella
parte pianeggiante dell'isola, quindi avrebbero potuto utilizzare dei
mezzi a
motore per spostarsi nelle diverse aree di ricerca. Era stato deciso di
portare
una grossa jeep e una sorta di camper doppio, ma da subito era
risultata
evidente la necessità di corazzare i due mezzi: si trattava
di attrezzatura
civile, per quanto di prima qualità, non militare, ed un
grosso dinosauro
avrebbe potuto ridurre il camper ad una fisarmonica con
facilità.
Installare una corazzatura
supplementare si era però
rivelato estremamente complicato. per il camper, inizialmente, era
stato deciso
di utilizzare un rivestimento di acciaio spesso dieci millimetri, ma
perfino
Harry, che sapeva poco di meccanica e niente del tutto di fisica, aveva
compreso che con un simile peso il grande mezzo non avrebbe mai potuto
spostarsi agevolmente su un terreno scosceso. Il rivestimento di
alluminio
proposto da Jim, d'altro canto, non sarebbe stato sufficientemente
robusto. La
jeep aveva problemi addirittura peggiori, considerata la minore potenza
del
motore, obbligando alla fine il team a rinunciare ad installare una
blindatura
supplementare. Rendere il camper un possibile rifugio in caso di
attacco era
però ritenuto fondamentale, ed Harry era stato costretto ad
insistere parecchio
Alla fine fu il capo meccanico Eric
Gardner a trovare una
soluzione. Gardner, un uomo sulla quarantina alto e robusto, con una
folta
barba nera, era facilmente riconoscibile grazie al berretto verde e ai
grandi
occhiali da sole, due cose che non toglieva mai, neanche all'interno
dell'officina.
L'idea era semplice quanto geniale:
una lastra di titanio
resistentissima, spessa però soltanto cinque millimetri. Con
un peso pari ad
appena un terzo del rivestimento d'acciaio, doveva teoricamente essere
in grado
di resistere a pressioni molto elevate, ma non c'era tempo di fare dei
veri
test.
Nei giorni precedenti non erano
mancate preoccupazioni
neppure per le attrezzature radio satellitari. Quelle dei mezzi erano
abbastanza funzionali, ma i piccoli apparecchi portatili si erano
rivelati
estremamente deludenti: bastava una copertura di fogliame tropicale per
bloccare il segnale del satellite. Nick Denver, un magro e nervoso
trentaduenne
esperto in macchinari legati alle telecomunicazioni, fece del suo
meglio,
riuscendo a procurarsi una partita di nuove radio che riteneva migliore
ed
organizzandosi in modo da far rimbalzare il segnale da un satellite
differente,
ma, ancora una volta, era stato impossibile provare l'attrezzatura.
Anche le armi erano state oggetto di
discussione: la G.G.E.
non voleva uccidere i dinosauri, non se poteva evitarlo,
perciò, almeno
all'inizio, era stato deciso che solo i cacciatori e gli addetti alla
sicurezza
avrebbero portato delle armi personali, e che per il resto sarebbero
stati
impiegati soltanto dei fucili a dardi tranquillanti. La decisione si
era però
scontrata con le proteste degli uomini, Harry incluso: in caso di
necessità,
volevano poter disporre di una potenza di fuoco maggiore.
Alla fine, era stata presa una
decisione di compromesso: sul
camper erano stati caricati tre fucili a dardi Dan-Inject modello JMSP, in grado di sparare a
circa sessanta
metri delle siringhe da tre millilitri caricabili con differenti
composti. Sul
camper ne vennero caricate due cassette: una piena di siringhe riempite
con
acetorfina e carfentanil, due dei più potenti sedativi per
uso veterinario,
mentre quelle contenute nella seconda erano piene di un particolare
veleno, la
cubotossina prodotta dalla Chironex fleckeri, più nota come
medusa scatola o
vespa di mare. Si trattava di una delle più micidiali
neurotossine del mondo:
una semplice puntura era spesso in grado di indurre spasmi muscolari,
paralisi
respiratoria ed arresto cardiaco in un uomo entro un paio di minuti. La
dose
contenuta nelle siringhe era duecento volte più elevata e
concentrata di quella
iniettata da una qualsiasi medusa, ed avrebbe avuto un effetto quasi
immediato,
aveva detto il chimico che aveva preparato la mistura, perfino su
animali
pesanti diverse tonnellate. Anche in questo caso, si trattava di una
teoria:
era impossibile sapere se una siringa avrebbe abbattuto un tirannosauro
in caso
di bisogno.
Anche per questo tutti avevano
preferito poter contare su
armi più pesanti: nella rastrelliera installata sul camper
avevano trovato
posto quattro M16, i fucili d'assalto impiegati dall'esercito
statunitense, con
installati sotto le canne i lanciagranate M203, e altrettante pistole
mitragliatrici Heckler & Koch MP5. A queste si aggiungevano le
armi
personali dei cacciatori e degli addetti alla sicurezza, alcune pistole
di
vario genere e , su suggerimento di Harry, qualcosa di più
pesante: un
lanciarazzi M72 LAW, delle granate abbaglianti ed una dozzina di
granate a
frammentazione.
Un ulteriore inconveniente fu il
paleontologo, che si rivelò
essere, in realtà, una paleontologa: la dottoressa Kelly
Gray aveva un
curriculum universitario invidiabile, ma il suo fisico sottile venne
giudicato
poco adatto ai pericoli che avrebbero trovato sull'isola. La
dottoressa, una
giovane donna di appena ventisette anni, dai lunghi capelli ricci,
reagì
definendosi in grado di sopportare qualsiasi fatica e ogni problema che
si
fossero trovati ad affrontare. Nonostante la sua giovane
età, in effetti, Kelly
Gray era una vera esperta di lavoro sul campo: era stata in mezzo
mondo, e si
era specializzata nella ricerca sul comportamento. Nonostante le
riserve, tutti
si convinsero, alla fine, che fosse insostituibile, e smisero di
contestare.
Il camper, per lo meno, era un vero
gioiello, ed Harry lo
comprese non appena lo vide: lungo poco meno di venti metri, con uno
snodo in
gomma a metà della lunghezza, dotato di otto ruote motrici e
dodici
complessive, dipinto in verde mimetico, era un vero e proprio centro di
comando
mobile, oltre ad un dormitorio: nella parte anteriore, oltre alla
cucina, erano
posizionate la dispensa, con provviste per diversi giorni, un tavolo,
quattro
brande attaccate alle pareti ed un piccolo divano. Nella parte
posteriore, che
era interamente a rimorchio ed era saldamente connessa a quella
anteriore da
uno snodo metallico e da una passerella, c'erano un piccolo laboratorio
di
ricerca, una infermeria, la centrale radio, la rastrelliera delle armi
e, nella
parte posteriore, sotto un'ampia vetrata, un secondo divano
trasformabile in un
letto doppio. C'era poi la possibilità, una volta fermi, di
posizionare altri
tre letti provvisori. I fucili erano disposti in tre punti differenti,
tutti
facilmente raggiungibili in caso di necessità. Tutti i
mobili erano fermamente
saldati al pavimento. Il potente motore, nonostante il peso
supplementare della
corazzatura, poteva spingere il mezzo a quasi settanta chilometri
orari, anche
troppi su un'isola piccola come Rocas Negras.
Risolti anche gli ultimi problemi,
tutte le attrezzature ed
i mezzi vennero trasportati all'eliporto, dove furono caricati o appesi
sotto
la fusoliera di tre grossi elicotteri a doppia elica. Alle dieci del
mattino la
piccola squadriglia prese il volo con gli otto componenti della squadra
di
soccorso, dirigendosi verso il mare.
Mc Manaman rimase sulla posta,
osservando gli elicotteri
allontanarsi, e se ne andò solo quando scomparvero
all'orizzonte. Quando arrivò
al parcheggio trovò, accanto alla sua Ford nera, una Toyota
grigia, appoggiato
alla quale lo attendeva un uomo orientale, dall'età
indefinibile, vestito con
un costoso completo bianco.
«Tutto bene, mister Mc
Manaman?» chiese.
«Tutto secondo i piani,
mister Ayate. Non si preoccupi».
«Lo spero per lei. Dopo il
fallimento del progetto
dell'isola il suo posto è a grave rischio».
«Ho già preso
accordi precisi con i tre mercenari che ho
assoldato: lasceranno che siano Harry Buckley e gli altri uomini che ho
assoldato per salvare le apparenze a condurre le ricerche dei dispersi,
mentre
loro si dedicheranno alla cattura di tutti gli animali sui quali
riusciranno a
mettere le mani. Animali giovani, facili da trasportare. Prima che
arrivi il
momento di ripartire arriverà un quarto elicottero, che al
ritorno porterà via
le gabbie. La struttura per accoglierle è già
pronta?».
«Quasi, ma occorreranno
solo pochi giorni per le rifiniture,
e già ora è sufficientemente avanti con la
costruzione per accoglierli senza
rischi. Non ho capito perché ha chiamato quei due cacciatori
bianchi dalla
Tanzania: sembrano tipi in grado di creare problemi, soprattutto quello
più
vecchio».
«Mi occorreva gente
esperta. Stanno andando in uno dei posti
più pericolosi del mondo».
«Perché non gli
ha spiegato il vero motivo dell'operazione,
allora?» chiese Ayate.
«Non ne ho visto la
necessità - concluse Mc Manaman - In
ogni caso, lo capiranno molto presto».
Il viaggio fu breve, ed Harry, che si
era vestito con un
paio di pantaloni color sabbia, una camicia azzurra, un gilet dalle
grandi
tasche ed il suo vecchio cappello da cow-boy, dormì per
praticamente tutto il
tempo, mentre la maggior parte degli altri appariva troppo nervosa per
imitarlo. Jim passò tutto il tempo nella cabina di
pilotaggio a parlare con il
pilota. Sam Thorton, un americano di colore della Carolina del Sud, che
il
cacciatore trovò particolarmente simpatico a prima vista.
«Tu resterai ad aspettarci
sull'isola o tornerai a
prenderci?» gli chiese.
«Io vi
scaricherò lì e me la filerò
più in fretta possibile!
Tornerò a prendervi quando mi chiamerete, ma non resterei
qui per nulla al
mondo! La G.G.E. non mi ha spiegato esattamente cosa c'è su
quell'isola, ma ho
capito perfettamente che si tratta di qualcosa di molto
pericoloso» poi,
osservando l'orizzonte, aggiunse: «Vai ad avvertire la gente
dietro: l'isola è
in vista».
Davanti all'elicottero, ancora
confusa per la distanza, era
comparsa un'isola a forma di tronco di cono, circondata da un alone di
nuvole.
Il grande mezzo non impiegò molto tempo prima di raggiungere
la terraferma, e
Sam iniziò ad abbassarsi, nel tentativo di individuare il
vecchio centro di
controllo, dove era stata realizzata una pista d'atterraggio.
All'improvviso, mentre stavano
sorvolando una zona
pianeggiante ed erbosa in mezzo alla giungla, il pilota
lanciò un urlo: «Santo
cielo! Affacciatevi ai finestrini, presto!».
Tutti andarono a guardare, e
ciò che videro mozzò loro il fiato:
era una scena appartenente ad un altro mondo, lontano milioni di anni.
La piccola valle era attraversata da
un fiume. Sulle sue
sponde, molti animali brucavano le piante acquatiche e le felci, e
tutti
appartenevano ad un unico genere: a sud, si vedevano chiaramente dei
dinosauri
di medie dimensioni, color verde scuro, con teste sormontate da creste
rossastre a cupola che ogni tanto alzavano per strappare qualche fronda
dagli
alberi. più a nord c'era un gruppo di animali dalla
corporatura molto simile, solo
dotati di ceste allungate, di forma tubolare e di colore bluastro,
intenti ad
abbeverarsi. Isolato dagli altri, un grosso stegosauro, con il dorso
ricurvo e
munito di placche mangiava placidamente l'erba. Dal limitare della
giungla,
appena sopra le cime dei primi alberi, si vedevano spuntare dei
lunghissimi
colli. Sulla riva opposta, un gruppo di triceratopi era intento a
nutrirsi, le
grandi teste munite di corna abbassate al livello del suolo.
«Fantastico!»
esclamò la dottoressa in piena estasi: aveva
studiato per anni gli scheletri degli stessi animali che adesso vedeva
vivi e
liberi davanti ai suoi occhi, e l'esperienza era a dir poco esaltante.
Tutti
gli altri, dal canto loro, sembravano troppo stupefatti per riuscire a
parlare:
erano stati avvisati, era vero, ma vedere dal vivo un simile spettacolo
era
completamente diverso.
Sam oltrepassò la vallata,
seguito dagli altri due mezzi, ed
alla fine vide, di fronte a se, un grosso edificio bianco a forma di
cupola:
era il laboratorio di genetica. Intorno alla costruzione principale si
vedevano
numerosi altri edifici, che insieme andavano a costituire il centro
visitatori
vero e proprio. Harry controllò la mappa che gli era stata
fornita da Mc
Manaman: le due strutture quadrangolari a due piani a fianco del
laboratorio
erano indicate come alloggi per il personale e gli scienziati, mentre
quella
più grande, a forma di trapezio, realizzata vicino
all'eliporto, era
l'incompleto albergo che avrebbe dovuto accogliere i visitatori.
C'erano poi
una costruzione piccola e bassa utilizzata come deposito per le
attrezzature,
uno spaccio, il centro di controllo sormontato da una grande antenna
radio,
all'interno del quale erano posizionati i computer che, a suo tempo,
controllavano tutte le attività dell'isola, e diverse altre
costruzioni delle
quali non era stata indicata la funzione. Intorno al complesso si
intravedevano
i resti delle recinzioni, ormai quasi interamente abbattuti. Non si
vedevano
tralicci in grado di portare la corrente dalla centrale elettrica, che
a quanto
Harry aveva capito doveva trovarsi sulla riva del mare, ma il
cacciatore
immaginò che potessero essere sotterranei. Molti edifici,
inoltre, avevano sul
tetto dei pannelli solari. Si vedeva bene, invece, una rete di condotti
di
forma tubolare che andava a connettere i diversi edifici, un'idea
realizzata
per le fin troppo frequenti giornate di forte pioggia.
I due elicotteri con appesi i mezzi a
ruote li posarono
delicatamente a fianco dell'eliporto, staccarono i collegamenti e
ripartirono
senza neppure atterrare. Sa fece scendere il suo sulla pista di cemento
armato,
aiutò rapidamente gli uomini della squadra a scaricare i
materiali, poi, dopo
un frettoloso saluto, tornò a decollare verso il Costa Rica.
Mentre la maggior parte del gruppo
lavorava per costruire il
campo base, Harry, Jim e la dottoressa Kelly andarono a controllare la
situazione degli edifici: la paleontologa aveva qualche speranza di
riuscire a
rimettere in funzione i computer, mentre Jim aveva espresso la speranza
di
poter dormire all'interno dell'albergo anziché nel camper.
La porta d'ingresso era a vetri, ma
le vetrate erano ridotte
in pezzi, Questo non avrebbe significato più di tanto, ma il
caos nella hall
convinse tutti che difficilmente avrebbero ricavato qualcosa dalla loro
visita:
i danni fatti dagli animali e dal maltempo erano stati notevoli, ma le
scale, i
cumuli di materiale, gli attrezzi, facevano capire che l'hotel non era
mai
stato completato. A Jim bastò infilare la testa in una delle
stanze per vedere
che i mobili non erano mai stati messi in posizione.
«Forse è meglio
dormire nel camper» borbottò il giovane.
«Andiamo avanti - fu la
replica di Harry, mentre si
aggiustava il fucile sulla spalla - Voglio vedere in che condizioni
è la sala
di controllo» e si diresse verso una porta grigia sulla quale
era stato scritto
"COLLEGAMENTO RAPIDO: SALA CONTROLLO-SPACCIO".
Nonostante i pochi anni di abbandono,
il clima umido aveva
già fatto arrugginire i cardini, ma la porta non era chiusa
a chiave, e bastò
una spinta decisa per farla aprire.
Il trio attraversò il
corridoio bianco, che sembrava
realizzato in un materiale simile alla vetroresina, abbastanza
traslucido da
lasciar passare parte della luce solare. Nonostante gli anni di
abbandono,
sembrava ancora solido. Dopo circa venti metri trovarono una
biforcazione: una
freccia nera rivolta verso destra conteneva la scritta bianca "SALA
CONTROLLO - VIETATO L'ACCESSO AI NON AUTORIZZATI", mentre una seconda,
rivolta a sinistra, indicava: "SPACCIO - APERTURA H 24". I tre si
diressero verso destra.
Ancora una trentina di metri, poi
trovarono una porta
scorrevole, accanto alla quale era posizionato un tastierino numerico.
Jim
provò a spingere, ma era bloccata. Sopra l'architrave
capeggiava per la seconda
volta la scritta "VIETATO L'INGRESSO AI NON AUTORIZZATI".
«Ci deve essere un
codice» disse il giovane, e provò a
digitare alcuni numeri a caso. Non accadde nulla.
«Non ci deve essere
corrente - borbottò - Come facciamo ad
aprirla?».
«Proviamo con le buone
maniere» disse Harry, prendendo
alcuni passi di rincorsa. Jim comprese e lo imitò.
I due uomini piombarono sulla porta
come arieti. Per loro
fortuna, non si trattava di un ingresso di sicurezza: la lastra si
incurvò
verso l'interno, poi cedette di colpo, crollando al suolo.
«Rozzo, ma
efficace» ridacchiò Kelly, seguendo i due uomini
nella stanza.
Era una grande sala rettangolare
dipinta di bianco: sui due
lati maggiori erano posizionati una dozzina di computer con le
corrispondenti
sedie, mentre al centro era situato un grande plastico dell'isola,
comprendente
tutte le strutture e corredato da led colorati. C'erano diverse porte
secondarie.
«Cerchiamo un modo per
riattivare la corrente - disse Harry
accendendo una torcia - Potendo, vorrei evitare di raggiungere la
centrale
elettrica, deve essere distante quasi un chilometro. Deve esserci una
centralina per far funzionare i pannelli solari, sembrano ancora in
condizioni
discrete, e a noi basteranno».
Trovare le apparecchiature richiese
un quarto d'ora, e farle
ripartire altrettanto: nessuno di loro era esperto nel campo, in fondo,
ma alla
fine Jim trovò la giusta leva: si udì un forte
ronzio mentre la struttura
tornava alla vita, e dopo pochi minuti le luci si accesero, sia pure
debolmente.
«Bravo, Jim!»
esclamò Harry, dandogli una pacca sulle
spalle.
I tre tornarono nella sala di
controllo, e Kelly iniziò a
provare alcuni dei computer. Al quarto tentativo ne trovò
uno ancora
funzionante e si sedette. Iniziò a muovere il mouse,
saltellando da un'icona
all'altra sul desktop, cliccando alla fine su "CONTROLLO FUNZIONI
PARCO". Subito le apparve una sorta di griglia, che mostrava i vari
sistemi, al momento tutti disattivati.
Kelly fu brevemente tentata da
"RECINZIONI
ELETTRIFICATE", ma finì per lasciar perdere: aveva visto
dall'elicottero
in quali condizioni versavano, non sarebbero state molto utili.
Attivò invece
"TELECAMERE DI SORVEGLIANZA".
«Buona idea -
approvò Harry - Con un po' di fortuna,
potremmo riuscire ad individuare i naufraghi senza muoverci da
qui».
Il computer fu occupato a caricare
per qualche istante, poi
presentò una mappa completa dell'isola, su cui si trovavano
dei simboli a forma
di occhio. Erano una ventina, ma solo tre erano di colore verde.
«Dannazione -
sbuffò Jim - Sono quasi tutte danneggiate!».
Kelly cliccò sulla prima:
lo schermo si trasformò in
un'immagine reale, rappresentante una scogliera bordata di giungla,
sulla quale
si distinguevano alcuni nidi occupati da pterosauri. Per quanto
interessata al
comportamento degli animali, Kelly passò alla seconda, che
mostrava la pianura
che avevano già sorvolato. Senza grandi speranze di
individuare qualcosa,
cliccò sulla terza, che sembrava trovarsi in piena giungla.
L'urlo della paleontologa si
levò nella sala controllo,
mentre l'occhio elettronico inquadrava uno scheletro umano scaraventato
scompostamente di fronte ad un tronco. Sulle ossa spolpate e spezzate
erano
rimasti solo pochi brani di carne putrefatta.
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