“Quando è stata l’ultima volta in cui
sono andato al cinema? Uhm… La prossima volta che danno qualcosa di
valido, portami con te!”
E così Junpei aveva fatto.
M12 e M13.
Ultima fila, poltrone centrali.
Il miglior posto per seguire un film, secondo Junpei.
«Yeah! La sala è tutta per noi!». Solo la confezione maxi di popcorn
che gli era stata affidata frenò in qualche modo l’entusiasmo di
Itadori.
Junpei, appena dietro di lui, teneva tra le mani due enormi
bicchieri di Coca-Cola, una zero e una normale. «Te l’ho detto: qui gli
spettacoli del pomeriggio nei giorni feriali sono i migliori: la gente
è ancora a lavoro e non ci sono scuole abbastanza vicine perché qualche
studente possa venire in tempo per quest’orario».
Itadori si voltò verso Junpei, investendolo con un sorriso radioso.
«Grazie per avermi portato con te!».
Junpei si schiarì la gola con un colpo di tosse, un po’ a disagio.
«Te
lo dovevo...».
Troppe cose erano successe dalla sera in cui si erano incontrati.
Itadori aveva cenato a casa Yoshino e si era trattenuto lì per la
notte. La madre di Junpei si era salvata solo grazie a lui, un ragazzo
appena conosciuto il quale aveva deciso che loro due sarebbero
diventati amici.
«Allora, che film vediamo?». Certe volte Itadori era davvero
distratto.
«Trasmettono la replica di “Titanic”. È un cult da vedere
assolutamente al cinema!».
«D’accordo!».
Le luci erano ancora accese, raggiunsero i posti assegnati e si
sistemarono con calma. Junpei inserì le maxi-cole nel portabicchieri
attaccato ai braccioli in tessuto blu e Itadori mise l’enorme ciotola
sulla seduta del posto vuoto alla propria destra.
Una volta seduti sospirò. «Queste sono più comode del
divano di Gojo...».
«Sono posti comfort, dopotutto».
Itadori fece una smorfia. «Però non è giusto, avrai speso un
patrimonio per invitarmi al cinema e non mi hai fatto nemmeno offrire
il cibo. Anche se hai detto che sono tuo ospite, e sei anche più grande
di me, questo non vuol dire che...».
«È un regalo, va bene così».
«Non devi sentirti in debito per Nagi: ci hai già aiutato a
catturare Mahito».
Junpei si costrinse a fissare dritto davanti a sé, come se lo
schermo bianco della sala fosse l'unica cosa presente.
«Non mi sento in debito per mamma».
Le luci iniziarono ad affievolirsi e la porta d’accesso alla sala si
chiuse.
«Ma, Junp—».
«Sssh! Inizia».
Itadori gonfiò una guancia, ma capì l’antifona e si mise
spaparanzato bello comodo al proprio posto, in religioso silenzio.
Per quanto fossero amici da poco, avevano una regola sacra: durante
il film non si parla
né si commenta – l’unica eccezione era il “metti in pausa, devo andare
in bagno”, per quelli on demand. Ogni parola doveva aspettare a dopo il
film. Peccato che Itadori avesse troppe energie per starsene fermo e
zitto per due ore e passa di fila.
Lo spettacolo iniziò con la colonna sonora del film, dei finti
scorci d’epoca e delle meravigliose riprese sottomarine. Junpei lo
aveva visto tantissime volte, ma non si sarebbe mai stufato di Kate
Winslet e Leonardo di Caprio nelle vesti dei due innamorati che il
destino crudele avrebbe separato per sempre.
All’improvviso, le dita gentili di Itadori gli sfiorarono la guancia
destra, portando indietro il ciuffo di capelli che nascondeva
quella metà del suo viso. Si ritrasse, trattenendo il fiato.
«Junpei, scostati i capelli dalla faccia, così potrai seguire bene
il
film. Ho già visto la tua cicatrice».
Come fosse un automa, Junpei si portò la mano al viso e la premette
contro il lato destro della fronte. Abbassò lo sguardo e strinse parte
del tessuto dei pantaloni color kaki nel pugno.
«Possiamo scambiarci di posto se vuoi», propose Itadori. «Non voglio
che ti senta a disagio. Goditi il film: siamo qui per questo».
Junpei si ritrovò disarmato, come ogni volta. Ancora non aveva
capito perché Itadori fosse così gentile con un rifiuto umano come lui.
Da quando era entrato alle superiori non era andato al cinema con
nessuno
che non fosse la madre e da circa un anno aveva smesso di chiedere
anche a lei, per evitare di vederla addormentata a metà film o che
usciva un attimo in preda a una crisi di astinenza da nicotina. A Nagi
non importava nulla dei film, andava solo per far compagnia a lui.
Con Itadori, invece, era diverso. A lui piacevano gli spettacoli e
condividevano anche gli stessi gusti. Junpei gli aveva regalato
quell’uscita insieme perché, in realtà, si faceva pena lui stesso.
Voleva sì condividere un film sul grande schermo con il suo nuovo
amico, ma voleva anche un po’ di normalità, poter andare al cinema
insieme a qualcuno, commentare il film durante la pausa, mangiare
schifezze ipercaloriche, baciarlo... no! Junpei, no! Ecco un altro
motivo
per cui era lì: andare al cinema con il ragazzo che gli piaceva era un
sogno romantico che non aveva nemmeno mai sperato si avverasse.
Junpei sapeva che Itadori non lo avrebbe percosso per la propria
sessualità, al contrario degli ex-compagni di scuola, ma di certo si
sarebbe allontanato da lui per sempre – dopotutto gli piacevano “le
ragazze alte con il culo grande”, sue testuali parole. Gli faceva male
saperlo così vicino, senza la possibilità di poterlo sfiorare, ma
avrebbe raccattato ogni briciola.
Con le guance in fiamme, Junpei si appoggiò di nuovo allo schienale
della poltroncina e si portò del tutto il ciuffo di capelli dietro
l’orecchio,
esponendo così le bruciature di sigaretta che aveva sul lato destro
della fronte, segni delle violenze che lo avevano indotto a lasciare
l’istituto Satozakura. Sbirciò
con la coda dell'occhio: Itadori sorrideva! Un giorno Junpei non
sarebbe più riuscito a resistere a quelle labbra increspate, ne era
certo; espirò piano e si lasciò scivolare ancora un po' sulla
poltroncina. Non c'era bisogno di dire niente, entrambi tornarono a
guardare il film.
Itadori mise il cestino di popcorn sul manico delle poltroncine tra
di loro, ma l’equilibrio precario lo fece desistere, così lo poggiò sul
proprio grembo.
Jumpei tese ogni muscolo e la sua postura si fece rigida. La sala
era vuota, forse
sarebbe stato il caso di suggerire a Itadori di scalare di posto per
mettere i popcorn tra di loro, ma non voleva che l’altro si
allontanasse. Un po’ in imbarazzo, prese una manciata di popcorn e un
paio gli sfuggì dalle dita, cadendo proprio sul cavallo dei pantaloni
di Itadori. Una cosa era certa: non li avrebbe ripresi. L’altro sembrò
non farci caso. Meglio così.
La proiezione andò avanti per un’altra decina di minuti.
«Ehi, psss! Junpei?». Itadori non riusciva proprio a resistere,
eccolo che interrompeva di nuovo.
Il ragazzo tirò su un po’ di bibita nerastra dalla cannuccia. «Mh?».
«Guarda che quella è la mia cola».
Junpei sbatté le palpebre più volte e, ancora con la cannuccia tra
le labbra, abbassò lo sguardo. Era così immerso nel film e nella
compagnia dell’amico che aveva preso la bibita nel portabevande a
destra, quello in mezzo a loro, mentre la propria era a sinistra.
La cannuccia lasciò la sua bocca con uno schiocco. «Ah, scusami…».
«Sei terribile, Junpei», Itadori lo prese in giro. «Anche a casa
scambi sempre i bicchieri. Sei troppo concentrato sui film».
Junpei voleva negare: questa volta era stato davvero un errore; a
casa, invece, lo faceva apposta per scambiare almeno un piccolo bacio
indiretto con Itadori, nonostante fosse un comportamento pietoso.
Rimise nel portabicchieri la bibita e trasalì. «Itadori…?». Gli
aveva afferrato la mano e stava intrecciando le dita con le sue!
«Così non mi ruberai più la cola: dovrai usare l’altra mano per
forza».
Junpei gliela strinse di rimando. Doveva avere un’espressione da
ebete in volto. «Io… così però non riuscirò a prendere i popcorn...».
Patetico, come la sua scusa.
«Oh, hai ragione!». Itadori gli mise il secchiello in grembo e fece
un cambio di mano, in modo da avere la mancina libera e la destra
continuasse a stringere quella dell’amico. Doveva essere un po’
scomodo, ma pareva soddisfatto. «Ora possiamo bere e mangiare
comodamente entrambi, senza furti».
Itadori poggiò le loro mani unite sulla propria coscia e tornò a
seguire il film con un rinnovato sorriso.
Junpei inspirò a fondo. In quella posizione era costretto a stargli
più vicino del normale e l'odore del suo bagnoschiuma gli riempiva le
narici come una droga meravigliosa. L’imbarazzo
era tale che non si sarebbe meravigliato di andare in autocombustione.
Itadori gli accarezzava con il pollice il dorso della mano, e anche
lui aveva le guance arrossate. «Neh, Junpei...», sussurrò, gli occhi
castani
ancorati allo schermo. «Questo pomeriggio con te è il miglior regalo
che potessi ricevere. Veniamoci ancora al cinema, solo io e te».
Junpei sorrise. «Sì!».
Non ci fu più bisogno di parole fra loro. Continuarono a tenere le
mani unite per tutto il film, muovendo piano le dita per accarezzarsi,
persino dopo l’intervallo e le bibite ormai scolate, galeotte di quei
piccoli e timidi passi che avevano iniziato a compiere per avvicinarsi
l’un l’altro.