2- La legge dell'adonide
La legge
dell’adonide
Something in your eyes is makin' such a fool of
me
When you hold me in your arms
You love me till I just can't see
But then you let me down
When I look around
Baby, you just can't be found
Stop driving me away
I just wanna stay
There's something I just got to say
Madonna, Borderline
Un racconto sul dolore
del ricordo
«Perché me lo stai dicendo adesso?»
«Perché non volevo perderti»
«Ma tanto tornerai in America e mi perderai comunque, non è vero? Allora perché
tutto questo?».
Chiunque abitasse a Morio-Cho da abbastanza tempo da
ricordare come fosse prima del boom economico, sapeva chi fosse la giovane
donna seduta da sola, eccezion fatta per la carrozzina che teneva con una mano,
al tavolino del punto ristoro del centro cittadino. Nessuno sapeva, comunque,
chi avesse avuto l’ardire di mettere incinta proprio la figlia dell’agente
Higashikata, anche se si vociferava fosse stato un gaikokujin.
Nulla d’ufficiale, beninteso, erano deduzioni scaturite perlopiù dagli occhi
insolitamente chiari di quel bel neonato che la madre non aveva vergogna alcuna
di mostrare in giro alla faccia delle malelingue. E tanti saluti alla
buoncostume.
Tomoko Higashikata voleva godersi lo shopping post esami universitari e il pomeriggio
agostano con suo figlio ed era intenzionata a rispondere male a chiunque avesse
osato indugiare con lo sguardo anche solo un attimo di più su di loro, dopo di
che sarebbe tornata a casa dove ad attenderla ci sarebbero stati suo padre e
una cena preparata con tanto amore, quello che mancava, per esempio, alle due
cretine che l’altro giorno erano state sorprese a bisbigliare al suo passaggio
e per questo messe immediatamente a tacere con una sfuriata memorabile.
Ci teneva veramente a svelargli il suo, di segreto. Ma
non così, non con una moglie, una figlia e un nipote di mezzo. Cielo,
addirittura un nipote!
«Io… non so cosa dire… Solo che mi dispiace per quello che c’è stato, non
pensavo che per te fosse così importante»
«Importante? Per me è fondamentale! Pensi che per me si sia trattato solo di
un’avventura? Se non l’hai capito io ti…»
«Oh my…»
«Io ti amo! Ti amo con tutta me stessa e se potessi ti porterei con me a farti
conoscere la mia famiglia. Però vedo che ne hai già una ad aspettarti, quindi…
non ti trattengo oltre».
«Da-da!»
«Josuke, tesoro!» Tomoko si sporse per prendere in braccio il bambino che
reclamava le coccole «Ti piacciono le insegne dei negozi? È la prima volta che
le vedi, vero? Guarda!» esclamò subito dopo indicando i vasi da esterno
decorati con fiori gialli e sgargianti all’ingresso del bar «Sai cosa sono
quelle? Sono adonidi! I nostri fiori!».
Il figlioletto si limitò a ricambiarla con un sorrisino sdentato da dietro il
ciuccio. Nel muoversi, sulla nuca, alla base del collo, la maglietta leggera
aveva scoperto per un attimo quella piccola voglia a forma di stella che le
ricordava quanto bello fosse il frutto del suo amore sfortunato. Sicuramente la
sua stazza avrebbe raggiunto quella del padre e non sarebbe trascorso molto
tempo affinché venisse superata in altezza dal suo futuro gigante prediletto,
ma al momento se lo voleva tenere così, piccolo, profumato di innocenza e
ancora ignaro dei pettegolezzi di cui era oggetto costante da quando era nato.
«Non devi toccarle» gli disse la mamma con dolcezza mentre gli sistemava meglio
i pantaloncini sulla vita «Sono velenosi come la mela che la strega dona a
Biancaneve!».
Un altro sorrisino innocente. Tomoko prese la borsa e rimise il figlioletto nel
passeggino.
«Solo un attimo di pazienza, non abbiamo ancora terminato» disse più a sé
stessa che al bimbo «La mamma deve compare ancora un’ultima cosa».
«Ancora un’ultima cosa»
«Dimmi pure»
«Non è una cosa che devo dirti, ma una cosa che tengo a donarti… Li riceverai
in albergo, è qualcosa che simboleggia la mia città di origine, così quando ti
capiterà di rivederli da qualche parte penserai a me».
Dopo poche ore era andata far recapitare un mazzo di adonidi, gialle, tossiche,
pregne di dolore, nella stanza d’albergo dell’unico uomo che avrebbe mai amato
in tutta la sua vita. Chissà se avrebbe collegato quei fiori al significato che
si portavano dietro. Che brutto scherzo, il destino, certe volte.
Era il negozio di dischi Oscar. Le vetrine esponevano una Stratocaster
e un Precision Bass assieme ad alcuni vinili appesi al soffitto con dei fili di
nylon. Quando si decise a entrare venne accolta dal saluto di rito del commesso
e dagli altoparlanti che trasmettevano la musica di una cantante straniera la
cui voce, tuttavia, non le risultava del tutto sconosciuta.
Gonna
have to change your mind
Gonna leave your troubles behind
Your body gets the notion
When your feet can make the motion¹
«Mi piace questa canzone, di chi è?»
«È di una esordiente americana, si chiama Madonna. Non è proprio il mio genere,
però c’è qualcosa di lei che mi cattura».
«Adesso ricordo…» mormorò tra sé guardando distrattamente
gli scaffali coi vinili. Nonostante non fosse la canzone che avevano ascoltato
insieme si disse che quest’altra le piaceva decisamente di più, anche se non
riusciva a cogliere per intero il significato di alcune strofe:
Borderline
Feels like I'm going to lose my mind
You just keep on pushing my love over the borderline
Borderline
Feels like I'm going to lose my mind
You just keep on pushing my love over the borderline
«Mi scusi» disse al ragazzo che l’aveva salutata «vorrei
acquistare un Walkman e… come si chiama la cantante che sto ascoltando in questo
momento?».
Domanda tautologica, ovviamente.
«Ciao, scusa se ti chiamo adesso e senza preavviso, ma
tenevo a ringraziarti per i fiori, sono molto belli».
Un sospiro di mestizia che si frappone fra lei e la cornetta. Stavolta si
tratta davvero dell’ultima occasione a disposizione che ha per rivelarglielo.
«Joseph, io…».
Sono incinta. Divorzia da tua moglie e andiamo a vivere insieme, compriamo
una casa e adottiamo un cane, io farò l’insegnante mentre tu continuerai a fare
l’agente immobiliare, e quando tornerai a casa ci saremo io e nostro figlio ad
attenderti.
«Figurati. Fai attenzione a non toccarli troppo spesso, sono velenosi.
Soprattutto… soprattutto le foglie».
Finalmente terminati gli acquisti e rinchiusa nel comfort
ovattato della sua automobile, Tomoko stringeva tra le dita il jewel case della
musicassetta che aveva appena acquistato. Il primo piano in bianco e nero di
una donna con la quale condivideva pressappoco la stessa età le rivolgeva uno
sguardo conturbante incorniciato dal trucco e da corti capelli biondi
sapientemente arruffati. Sul seggiolone portatile alla sua sinistra, Josuke
succhiava placidamente il ciuccio.
«Tomoko, tesoro, guarda che ti ho cresciuta io e capisco
subito quando fai finta di stare bene».
Tomoko non risponde. Gli occhi gonfi e il principio di nausea lo fanno al posto
suo. L’unico genitore rimastole non la guarda con rimprovero e d’altronde non
potrebbe mai fare una cosa del genere alla persona che lui ritiene più preziosa.
«Presumo fosse importante per te» riprende suo padre sempre con calma «se non
vuoi parlarmene non sarò io a costringerti, però sappi che se farai nascere
questo bambino… forse ti sembrerà scontato, ma sappi che se vorrai farlo
nascere il tuo papà sarà qui ad aiutarti, di questo non devi preoccuparti!».
«Sono a casa!» esclamò Tomoko aprendo l’uscio non senza
qualche impedimento dovuto alla combo buste della spesa più neonato in
passeggino «Pronto? Nipote reclama nonno! Ripeto: nipote reclama nonno!»
«Il nonno ha ricevuto l’ordine forte e chiaro, passo e chiudo!» Ryohei
attraversò di gran carriera l’atrio con indosso la divisa appena stirata e il
cappello in testa «Ciao tesoro, hai fatto compere?» aggiunse subito dopo alla
figlia aiutandola ad alleggerirla dall’impaccio «E qui abbiamo il mio nipote preferito
che diventa sempre più grande!» appena liberatosi dai sacchetti non perse tempo
a prendere in braccio Josuke e a stringergli le guanciotte rosate con quella
sua manona che sapeva essere sempre gentile con chi lo meritava.
«Non sapevo stessi andando al lavoro» commentò Tomoko inarcando un sopracciglio
«quando la smetteranno di darti tutti questi straordinari?»
«Non lo so tesoro, non lo so» Ryohei strinse a sé il nipotino e diede un bacio
sulla guancia della figlia «non pensare a me e al lavoro, goditi questa piccola
vacanza prima di tornare a Tokyo, d’accordo?»
«Se lo dici tu…» borbottò lei prendendo a sua volta il bimbo in braccio «Vuoi
che sia io a prepararti qualcosa quando terminerai il turno?»
«Non ce n’è bisogno, ho già mangiato degli onigiri. A proposito, ne ho lasciati
un paio anche per te, non restare digiuna eh!» si raccomandò l’uomo prima di
chiudersi la porta alle spalle.
«Sì papà, dopo la poppata» rispose lei inespressiva. Quando si ritrovò da sola
con Josuke la prima cosa che fece fu rovistare tra i sacchetti alla ricerca dei
suoi due ultimi acquisti: quando li trovò si diresse in cucina e raccolse anche
il vassoio con gli onigiri di suo padre e, pargolo in braccio, percorse la
rampa di scale diretta verso la propria camera. Da lì la finestra offriva la
vista parziale del quartiere e proprio poco distante dal giardino l’agente
Higashikata si allontanava in bicicletta e sollevava il cappello in segno di
saluto per le due coppie di genitori con figlia adolescente, figlio piccolo e
cane che aveva incrociato nella direzione opposta mentre si recava a lavoro. Il
più giovane e vociante del gruppo, un bambino che non dimostrava più di quattro
anni, faceva vedere a tutti un suo disegno sul quale era stata impiegata una
bella quantità di giallo. Forse si trattava di un fiore, ma non ne era del
tutto sicura; Tomoko indossò gli auricolari e infilò la cassetta nel vano del
walkman. Mentre le prime note sintetizzate di Everybody iniziavano a
estraniarla dal mondo le due famigliole erano scomparse alla vista. Con un
sospiro si allontanò dalla finestra e si portò il figlioletto al seno.
«Ah, che faccino carino che hai» sussurrò, scostando i capelli nerissimi dalla
fronte bianca di Josuke «mi prometti che qualunque cosa accadrà non ti farai
mettere i piedi in testa da nessuno? Mh?».
Il bimbo rispose con un mugolio soddisfatto per la poppata e per il contatto
con il corpo della mamma. Troppo buono per piangere anche quando ne aveva il
diritto e troppo candido per la storia che aveva condotto alla sua nascita, il piccoletto
non aveva idea alcuna di chi fossero le persone che il nonno aveva visto
salutare dal primo piano della camera di sua madre, e d’altronde non avrebbe
potuto neanche volendo. Sia lui che Tomoko non sapevano nemmeno che dopo appena
una decina di giorni una delle due famiglie sarebbe finita sulla cronaca nera
del giornale locale e che dopo una prima reazione di grande sconcerto la
cittadina sarebbe ripiombata nella sua febbre di sviluppo economico dimenticandosi
– quasi del tutto – della faccenda.
«In realtà non so perché proprio le adonidi siano i fiori
simbolo della mia città, ma a me piace il significato che vi sta dietro. Simboleggiano
un sentimento o una persona che si tiene per sempre nel proprio cuore a
prescindere dai casi della vita. Quindi… beh, anche se non ci vedremo più ti
porterò per sempre nei miei ricordi».
***
¹Everybody, singolo d'esordio di Madonna, pubblicato il 6 ottobre 1982.
Musica in Jojo: Il 1983 non
è solo l'anno di nascita di Josuke e Okuyasu: segna anche il
debutto discografico di Madonna, che avviene il 27 luglio per
l'etichetta Sire Records. Borderline, che racconta le difficoltà di un amore non soddisfatto, appare
seconda nella tracklist ed è il quinto e ultimo singolo
dell'album, che sarebbe infatti uscito il 15 febbraio 1984. L'idea
iniziale era quella di inserire Papa Don't Preach come canzone introduttiva, ma riflettendo sulla natura gentile di nonno Ryohei ho deciso di scartarla.
Retroscena: Faccio un'ammissione di colpa: non sono una grande fan di Diamond Is Unbreakable.
La reputo la saga più disomogenea della prima esalogia di Jojo e
anche quella con gli avversari più irritanti (se escludiamo
Kira); in secondo luogo, non riesco a mandare giù il fatto che
Joseph abbia tradito Suzie Q, reputando tale comportmento alquanto OOC.
Tuttavia, penso che Tomoko sia uno dei personaggi secondari più
interessanti della saga e che il tema della maternità non
desiderata all'interno della quarta parte sia stata relagata ai margini
della vicenda pur aleggiando insistentemente tra gli altri personaggi,
motivo per cui ho dedicato il secondo racconto della raccolta alla
Jomom più tosta, per certi versi, della famiglia Joeastar.
E Josuke?
Su di lui, al momento, non mi pronuncio. Apparirà più in
là come protagonista di un'altra vicenda e in un contesto del
tutto diverso.
Grazie mille per aver letto, alla prossima.
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