Cap
VI
Corvi
feriti
Itachi
sentì qualcuno sfilare il suo elastico con un
gesto veloce e dispettoso. Istantaneamente, i capelli che era riuscito
a tenere
composti lontano dal viso scivolarono in avanti sulle sue guance e
spalle,
alcuni ciuffi coprirono anche gli occhi.
Sospirò
esasperato.
“Shisui…”
richiamò all’ordine, ma il cugino aveva
già
cominciato a passare le dita fra i capelli.
“Sciolti
sono così belli” si giustificò,
sentì la
forma del suo sorriso mentre gli baciava la nuca.
“Per
tenerli sciolti dovrei accorciarli” lo stuzzicò e
la reazione fu immediata.
Si
adattò come meglio poteva alle braccia forti che lo
strinsero contro un petto solido.
“Non
osare” ringhiò Shisui. “I tuoi capelli
sono
splendidi”.
Itachi trattenne
a fatica una risata pensando al
broncio che doveva aver messo su l’altro.
“Per
favore, riordinali”.
Non dovette
insistere più di tanto, con un borbottio
contrariato Shisui fece come gli diceva. Riprese l’elastico e
iniziò a
pettinarli, racchiudendoli ancora nella coda bassa.
“Devo
andare” disse quindi. “Kakashi-taichu mi
aspetta”.
“Lo
so” sospirò Shisui.
Itachi si
alzò, nella penombra gli alberi filtravano malapena
la luce della luna sulla radura e i contorni di Itachi si confondevano
nella
notte come una figura quasi eterea. La luna però illuminava
la sua pelle, i
capelli d’inchiostro e le placche dell’armatura
ANBU. Era bellissimo, una
visione. Shisui desiderò che restasse lì per
baciarlo tutta la notte, parlare e
accarezzargli la pelle scoperta delle spalle con la punta della dita,
non
osando desiderare altro, ma non potevano… Erano shinobi,
avevano missioni più
importanti e Itachi doveva partire.
Gli prese la
mano, baciandogli le dita. Shisui aveva
quasi quindici anni, Itachi dodici, era per entrambi il loro primo
amore. Si
sentivano come se fossero invincibili se insieme, inseparabili anche
attraverso
la distanza.
“Lo
sai, siamo destinati” mormorò Shisui.
“Ancora
con questa storia…”
“È
vero” protestò con un sorriso. “I nostri
indici
sono legati insieme dal filo rosso del destino! È per questo
che non ti lascerò
mai”.
“È
solo una favola, non essere stupido”. Ma al di là
dei tentativi di Itachi di essere più serio, non riusciva a
sciogliersi in un
sorriso alle dichiarazioni esagerate del cugino.
“Non
è vero, posso vedere il filo rosso. È una delle
capacità segrete del Mangekyo” assicurò
sorridendo brillante.
Itachi non
resistette oltre e si piegò a dargli un
piccolo bacio casto sulle labbra. riusciva a sentire la forma del
sorriso
dell’altro.
“Allora
non mi resta che fidarmi di te” considerò.
“Ora devo andare davvero…”
“Torna
presto e salvo”.
Il ragazzo
sorrise dolce. “Ovviamente”.
**
Il
cartello
con scritto La lepre e la tartaruga
era inchiodato sbilenco sulla facciata della vecchia locanda al
crocevia della
Terra del Fuoco con la Terra dell’Erba. Quando durante la
fine della Seconda
Guerra Ninja il proprietario aveva fondato quella locanda, aveva
assicurato con
ardore che quello fosse l’esatto punto in cui la lepre della
famosa leggenda si
era addormentata, il punto in cui la tartaruga era riuscita a
superarla.
Ormai
era
solo una baracca che si teneva insieme per miracolo, con il tetto
spiovente
ricostruito più volte e il legno consumato dalle tarme. Era
così lugubre e
sudicia che veniva usata molto raramente dai ninja di passaggio, era un
ostello
dimenticabile. Itachi probabilmente era l’unico di Konoha a
esserci mai stato,
insieme a Shisui, e anche allora erano stati spinti dalla disperazione.
Pioveva
a dirotto quella notte e Shisui era stato ferito molto gravemente, non
potevano
continuare e quella era stata semplicemente la locanda più
vicina.
Era
anche
il posto dove un undicenne Itachi aveva avuto il coraggio di baciare
per la
prima volta Shisui. Era stato un contatto brevissimo di labbra
socchiuse, da
bambini innamorati, di cui conservava solo il sapore ferroso del sangue.
Itachi
alzò
gli occhi al cielo, guardando la linea del sole. Mancavano meno di tre
minuti a
mezzogiorno, era puntuale. Nel suo punto nascosto tra gli alberi, si
tolse la
maschera e nascose la propria divisa ANBU con anonimi abiti civili,
trasformando anche il proprio volto per non essere riconosciuto. Rese
comunque
la sua henge molto debole, in modo che uno sharingan riuscisse a vedere
attraverso essa.
Senza
più
esitazione, entrò nella bettola. Dentro c’era poca
luce e così tanta polvere
che gli fece arricciare il naso. L’odore nauseante di sudore,
birra e cibo
andato a male gli serrò la gola. Rispetto a molte altre
locande in cui era
stato sotto copertura, questa era poco frequentata. Gruppetti si erano
girati
sospettosi alla sua entrata, ma la sua henge li aveva tranquillizzati
abbastanza da far tornare ognuno ai propri affari. C’era un
gruppo che giocava
a carte, la birra rovesciata sul tavolo. In un angolo un altro
discuteva
furtivo, talvolta lasciandosi sguardi sospettosi attorno. Per lo
più erano
solitari andati lì per ubriacarsi. Il barista puliva il
bancone incrostato con
uno straccio lercio, il petto villoso era esposto dalla camicia aperta.
Erano
tutte ombre poco chiare nella scarsa illuminazione.
Non molto
igienico,
pensò guardando gli
insetti che ronzavano da un tavolo all’altro, posandosi sui
piatti con resti di
cibo.
All’improvviso
sentì una presenza alle sue spalle, comparsa dal nulla, ma
non riuscì a reagire
in tempo. Una mano lo afferrò saldamente al fianco scoperto
e un respiro si
scontrò con il suo orecchio destro.
“Primo
piano. Ultima stanza in fondo a sinistra” alitò
Shisui prima di sparire com’era
comparso.
Itachi
emise il respiro che non si era accorto di trattenere. Senza muoversi
si guardò
attorno, nessuno sembrava essersi accorto di quel brevissimo scambio. E
nessuno
lo fermò, nemmeno il barista, quando si mosse verso le scale
e iniziò a
salirle. Nessuno gli diede attenzione, come se fosse perfettamente
dimenticabile, e salì la rampa fino al primo piano.
Arrivò fino alla porta
indicata da Shisui, trovandola socchiusa.
Prese un
lungo respiro, domando il nervosismo. Questa volta sarebbe andato fino
in
fondo, anche al costo di combattere. Shisui era pericoloso, aveva
attaccato
Sasuke, Kakashi e sicuramente era il vero committente del furto del
Rotolo.
Aveva superato il limite, dimostrando di essere una minaccia per
Konoha. Non
poteva tentennare.
Allungò
quindi il braccio e aprì la porta con una spinta decisa, i
muscoli tesi nel
caso dovesse combattere.
La
stanza
rispecchiava coerentemente il resto della bettola: un pavimento sporco,
mobili
rovinati dalle tarme, puzza di muffa, un letto a baldacchino che cadeva
a pezzi
e il vetro delle finestre rotto. E al centro della stanza
c’era lui.
Shisui.
“Shisui”
mormorò senza fiato.
Era
passato
più di un anno dall’ultima volta che si erano
incontrati di nascosto e i suoi
riccioli si erano fatti più selvaggi. L’intera
espressione di Shisui era più
selvaggia, come di un animale scappato dalla cattività.
Itachi
non
cambiò espressione quando
sentì la porta
chiudersi alle sue spalle da sola, tenne gli occhi fissi davanti a
sé per
studiare ogni mossa dell’uomo che aveva davanti.
Appena
la
porta fu sigillata, l’unico occhio rimasto si socchiuse,
addolcendo l’intera
espressione di Shisui.
“Itachi”
ricambiò in tono basso, felice.
Bastava
quel tono a farlo tremare, a scuotere la sua determinazione almeno in
parte. Itachi
dovette chiudere gli occhi e regolare il battito del suo cuore,
odiandosi per
l’improvvisa emozione che gli attorcigliava le viscere.
Questa
volta non poteva andare come tutte le altre, si ricordò. Non
lo avrebbe
lasciato andare dopo aver approfittato di quel tempo rubato: doveva
catturarlo.
Ma
Shisui
questo non doveva capirlo, non doveva sospettare nulla,
perciò era meglio che
almeno all’inizio si comportasse come al solito.
“Non
è
troppo rischioso questo posto?” domandò.
Shisui
sorrise, incurante.
“Se
non hai
fatto la spia, nessuno arriverà. E i miei corvi stanno
ispezionando il
perimetro” garantì.
Annuì,
mostrandosi rassicurato. Del resto se qualcuno a Konoha avesse scoperto
che si
incontrava clandestinamente con un nukenin lo avrebbero etichettato a
sua volta
come traditore. L’unico che conosceva quegli incontri era
Danzo, visto che era
stato proprio il vecchio consigliere a spingerlo a cercare Shisui
e… lasciarsi andare.
Itachi non aveva ben
chiaro che cosa sperasse di ottenere Danzo da tutto ciò,
visto che Shisui era
sempre ben attento a non rivelare mai nulla sulla sua nuova vita. Ma
sapeva
anche che Danzo non faceva mai nulla a caso, c’era sempre un
motivo e Itachi si
fidava di questo.
Lasciò
cadere la trasformazione, mostrando così le sue vere
sembianze. Appena lo fece
l’occhio di Shisui brillò e il cugino
cominciò a camminare verso di lui.
“I
tuoi
capelli sono diventati ancora più lunghi”
considerò con un sorriso.
“Anche
i
tuoi sono più ricci” replicò.
Itachi
non
si mosse quando Shisui gli fu praticamente di fronte, una mano
allungata dietro
la sua nuca, stringendo la coda di capelli lisci. Prima che se ne
rendesse
conto, aveva sfilato l’elastico e liberato i fili lucenti,
che si allargarono
attorno alla sua figura. Le dita di Shisui accarezzarono le lunghe
ciocche
libere, c’era una riverenza nei gesti che fece immobilizzare
Itachi. Il secondo
successivo lo stava baciando, le labbra premute contro le sue con una
disperazione disarmante. La mano che tanto teneramente gli aveva
accarezzato i
capelli scese a cingerlo alla vita, aggrappandosi ai suoi fianchi con
una forza
tale che fece socchiudere la bocca a Itachi. Shisui ne
approfittò subito di
quella apertura, rese il bacio più intenso e bagnato,
infilando la lingua in
cerca della gemella. Itachi rabbrividì alla sensazione del
muscolo umido che
gli riempiva la bocca, che leccava le sue labbra e i denti. La
sensazione
accompagnata all’odore di Shisui, che non sentiva da
così tanto – troppo –
tempo, lo fece indurire all’istante.
Riaprì
gli
occhi, cercando di ricomporre la propria fermezza. Doveva farlo ora,
prima che
l’eccitazione prendesse possesso della sua mente e
sbriciolasse la risoluzione
che lo aveva portato fin lì. Inoltre Shisui in quel momento
sembrava totalmente
disarmato, in balia del bacio. Era vulnerabile, non poteva sperare in
un
momento migliore.
Attese
solo
qualche minuto, ricambiando il bacio e i gesti per non insospettirlo.
In realtà
si crogiolò nella sensazione, prendendone ogni momento come
l’ultimo respiro. Ma
capì che il momento era terminato quando Shisui
spostò le mani dai suoi fianchi
sul suo petto, partendo dalle clavicole per staccare i bottoni della
blusa che
indossava. Quello era il momento giusto.
Gli
morse
il labbro con forza e poi si allontanò lentamente dal viso
dell’altro, lo
sguardo vitreo. Shisui non lo rincorse, rimase paralizzato e
abbassò lo sguardo
sui proprio polsi improvvisamente ammanettati. Sulla catena erano
impressi
simboli di sigilli, posti per bloccare il chakra. Sembrava confuso di
vederli.
Itachi
si
appoggiò al muro con stanchezza.
“Finiamola
qui, Shisui” chiese.
Nel
sentire
il proprio nome, il nukenin alzò lo sguardo dalle manette
che lo bloccavano e
lo guardò in volto. Sorrise, ma quello stiramento di labbra
era solo una
pallida imitazione del vecchio e vero sorriso di Shisui. Non
c’era nulla di
giocoso in lui e i suoi occhi brillavano di una luce maniaca, che
poteva aver
acquisito solo dopo anni in mezzo alla feccia shinobi. Mise i brividi a
Itachi.
“Oh,
vuoi
farlo così?” domandò con un tono di
voce che era sporco quanto il suo sguardo,
il suo sorriso.
Ma che
fece
tremare Itachi.
Cercò
il
proprio fiato per replicare, per fermarlo, mentre Shisui tornava
vicino, le sue
labbra questa volta sul suo collo. Itachi si vergognava ad offrirgli
così
spontaneamente quel punto vitale, fragile, sarebbe bastato
così poco per
ucciderlo. Appoggiò le mani sulle sue spalle e spinse con
forza.
“Shisui,
non fare resistenza. Ti sto riportando alla Foglia” disse con
il tono saldo,
nonostante il cuore che tremava.
Il
cugino
lo derise beffardo e, a dimostrazione di quanto lo stesse prendendo
seriamente,
lo afferrò per i fianchi e lo fece cadere sul letto vicino.
Il materasso attutì
la caduta di schiena, ma Itachi digrignò i denti al peso di
Shisui su di lui.
“Certo”
lo
blandì, le mani che vagarono a infilarsi sotto i suoi abiti
civili.
“Esattamente come tutte le altre volte”.
Itachi
contrasse lo sguardo. “No, questa volta per
davvero”.
Sbuffò.
“E
cosa cambierebbe dalle altre volte?”
“Hai
ferito
Sasuke”.
Shisui
si
bloccò. Le sue mani si fermarono e alzò gli occhi
a incontrare quelli
dell’altro, le stesse iridi nere che si riflettevano le une
sulle altre.
“Si
era
intromesso” disse, il tono molto più serio di un
secondo prima.
“Feriresti
anche me se mi intromettessi?”
Il
silenzio
durò a lungo mentre si fissavano, i visi ancora
così vicini che i loro fiati si
mescolavano. L’unico occhio di Shisui diventava
più freddo man mano che il
tempo passava. Poi la sua figura si sfaldò: divenne una
macchia nera che si
divise in tanti piccoli corvi dalle lucenti penne nere. Itachi
riconobbe la
tecnica che avevano inventato insieme e, libero dal peso che lo
tratteneva
sulla schiena, si mise seduto sul letto. Si guardò attorno,
in attesa che
Shisui comparisse ancora.
Sussultò
quando la voce lo raggiunse proprio alle sue spalle.
“Dipende”
disse. “Hai intenzione di catturare Naruto?”
Si
voltò,
trovando Shisui steso sull’altro lato del letto, le braccia
sollevate
mollemente dietro la testa. Non aveva le catene di sigilli, quello di
prima
doveva essere un clone e Itachi si maledì per esserci
cascato così facilmente.
L’unico occhio di Shisui era rivolto al soffitto sporco.
Quella
domanda lo mise sull’attenti.
“È
il
jinchūriki del Kyūbi, è mio dovere come shinobi della Foglia
riportarlo a
casa”.
Fece una
smorfia, l’occhio che si spostò a guardarlo con
disprezzo. Quello sguardo lo
ferì.
“Chiami
casa una prigione dove tutti ti odiano e ti tengono a distanza, che
aspettano
solo il momento giusto per usarti come arma?”
Itachi
arricciò il naso contrariato, quelle parole che suo malgrado
affondarono nella
mente. Ma accusò il colpo e replicò:
“Non
sapevo
che la sua condizione ti fosse così a cuore”.
Shisui
contrasse le labbra, l’espressione che si fece molto
più amara.
“No,
l’ho
ignorato come tutti gli altri” ammise.
“L’ho capito dopo”.
Strisciò
lentamente sul materasso, avvicinandosi alla figura distesa,
lasciò lo stesso
un po’ di spazio tra loro.
“Quando
lo
hai rapito” disse.
“Io non l’ho rapito”.
Roteò
gli
occhi. “Va bene, allora quando ti ha seguito per abbandonare
Konoha”.
Rise,
apertamente. “No, non è me
che ha
seguito”.
Quella
sottolineatura gli mise i brividi sulle braccia, ma la sua mente
lavorò velocissima.
Conosceva a memoria i rapporti sulla scomparsa di Shisui, sul suo
tradimento.
Itachi stesso c’era quando, per scappare da lui e gli altri
ANBU, Shisui si era
gettato nel fiume Naka ed era sparito a metà del salto, come
se l’aria lo
avesse inghiottito nel nulla. Tutti pensavano si fosse trattato di uno
shunshin
particolarmente riuscito, ma in quel momento a Itachi venne in mente
quello che
avevano descritto le pattuglie degli Inuzuka. Quella sera non
c’era solo
l’odore di Shisui e Naruto alle porte di Konoha, ce
n’era un terzo: uno
sconosciuto, che sapeva di conifere, cenere… ma che sembrava
quasi sintetico.
Un terzo
uomo, un complice.
Gli
occhi
di Itachi si acuirono, consapevole che si trattava della persona che
aveva
salvato Shisui dal suo salto suicida, la persona che aveva interesse
nel rapire
il jinchūriki.
“Chi?”
chiese duro, inflessibile.
Shisui
allargò il sorriso, uno stregatto inquietante con il suo
unico occhio
brillante. Si mise a sedere mentre una risata roca strisciava fuori
dalla sua
gola, con il suo gesto cancellò tutta la poca distanza che
Itachi aveva tentato
di mettere tra loro. Lo fronteggiò viso a viso, i loro nasi
che si sfiorarono.
L’espressione
folle lo spaventò, si preparò a combattere.
“Itachi…”
mormorò, “lo ricordi ancora il nostro sogno? Il
tuo sogno? Diventare lo shinobi
più forte e in grado di decidere la guerra e la
pace?”
Itachi
annuì con un cenno meditabondo. Quello era ancora il suo
sogno, il suo
obiettivo e – sebbene Shisui fosse l’unico a
conoscerlo fino in fondo –
finalmente si stava davvero avvicinando nel compierlo. Ma il tono
folle,
affrettato e un po’ esaltato con cui aveva parlato lo mise in
allarme. I suoi
muscoli si irrigidirono in automatico, come se si trovasse prossimo a
uno
scontro.
“Lo
ricordo” rispose, mantenendo la sua voce quieta.
Il
sorriso
di Shisui si fece ancora più folle.
“E
se ti
dicessi che esistono già delle persone così?
Shinobi con così tanto potere da
essere dei, in grado di poter avere la gestione completa della
guerra”.
Itachi
si
turbò ancor di più, era sicuro non stesse facendo
riferimento ai Kage delle Cinque
Nazioni Ninja.
“Dubiterei
della
loro esistenza, altrimenti lo starebbero già
facendo” commentò placido.
“Il
progetto è ancora in fase di sviluppo”.
“E
questo
progetto consiste nel rubare i Jinchūriki ai villaggi?”
Shisui
alzò
gli occhi al cielo, visibilmente esasperato.
“Non
rubare, non sono oggetti che si
possono rubare” ringhiò. “Naruto
è venuto con noi perché lo
voleva”.
“Avete
manipolato un bambino” insistette.
“No,
gli
abbiamo detto la verità e lui ha scelto”.
Questo
confermava il rapporto di Kakashi, dove presentava il bambino
consapevole della
sua situazione… Ed era stato qualcuno a rivelarglielo e solo
qualcuno interno a
Konoha poteva averlo fatto. Ma non Shisui, visto che aveva ammesso di
essersi
interessato al Jinchūriki dopo la fuga. Chi altro aveva tradito in quel
modo il
villaggio? Oscurò lo sguardo, sempre più turbato
da quello che scopriva.
“Voi
chi?”
Shisui
tornò a sorridere inquietante. “Una nuova alba per
il mondo”.
“Chi
sono
questi dei che hai nominato?” insistette.
“I
mostri
che i villaggi hanno creato”.
Le
risposte
sibilline gli diedero i nervi, strinse le mani sulla stoffa del letto
per
resistere all’impulso di attaccarlo e trascinarlo con la
forza a casa.
Combattere con Shisui non era facile, più di una volta era
stato sconfitto dal
cugino, doveva giocare in astuzia e pensare, restare lucido. Doveva
avere più
informazioni possibili.
“È
per
controllare quei mostri che hai rubato il Rotolo Proibito?”
La
faccia
del più grande si fece indifferente. “Non so di
che parli. Non ho rubato
nulla”.
“No,
tu no.
Ma Mizuki per tuo conto sì”.
Shisui
mantenne l’espressione per molti secondi, guardandolo quasi
senza sbattere le
palpebre, ma Itachi non demorse e non distolse lo sguardo. Sapeva che
era opera
sua e sapeva anche perché lo aveva fatto, gli serviva solo
una conferma.
E quella
arrivò, quando alla fine Shisui voltò il viso e
ghignò. “Beccato”.
Forse in
cuor suo aveva sperato continuasse a negare, perché
quell’ammissione gli
appesantì il cuore e ostruì la gola. Shisui aveva
abbandonato Konoha, ma in
quei quattro anni non aveva mai fatto nulla contro il
villaggio… quella presa
di posizione lo segnava come insalvabile, nessuno del Consiglio lo
avrebbe più
perdonato.
“Volete
liberare il Kyūbi…” mormorò incredulo.
“No!”
contraddisse con forza. “Vogliamo solo dare a Naruto il
potere necessario per
difendersi”.
“Quel
rotolo contiene il sigillo che gli impose lo Yondaime. Volete capire
come toglierglielo”.
“Migliorarlo”
corresse digrignando i denti.
A Itachi
stava venendo la nausea. I Bijū garantivano l’equilibrio tra
nazioni, erano un
monito che scoraggiava i villaggi ad attaccarsi direttamente fra loro.
Fino a
quel momento Konoha aveva fatto un buon lavoro a nascondere di aver
perso il
proprio, ma se volevano davvero che Naruto iniziasse a usare il potere
del
Kyūbi presto le voci sarebbero corse… Konoha sarebbe stata
attaccata, privata
com’era della sua più grande arma difensiva.
“Perché?”
domandò a fatica.
“Perché
voglio la pace, ‘Tachi. È quello che vuoi anche
tu, era il tuo sogno”.
“L’unica
pace possibile è con Konoha”.
Shisui
derise la sua convinzione. Un suono stridulo e sgraziato che gli fece
accapponare la pelle. Era già successo che nei loro incontri
clandestini si
parlassero, ovviamente, ma solitamente Shisui aveva evaso ogni sua
domanda,
rispondendo con prese in giro e cambiando argomento. Era la prima volta
che si
parlavano davvero ed era terribile quello che stava venendo a scoprire.
“Konoha
è
corrotta, come tutti i villaggi. Non potrà mai esistere la
vera pace con questo
sistema shinobi”.
“Fai
gli
stessi discorsi che Madara fece a suo tempo”
protestò, volendogli ricordare che
cosa era poi successo al vecchio capo clan, ma si interruppe vedendo lo
sguardo
di Shisui illuminarsi.
“Forse
è
stato lui ad aprirmi gli occhi”.
Itachi
rimase con la bocca socchiusa, come colto da una realizzazione che non
era
sicuro di aver compreso pienamente. La sua portata sarebbe stata troppo
vasta e
Madara era stato ucciso dallo Shodaime. No, le parole di Shisui
dovevano essere
state apposta ingannevole per confonderlo. Tentò di
riprendersi, la mente
analitica che veloce cercava di tratte conclusioni e risultati.
Un
ammiratore di Madara, forse? Un altro Uchiha? Non c’erano
Uchiha traditori
oltre Shisui, non esistevano e basta.
Prese un
lungo sospiro dal naso. “E come te li ha aperti?”
“Mi
ha
mostrato il marcio di Konoha. Quello che sapevo già
esistere, ma che ho
ignorato. Lo stesso che stai ignorando tu ora”.
“E
questo
quando sarebbe successo? Da quando progettavi di tradirmi?”
domandò, provando a
spostare l’attenzione su un piano più personale
per farlo parlare.
Itachi
voleva ottenere di più, cominciava a essere esasperato da
queste mezze
risposte. Anche se stava ottenendo informazioni, Shisui era comunque
abile nel
nascondere chi ci fosse dietro al gruppo a cui si era unito. Non poteva
andare
avanti solo per supposizioni, doveva fargli fare un passo falso.
“Ho
deciso
di andarmene il giorno in cui me ne sono andato” rispose
addolcendo il tono. “Prima
di allora il pensiero non mi aveva mai sfiorato. Sai che ti amo, che
odia
starti lontano”.
Itachi
si
morse la guancia, restando ferito da quella confessione nonostante la
sua dolcezza.
“Ma
te ne
sei andato. Chi ti ha convinto a farlo?”
“Lo
sai
chi: Danzo!” sbottò.
Sorvolò
su
quell’accusa, conoscendo fin troppo bene il rancore che
provava verso il
vecchio consigliere visto che era stato lui a sventare il suo piano ai
danni del
villaggio.
“Ma
sapevi
con chi andare quando sei fuggito” insistette.
Indurì lo sguardo. “Qualcun
altro doveva averti messo la pulce nell’orecchio, lo stesso
che ora tiene te e
Naruto”.
Shisui
sorrise. “Solo un bravo ragazzo, un vecchio amico. Vediamo le
cose dalla stessa
prospettiva” rise picchiandosi la benda che nascondeva
l’occhio mancante, come
a fare una battuta.
“E
chi
sarebbe?”
“Nessuno”.
Allargò il sorriso. “È così
che ti risponderebbe”.
“E
tu come
mi risponderesti?”
“Che
è
meglio per te non ficcarci il naso, non sono affari tuoi”.
Qualcosa
dentro di lui ruggì a quella frase brusca. Chiuse gli occhi
per dominarsi e
faticò a mantenere la voce salda.
“Sono
affari miei, visto che ti ha portato via
da me”.
Shisui
gli
prese la mano. Sussultò e tornò a guardarlo,
l’occhio del cugino era dolce e
pieno di desiderio.
“Vieni
con
me, allora” mormorò e per un momento gli
sembrò lo stesse supplicando.
Itachi
provò l’impulso di strappare la mano, ma rimase
nella sua presa gentile. Shisui
intrecciò le loro dita, accarezzando nel frattempo il dorso,
i tendini in
rilievo e i calli.
“Vieni
con
me” ripeté. “Lasciamo tutto questo,
insieme noi due non dovremmo temere nulla”.
Itachi
corrucciò lo sguardo. “Non posso”.
Si
aspettava quella reazione, ma l’infiammarsi
dell’occhio di rosso fu comunque
violento e la sua risposta risultò aspra alle orecchie.
“Perché
no?!”
“Sasuke”
mormorò senza aggiungere altro.
La
risposta
sembrò acquietare Shisui. Sapeva da sempre quanto il
fratellino fosse
importante per lui, che sarebbe venuto sempre prima di qualsiasi cosa.
Forse
sapere che era più per quello che per la fedeltà
a Konoha era quasi
rassicurante. Certe cose non cambiavano mai.
“Potrebbe
venire anche lui” propose e c’era davvero una nota
speranzosa nella sua voce.
“Farebbe compagnia a Naruto”.
Scosse
la
testa. “No, Shisui. No. Non verrò mai con
te”.
Lasciò
andare la sua mano e Itachi sentì uno strano sentimento di
vuoto, lo stesso
vuoto che vedeva ora nello sguardo di Shisui. Ma dovevano essere
realistici,
Itachi era uno shinobi di Konoha e non l’avrebbe mai tradita.
E aveva
una
missione.
“Chi
sono i
tuoi alleati, Shisui?” domandò senza giri di
parole.
La
domanda
risuonò fin troppo tranquilla nel silenzio creato, ma Shisui
reagì brusco. Si
alzò da letto e iniziò a camminare per la stanza,
gesticolando con un braccio.
“All’inferno.
Te l’ho già detto: mostri che avete creato,
proprio come me”.
“Nukenin,
quindi”.
Non era
una
vera sorpresa, ma la sua costatazione sembrò far infuriare
il più grande. Ebbe
quasi la sensazione che nella rabbia i ricci si gonfiassero ancor di
più.
“Comodo
chiamarci così. Ma siamo solo armi che avete gettato via una
volta rotte!”
Itachi
sentì a sua volta la rabbia risalire per la gola, la
frustrazione e l’indignazione
scorrere per le vene e i percorsi di chakra. Per quell’accusa
faticò a
trattenersi dal no mostrare lo sharingan.
“No,
non ti
abbiamo gettato via” disse e si accorse del rancore nella sua
voce troppo
tardi, ma non si fermò. “Sei tu che ci hai
abbandonati!”.
“Non
avevo
scelta, mi stavate dando la caccia! Danzo mi ha strappato
l’occhio!” sbraitò
indicandosi l’orbita vuota nascosta dalla benda.
“Perché
tu
l’hai attaccato”.
“Io
non
l’ho fatto” gridò, la mano che si
aggrappò al viso come a nascondere il lato
sfregiato. “Stavo cercando di risolvere le cose, ma Danzo
voleva che facessi a
modo suo”.
“Volevi
metterlo sotto genjutsu con Amatsukami” gli
ricordò furioso che continuasse a
negare la sua colpevolezza.
“No,
sarebbe stato tuo padre quello a finire sotto genjutsu!”
Lo
guardò incredulo.
“E questo come dovrebbe farmi sentire meglio?!”
“Preferivi
la soluzione di Danzo? Voleva sterminare il clan!”
“No”
lo
contraddisse con la voce spezzata. “Lui ha evitato che
avvenisse la strage, ha
salvato il clan e il villaggio”.
Shisui
si
bloccò e lo guardò. Il suo sharingan brillava
ancora, con i tomoe che roteavano
così veloci da sembrare impazzati. Alla fine
stirò le labbra in un sorriso
beffardo.
“Stai
scherzando. Quel vecchio ci odia”.
Scosse
la
testa. “No, era solo preoccupato per il villaggio. Ma ha
trovato la soluzione…”
L’espressione
scettica e sprezzante del ragazzo più grande dimostrava
quanto poco ci
credesse, quindi Itachi prese fiato e gliela disse prima che potesse
interromperlo. Ma man mano che parlava, la reazione di Shisui alla
soluzione
trovata fu di evidente disgusto. Impallidì e
sgranò l’occhio, guardandolo
incredulo, il gelo impresso sulla sua bocca socchiusa; lo
sconvolgimento era
tale che lo guardò in silenzio anche quando finì.
“Tu…
stai
scherzando” disse alla fine, il tono raggelato.
“Non hai accettato, non…”
“L’ho
fatto” disse, suo malgrado ferito da
quell’atteggiamento.
Non si
aspettò di vedere Shisui consumare lo spazio che aveva messo
tra loro e tornare
sul letto, così velocemente che credette avesse usato uno
shunshin. Lo prese
per le mani, quasi strattonandolo.
“No!”
disse
ed era disperato. “Itachi, che cos’hai fatto?
Perché hai accettato?”
“Perché
era
l’unica soluzione. Abbiamo fermato il colpo di stato senza
una goccia di
sangue” gli fece presente, poi aggiunse con un sorriso
triste. “Alla fine anche
in passato i problemi si risolvevano così, no?”
“Perché,
‘Tachi?” ripeté Shisui come se non lo
avesse sentito. “Perché tu?”
“Sono
il
figlio del capoclan” replicò placido. “O
io, o Sasuke. Meglio io”.
Scosse
la
testa, come se stesse cercando di cacciare via quel pensiero.
“No,
zia
Mikoto non può aver accettato… sei suo
figlio!”
“Va
bene”.
Il tono calmo era un contrasto stridente contro le proteste disperate.
“Il
sacrificio di qualcuno nell’ombra per salvare molti.
È questo che significa
essere shinobi, non è quello in cui credevi?”
La
ferocia
tornò nel viso di Shisui, strinse con forza le mani fino a
fargli male.
“Il
mondo
shinobi è malato” ringhiò.
“Credo in questo adesso, che l’unico modo per
aggiustarlo sia distruggerlo. Così feccia come Danzo
smetterà di esistere. Non
ti rendi conto che vuole solo usarti?!”
“E
va bene”
proclamò. “Farò quel che devo per
salvare il villaggio e il clan”.
“Anche
combattermi?” lo sfidò.
Si
fissarono in un silenzio teso e pesante. Itachi aveva la risposta sulla
punta
della lingua, del resto era venuto fin lì con un obiettivo
preciso ed era da
prima che cercava di fargli capire la sua intenzione. Shisui non lo
aveva preso
sul serio, ma ora lo stava facendo e dirlo avrebbe avuto molta
più importanza.
Avrebbe segnato una linea e la sentiva già come distruggeva
il suo cuore.
“Sì”.
Shisui
lasciò andare le sue mani e distolse lo sguardo. Si
aspettava dicesse altro,
invece rimase in silenzio a mostrargli il profilo. A guardarlo Itachi
si sentì
male, i suoi occhi bevevano ogni lineamento con avidità
consapevole che non ci
sarebbero stati altri incontri. Aveva appena segnato una linea.
Una
linea
che avrebbe dovuto marcare molto tempo prima. Forse avrebbe fatto meno
male, si
sentiva sanguinare fin dentro il profondo.
Eppure,
nonostante il suo dolore si sorprese nel vedere Shisui arricciare le
labbra e
poi scoppiare a ridere. Freddo, folle e spaventoso, rizzò i
peli sulla nuca di
Itachi. Percepiva il chakra ribollire nell’altro, la sua
forza che vibrava sottopelle
spaventosa e potente. Stava per attaccare, ma la risata ormai disperata
lo
destabilizzò abbastanza da non riuscire a reagire in tempo.
Le successive
parole di Shisui non fecero che congelarlo ancor di più.
“Va
bene,
sì… l’ho sempre saputo, in
fondo”. Alzò il viso e Itachi trattenne il fiato
nel
vedere la scia di lacrime sulla guancia dell’occhio sano.
“Non eri qui per me.
Hai sempre solo voluto incontrarmi per avere informazioni, usarmi.
Forse
uccidermi?”
Lo
guardò
sconvolto. “Shisui…”
“Mi
hai
mentito quando hai detto che mi amavi?”
Itachi
sgranò gli occhi. “No!”
protestò. “Io ti amo!”
Non
sapeva
cosa si aspettava nel dirlo, forse avrebbe dovuto mentire e
basta… Shisui non
cambiò la sua espressione, lo guardò sempre
più disperato e rassegnato.
“Capisco,
quindi è questo che ti ferma. Per questo non sei mai
riuscito a uccidermi”.
La
disperazione stava cominciando a macchiare anche Itachi. Voleva
gridargli che
stava fraintendendo, mai una sola volta Danzo gli aveva ordinato di
assassinare
Shisui, il suo compito era solo tenere traccia dei suoi movimenti e
obiettivi.
“Non
ti
ucciderei mai” gli sfuggì.
Sussultò
nel sentire una mano sfiorargli la guancia. Era rimasto così
fisso sul volto di
Shisui da perdere i movimenti delle sue mani.
“Questo
è
un problema per il migliore shinobi di Konoha…”
considerò Shisui, la voce
dolce. “Rimediamo”.
Itachi
sgranò gli occhi, accorgendosi perché finalmente
stesse richiamando così tanto
chakra. I tomoe continuarono a ruotare nell’iride vermiglia
fino a mostrare una
figura geometrica.
“Shisui,
no…!” supplicò.
“Amatsukami”.
Oddio
guardate chi è tornata!
In
realtà
nemmeno io ci speravo più, ma per questo capitolo mi aveva
preso un blocco
dello scrittore assurdo che non riuscivo a superare. Ogni volta che
aprivo il
documento finivo per non scrivere neanche una parole, restava fermo a
metà. Alla
fine oggi mi sono imposta di farlo e ho deciso di fare diversamente da
come
programmato. Per dirvi avevo in mente una scena nsfw qui, ma nada, non
riuscivo
proprio a scriverla RIP
Anche il
finale non mi convince, molto melodrammatica. Ma in fondo gli Uchiha
sono melodrammatici,
devono fare le reginette del dramma appena possono quindi in fondo ci
sta (e
non voglio rischiare di entrare in un altro blocco per cambiarlo,
già).
Buone
notizie? Il prossimo capitolo è un po’ scritto
(anche se è immenso) ed è incentrato
su Obito e Naruto, che come sapete non ho problemi a scrivere di quei
due.
Forse riuscirò a farcela ;___; ma non voglio darvi false
speranze.
Spero
che
qualcuno sia rimasto fino a qui. E nel caso vi/ti ringrazio di cuore T_T
Un bacio!
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