Come ci si poteva aspettare Cynthia ha insistito perché
rimanessero tutti a cena, le sarebbe bastato anche solo Evan, ma
sarebbe stato scortese nei confronti degli altri due ragazzi e mia
madre odia risultare maleducata.
La cosa più divertente della serata forse è stata
proprio vedere Kleinman cercare di buttare giù un boccone di
hamburger di tofu dopo aver realizzato che aveva lo stesso odore dei
calzini quando li togli dopo la palestra. Anche più
esilarante è stato vederlo sorridere forzatamente facendo
complimenti non sentiti che ovviamente Cynthia non ha individuato come
tali, il che gli è costato un'altra fetta di carne.
Larry si è arreso dopo poco. "Non ho molta fame..." si
è giustificato. Zoe aveva già altri programmi con
una confezione di prosciutto cotto nascosta tra le gambe.
Alana ha mangiato ogni cosa che le è stata messa nel piatto
con incredibile compostezza tanto che Cynthia l'ha guardata carica di
ammirazione. "Ti piace, cara?" ha chiesto. Alana si
è limitata ad annuire.
Evan invece ha mangiato lentamente, guardandosi intorno. Tra un boccone
e l'altro si è reso conto che davvero non era di suo
gradimento.
"E tu Evan? Che ne pensi, è buono vero?"
"Grazie per il cibo Cynthia, ma non è esattamente di mio
gusto e mi dispiacerebbe se pensassi che non mi piace la tua cucina,
perché non è assolutamente così. Io
adoro la tua cucina e stare qui... a tavola con tutti voi...a mangiare
sì, questo si fa a tavola..."
"Oh Evan, tesoro, non preoccuparti. Perché non lo hai detto
subito? Ti faccio qualcos'altro immediatamente. Lo vuoi del pollo? Una
bella cotoletta, okay."
Cynthia si è alzata da tavola sotto gli occhi sconvolti di
Larry e la tosse finta di Zoe.
"Scusa tanto, lo sto dicendo da due settimane che non mi piace questa
roba e adesso perché lo dice Evan improvvisamente abbiamo
del pollo in casa e addirittura le cotolette...?"
Evan si fa piccolo piccole nella sedia, Cynthia scuote la testa.
"Evan è il nostro ospite, questa casa non è un
ristorante, Zoe" dice.
Mia sorella si arrabbia sale al piano di sopra senza salutare i
presenti e si chiude nella sua stanza.
Cynthia sospira chiedendo supporto a Larry con lo sguardo, mio padre
come sempre non sa che fare.
"Zoe, fila in camera tua!" dice a nessuno visto che mia sorella se ne
è già andata, ma lui era troppo impegnato a
fissare lo schermo del cellulare per rendersene conto.
Mia madre si dà una manata in faccia, scuote la testa.
"Zoe è davvero sconvolta per ciò che è
successo, ma ti è grata per tutto quello che stai facendo,
che state facendo..." mormora guardando Evan.
Siamo di nuovo in camera mia, Alana e Jared sono stati accompagnati da
Larry alla macchina. Cynthia accarezza la schiena di Evan alle sue
spalle.
Lo ha proprio bloccato sulla soglia della porta d'ingresso chiedendo se
poteva trattenersi ancora per un po' ed Evan che deve ancora imparare a
dire la parola "no" ai miei genitori ha accettato.
E quindi siamo qui, le pareti filtrano la voce di Zoe che canta quel
pezzo che già conosco quello dedicato a me, ma
c'è una nuova strofa, una che non ho mai sentito prima.
"Perché tu... non potevi giocare a fare lo spensierato,
quando il tuo mondo diventava più buio ogni giorno... quindi
canterò un requiem un'altra notte."
Penso che Zoe stia iniziando a capire chi ero veramente, che no, niente
e nessuno potrà mai ripagarla dei danni che le ho fatto e la
mia salute mentale compromessa non è una giustificazione, ma
non ero il fratello abusivo che lei vedeva. La rabbia che le scagliavo
contro era una disperata richiesta di aiuto che attraverso le parole di
Hansen forse finalmente l'ha raggiunta.
"Per l'assemblea" la voce di mia madre attira improvvisamente la mia
attenzione mentre la vedo sistemare la mia cravatta al collo di Evan.
"Oh..." sussulta Hansen.
Cynthia incrocia le mani tra loro, le abbandona lungo il corpo in segno
di rassegnazione, i suoi occhi sono puntati su Evan e sulla cravatta
che ricade lunga sul suo nuovo look in totale contrasto.
"Quando Connor ha iniziato la seconda media, tutte le mie amiche hanno
detto "ecco che arriva la stagione dei bar mitzvah. Ogni sabato
dovrà andare a una festa diversa." Così l'ho
portato a prendere un vestito, delle camicie...e questa cravatta... non
ne voleva nessuna diceva che non fosse necessario. Suppongo non avesse
il coraggio di spezzarmi il cuore e dirmi che..."
Cynthia fa una pausa profonda, ne approfitto per avvicinarmi ad Hansen
e mostrargli la mia espressione neutrale per tranquillizzarlo che non
sono arrabbiato con lui anche se ha conquistato mia madre.
"Piuttosto che rompere la bolla da sognatrice in cui mi crogiolavo lui
è stato al gioco, ma... Evan, lui non è mai stato
invitato da nessuno."
Resto stupito, credevo che mia madre non avesse coscienza dei suoi
meccanismi mentali, invece apparentemente...
"Ero solo fiduciosa, fiduciosa che un giorno qualcuno riuscisse a
vedere mio figlio per quello che era davvero, un artista, un'anima
complessa e tormentata. Il risultato di un divorzio che non ho mai
avuto il coraggio di chiedere..." mi interrompe mia madre.
Per qualche istante tutto tace, Evan si arrota nervosamente intorno
all'indice l'estremità della cravatta.
"Ci voleva una persona giusta, qualcuno che sapesse vedere oltre le
facciate, qualcuno come te, Evan... ma suppongo tu sia arrivato troppo
tardi, troppo tardi perché potesse salvarsi..."
Cynthia si asciuga le lacrime, io le faccio da specchio, Hansen fissa
quel capo di abbigliamento che ha al collocome se volesse farlo
spostare col pensiero. La cravatta che non ho mai dovuto indossare, che
non ho mai potuto indossare. La mia grande occasione non è
mai arrivata, mai c'è stato un evento per cui valesse
mettersi in tiro e così come sono rimasto deluso quel giorno
che volevo essere capofila sarei rimasto deluso tutti gli altri. Ho
smesso anche solo di desiderarlo e forse la mia occasione non ho
neanche saputo riconoscerla.
"Vorrei che la indossassi durante il tuo discorso" prosegue mia madre,
neanche ha finito la frase che Evan già è in
panico.
"Il mio cosa?!" squittisce, l'ansia sulla punta della lingua si
diffonde rapidamente in tutto il corpo.
"Beh, Alana ha detto che chiunque lo volesse avrebbe avuto la
possibilità di dire qualcosa all'assemblea. Pensiamo tutti
che tu debba essere il primo a parlare."
Il panico ha un sapore salato: è come stare in un piccolo
serbatoio di vetro e il serbatoio si sta riempiendo d'acqua. L'acqua
proviene dal mare, puzza di salsedine e in niente ha già
raggiunto la bocca, è entrata in gola. Tra un attimo
coprirà il viso ed Evan affogherà. Non
può uscire dal serbatoio, non c'è una porta,
tutto ciò che può fare è aspettare
pazientemente mentre l'acqua lo circonda, allungare il collo per
quell'ultima disperata boccata d'aria.
Evan ansima, il suo viso è composto di sudore, i suoi occhi
sono liquidi e il cuore accelera. Per quello che è in mio
potere cerco di aiutarlo, di guardarlo negli occhi e costringerlo a
focalizzarsi solo su di me.
"Va tutto bene" dico posandogli le mani sulle spalle. "Guardami... non
sta succedendo niente. Puoi dire di no, non stai annegando, non
morirai. Evan, sei al sicuro."
La marea si ritira, qualche goccia viene rilasciata dai suoi occhi,
Cynthia la scambia per commozione.
Non lo so, forse annegare è meglio che andarci vicino,
riempirti i polmoni d'acqua e comunque non trovare pace, ma non
perché sono finito a fondo voglio trascinarci anche Hansen.
"I-Il fatto è che non me la cavo molto bene a-a
pa-parlare... in pubblico. Finirò per impappinarmi e anne-"
Lo guardo nuovamente, cerco di sorridergli. "Evan, sei al sicuro. Ci
sono io qui con te, non sei solo. Vedo tutta la tua sofferenza e quanto
ti costi anche solo esprimere un concetto come questo in cui ammetti le
debolezze, ma non hai niente da temere. Ha tanti difetti, ma mia madre
non ti giudicherà."
"Finirò per impappinarmi e annoiarvi" mormora Evan facendosi
forza. "Non vorreste sentirmi parlare..."
"Certo che vorremmo. Io, Larry, Zoe, l'intera scuola aspetta le tue
parole."
Hansen trema e io niente, non ho parole. Complimenti a mia madre che
vince il premio "niente pressioni sociali" dell'anno.
"Diglielo. "Grazie Cynthia, ma non voglio farlo." Non sei obbligato."
"No!" urla Evan. "Io voglio farlo, voglio..." modula la voce
conscio di avere urlato. "Voglio essere la sua voce, solo che non ho il
coraggio... non ho il coraggio di raccontare come mi sento, di parlare
al suo posto. Dovrebbe essere lui a dire la realtà delle
cose, dovremmo solo ascoltare il silenzio che ha lasciato
perché è quella l'unica cosa che c'è
realmente."
Cynthia lo guarda sconvolta, si porta una mano davanti alla bocca e poi
esce dalla stanza. Sulla soglia guarda Evan dolcemente. "Pensaci" dice
semplicemente.
La mia cravatta è spessa e ruvida tra le mani paralizzate di
Evan che assaporano la delusione, anzi la consapevolezza di aver deluso
e non sanno reggere il contraccolpo. La mia cravatta è di
una tonalità di blu scuro con strisce azzurre che la
percorrono in diagonale,
come onde che si infrangono in un oceano oscuro e violento. L'acqua
è arrivata per me. Ho lottato finché non ce l'ho
fatta più.
"Non ho più voglia di combattere" mormora Hansen, le lacrime
agli occhi, il cuore a mille.
"Vuoi venire a farmi compagnia? Guarda che essere morti è
una palla..." cerco di sdrammatizzare.
"Scusami Connor..." sospira Evan. "Non dovrei dirlo, non dopo quello
che hai vissuto, non dopo quello che ho detto a te, ma a volte vorrei
non essere mai nato, a volte vorrei, vorrei che finisse tutto, che non
dovessi più preoccuparmi di niente, più sentire
niente..."
Zoe appare sulla soglia, si fa avanti, mi passa attraverso e abbraccia
Evan. "Lo so, anche io a volte mi sento così, credo che
tutti ci siamo sentiti così almeno una volta, Evan..."
mormora.
"Hey, ti va di sentire cosa ho scritto per ricordare mio fratello?"
cerca di cambiare argomento. Dietro la schiena porta la sua
inseparabile chitarra, inizia a suonarla senza permesso alleviando
all'istante le pene di Hansen.
"Quindi tu non stavi fingendo... hai scelto di non svegliarti domani...
un pessimo figlio... quello senza amici. Ti ci ho fatto sentire io?"
canta.
Da quelle poche parole capisco subito che i messaggi sono
più difficili da recapitare così come vorrei che
arrivassero perché l'ultima persona che dovrebbe avere i
sensi di colpa è proprio la mia sorellina.
Mi metto dietro di lei, le accarezzo i capelli così come
facevo quando ancora tra noi c'era un rapporto tale che si affidava a
me per farsi fare le trecce.
"No, Zoe... non è colpa tua..." mormora Evan.
Mia sorella smette di suonare, posa bruscamente la chitarra sul
materasso. Piange.
" 'Perché tutte le mie speranze sono riposte in Zoe'..."
dice citando la lettera. "Evan, io l'ho deluso, l'ho abbandonato, ho
lasciato che...che succedesse..."
"No, non è così. Connor, dillo anche tu!"
Resto paralizzato, forse perché non mi aspettavo una
reazione simile o perché non pensavo che Hansen fosse
così sprovveduto da dirlo ad alta voce.
Zoe lo guarda infatti perplessa, mentre Hansen improvvisa una
conversazione con la mia foto. "Dille che le hai tirato i capelli, che
le facevi ogni forma di dispetto e che questo non è il modo
giusto per dimostrare di amarla. Dille che le hai calciato volutamente
quella pallonata in faccia. Dille che eri invidioso di lei, la piccola
di casa, la stella della famiglia. Dille che ti sei lasciato accecare
dal dolore e che lei non era tenuta a capirti, lei doveva proteggere se
stessa."
Fa male sentire quelle parole, ma è ciò di cui
sia io che Zoe avevamo bisogno.
"Dannazione, devo di nuovo cambiare il testo..." sospira la mia
sorellina fingendosi offesa, in realtà tra le lacrime
sorride.
Non pensavo che Hansen stesse prestando davvero così tanta
attenzione alle cose che gli ho raccontato fra i singhiozzi la sera in
cui ho scoperto che non avrei ricevuto un requiem, devo averlo
sottovalutato.
"Non sapevo che cantassi" dice Hansen con un sorriso timido. "Anche io
canto, non sono niente di che, la tua voce invece è
angelica, Zoe."
"Niente di che? Non prendermi per il culo, Hansen!" gli dico sentendomi
quasi offeso per la puttanata.
"Dici sul serio?" domanda Zoe.
Evan annuisce ripetutamente e io non posso fare a meno di concentrarmi
sul fatto che un loro duetto farebbe venire i brividi anche a un sordo.
"Fammi sentire..." incalza mia sorella.
"N-No, mi vergogno... non sono affatto alla tua altezza."
"Butta fuori, Evan. Io canto per liberarmi, per svuotarmi di tutto
ciò che mi logora dentro e riempire di sensazioni che mi
possano ricostruire."
Zoe inizia nuovamente ad accarezzare le corde del suo strumento, fa
pochi accordi.
"Sit back down where you belong
In the corner of my bar with your high heels on
Sit back down on the couch where we
Made love for first time and you said to me
Something, something about this place
Something 'bout lonely nights and my lipstick on your face
Something, something about my cool Nebraska guy
Yeah, something about, baby, you and I" canta e a ogni strofa Evan
prende un po' di più di confidenza facendole un controcanto
sempre più forte, sull'ultima alza la voce a sua volta.
"You and I, you, you and I
You, you and I, you, you and I, I
You and I, you, you and I
Oh yeah, I'd rather die without you and I" durante il ritornello se la
comanda al punto tale che Zoe smette di seguirlo e si limita solo ad
accompagnarlo con la musica, due occhi sgranati.
Un po' come era successo in macchina con Jared e Alana, Evan si
interrompe terrorizzato e Zoe gli fa un applauso. "Alla faccia... e
questo sarebbe "niente di che"?" domanda.
Evan scuote la testa, si gratta una guancia imbarazzato. "Mi dicono
tutti che sono bravo..."
"Scommetto che te lo diceva anche mio fratello..."
Evan si limita ad annuire. "Ma io non mi sento tale, non mi sento
capace di fare niente. Sono insicuro, insignificante, invisibile. Il
mio vero nome è Mark Evan Hansen. Se metti insieme le
iniziali è "meh", indifferenza pura, disinteresse."
"E tu preferisci essere Evan Hansen, vero? Preferisci essere "Eh",
un'affermazione, qualcosa di più...ma i nostri nomi non
definiscono chi siamo, la nostra essenza invece sì
sì. Una rosa profumerebbe ugualmente anche senza quel nome,
Shakespeare. Che tu sia Mark Evan Hansen o Evan Hansen, ciò
che conta è che tu sei qualcuno e ci saranno sempre delle
persone nella tua vita per cui farai la differenza... come l'hai fatta
per Connor."
Odio ammetterlo, lo odio davvero, ma più li vedo interagire
più penso che Hansen e mia sorella sarebbero davvero una
bella coppia e forse dovrei solo dare loro la mia benedizione e
accettare la realtà dei fatti. Zoe mi batte sempre, non
importa di cosa si tratti, dalle cose più futili ai desideri
più profondi, taglia il traguardo mentre io mi sono appena
spostato dalla linea di partenza.
"Senti... domani sera suono al Capitol Café. Solo qualche
canzone. Ti va di venire? Potremmo cantare qualcosa insieme se te la
senti oppure potresti nascondere per sempre questa meraviglia che hai
dentro. Evan, se non permetti mai a nessuno di ascoltarla... come
faremo a imparare la tua canzone?"
Volevo per una volta nella vita avere qualcosa da non condividere per
forza con lei e Hansen era quanto più ci si fosse avvicinato
dopo il mio fallimento numero uno.
Non faccio fatica a comprendere perché Evan sia
così attratto da mia sorella, lei ha tutto, a differenza mia
è perfetta. Tutti preferiscono i giocattoli nuovi a quelli
rotti, non c'è fascino in ciò che non funziona.
"Wow. Assolutamente no" balbetta Hansen con un entusiasmo in totale
contrasto con il contenuto delle parole. "Cioè magari vengo
a vederti, ma non voglio cantare e io non posso esprimere
ciò che ho dentro... è spaventoso e nessuno lo
vuole sentire."
Zoe gli accarezza il viso, gli sorride. "È qui che sbagli,
Hansen. La gente vuole sentire proprio questo, vuole persone che non
abbiano paura di spogliarsi e mostrarsi vulnerabili, persone che
raccontino quelle verità che loro non hanno il coraggio di
confidare neanche a se stessi."
C'è silenzio, mia sorella si avvicina alle sue labbra:
chiudo gli occhi perché non voglio vedere, non voglio
assistere al momento in cui l'unica persona che mi ascoltava mi viene
portata via.
"E cosa canterai?" sorprendentemente sento Hansen domandare. Ridandomi
la vista mi rendo conto che si è allontanato di qualche
centimentro.
"La mia roba" risponde Zoe infastidita. "Avevo queste canzoni dentro e
ora sono uscite."
"Ti invidio... io non riesco a fare uscire niente..." mormora Evan.
Zoe si fa nuovamente più vicina, sospira profondamente a un
bacio dalle sue labbra. "Il dolore fa fare cose folli, vero? Ma io so
di volerti baciare e non è per consolarmi... è
che mi piaci."
Tutto tace nuovamente mentre Hansen arrossisce, poi mia sorella si alza
e inizia a camminare nervosamente per la stanza. "Perché ti
ha spinto quel giorno?" domanda.
"Cosa? Oh. Intendo...credo..." Hansen inizia nuovamente ad andare in
panico. "Non ti ho già risposto?" squittisce.
"Lo hai fatto, ma non ti credo."
Hansen mi guarda come se fossi un foglio delle risposte per un compito,
mi supplica con gli occhi di dire qualcosa, ma sono troppo impegnato a
piangere la fine della mia importanza per lui. Mi ero illuso di poter
essere qualcosa di speciale, qualcuno di speciale per lui, mi ero
illuso che per una volta si potesse preferire me a mia sorella, ma come
al solito lei è la regina e io al massimo il giullare di
corte.
"A volte... ho paura a parlare con le persone, credo. Connor cercava
sempre di farmi superare i miei problemi e a volte si arrabbiava
perché pensava non mi stessi impegnando abbastanza" risolve
Hansen.
"Beh, mia madre è innamorata di te. È
ossessionata da questa storia del Progetto Connor. Le piace averti qui.
Quando ci sei tu, Hansen, sembra che ci sia anche Connor. È
come se venisse con te, come se lo portassi da noi."
Hansen ride istericamente, si gratta una guancia a sangue, mi guarda
sull'orlo di una crisi di nervi. Zoe sospira.
"È vero? Voglio dire...a scuola gira voce che tu e mio
fratello stavate insieme e adesso comincio a crederci anche io
perché forse è vero che Connor con te era
un'altra persona, una persona che non ho mai potuto o saputo
conoscere..."
Evan evapora, vedo quasi il suo spirito lasciare il corpo.
"N-No" balbetta. "Jared ha capito una cosa per un'altra e quando si
mette un'idea in testa non c'è modo di modificarla, quindi
sì, magari per tutta la scuola io sarò il ragazzo
di Connor, ma Zoe, io ho sempre guardato solo te."
Una coltellata, dritta in petto mi passa da parte a parte lasciandomi
esangue. Sia chiaro, non volevo essere il ragazzo di Hansen ed Evan
sarebbe stato il benvenuto a prendersi qualsiasi altra ragazza, ma non
mia sorella. Ora diventerò invisibile anche per lui, ora ci
sarà sempre più spazio per Zoe e meno per Connor,
come è sempre stato da quando lei è arrivata.
"Menomale" mormora mia sorella tirando un sospiro di sollievo. "Tommy,
il mio ex aveva un debole per Connor. All'inizio pensavo solo che fosse
interessato a informarsi sui membri della mia famiglia, ma poi si
è parlato sempre più di Connor e meno di Zoe. Ci
ho messo del tempo a capire che era gay, suppongo che anche lui dovesse
ancora capirlo. Eravamo sul mio letto a sbaciucchiarci e lui sembrava
preso da tutt'altro. Nella stanza accanto c'era Connor che
canticchiava, allora ho capito che non avremmo mai funzionato. Tu
ascolti Lady Gaga, ma questo non vuol dire per forza qualcosa, giusto?"
'Tu canti?' registro a malapena in lontananza qualcosa tra i pensieri
di Hansen, ma sono troppo preso dalla rivelazione.
Resto sconvolto, non avevo idea di questa storia. Mi ero sempre chiesto
perché fosse finita tra Thomas Ridge e mia sorella, ma
pensavo fosse solo una storiella tra adolescenti curiosi, mai avrei
creduto di essere la ragione dietro.
"Sai Connor diceva di sentirsi invisibile... se lo chiedi a me riceveva
fin troppe attenzioni. Si parlava sempre di Connor, le medicine per
Connor, la terapia per Connor. "Zoe, non dare fastidio a Connor, spegni
la luce che Connor è fotosensibile, smettila di suonare che
Connor è nervoso, non fare rumore che Connor sta dormendo."
Connor Connor Connor, c'era spazio solo per lui. Nessuno chiedeva mai
di me e se lo faceva era per chiedermi di verificare come stesse
Connor."
Non so cosa dire, due facce della stessa medaglia, due
realtà allo stesso sapore con i ruoli invertiti. L'unica
certezza che ho è che i miei hanno fatto un disastro come
genitori.
"Tu eri il suo migliore amico, ma vorrei che ci fosse finalmente
qualcuno che non è anche di Connor... quindi se non siete
stati insieme... sono felice Evan perché tu mi piaci
tanto..."
Silenzio, un profondo silenzio. Il cuore di Hansen fa una capriola e
sappiamo entrambi che l'unico motivo per cui non sta ancora limonando
con mia sorella è la mia presenza.
Tolgo il disturbo.
"Zoe" Evan parla ad alta voce come se volesse fermarmi con quelle
parole. "Mi piaci anche tu, ma ho promesso a Connor che non lo avrei
tradito in questo modo. Lui non voleva che stessimo insieme, lui voleva
avere qualcuno che non fosse anche tuo anche se la mia cotta
è antica, ma sai cosa? Penso che sia presto per parlare di
tutto questo, penso che entrambi dobbiamo ancora metabolizzare quello
che è successo e poi guardare con lucidità ai
nostri sentimenti con tutti gli elementi. Ora dovremmo solo ricordare
Connor, così come era, così come ci piace
ricordarlo, non come è nel nostro ultimo ricordo con lui."
Zoe sospira, si stringe nelle spalle. "Il Connor che conosci tu sembra
quasi un'altra persona, è migliore del mio."
"È quello che succede quando la gente se ne va, credo.
Quando qualcuno non è più tra noi non devi
ricordare per forza tutte le cose brutte. Puoi scegliere di lasciarle
come preferisci e ci rimarranno per sempre. Perfette come sarebbero
dovute essere" dice con sicurezza Evan.
"Io ricordo degli occhi ridenti che mi accolgono e che mi dicono che
sono qualcuno, che la mia vita è importante. Questo
è il mio Connor."
Zoe lascia andare una lacrima solitaria. "Io ricordo un bambino che
faceva le trecce alle mie bambole e mi aiutava a scegliere che vestiti
mettere loro. Questo è il mio Connor."
"I brutti ricordi non contano meno di quelli belli, decidi dove vuoi
mettere la tua attenzione. Connor ti amava e tu amavi lui. Gli volevamo
tutti bene. Ognuno a suo modo, per come riuscivamo..."
"Sì, per come ci permetteva..." mormora mia sorella.
"C'erano tante parole che avrei voluto dirgli prima che fosse troppo
tardi, ma queste sono forse le più importanti. "Ti voglio
bene, Connor. Che tu ci creda o meno, che tu lo meriti o meno. Ti
amerò per sempre e mi mancherai per sempre. Quando
sarà il mio momento verrò a prenderti a calci in
culo all'inferno perché mi hai lasciata da sola." "
Io sono in lacrime, Evan ascolta ogni parola sorpreso piacevolmente.
Abbraccio Zoe anche se non può sentirmi, il suo calore mi
riscalda, il mio cuore inizia a rigenerarsi.
"Grazie Evan" sono le nostre parole all'unisono. Per un istante la mia
sorellina si gira di scatto verso di me come se mi avesse sentito, poi
sul suo viso si configura un'espressione amara. "A volte mi sembra
davvero che sia rimasto un questa casa."
La strada del ritorno a casa è silenziosa, Cynthia ha
insistito affinché Evan rimanesse a dormire, ma sappiamo
entrambi che Heidi non la prenderebbe bene.
Le porte di casa Hansen mi sembrano la cosa più accogliente
dell'ultimo secolo, mi viene quasi naturale buttarmi sul suo letto dopo
averlo visto colonizzare il mio.
"Che ti è preso?" mi può finalmente chiedere.
Heidi non è ancora tornata.
Come sempre non so rispondere. Poi faccio un respiro profondo e metto
insieme delle parole.
"Voglio essere la tua priorità, okay? Odio questa cotta che
hai per mia sorella... mi fa sentire come se... come se non ci
sarà mai nessuno che dopo averla conosciuta non
sceglierà lei. Tra noi è nata una bellissima
amicizia, Evan, più intima di quanto lo sarà mai
qualunque storia d'amore... non voglio perderti..."
Forse è un capriccio forse no, ma chi in America considera
la propria ragazza alla stregua di un migliore amico?
"Avevamo detto che ci saremmo presi cura l'uno dell'altro, che ci
saremmo guardati le spalle, Evan. Voglio che tu sia mio, non di Zoe,
voglio che tu sia quel qualcuno che sceglie me. Mia sorella
è gnocca, okay lo abbiamo capito... ma io non sono da
buttare...credo."
Hansen resta in silenzio, si avvicina un po' di più a me,
poi si siede al mio fianco e mi accarezza il viso. "Perché
pensi che io preferisca lei a te?" chiede.
"Perché è vero..."
"E se non lo fosse? Se preferissi te? Se lei mi attraesse tanto, ma
avessi comunque scelto di non cedere perché tu ci soffri? Se
in te avessi trovato la comprensione che non ho mai ricevuto? Se
provassi per voi due forme di amore differenti e mi sentissi solo
lusingato perché per una volta, per una fottuta volta nella
mia vita, non sono io ad aver paura di perdere qualcuno a cui tengo, ma
c'è qualcuno che ha paura di perdere me?" risponde Hansen
con trasporto.
Non so cosa dire, succede spesso. Alzo leggermente le spalle e mi
sciolgo in un sorriso. "Beh allora forse questo vuol dire che sono
importante per te..."
"Certo che lo sei Connor! Dannazione...è per te che sto
facendo tutto questo. Credi che io voglia essere popolare? Che muoia
dalla voglia di salire su un palco a parlare davanti a tutti la scuola?
No, lo faccio perché voglio essere la tua voce, voglio
recapitare i messaggi che non hai saputo scrivere o che non erano
abbastanza comprensibili da poterli leggere. Lo faccio per te,
perché che tu ci creda o meno da quando sei qui la mia vita
è migliore e io ti voglio bene, tanto bene, Connor."
Questo abbraccio che ci stiamo scambiando è forse il
più profondo che abbia mai ricevuto. Sa di disperazione, ma
contiene anche tutte le parole che ho bisogno di sentire.
"Connor Murphy, guai a te se mi abbandoni sul palco. Questa cosa non
posso farla da solo. Finora ti sei lasciato prendere dai sentimenti e
mi hai scaricato in situazioni scomode. Se lo fai di nuovo potrei
davvero mollare tutto" mi dice con enorme serietà.
"Ci sarò Evan, te lo prometto. Sarò alle tue
spalle e ti dirò cosa dire se ti mancheranno le parole,
sarò le tue ali e non ti permetterò di cadere,
sarò tutto ciò di cui hai bisogno per respirare.
Te lo giuro."
Qualche ora più tardi Heidi è tornata, non
può sapere cosa è successo, né che
Evan ha iniziato a scribacchiare qualcosa, buttare giù
qualche riga per il discorso.
"Evan, tesoro! Come è andata la giornata? La mia
è stata veramente pesante..." la madre di Evan senza
permettere al figlio di parlare inizia a elencare tutto ciò
che ha dovuto fare e Hansen si limita ad annuire. Poi Heidi esce dalla
stanza e dichiara di aver voglia di qualcosa di dolce in dispensa, Evan
non ha tempo di condividere niente con lei.
Sto per dire qualcosa in merito, ma Evan mi interrompe. "Stavo
pensando...a lui, Connor. A lui che mi hai nominato mezza volta e poi
boh, scomparso nel nulla come se non fosse mai esistito. Non vorresti
che ci fosse anche lui all'assemblea?"
"Lui?" domando sconvolto. Non ho idea di cosa stia dicendo Hansen, ma i
suoi pensieri vanno a una sola persona, una persona di cui non ricordo
di avergli parlato.
"Sì, il tuo amico, quello nella foto..." risponde Evan.
Non rispondo, mi limito a fissare il pavimento. Suppongo di non poter
continuare in eterno a fare finta di niente, ma no, non voglio che ci
sia, non voglio che sia così, cioè lo vorrei
anche, ma allora dovrebbe farlo lui il discorso perché da
vivo mi conosceva molto meglio di Evan e senza dubbio era la cosa
più simile a un migliore amico, anzi la cosa più
simile a un amico che avessi mai avuto.
"Evan... tu mi devi aiutare a... parlargli. Non posso avere questo peso
per la coscienza in eterno, ma di questo occupiamocene dopo, okay?
Adesso pensiamo al discorso."
Ed eccoci, ci siamo, i volantini sono attaccati in ogni dove e tutti
riportano la scritta a caratteri cubitali "CERIMONIA DI INIZIO DEL
PROGETTO CONNOR."
Oh per me? Davvero? Come potrei mancare? Un evento in mio
onore. Studenti. Insegnanti. Giornale locale. Ci sono anche
esterni alla scuola. Si prospettano discorsi, una presentazione di
diapositive curata da Jared Kleinman, una performance musicale di Zoe e
dei ragazzi del jazz.
Che roba. Sono quasi lusingato.
Voglio dire questo progetto l'ho ispirato io a Evan, ho contribuito a
ogni fase di realizzazione eppure ora che lo vedo realizzato mi sembra
gigantesco e non riesco a scrollarmi di dosso la sensazione che non
faranno che prendermi in giro. Non Evan, lui no, lui sta sacrificando
la sua ansia sociale per la mia causa, ma gli altri, quelli che non mi
hanno mai visto e che oggi, come hanno scritto sui social,
racconteranno di un affetto mai esistito in un rapporto inventato solo
per mettersi la coscienza a posto. Lasceranno andare lacrime di
coccodrillo, si stringeranno attorno a un dolore che non sentono e
ancora una volta si parlerà di chi è rimasto e
non di chi se ne è andato.
Diranno che hanno provato a parlarmi, che conoscono i sentimenti che ho
provato, che sanno che cosa significa questo isolamento,
l'indegnità, la solitudine. La disperazione. Che conoscono
la depressione. Ma che cazzo ne sanno di come mi sentivo? Solo la mia
morte ha fatto loro notare che ero vivo, un essere umano con dei
sentimenti, troppi per contenerne ancora.
Corro dietro le quinte, Evan mi aspetta e glielo ho promesso, trema
tenendosi con le mani la cravatta, la mia cravatta che alla fine ha
scelto di indossare.
"Connor, non ce la faccio..." mormora, mantiene tra le mani dei
foglietti che sono zuppi di sudore.
"Hey, sì che ce la fai" gli dico con un sorriso gentile
tenendolo per le spalle.
"Ora per favore se posso avere un grande applauso per il migliore amico
di Connor Murphy, Evan Hansen" annuncia il preside e vedo Evan
sbiancare.
"Io sono dietro di te okay, sono qui con te, siamo su questo palco
insieme. Nessuno riderà di te, nessuno ti farà
del male. Siamo noi, le cose importanti che abbiamo da dire. Ci andiamo
a cazzo duro su quel palco. Capito, Hansen? Lì fuori
è pieno di persone che si domandano se la loro vita valga
qualcosa. Vai a insegnare loro che ogni vita è importante."
"Evan...Hansen?" lo richiama il preside sotto un applauso sempre
più fiacco.
"Ricorda Evan, nessuno merita di essere dimenticato."
"Nessuno merita di svanire nel nulla" dice lui facendosi coraggio.
"Nessuno dovrebbe spegnersi lentamente chiedendosi se importi davvero
la sua presenza" aggiungo.
"Nessuno merita di scomparire, nessuno merita di scomparire, nessuno
merita di scomparire, nessuno merita di scomparire!" quasi come se
fosse un urlo per darci la carica lo diciamo sempre più
forte e in un attimo Evan è sul palco, cammina lentamente
con le mie mani sulle spalle e le mie parole di incoraggiamento.
Da qui la scena è diversa, molto più intima,
anche troppo. Posso vedere ogni singola goccia di sudore sulla sua
fronte, le mani che cercano di gestire i fogli mentre tremano, lo
sguardo fisso sul microfono, le labbra che si muovono senza emettere
alcun rumore. In questo momento non c'è niente di
più fragile di Evan Hansen, sotto quell'occhio di bue
potrebbe prendere fuoco. Eppure non c'è niente di
più forte.
Oggi il mio migliore amico prenderà a calci in culo i suoi
problemi e dimostrerà di avere le palle grandi quanto due
pompelmi di cui parla Jared.
Con tremante incertezza inizia leggere i fogli.
"Buongiorno, studenti e docenti. Vorrei solo dirvi qualche parola oggi
sul... mio migliore amico... Connor Murphy. Vorrei
raccontarvi del giorno in cui siamo andati al vecchio frutteto di mele
Autumn Smile, ma era chiuso quindi abbiamo optato per Ellison Park.
Connor e io eravamo sotto una quercia e Connor ha detto che si chiedeva
come sarebbe stato il mondo dall'alto...così abbiamo deciso
di scoprirlo. Abbiamo iniziato a salire lentamente, un ramo alla volta.
Quando ho guardato in basso eravamo già sulla cima
dell'albero. Connor si è limitato a guardarmi e sorridere,
come faceva sempre. E poi... beh, allora io..." Hansen inizia a
iperventilare, leggo il discorso che ha scritto e glielo suggerisco
nell'orecchio.
"Ci sono io, siamo insieme, non sei solo" gli ripeto come se fosse un
mantra. Evan si asciuga il sudore sulla camicia, si fa cadere le carte
di mano, si china per raccoglierle, si rialza, riprende a leggere.
"Sono caduto... sono rimasto per terra e..."
Passa al foglio successivo e riprende a leggere. "Buongiorno, studenti
e docenti, vorrei..." le carte rovinano nuovamente sul pavimento nella
realizzazione che sta ripetendo le stesse cose, stavolta si
sparpagliano, non restano coese.
I miei compagni già ridacchiano, le prime voci iniziano a
farsi sentire, i primi commenti, i primi giudizi. Gli spettatori hanno
perso la pazienza.
Evan sta annegando, gli avevo promesso che non lo avrei lasciato
cadere. Mi chino, lo aiuto a raccogliere le carte. "Hey, Hansen, li
vedi quegli stronzi lì comodamente seduti? Non hanno un
quarto dei tuoi coglioni. Preferiscono fare finta di niente, ma prova a
metterli sul palco e vedrai come se la faranno sotto. Si sentono come
te, neanche immagini quanto e tu sei l'unico che può loro
mostrare che queste cose possono essere dette ad alta voce, che
è così che si guarisce, smettendola di
vergognarsi."
Evan mi guarda, mi sorride, le lacrime sgorgano dai suoi occhi, ma si
rialza. "Grazie per non avermi lasciato solo Connor. Quel giorno mi hai
dato la forza di rialzarmi, me l'hai data anche adesso."
Evan si avvicina al microfono. "Il dono che mi ha fatto Connor
è stato questo, dimostrarmi che non ero solo. Avrei solo
voluto che qualcuno, non per forza io, ma qualcuno riuscisse a
insegnargli che questa cosa valeva anche per lui. Connor era solo,
perché non importa la realtà dei fatti, se il
buio ti avvolge e non vedi niente, non vedi neanche le mani che si
tendono verso di te e sei solo nell'oscurità che avanza.
Ecco, io... non posso sopportare che altre persone si sentano come
Connor e nessuno lo sappia. Lui ci ha lasciati e il suo insegnamento
non può e non deve passare inosservato. Si sentiva
invisibile e ora possiamo fare in modo che il mondo intero lo veda. Il
mondo è pieno di Connor Murphy, ce ne sono tantissimi anche
in questa sala. Anche io sono Connor Murphy. Non sono riuscito a
salvare il mio, ma posso cercare di salvare tutti gli altri. Per
questo..." Evan afferra il microfono con sicurezza e lo stacca dal
supporto.
"Per questo ho scritto una canzone per lui, una canzone per voi, per
noi, per tutti noi, ma soprattutto per lui, per il mio migliore amico,
per la persona più importante della mia vita e adesso ve la
canto, inizia così..."
Sono sconvolto, non mi aspettavo niente di simile, neanche nelle
più folli idee che mi erano balenate in testa c'era questa
possibilità.
"Ti sei mai sentito come se non ci fosse nessuno? Ti sei mai sentito
perso nel nulla? Come se potessi scomparire? Cadere e nessuno ti possa
sentire?"
La sala tace, c'è solo la voce di Evan, un uccello
bellissimo che ha finalmente capito come spiccare il volo. Non ha
bisogno di accompagnamento musicale, il cuore canta a cappella.
"Beh, abbandona queste pene, perché c'è un motivo
per creder che starai bene. Quando non riesci a stare in piedi, puoi
sempre scegliere di affidarti alle mani.
E io lo so, che qualcuno verrà in tuo soccorso e ti
troverà.
Anche quando il buio è intorno a te e hai bisogno di un
amico che sempre c'è e sei a pezzi sullo sterrato, verrai
trovato. Quindi lascia che il sole splenda perché ci
arriverai, se intorno ti guarderai, ti rialzerai, ti rialzerai..."
Evan prende confidenza nella sua performance, si volta verso di me
avanza per raggiungermi.
"Tu non sei solo, tu non sei solo, nessuno qui è solo,
nessuno qui è solo. Nessun uomo è un'isola,
smetti di naufragare, sei ancora in mare hai solo paura di remare..."
Le lacrime scorrono lungo le mie guance mentre la folla impazzita
applaude. Zoe colpita inizia a improvvisare qualcosa con la chitarra,
sale sul palco accanto a Evan e avendo imparato il ritornello duetta
con lui.
"Anche quando il buio è intorno a te e hai bisogno di un
amico che sempre c'è e sei a pezzi sullo sterrato, verrai
trovato. Quindi lascia che il sole splenda perché ci
arriverai, se intorno ti guarderai, ti rialzerai, ti rialzerai..."
L'intera folla inizia a cantare "ti rialzerai" e "verrai trovato",
alcuni battono le mani, la jazz band improvvisa un accompagnamento
musicale ulteriore e un gruppo di ragazzi addirittura si mette a
ballare; le cheerleader della scuola fanno una piccola esibizione
alzando dei cartelli che formano il mio nome ed Evan continua a cantare.
In platea c'è chi riprende col cellulare, Jared e Alana
vanno a fare da spalla come coro, è il delirio, ma
è tutto così bello, così magico.
La canzone si conclude sotto gli applausi scroscianti.
Mi stavo giusto chiedendo se qualcuno fosse davvero qui per me, la
risposta l'ho trovata in questo calore.
"Connor ha pensato che nessuno potesse vederlo e aveva anche paura di
mostrarsi" dice Evan con tutto il coraggio racimolato. "Nessuno mai
più deve arrivare a pensare che solo la morte possa far
notare che sia mai stato in vita."
Jared strappa il microfono a Evan, inizia quasi a urlare. "Ditelo,
parlatene, se avete mai pensato di suicidarvi, dovete dirlo prima che
sia troppo tardi. Esistono delle linee apposite."
Alana strappa il microfono a Jared. "Se vi sentite soli, abbandonati,
dimenticati, cercate aiuto. Esistono persone che aspettano solo di
abbracciarvi, non lasciatele da sole. Non avete idea di quante cose
belle vi attendono."
Evan si riprende il microfono con gentilezza. "Non credete a chi fa
finta di niente, siamo tutti essere umani, tutti vulnerabili e tutti
soffriamo, tutti abbiamo paura e se solo avessimo il coraggio di essere
davvero noi stessi allora non saremmo qui oggi, Connor sarebbe ancora
tra noi, con quel sorriso che non avete mai compreso, con le parole che
non avrebbe avuto il bisogno di nascondere perché lo avremmo
ascoltato tutti."
Quello che segue è una commuovente testimonianza. Molteplici
ragazzi si alzano dalla platea e si accalcano, raccontano dei loro
tentativi di suicidio andati a vuoto, parlano dei loro problemi.
Il preside si fa avanti mettendo per un attimo fine alla confusione e
al fermento. "Evan oggi mi ha insegnato che questa scuola ha bisogno
che si faccia più attenzione ai nostri ragazzi. Per questo
ho intenzione di convocare i migliori professionisti del settore
affinché tra i nostri studenti non si ripeta una tragedia
simile."
Nel silenzio o nel rumore, dietro le quinte, lontani da sguardi
indiscreti le mie labbra trovano quelle di Evan e niente
sembra più avere importanza.
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