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Autore: arashinosora5927    26/06/2021    1 recensioni
[Dear Evan Hansen]
Evan ha raccontato la sua storia ora il palco è di Connor, okay e anche di Evan che si ritroverà a convivere con una strana presenza.
Riporto parte delle cose così come sono state scritte nel libro limitandomi solo a tradurle, ma per il resto l'idea è mia e nei prossimi capitoli sarà apprezzabile la differenza.
TW: suicidio, Ghost!Connor, disturbi mentali, autolesionismo
Spero possiate apprezzare
[Treebros]
Genere: Angst, Fluff, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Come ci si poteva aspettare Cynthia ha insistito perché rimanessero tutti a cena, le sarebbe bastato anche solo Evan, ma sarebbe stato scortese nei confronti degli altri due ragazzi e mia madre odia risultare maleducata.

La cosa più divertente della serata forse è stata proprio vedere Kleinman cercare di buttare giù un boccone di hamburger di tofu dopo aver realizzato che aveva lo stesso odore dei calzini quando li togli dopo la palestra. Anche più esilarante è stato vederlo sorridere forzatamente facendo complimenti non sentiti che ovviamente Cynthia non ha individuato come tali, il che gli è costato un'altra fetta di carne.

Larry si è arreso dopo poco. "Non ho molta fame..." si è giustificato. Zoe aveva già altri programmi con una confezione di prosciutto cotto nascosta tra le gambe.

Alana ha mangiato ogni cosa che le è stata messa nel piatto con incredibile compostezza tanto che Cynthia l'ha guardata carica di ammirazione.  "Ti piace, cara?" ha chiesto. Alana si è limitata ad annuire.

Evan invece ha mangiato lentamente, guardandosi intorno. Tra un boccone e l'altro si è reso conto che davvero non era di suo gradimento.

"E tu Evan? Che ne pensi, è buono vero?"

"Grazie per il cibo Cynthia, ma non è esattamente di mio gusto e mi dispiacerebbe se pensassi che non mi piace la tua cucina, perché non è assolutamente così. Io adoro la tua cucina e stare qui... a tavola con tutti voi...a mangiare sì, questo si fa a tavola..."

"Oh Evan, tesoro, non preoccuparti. Perché non lo hai detto subito? Ti faccio qualcos'altro immediatamente. Lo vuoi del pollo? Una bella cotoletta, okay."

Cynthia si è alzata da tavola sotto gli occhi sconvolti di Larry e la tosse finta di Zoe.

"Scusa tanto, lo sto dicendo da due settimane che non mi piace questa roba e adesso perché lo dice Evan improvvisamente abbiamo del pollo in casa e addirittura le cotolette...?"

Evan si fa piccolo piccole nella sedia, Cynthia scuote la testa.

"Evan è il nostro ospite, questa casa non è un ristorante, Zoe" dice.

Mia sorella si arrabbia sale al piano di sopra senza salutare i presenti e si chiude nella sua stanza.

Cynthia sospira chiedendo supporto a Larry con lo sguardo, mio padre come sempre non sa che fare.

"Zoe, fila in camera tua!" dice a nessuno visto che mia sorella se ne è già andata, ma lui era troppo impegnato a fissare lo schermo del cellulare per rendersene conto.

Mia madre si dà una manata in faccia, scuote la testa.

"Zoe è davvero sconvolta per ciò che è successo, ma ti è grata per tutto quello che stai facendo, che state facendo..." mormora guardando Evan.


Siamo di nuovo in camera mia, Alana e Jared sono stati accompagnati da Larry alla macchina. Cynthia accarezza la schiena di Evan alle sue spalle.

Lo ha proprio bloccato sulla soglia della porta d'ingresso chiedendo se poteva trattenersi ancora per un po' ed Evan che deve ancora imparare a dire la parola "no" ai miei genitori ha accettato.

E quindi siamo qui, le pareti filtrano la voce di Zoe che canta quel pezzo che già conosco quello dedicato a me, ma c'è una nuova strofa, una che non ho mai sentito prima.

"Perché tu... non potevi giocare a fare lo spensierato, quando il tuo mondo diventava più buio ogni giorno... quindi canterò un requiem un'altra notte."

Penso che Zoe stia iniziando a capire chi ero veramente, che no, niente e nessuno potrà mai ripagarla dei danni che le ho fatto e la mia salute mentale compromessa non è una giustificazione, ma non ero il fratello abusivo che lei vedeva. La rabbia che le scagliavo contro era una disperata richiesta di aiuto che attraverso le parole di Hansen forse finalmente l'ha raggiunta.

"Per l'assemblea" la voce di mia madre attira improvvisamente la mia attenzione mentre la vedo sistemare la mia cravatta al collo di Evan.

"Oh..." sussulta Hansen.

Cynthia incrocia le mani tra loro, le abbandona lungo il corpo in segno di rassegnazione, i suoi occhi sono puntati su Evan e sulla cravatta che ricade lunga sul suo nuovo look in totale contrasto.

"Quando Connor ha iniziato la seconda media, tutte le mie amiche hanno detto "ecco che arriva la stagione dei bar mitzvah. Ogni sabato dovrà andare a una festa diversa." Così l'ho portato a prendere un vestito, delle camicie...e questa cravatta... non ne voleva nessuna diceva che non fosse necessario. Suppongo non avesse il coraggio di spezzarmi il cuore e dirmi che..."

Cynthia fa una pausa profonda, ne approfitto per avvicinarmi ad Hansen e mostrargli la mia espressione neutrale per tranquillizzarlo che non sono arrabbiato con lui anche se ha conquistato mia madre.

"Piuttosto che rompere la bolla da sognatrice in cui mi crogiolavo lui è stato al gioco, ma... Evan, lui non è mai stato invitato da nessuno."

Resto stupito, credevo che mia madre non avesse coscienza dei suoi meccanismi mentali, invece apparentemente...

"Ero solo fiduciosa, fiduciosa che un giorno qualcuno riuscisse a vedere mio figlio per quello che era davvero, un artista, un'anima complessa e tormentata. Il risultato di un divorzio che non ho mai avuto il coraggio di chiedere..." mi interrompe mia madre.

Per qualche istante tutto tace, Evan si arrota nervosamente intorno all'indice l'estremità della cravatta.

"Ci voleva una persona giusta, qualcuno che sapesse vedere oltre le facciate, qualcuno come te, Evan... ma suppongo tu sia arrivato troppo tardi, troppo tardi perché potesse salvarsi..."

Cynthia si asciuga le lacrime, io le faccio da specchio, Hansen fissa quel capo di abbigliamento che ha al collocome se volesse farlo spostare col pensiero. La cravatta che non ho mai dovuto indossare, che non ho mai potuto indossare. La mia grande occasione non è mai arrivata, mai c'è stato un evento per cui valesse mettersi in tiro e così come sono rimasto deluso quel giorno che volevo essere capofila sarei rimasto deluso tutti gli altri. Ho smesso anche solo di desiderarlo e forse la mia occasione non ho neanche saputo riconoscerla.

"Vorrei che la indossassi durante il tuo discorso" prosegue mia madre, neanche ha finito la frase che Evan già è in panico.

"Il mio cosa?!" squittisce, l'ansia sulla punta della lingua si diffonde rapidamente in tutto il corpo.

"Beh, Alana ha detto che chiunque lo volesse avrebbe avuto la possibilità di dire qualcosa all'assemblea. Pensiamo tutti che tu debba essere il primo a parlare."

Il panico ha un sapore salato: è come stare in un piccolo serbatoio di vetro e il serbatoio si sta riempiendo d'acqua. L'acqua proviene dal mare, puzza di salsedine e in niente ha già raggiunto la bocca, è entrata in gola. Tra un attimo coprirà il viso ed Evan affogherà. Non può uscire dal serbatoio, non c'è una porta, tutto ciò che può fare è aspettare pazientemente mentre l'acqua lo circonda, allungare il collo per quell'ultima disperata boccata d'aria.

Evan ansima, il suo viso è composto di sudore, i suoi occhi sono liquidi e il cuore accelera. Per quello che è in mio potere cerco di aiutarlo, di guardarlo negli occhi e costringerlo a focalizzarsi solo su di me.

"Va tutto bene" dico posandogli le mani sulle spalle. "Guardami... non sta succedendo niente. Puoi dire di no, non stai annegando, non morirai. Evan, sei al sicuro."

La marea si ritira, qualche goccia viene rilasciata dai suoi occhi, Cynthia la scambia per commozione.

Non lo so, forse annegare è meglio che andarci vicino, riempirti i polmoni d'acqua e comunque non trovare pace, ma non perché sono finito a fondo voglio trascinarci anche Hansen.

"I-Il fatto è che non me la cavo molto bene a-a pa-parlare... in pubblico. Finirò per impappinarmi e anne-"

Lo guardo nuovamente, cerco di sorridergli. "Evan, sei al sicuro. Ci sono io qui con te, non sei solo. Vedo tutta la tua sofferenza e quanto ti costi anche solo esprimere un concetto come questo in cui ammetti le debolezze, ma non hai niente da temere. Ha tanti difetti, ma mia madre non ti giudicherà."

"Finirò per impappinarmi e annoiarvi" mormora Evan facendosi forza. "Non vorreste sentirmi parlare..."

"Certo che vorremmo. Io, Larry, Zoe, l'intera scuola aspetta le tue parole."

Hansen trema e io niente, non ho parole. Complimenti a mia madre che vince il premio "niente pressioni sociali" dell'anno.

"Diglielo. "Grazie Cynthia, ma non voglio farlo." Non sei obbligato."

"No!" urla Evan. "Io voglio farlo, voglio..." modula  la voce conscio di avere urlato. "Voglio essere la sua voce, solo che non ho il coraggio... non ho il coraggio di raccontare come mi sento, di parlare al suo posto. Dovrebbe essere lui a dire la realtà delle cose, dovremmo solo ascoltare il silenzio che ha lasciato perché è quella l'unica cosa che c'è realmente."

Cynthia lo guarda sconvolta, si porta una mano davanti alla bocca e poi esce dalla stanza. Sulla soglia guarda Evan dolcemente. "Pensaci" dice semplicemente.

La mia cravatta è spessa e ruvida tra le mani paralizzate di Evan che assaporano la delusione, anzi la consapevolezza di aver deluso e non sanno reggere il contraccolpo. La mia cravatta è di una tonalità di blu scuro con strisce azzurre che la percorrono in diagonale,
come onde che si infrangono in un oceano oscuro e violento. L'acqua è arrivata per me. Ho lottato finché non ce l'ho fatta più.

"Non ho più voglia di combattere" mormora Hansen, le lacrime agli occhi, il cuore a mille.

"Vuoi venire a farmi compagnia? Guarda che essere morti è una palla..." cerco di sdrammatizzare.

"Scusami Connor..." sospira Evan. "Non dovrei dirlo, non dopo quello che hai vissuto, non dopo quello che ho detto a te, ma a volte vorrei non essere mai nato, a volte vorrei, vorrei che finisse tutto, che non dovessi più preoccuparmi di niente, più sentire niente..."

Zoe appare sulla soglia, si fa avanti, mi passa attraverso e abbraccia Evan. "Lo so, anche io a volte mi sento così, credo che tutti ci siamo sentiti così almeno una volta, Evan..." mormora.

"Hey, ti va di sentire cosa ho scritto per ricordare mio fratello?" cerca di cambiare argomento. Dietro la schiena porta la sua inseparabile chitarra, inizia a suonarla senza permesso alleviando all'istante le pene di Hansen.

"Quindi tu non stavi fingendo... hai scelto di non svegliarti domani... un pessimo figlio... quello senza amici. Ti ci ho fatto sentire io?" canta.

Da quelle poche parole capisco subito che i messaggi sono più difficili da recapitare così come vorrei che arrivassero perché l'ultima persona che dovrebbe avere i sensi di colpa è proprio la mia sorellina.

Mi metto dietro di lei, le accarezzo i capelli così come facevo quando ancora tra noi c'era un rapporto tale che si affidava a me per farsi fare le trecce.

"No, Zoe... non è colpa tua..." mormora Evan.

Mia sorella smette di suonare, posa bruscamente la chitarra sul materasso. Piange.

" 'Perché tutte le mie speranze sono riposte in Zoe'..." dice citando la lettera. "Evan, io l'ho deluso, l'ho abbandonato, ho lasciato che...che succedesse..."

"No, non è così. Connor, dillo anche tu!"

Resto paralizzato, forse perché non mi aspettavo una reazione simile o perché non pensavo che Hansen fosse così sprovveduto da dirlo ad alta voce.

Zoe lo guarda infatti perplessa, mentre Hansen improvvisa una conversazione con la mia foto. "Dille che le hai tirato i capelli, che le facevi ogni forma di dispetto e che questo non è il modo giusto per dimostrare di amarla. Dille che le hai calciato volutamente quella pallonata in faccia. Dille che eri invidioso di lei, la piccola di casa, la stella della famiglia. Dille che ti sei lasciato accecare dal dolore e che lei non era tenuta a capirti, lei doveva proteggere se stessa."

Fa male sentire quelle parole, ma è ciò di cui sia io che Zoe avevamo bisogno.

"Dannazione, devo di nuovo cambiare il testo..." sospira la mia sorellina fingendosi offesa, in realtà tra le lacrime sorride.

Non pensavo che Hansen stesse prestando davvero così tanta attenzione alle cose che gli ho raccontato fra i singhiozzi la sera in cui ho scoperto che non avrei ricevuto un requiem, devo averlo sottovalutato.

"Non sapevo che cantassi" dice Hansen con un sorriso timido. "Anche io canto, non sono niente di che, la tua voce invece è angelica, Zoe."

"Niente di che? Non prendermi per il culo, Hansen!" gli dico sentendomi quasi offeso per la puttanata.

"Dici sul serio?" domanda Zoe.

Evan annuisce ripetutamente e io non posso fare a meno di concentrarmi sul fatto che un loro duetto farebbe venire i brividi anche a un sordo.

"Fammi sentire..." incalza mia sorella.

"N-No, mi vergogno... non sono affatto alla tua altezza."

"Butta fuori, Evan. Io canto per liberarmi, per svuotarmi di tutto ciò che mi logora dentro e riempire di sensazioni che mi possano ricostruire."

Zoe inizia nuovamente ad accarezzare le corde del suo strumento, fa pochi accordi.

"Sit back down where you belong
In the corner of my bar with your high heels on
Sit back down on the couch where we
Made love for first time and you said to me
Something, something about this place
Something 'bout lonely nights and my lipstick on your face
Something, something about my cool Nebraska guy
Yeah, something about, baby, you and I" canta e a ogni strofa Evan prende un po' di più di confidenza facendole un controcanto sempre più forte, sull'ultima alza la voce a sua volta.

"You and I, you, you and I
You, you and I, you, you and I, I
You and I, you, you and I
Oh yeah, I'd rather die without you and I" durante il ritornello se la comanda al punto tale che Zoe smette di seguirlo e si limita solo ad accompagnarlo con la musica, due occhi sgranati.

Un po' come era successo in macchina con Jared e Alana, Evan si interrompe terrorizzato e Zoe gli fa un applauso. "Alla faccia... e questo sarebbe "niente di che"?" domanda.

Evan scuote la testa, si gratta una guancia imbarazzato. "Mi dicono tutti che sono bravo..."

"Scommetto che te lo diceva anche mio fratello..."

Evan si limita ad annuire. "Ma io non mi sento tale, non mi sento capace di fare niente. Sono insicuro, insignificante, invisibile. Il mio vero nome è Mark Evan Hansen. Se metti insieme le iniziali è "meh", indifferenza pura, disinteresse."

"E tu preferisci essere Evan Hansen, vero? Preferisci essere "Eh", un'affermazione, qualcosa di più...ma i nostri nomi non definiscono chi siamo, la nostra essenza invece sì sì. Una rosa profumerebbe ugualmente anche senza quel nome, Shakespeare. Che tu sia Mark Evan Hansen o Evan Hansen, ciò che conta è che tu sei qualcuno e ci saranno sempre delle persone nella tua vita per cui farai la differenza... come l'hai fatta per Connor."

Odio ammetterlo, lo odio davvero, ma più li vedo interagire più penso che Hansen e mia sorella sarebbero davvero una bella coppia e forse dovrei solo dare loro la mia benedizione e accettare la realtà dei fatti. Zoe mi batte sempre, non importa di cosa si tratti, dalle cose più futili ai desideri più profondi, taglia il traguardo mentre io mi sono appena spostato dalla linea di partenza.

"Senti... domani sera suono al Capitol Café. Solo qualche canzone. Ti va di venire? Potremmo cantare qualcosa insieme se te la senti oppure potresti nascondere per sempre questa meraviglia che hai dentro. Evan, se non permetti mai a nessuno di ascoltarla... come faremo a imparare la tua canzone?"

Volevo per una volta nella vita avere qualcosa da non condividere per forza con lei e Hansen era quanto più ci si fosse avvicinato dopo il mio fallimento numero uno.

Non faccio fatica a comprendere perché Evan sia così attratto da mia sorella, lei ha tutto, a differenza mia è perfetta. Tutti preferiscono i giocattoli nuovi a quelli rotti, non c'è fascino in ciò che non funziona.

"Wow. Assolutamente no" balbetta Hansen con un entusiasmo in totale contrasto con il contenuto delle parole. "Cioè magari vengo a vederti, ma non voglio cantare e io non posso esprimere ciò che ho dentro... è spaventoso e nessuno lo vuole sentire."

Zoe gli accarezza il viso, gli sorride. "È qui che sbagli, Hansen. La gente vuole sentire proprio questo, vuole persone che non abbiano paura di spogliarsi e mostrarsi vulnerabili, persone che raccontino quelle verità che loro non hanno il coraggio di confidare neanche a se stessi."

C'è silenzio, mia sorella si avvicina alle sue labbra: chiudo gli occhi perché non voglio vedere, non voglio assistere al momento in cui l'unica persona che mi ascoltava mi viene portata via.

"E cosa canterai?" sorprendentemente sento Hansen domandare. Ridandomi la vista mi rendo conto che si è allontanato di qualche centimentro.

"La mia roba" risponde Zoe infastidita. "Avevo queste canzoni dentro e ora sono uscite."

"Ti invidio... io non riesco a fare uscire niente..." mormora Evan.

Zoe si fa nuovamente più vicina, sospira profondamente a un bacio dalle sue labbra. "Il dolore fa fare cose folli, vero? Ma io so di volerti baciare e non è per consolarmi... è che mi piaci."

Tutto tace nuovamente mentre Hansen arrossisce, poi mia sorella si alza e inizia a camminare nervosamente per la stanza. "Perché ti ha spinto quel giorno?" domanda.

"Cosa? Oh. Intendo...credo..." Hansen inizia nuovamente ad andare in panico. "Non ti ho già risposto?" squittisce.

"Lo hai fatto, ma non ti credo."

Hansen mi guarda come se fossi un foglio delle risposte per un compito, mi supplica con gli occhi di dire qualcosa, ma sono troppo impegnato a piangere la fine della mia importanza per lui. Mi ero illuso di poter essere qualcosa di speciale, qualcuno di speciale per lui, mi ero illuso che per una volta si potesse preferire me a mia sorella, ma come al solito lei è la regina e io al massimo il giullare di corte.

"A volte... ho paura a parlare con le persone, credo. Connor cercava sempre di farmi superare i miei problemi e a volte si arrabbiava perché pensava non mi stessi impegnando abbastanza" risolve Hansen.

"Beh, mia madre è innamorata di te. È ossessionata da questa storia del Progetto Connor. Le piace averti qui. Quando ci sei tu, Hansen, sembra che ci sia anche Connor. È come se venisse con te, come se lo portassi da noi."

Hansen ride istericamente, si gratta una guancia a sangue, mi guarda sull'orlo di una crisi di nervi. Zoe sospira.

"È vero? Voglio dire...a scuola gira voce che tu e mio fratello stavate insieme e adesso comincio a crederci anche io perché forse è vero che Connor con te era un'altra persona, una persona che non ho mai potuto o saputo conoscere..."
Evan evapora, vedo quasi il suo spirito lasciare il corpo.

"N-No" balbetta. "Jared ha capito una cosa per un'altra e quando si mette un'idea in testa non c'è modo di modificarla, quindi sì, magari per tutta la scuola io sarò il ragazzo di Connor, ma Zoe, io ho sempre guardato solo te."

Una coltellata, dritta in petto mi passa da parte a parte lasciandomi esangue. Sia chiaro, non volevo essere il ragazzo di Hansen ed Evan sarebbe stato il benvenuto a prendersi qualsiasi altra ragazza, ma non mia sorella. Ora diventerò invisibile anche per lui, ora ci sarà sempre più spazio per Zoe e meno per Connor, come è sempre stato da quando lei è arrivata.

"Menomale" mormora mia sorella tirando un sospiro di sollievo. "Tommy, il mio ex aveva un debole per Connor. All'inizio pensavo solo che fosse interessato a informarsi sui membri della mia famiglia, ma poi si è parlato sempre più di Connor e meno di Zoe. Ci ho messo del tempo a capire che era gay, suppongo che anche lui dovesse ancora capirlo. Eravamo sul mio letto a sbaciucchiarci e lui sembrava preso da tutt'altro. Nella stanza accanto c'era Connor che canticchiava, allora ho capito che non avremmo mai funzionato. Tu ascolti Lady Gaga, ma questo non vuol dire per forza qualcosa, giusto?"

'Tu canti?' registro a malapena in lontananza qualcosa tra i pensieri di Hansen, ma sono troppo preso dalla rivelazione.

Resto sconvolto, non avevo idea di questa storia. Mi ero sempre chiesto perché fosse finita tra Thomas Ridge e mia sorella, ma pensavo fosse solo una storiella tra adolescenti curiosi, mai avrei creduto di essere la ragione dietro.

"Sai Connor diceva di sentirsi invisibile... se lo chiedi a me riceveva fin troppe attenzioni. Si parlava sempre di Connor, le medicine per Connor, la terapia per Connor. "Zoe, non dare fastidio a Connor, spegni la luce che Connor è fotosensibile, smettila di suonare che Connor è nervoso, non fare rumore che Connor sta dormendo." Connor Connor Connor, c'era spazio solo per lui. Nessuno chiedeva mai di me e se lo faceva era per chiedermi di verificare come stesse Connor."

Non so cosa dire, due facce della stessa medaglia, due realtà allo stesso sapore con i ruoli invertiti. L'unica certezza che ho è che i miei hanno fatto un disastro come genitori.

"Tu eri il suo migliore amico, ma vorrei che ci fosse finalmente qualcuno che non è anche di Connor... quindi se non siete stati insieme... sono felice Evan perché tu mi piaci tanto..."

Silenzio, un profondo silenzio. Il cuore di Hansen fa una capriola e sappiamo entrambi che l'unico motivo per cui non sta ancora limonando con mia sorella è la mia presenza.

Tolgo il disturbo.

"Zoe" Evan parla ad alta voce come se volesse fermarmi con quelle parole. "Mi piaci anche tu, ma ho promesso a Connor che non lo avrei tradito in questo modo. Lui non voleva che stessimo insieme, lui voleva avere qualcuno che non fosse anche tuo anche se la mia cotta è antica, ma sai cosa? Penso che sia presto per parlare di tutto questo, penso che entrambi dobbiamo ancora metabolizzare quello che è successo e poi guardare con lucidità ai nostri sentimenti con tutti gli elementi. Ora dovremmo solo ricordare Connor, così come era, così come ci piace ricordarlo, non come è nel nostro ultimo ricordo con lui."

Zoe sospira, si stringe nelle spalle. "Il Connor che conosci tu sembra quasi un'altra persona, è migliore del mio."

"È quello che succede quando la gente se ne va, credo. Quando qualcuno non è più tra noi non devi ricordare per forza tutte le cose brutte. Puoi scegliere di lasciarle come preferisci e ci rimarranno per sempre. Perfette come sarebbero dovute essere" dice con sicurezza Evan.

"Io ricordo degli occhi ridenti che mi accolgono e che mi dicono che sono qualcuno, che la mia vita è importante. Questo è il mio Connor."

Zoe lascia andare una lacrima solitaria. "Io ricordo un bambino che faceva le trecce alle mie bambole e mi aiutava a scegliere che vestiti mettere loro. Questo è il mio Connor."

"I brutti ricordi non contano meno di quelli belli, decidi dove vuoi mettere la tua attenzione. Connor ti amava e tu amavi lui. Gli volevamo tutti bene. Ognuno a suo modo, per come riuscivamo..."

"Sì, per come ci permetteva..." mormora mia sorella. "C'erano tante parole che avrei voluto dirgli prima che fosse troppo tardi, ma queste sono forse le più importanti. "Ti voglio bene, Connor. Che tu ci creda o meno, che tu lo meriti o meno. Ti amerò per sempre e mi mancherai per sempre. Quando sarà il mio momento verrò a prenderti a calci in culo all'inferno perché mi hai lasciata da sola." "

Io sono in lacrime, Evan ascolta ogni parola sorpreso piacevolmente. Abbraccio Zoe anche se non può sentirmi, il suo calore mi riscalda, il mio cuore inizia a rigenerarsi.

"Grazie Evan" sono le nostre parole all'unisono. Per un istante la mia sorellina si gira di scatto verso di me come se mi avesse sentito, poi sul suo viso si configura un'espressione amara. "A volte mi sembra davvero che sia rimasto un questa casa."


La strada del ritorno a casa è silenziosa, Cynthia ha insistito affinché Evan rimanesse a dormire, ma sappiamo entrambi che Heidi non la prenderebbe bene.

Le porte di casa Hansen mi sembrano la cosa più accogliente dell'ultimo secolo, mi viene quasi naturale buttarmi sul suo letto dopo averlo visto colonizzare il mio.

"Che ti è preso?" mi può finalmente chiedere. Heidi non è ancora tornata.

Come sempre non so rispondere. Poi faccio un respiro profondo e metto insieme delle parole.

"Voglio essere la tua priorità, okay? Odio questa cotta che hai per mia sorella... mi fa sentire come se... come se non ci sarà mai nessuno che dopo averla conosciuta non sceglierà lei. Tra noi è nata una bellissima amicizia, Evan, più intima di quanto lo sarà mai qualunque storia d'amore... non voglio perderti..."

Forse è un capriccio forse no, ma chi in America considera la propria ragazza alla stregua di un migliore amico?

"Avevamo detto che ci saremmo presi cura l'uno dell'altro, che ci saremmo guardati le spalle, Evan. Voglio che tu sia mio, non di Zoe, voglio che tu sia quel qualcuno che sceglie me. Mia sorella è gnocca, okay lo abbiamo capito... ma io non sono da buttare...credo."

Hansen resta in silenzio, si avvicina un po' di più a me, poi si siede al mio fianco e mi accarezza il viso. "Perché pensi che io preferisca lei a te?" chiede.

"Perché è vero..."

"E se non lo fosse? Se preferissi te? Se lei mi attraesse tanto, ma avessi comunque scelto di non cedere perché tu ci soffri? Se in te avessi trovato la comprensione che non ho mai ricevuto? Se provassi per voi due forme di amore differenti e mi sentissi solo lusingato perché per una volta, per una fottuta volta nella mia vita, non sono io ad aver paura di perdere qualcuno a cui tengo, ma c'è qualcuno che ha paura di perdere me?" risponde Hansen con trasporto.

Non so cosa dire, succede spesso. Alzo leggermente le spalle e mi sciolgo in un sorriso. "Beh allora forse questo vuol dire che sono importante per te..."

"Certo che lo sei Connor! Dannazione...è per te che sto facendo tutto questo. Credi che io voglia essere popolare? Che muoia dalla voglia di salire su un palco a parlare davanti a tutti la scuola? No, lo faccio perché voglio essere la tua voce, voglio recapitare i messaggi che non hai saputo scrivere o che non erano abbastanza comprensibili da poterli leggere. Lo faccio per te, perché che tu ci creda o meno da quando sei qui la mia vita è migliore e io ti voglio bene, tanto bene, Connor."

Questo abbraccio che ci stiamo scambiando è forse il più profondo che abbia mai ricevuto. Sa di disperazione, ma contiene anche tutte le parole che ho bisogno di sentire.

"Connor Murphy, guai a te se mi abbandoni sul palco. Questa cosa non posso farla da solo. Finora ti sei lasciato prendere dai sentimenti e mi hai scaricato in situazioni scomode. Se lo fai di nuovo potrei davvero mollare tutto" mi dice con enorme serietà.

"Ci sarò Evan, te lo prometto. Sarò alle tue spalle e ti dirò cosa dire se ti mancheranno le parole, sarò le tue ali e non ti permetterò di cadere, sarò tutto ciò di cui hai bisogno per respirare. Te lo giuro."


Qualche ora più tardi Heidi è tornata, non può sapere cosa è successo, né che Evan ha iniziato a scribacchiare qualcosa, buttare giù qualche riga per il discorso.

"Evan, tesoro! Come è andata la giornata? La mia è stata veramente pesante..." la madre di Evan senza permettere al figlio di parlare inizia a elencare tutto ciò che ha dovuto fare e Hansen si limita ad annuire. Poi Heidi esce dalla stanza e dichiara di aver voglia di qualcosa di dolce in dispensa, Evan non ha tempo di condividere niente con lei.

Sto per dire qualcosa in merito, ma Evan mi interrompe. "Stavo pensando...a lui, Connor. A lui che mi hai nominato mezza volta e poi boh, scomparso nel nulla come se non fosse mai esistito. Non vorresti che ci fosse anche lui all'assemblea?"

"Lui?" domando sconvolto. Non ho idea di cosa stia dicendo Hansen, ma i suoi pensieri vanno a una sola persona, una persona di cui non ricordo di avergli parlato.

"Sì, il tuo amico, quello nella foto..." risponde Evan.

Non rispondo, mi limito a fissare il pavimento. Suppongo di non poter continuare in eterno a fare finta di niente, ma no, non voglio che ci sia, non voglio che sia così, cioè lo vorrei anche, ma allora dovrebbe farlo lui il discorso perché da vivo mi conosceva molto meglio di Evan e senza dubbio era la cosa più simile a un migliore amico, anzi la cosa più simile a un amico che avessi mai avuto.

"Evan... tu mi devi aiutare a... parlargli. Non posso avere questo peso per la coscienza in eterno, ma di questo occupiamocene dopo, okay? Adesso pensiamo al discorso."


Ed eccoci, ci siamo, i volantini sono attaccati in ogni dove e tutti riportano la scritta a caratteri cubitali "CERIMONIA DI INIZIO DEL PROGETTO CONNOR."

Oh per me? Davvero? Come potrei mancare?  Un evento in mio onore. Studenti. Insegnanti.  Giornale locale. Ci sono anche esterni alla scuola. Si prospettano discorsi, una presentazione di diapositive curata da Jared Kleinman, una performance musicale di Zoe e dei ragazzi del jazz.

Che roba. Sono quasi lusingato.
Voglio dire questo progetto l'ho ispirato io a Evan, ho contribuito a ogni fase di realizzazione eppure ora che lo vedo realizzato mi sembra gigantesco e non riesco a scrollarmi di dosso la sensazione che non faranno che prendermi in giro. Non Evan, lui no, lui sta sacrificando la sua ansia sociale per la mia causa, ma gli altri, quelli che non mi hanno mai visto e che oggi, come hanno scritto sui social, racconteranno di un affetto mai esistito in un rapporto inventato solo per mettersi la coscienza a posto. Lasceranno andare lacrime di coccodrillo, si stringeranno attorno a un dolore che non sentono e ancora una volta si parlerà di chi è rimasto e non di chi se ne è andato.

Diranno che hanno provato a parlarmi, che conoscono i sentimenti che ho provato, che sanno che cosa significa questo isolamento, l'indegnità, la solitudine. La disperazione. Che conoscono la depressione. Ma che cazzo ne sanno di come mi sentivo? Solo la mia morte ha fatto loro notare che ero vivo, un essere umano con dei sentimenti, troppi per contenerne ancora.

Corro dietro le quinte, Evan mi aspetta e glielo ho promesso, trema tenendosi con le mani la cravatta, la mia cravatta che alla fine ha scelto di indossare.

"Connor, non ce la faccio..." mormora, mantiene tra le mani dei foglietti che sono zuppi di sudore.

"Hey, sì che ce la fai" gli dico con un sorriso gentile tenendolo per le spalle.

"Ora per favore se posso avere un grande applauso per il migliore amico di Connor Murphy, Evan Hansen" annuncia il preside e vedo Evan sbiancare.

"Io sono dietro di te okay, sono qui con te, siamo su questo palco insieme. Nessuno riderà di te, nessuno ti farà del male. Siamo noi, le cose importanti che abbiamo da dire. Ci andiamo a cazzo duro su quel palco. Capito, Hansen? Lì fuori è pieno di persone che si domandano se la loro vita valga qualcosa. Vai a insegnare loro che ogni vita è importante."

"Evan...Hansen?" lo richiama il preside sotto un applauso sempre più fiacco.

"Ricorda Evan, nessuno merita di essere dimenticato."

"Nessuno merita di svanire nel nulla" dice lui facendosi coraggio.

"Nessuno dovrebbe spegnersi lentamente chiedendosi se importi davvero la sua presenza" aggiungo.

"Nessuno merita di scomparire, nessuno merita di scomparire, nessuno merita di scomparire, nessuno merita di scomparire!" quasi come se fosse un urlo per darci la carica lo diciamo sempre più forte e in un attimo Evan è sul palco, cammina lentamente con le mie mani sulle spalle e le mie parole di incoraggiamento.

Da qui la scena è diversa, molto più intima, anche troppo. Posso vedere ogni singola goccia di sudore sulla sua fronte, le mani che cercano di gestire i fogli mentre tremano, lo sguardo fisso sul microfono, le labbra che si muovono senza emettere alcun rumore. In questo momento non c'è niente di più fragile di Evan Hansen, sotto quell'occhio di bue potrebbe prendere fuoco. Eppure non c'è niente di più forte.

Oggi il mio migliore amico prenderà a calci in culo i suoi problemi e dimostrerà di avere le palle grandi quanto due pompelmi di cui parla Jared.

Con tremante incertezza inizia leggere i fogli.

"Buongiorno, studenti e docenti. Vorrei solo dirvi qualche parola oggi sul... mio migliore amico... Connor Murphy.  Vorrei raccontarvi del giorno in cui siamo andati al vecchio frutteto di mele Autumn Smile, ma era chiuso quindi abbiamo optato per Ellison Park. Connor e io eravamo sotto una quercia e Connor ha detto che si chiedeva come sarebbe stato il mondo dall'alto...così abbiamo deciso di scoprirlo. Abbiamo iniziato a salire lentamente, un ramo alla volta. Quando ho guardato in basso eravamo già sulla cima dell'albero. Connor si è limitato a guardarmi e sorridere, come faceva sempre. E poi... beh, allora io..." Hansen inizia a iperventilare, leggo il discorso che ha scritto e glielo suggerisco nell'orecchio.

"Ci sono io, siamo insieme, non sei solo" gli ripeto come se fosse un mantra. Evan si asciuga il sudore sulla camicia, si fa cadere le carte di mano, si china per raccoglierle, si rialza, riprende a leggere. "Sono caduto... sono rimasto per terra e..."

Passa al foglio successivo e riprende a leggere. "Buongiorno, studenti e docenti, vorrei..." le carte rovinano nuovamente sul pavimento nella realizzazione che sta ripetendo le stesse cose, stavolta si sparpagliano, non restano coese.

I miei compagni già ridacchiano, le prime voci iniziano a farsi sentire, i primi commenti, i primi giudizi. Gli spettatori hanno perso la pazienza.

Evan sta annegando, gli avevo promesso che non lo avrei lasciato cadere. Mi chino, lo aiuto a raccogliere le carte. "Hey, Hansen, li vedi quegli stronzi lì comodamente seduti? Non hanno un quarto dei tuoi coglioni. Preferiscono fare finta di niente, ma prova a metterli sul palco e vedrai come se la faranno sotto. Si sentono come te, neanche immagini quanto e tu sei l'unico che può loro mostrare che queste cose possono essere dette ad alta voce, che è così che si guarisce, smettendola di vergognarsi."

Evan mi guarda, mi sorride, le lacrime sgorgano dai suoi occhi, ma si rialza. "Grazie per non avermi lasciato solo Connor. Quel giorno mi hai dato la forza di rialzarmi, me l'hai data anche adesso."

Evan si avvicina al microfono. "Il dono che mi ha fatto Connor è stato questo, dimostrarmi che non ero solo. Avrei solo voluto che qualcuno, non per forza io, ma qualcuno riuscisse a insegnargli che questa cosa valeva anche per lui. Connor era solo, perché non importa la realtà dei fatti, se il buio ti avvolge e non vedi niente, non vedi neanche le mani che si tendono verso di te e sei solo nell'oscurità che avanza. Ecco, io... non posso sopportare che altre persone si sentano come Connor e nessuno lo sappia. Lui ci ha lasciati e il suo insegnamento non può e non deve passare inosservato. Si sentiva invisibile e ora possiamo fare in modo che il mondo intero lo veda. Il mondo è pieno di Connor Murphy, ce ne sono tantissimi anche in questa sala. Anche io sono Connor Murphy. Non sono riuscito a salvare il mio, ma posso cercare di salvare tutti gli altri. Per questo..." Evan afferra il microfono con sicurezza e lo stacca dal supporto.

"Per questo ho scritto una canzone per lui, una canzone per voi, per noi, per tutti noi, ma soprattutto per lui, per il mio migliore amico, per la persona più importante della mia vita e adesso ve la canto, inizia così..."

Sono sconvolto, non mi aspettavo niente di simile, neanche nelle più folli idee che mi erano balenate in testa c'era questa possibilità.

"Ti sei mai sentito come se non ci fosse nessuno? Ti sei mai sentito perso nel nulla? Come se potessi scomparire? Cadere e nessuno ti possa sentire?"

La sala tace, c'è solo la voce di Evan, un uccello bellissimo che ha finalmente capito come spiccare il volo. Non ha bisogno di accompagnamento musicale, il cuore canta a cappella.

"Beh, abbandona queste pene, perché c'è un motivo per creder che starai bene. Quando non riesci a stare in piedi, puoi sempre scegliere di affidarti alle mani.
E io lo so, che qualcuno verrà in tuo soccorso e ti troverà.
Anche quando il buio è intorno a te e hai bisogno di un amico che sempre c'è e sei a pezzi sullo sterrato, verrai trovato. Quindi lascia che il sole splenda perché ci arriverai, se intorno ti guarderai, ti rialzerai, ti rialzerai..."

Evan prende confidenza nella sua performance, si volta verso di me avanza per raggiungermi.

"Tu non sei solo, tu non sei solo, nessuno qui è solo, nessuno qui è solo. Nessun uomo è un'isola, smetti di naufragare, sei ancora in mare hai solo paura di remare..."

Le lacrime scorrono lungo le mie guance mentre la folla impazzita applaude. Zoe colpita inizia a improvvisare qualcosa con la chitarra, sale sul palco accanto a Evan e avendo imparato il ritornello duetta con lui.

"Anche quando il buio è intorno a te e hai bisogno di un amico che sempre c'è e sei a pezzi sullo sterrato, verrai trovato. Quindi lascia che il sole splenda perché ci arriverai, se intorno ti guarderai, ti rialzerai, ti rialzerai..."

L'intera folla inizia a cantare "ti rialzerai" e "verrai trovato", alcuni battono le mani, la jazz band improvvisa un accompagnamento musicale ulteriore e un gruppo di ragazzi addirittura si mette a ballare; le cheerleader della scuola fanno una piccola esibizione alzando dei cartelli che formano il mio nome ed Evan continua a cantare.

In platea c'è chi riprende col cellulare, Jared e Alana vanno a fare da spalla come coro, è il delirio, ma è tutto così bello, così magico.
La canzone si conclude sotto gli applausi scroscianti.

Mi stavo giusto chiedendo se qualcuno fosse davvero qui per me, la risposta l'ho trovata in questo calore.

"Connor ha pensato che nessuno potesse vederlo e aveva anche paura di mostrarsi" dice Evan con tutto il coraggio racimolato. "Nessuno mai più deve arrivare a pensare che solo la morte possa far notare che sia mai stato in vita."

Jared strappa il microfono a Evan, inizia quasi a urlare. "Ditelo, parlatene, se avete mai pensato di suicidarvi, dovete dirlo prima che sia troppo tardi. Esistono delle linee apposite."

Alana strappa il microfono a Jared. "Se vi sentite soli, abbandonati, dimenticati, cercate aiuto. Esistono persone che aspettano solo di abbracciarvi, non lasciatele da sole. Non avete idea di quante cose belle vi attendono."

Evan si riprende il microfono con gentilezza. "Non credete a chi fa finta di niente, siamo tutti essere umani, tutti vulnerabili e tutti soffriamo, tutti abbiamo paura e se solo avessimo il coraggio di essere davvero noi stessi allora non saremmo qui oggi, Connor sarebbe ancora tra noi, con quel sorriso che non avete mai compreso, con le parole che non avrebbe avuto il bisogno di nascondere perché lo avremmo ascoltato tutti."

Quello che segue è una commuovente testimonianza. Molteplici ragazzi si alzano dalla platea e si accalcano, raccontano dei loro tentativi di suicidio andati a vuoto, parlano dei loro problemi.

Il preside si fa avanti mettendo per un attimo fine alla confusione e al fermento. "Evan oggi mi ha insegnato che questa scuola ha bisogno che si faccia più attenzione ai nostri ragazzi. Per questo ho intenzione di convocare i migliori professionisti del settore affinché tra i nostri studenti non si ripeta una tragedia simile."

Nel silenzio o nel rumore, dietro le quinte, lontani da sguardi indiscreti le mie labbra trovano quelle di Evan e niente sembra più avere importanza.
   
 
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