A Robin doesn't sing sick
Titolo:
A Robin doesn't sing sick
Autore: My Pride
Fandom: Batman
Tipologia: One-shot
[ 1773 parole fiumidiparole
]
Personaggi: Damian
Bruce Wayne, Jonathan Samuel Kent
Rating:
Giallo
Genere: Generale,
Slice of life, Commedia
Avvertimenti: What
if?, Hurt/Comfort, Accenni Slash
Solo i fori sanno: 6.
Bocca di Leone: capriccio
Just stop for a minute and smile: 35. "Non
ho mai conosciuto una persona più incoerente di te."
BATMAN
© 1939Bob Kane/DC. All Rights Reserved.
Robin
entrò di soppiatto nel proprio appartamento, sollevando
silenziosamente la finestra della camera da pranzo.
Era stata una lunga nottata e il
pattugliamento era stato a dir poco estenuante, e non era certo
di che ore fossero quando era tornato a casa, con la manica destra del
costume completamente strappata e il sangue che colava dai
tagli da artiglio che gli erano stati inferti. Aveva anche dei lividi
sul viso e una lente della maschera era spaccata, ma nonostante il
dolore fu attento a dove metteva i piedi, cercando in tutti i modi di
non svegliare nessuno.
«Te lo
ricordi che ho il super-udito, vero?»
esordì una voce nel buio, e Damian imprecò a
denti
stretti per l'essere stato beccato come un idiota alle prime armi.
Tutto il suo addestramento con la Lega degli Assassini diventava
completamente inutile, quando si trattava del caro Superboy.
«Torna a
dormire, Jon», rimbeccò lui, trattenendo un sibilo
di dolore mentre scavalcava il davanzale
e poggiava un piede sul pavimento, sentendo un formicolio correre lungo
tutta la sua gamba. Forse la botta che aveva preso era stata peggiore
di quanto avesse pensato all'inizio, e roteò gli occhi nel
sentire il compagno bofonchiare un «Torna a dormire, Jon»
per fargli il verso
e i suoi passi che si allontanavano in direzione dell'interruttore
della luce. Era letteralmente cresciuto nelle tenebre, non gli serviva
vedere per capire ciò che stava facendo.
Quando la luce si accese, ferendo dolorosamente l'occhio sprovvisto di
lente protettiva, Damian udì distintamente Jon che
tratteneva un
lieve respiro. «Che
diavolo hai fatto?»
gli chiese, e lui non poté fare a meno di sbuffare mentre le
pupille si abituavano e i dintorni diventavano meno sfocati.
«Il mio
lavoro. Che domanda stupida».
«Il tuo
lavoro? Sembra che ti abbiano gettato in un tritacarne, D!»,
gli rese noto con fare sconcertato, costringendolo a mettersi seduto
nonostante le proteste a cui Damian diede vita. E quando finalmente
riuscì a farlo accomodare sulla sedia del tavolo da pranzo,
Jon
gli diede le spalle per dirigersi verso il bagno. «E ha pure
il coraggio di dirmi di tornarmene a
dormire, l'idiota», riprese
a borbottare tra sé e sé, e a Damian non
servì
possedere quello stupido super-udito per sapere che, anche senza
vederlo o sentirlo, gli stava ancora bofonchiando contro
chissà
che cosa.
Damian scosse il capo, pentendosene
subito dopo
quando sentì la testa dolorante e anche un po' appesantita
dal
sangue che aveva perso. Anche se non lo avrebbe ammesso, era contento
di trovarsi seduto, perché l'adrenalina che aveva avuto in
circolo stava finendo e lui si sentiva piuttosto stanco e spossato, e
si rese conto di avere la vista annebbiata quando si tolse del tutto la
maschera ormai inutilizzabile. La gettò per terra, il
più
lontano possibile da sé, poggiandosi con la schiena contro
la
sedia nel trarre un lungo respiro. La gola gli bruciava e ammise che
quegli attimi gli parvero interminabili, eppure Jon ci mise solo una
manciata di secondi per tornare da lui con il kit di pronto soccorso.
«Fortunatamente non hai niente di rotto»,
esordì il giovane Kent nel posare quella scatola sul tavolo,
e
Damian lo fissò attraverso la patina annebbiata del suo
sguardo
per notare gli occhi dell'altro, di un azzurro color ghiaccio da
sembrar quasi bianco.
«Non ti
avevo detto... di non usare su di me la tua vista... a raggi
X?»
«Non mi sembri nella posizione di poter recriminare»,
bofonchiò Jon, stracciando senza tanti riguardi quel che
restava
della manica dell'uniforme, senza curarsi della replica sommessa che si
lasciò scappare il compagno. «Per
una volta sono io a dirti di star zitto, D. Che volevi fare? Prenderti
un antidolorifico e metterti a dormire?» chiese scettico
mentre
afferrava la bottiglia di disinfettante e dell'ovatta per cominciare a
ripulirgli quelle ferite.
Damian trattenne un piccolo sibilo, ma non si lasciò
scappare un
singolo fiato. Era abituato al dolore, poteva sopportarlo. «Mhnr.
È solo qualche... graffio».
«Qualche graffio un par di pal...» Era rarissimo
che
Jonathan imprecasse, difatti dovette trarre un lungo respiro
direttamente dal naso per darsi una calmata e fulminare il compagno con
uno sguardo mentre si occupava di quei tagli che gli percorrevano gran
parte del braccio. Era una fortuna che, contro chiunque si fosse
battuto, non avesse colpito punti vitali o che non avesse intaccato i
nervi, e adesso che poteva controllarlo più da vicino con la
sua vista a raggi X, si rendeva
conto che non erano nemmeno così profondi come gli erano
sembrati all'inizio. Però erano decisamente delle brutte
ferite,
e probabilmente si sarebbero unite alla vasta schiera di cicatrici che
segnavano il corpo di Robin.
«Non hai più... dieci anni. Puoi imprecare...
sai»,
rimbeccò Damian nello sforzarsi di essere sarcastico, ma con
la
voce flebile che aveva non riusciva bene nell'intento, visto che ci
guadagnò l'ennesimo sguardo scettico da parte dell'altro.
«Idiota.
Perché non mi dici cos'è successo,
piuttosto».
Prendendosi un lungo momento, e
stringendo anche un
po' i denti mentre sentiva le mani di Jon muoversi sul suo braccio per
cominciare a suturarlo - non si era nemmeno reso conto di quando avesse
preparato ago e filo, i suoi sensi stavano cominciando a tradirlo un
po' troppo -, si ritrovò a guardarlo di sottecchi a quella
domanda, deglutendo a causa della gola secca che aveva. «Croc».
Disse quella sola parola, ma dall'occhiata che ricevette
capì di
dover dare maggiori spiegazioni, così cercò di
rimettere
insieme i pezzi e continuare. «L'ho
beccato mentre... si aggirava nei pressi della banca, era lì
con... gli sgherri di Due Facce. Stavano per fare... irruzione. Li ho
fermati, ma Croc mi ha... lasciato questo regalino»,
soggiunse nel
reclinare un po' il capo contro la spalla sinistra, faticando a tenere
gli occhi aperti.
«Continua a parlare e resta sveglio, D».
Sentì Jon spronarlo a
raccontare, conscio che
cercasse di tenere i suoi sensi il più vigili possibili,
anche
se non gli era sfuggita la punta preoccupata e un po' arrabbiata che
era risuonata nella sua voce. Così,
una volta tanto,
fece quanto gli era stato detto e gli disse con voce un po' strascicata
come aveva fatto a sventare quella rapina, di come avesse legato gran
parte degli uomini di Dent e del momento in cui Croc gli si era
avventato contro, della lotta che ne era poi scaturita fino al colpo
che gli aveva inferto con una grossa zampata prima di filarsela nelle
fogne, rimettendosi completamente nelle mani del compagno mentre
continuava a parlare.
Non seppe bene cosa accadde dopo ma,
quando
riaprì gli occhi, si rese conto che era ormai giorno
inoltrato,
data la luce del sole che filtrava dalle tende lasciate chiuse. Sentiva
male dappertutto e il suo corpo faticava a rispondere ai segnali che
venivano impartiti ai nervi, ma riuscì comunque a mettersi
almeno seduto, seppur a fatica, poggiando la schiena contro la testata
del letto con un lungo sospiro prima di voltare un po' il capo verso la
sveglia sul comodino. Sgranò gli occhi: erano le diciotto. La
nottata era stata peggiore di quanto pensasse.
«Ehi... finalmente ti sei svegliato».
La voce di Jon sembrò
martellargli la testa,
ma tutto sommato fu felice di vederlo e sollevò debolmente
la
mano sinistra a mo' di saluto, vedendolo avvicinarsi al letto con una
bacinella sotto braccio e una bottiglia nell'altra mano.
«Che... che è successo?»
domandò flebile,
sentendo la gola terribilmente secca. E, come leggendogli nel pensiero,
Jon posò a terra la bacinella e allungò una mano
verso il
comodino, afferrando il bicchiere lì abbandonato per
riempirlo e
porgerglielo; Damian bevve avidamente, sentendo quell'acqua scendere
piacevolmente nella gola come una panacea.
«Sei svenuto, genio», gli rese noto Jon,
passandogli la pezza bagnata sulla fronte. «Così
ho finito di suturarti le ferite e ho chiamato il signor Pennyworth per
un controllo più professionale. Ha detto che sei ammaccato,
ma
che tutto sommato stai bene e che sei peggio del tuo sconsiderato padre.
Parole sue».
Damian grugnì. «Sto alla grande. Non
c'era bisogno di chiamarlo».
«Ah, no?» Jon lo squadrò per un secondo
e gli
pungolò la gamba sinistra, dove sapeva esserci un grosso
livido
già divenuto violaceo, infierendo volutamente. E a quel
punto
Damian imprecò con un lamento, scansandogli la mano con un
gesto
secco prima di fulminarlo con lo sguardo.
«Va bene, testa aliena, va bene! Mi fa
male, piantala di toccarmi!»
Jon roteò gli occhi. «Prima dici di stare alla
grande e poi ti lamenti che ti fa male. Non ho mai
conosciuto una persona più incoerente di te, D, sul
serio».
«Ho
capito l'antifona, non rompere e lasciami stare»,
bofonchiò peggio di un vero e proprio bambino capriccioso,
abbandonandosi nuovamente contro il letto per abbassare le palpebre.
Sentiva ancora lo sguardo di Jon su di sé, ed era quasi
cerco
che avesse roteato gli occhi e scosso il capo mentre continuava a
bagnargli un po' la fronte, ammettendo che la cosa riusciva a donargli
un po' di sollievo. Faceva tanto il duro, eppure ammetteva a se stesso
che gli piaceva quando Jon si preoccupava in quel modo e si occupava di
lui quando tornava da una ronda estremamente faticosa... ma si sarebbe
tagliato la lingua piuttosto che dirglielo in faccia.
Non si era nemmeno reso conto di aver
dormito
un'altra ora, aprendo debolmente gli occhi e notando che Jon era
stranamente rimasto accanto a lui: quella sera sarebbe dovuto andare a
Metropolis, ed era certo che se non fosse stata una faccenda da super non
avrebbe lasciato quell'appartamento per nulla al mondo. Difatti lo vide
tirarsi su il più silenziosamente possibile, col viso
corrucciato come se la sola idea di lasciarlo da solo lo innervosisse,
ma sapevano entrambi che quando si trattava di roba da eroi non
potevano tirarsi indietro. Era il loro lavoro. Egoisticamente,
però, Damian si ritrovò a pensare che avrebbe
voluto
averlo con sé ancora un po', un capriccio che in altri
momenti
probabilmente non si sarebbe mai permesso di esprimere, tanto che la
bocca si aprì prima ancora che potesse formulare un pensiero
coerente.
«Jon?»
«Mhn?»
«Fammi... fammi compagnia... solo un altro po'»,
sussurrò in una specie di strano pigolio, anche se
sembrò
molto più un borbottio vagamente imbarazzato. Nonostante
stessero insieme da anni, non era mai stato tipo da romanticherie o
sdolcinatezze di ogni sorta, quindi sembrava essergli costato un po'
dire semplici parole come quelle. Ciononostante, Jon sorrise. Era in
quei gesti così semplici che vedeva davvero chi fosse il
compagno.
«Avverto che farò un po' tardi»,
accennò
solo, sentendo Damian accoccolarsi timidamente contro la sua spalla.
Suo padre avrebbe capito.
_Note inconcludenti dell'autrice
E
niente, si sa che Damian è un po' scemo e che «No,
Dami, non è soltanto un graffio se continua a sanguinare e
stai
per diventare blu», quindi meno male che c'è Jon
che si
prende cura di lui anche se Damian cerca in tutti i modi di far finta
che non gliene freghi niente.
L'idea
che
Jon si prenda cura di lui mi piace troppo - e sopratutto che dopo tutti
quegli anni passati insieme omai sia fin troppo abituato a raccogliere
i cocci, visto che non può dirgli di smetterla di fare
ciò che fa senza smettere a sua volta, o sarebbe ipocrita.
Questa fiction è nata proprio con l'intento di rendere
centrale
questo argomento, quindi spero che vi sia piaciuta.
Commenti
e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥
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