Genzo Wakabayashi lì, Genzo Wakabayashi
là.
Non si poteva aprire uno stracazzo di
giornale in tutto
il Giappone senza leggere quel cazzo di nome.
"183
cm per 77 kg, nato il 7 dicembre, nazionalità giapponese",
la
frase più copia-incollata della storia del giornalismo
sportivo.
E
foto, foto, foto.
Quello che non era mai, e dico MAI!
riportato sui giornali, era che il suo idolo, il suo angelo
dai
capelli corvini,
era il più
giovane giocatore ad essere entrato a giocare in una squadra di
JLeague.
Prima divisione.
Titolare.
Così,
tanto per dire.
In camera sua, di fianco al
suo letto,
aveva creato una bacheca che arricchiva ogni giorno con tutte le foto
e gli articoli che riusciva a scovare su di lui. I giornali locali
erano quelli che prediligeva, poiché erano molto
più propensi ad
elargirgli spazio rispetto alle testate nazionali, sempre troppo
impegnate a declamare le gesta del connazionale che stava
imperversando in Bundesliga.
E oh, senti, che
ci
vuoi fare? Il
calcio europeo è
più prestigioso di quello del nostro paese, le aveva
ricordato
freddamente il suo cervello.
E oh, senti, che
ci
posso fare?
Aveva controbattuto
il suo cuore, ricolmo di quell'amore totalizzante e accecante di
adolescente che idolatra il suo calciatore preferito.
Ma non
proprio.
Perché, a dirla tutta, preferiva di
gran lunga vederlo in
versione karateca.
Volete mettere? I movimenti sinuosi, la casacca perennemente aperta
sul torace, a lasciare intravedere i pettorali ampi e gli addominali
scolpiti da anni di allenamenti... Ken Wakashimazu è un
ragazzo da
sogno.
***
Vederlo
camminare verso casa dopo la partita, borsone appeso alle spalle e
capelli ancora umidi dopo la doccia. Distarsi e inciampare, cadere a
terra e rimediare un ginocchio sbucciato e molto imbarazzo,
perché
lui ha assistito alla scena. Ma si avvicina, corre verso di te, i bei
lineamenti scomposti dalla preoccupazione.
“Non
muoverti, ti aiuto io a rialzarti.”
Si
abbassa
verso di te, alzi il viso ed i vostri sguardi si incatenano.
“Non
muoverti”, ripete in un soffio, mentre azzera la distanza fra
le
vostre labbra.
***
Aveva iniziato a frequentare i corsi di karate sotto la spinta di sua
madre, che insisteva affinché iniziasse a fare sport.
Quale?
Uno qualunque.
Basta che non passi i pomeriggi sul divano a guardare la tele o coi
videogiochi.
Ok.
Tuttavia: equitazione era troppo costosa, i corsi di tennis non
coincidevano con gli orari, nuoto non se ne parlava neanche.
“Perché non karate? Il dojo dei Wakashimazu
è qui vicino, ci puoi
andare anche a piedi, e non sarebbe male imparare quale mossa almeno
per difesa personale” aveva suggerito suo fratello.
Se alla parola “karate” era calato lo sconforto sul
suo cuore,
alla parola “Wakashimazu” si era subito ripreso.
Aveva subito
espresso entusiasmo alla proposta, forse un po' troppo
entusiasmo, a giudicare dalle espressioni perplesse dei familiari, ma
poco importava: una settimana più tardi avrebbe frequentato
il dojo
del suo amore, lo avrebbe visto dal vero, si sarebbero certamente
innamorati! Le loro anime si sarebbero unite, il destino si sarebbe
compiuto, il filo rosso che legava le loro vite li stava finalmente
traendo uno verso l'altro!
***
Rimanere
ad
allenarsi oltre l'orario dei corsi, solo tu e lui, a provare e
riprovare i movimenti fino a quando non diventano fluidi.
“Devi
alzare di più i gomiti, allargare le braccia”, lo
senti dire, con
quella voce calma -sempre calma-, mentre ti gira attorno e senti le
sue braccia cingerti, il suo petto contro la tua schiena. Intreccia
le sue mani alle tue, ti guida “Così... rilassa i
muscoli, lascia
che ti mostri come fare”, ti mormora all'orecchio,
solleticandolo.
Istintivamente ti giri verso di lui, che chiude le braccia
ingabbiandoti; istintivamente si china verso di te, che apri le
labbra per accoglierlo.
***
Alla faccia del destino benevolo che appianava la strada verso l'uomo
della sua vita, (o che così pareva fino a qualche giorno
prima), il
primo giorno di lezione pioveva a dirotto. Arrivare al dojo dopo aver
fatto di corsa il tragitto sotto la pioggia battente, oltretutto per
poi trovarlo inesplicabilmente chiuso, era la goccia che aveva fatto
traboccare il vaso e disintegrato tutte le sue più rosee
speranze.
“Ma che CAZZO!” urlò con tutto il fiato
e la frustrazione che
aveva in corpo.
Non lo avesse mai fatto: una porta si aprì improvvisamente,
uno
spilungone in kimono parecchio incazzato palesatosi lì
davanti a
chiedere spiegazioni, un'apparizione talmente improvvisa ed
inaspettata da indurre la sua schiena a piegarsi automaticamente in
avanti per scusarsi, senza nemmeno avere il tempo né tanto
meno il
coraggio di guardare in faccia quello che, con ogni buona
probabilità, doveva essere il signor Wakashimazu in persona.
“Mi perdoni, pensavo non ci fosse nessuno”
“Infatti, oggi il dojo è chiuso”
“Si, devo aver sbagliato giorno per il corso, mille
scuse”
“E dai, Ken...” interviene una voce alle sue
spalle, “non
essere il solito! Tanto noi avevamo finito! Lascia che entri almeno
fino a quando la pioggia non darà un po' di
tregua...”
Ken?!?
Azzarda ad alzare lo sguardo e lui è lì, che
torreggia oltre la sua
testa, alto, molto più alto di come non
sembri in
televisione, e bello, molto più bello di
come non venga in foto.
E ancora parecchio incazzato.
Si volta di scatto verso la voce, ed i suoi capelli sembrano fatti di
raso, luminosi e leggeri.
“Nitta... non ricordo di aver chiuso la lezione. E nemmeno di
averti dato il permesso di chiamarmi per nome”
“Oh, quante storie, senpai...” e Nitta (il
Falco Shun Nitta!
Proprio lui!) si avvicina ai due, ancora sulla porta,
sorrisino
stampato in faccia. “Allora io vado eh!” aggiunge
scoccando un
occhiolino in direzione di Ken, ma senza preoccuparsi davvero di
nasconderlo, e sparendo subito dopo nella pioggia.
Ken,
l'angelo
dai capelli corvini,
seppur visibilmente, deliziosamente
in imbarazzo, con le sue guance appena imporporate si scosta
leggermente e ti fa cenno di entrare “Stai grondando acqua,
entra,
ti porto qualcosa per asciugarti” e sparisce dietro uno shōji.
***
Andare allo stadio, aspettarlo fuori per ore.
Attorno a te un esercito di fan, ragazzine urlanti in
magliette
scollate che cercano di attirare la sua attenzione, solo per vederlo
passare e magari chiedere un autografo, una foto con lui.
Eppure, quando infine lui esce dagli spogliatoi, non
le degna
di uno sguardo, tira dritto fino a quando: “KEN!”
sente la tua
voce.
Si blocca e ti individua nella folla, ti raggiunge e
ti trae a
sé “Ho vinto per te” dice, e ti bacia
come hai visto fare solo
nei film, tra i flash dei fotografi e l'invidia delle sue
ammiratrici.
***
“Ecco, tieni” dice di ritorno, porgendo un
asciugamano e sparendo
subito dopo. Il tempo di sfregarsi i capelli per tamponare l'acqua in
eccesso e ricompare con un vassoio “Per scaldarti”,
spiega mentre
inizia a servire il tè per entrambi.
“Scusa ancora per prima, io-”
“Non importa” taglia corto lui, “I corsi
riprenderanno da
domani, abbiamo affisso un avviso in bacheca”
“Oggi sarebbe stata la mia prima lezione, non ne avevo
idea”
“Lo so.”
“... lo sai?”
Lo
sa? Ma
allora... allora!
Allora
anche lui...
“Si... oggi avrebbero dovuto iniziare le classi dei
più piccoli,
cos'hai, dodici anni?”
Dodici anni.
Dodici.
Possibile che ai suoi occhi sembri così giovane?
Inizia a balbettare, in confusione “Ve-veramente no, non...
non ho
dodici anni, ne ho appena compiuti sedici. Sono..” deglutisce
“io
sono... grande.” Può sentire
le lacrime di frustrazione
salire agli occhi.
“Ah.”
Ken Wakashimazu non è di certo un chiacchierone.
Ma quando apre bocca...
“Bhe, non ci pensare, la pubertà
raggiungerà anche te, un giorno”
...riesce a dire sempre le cosa sbagliata.
Ricaccia indietro le lacrime, perché, a dispetto di quello
che pensa
questo diavolo dai capelli corvini, non ha dodici
anni. Si
alza, ringrazia per la cortesia, ma adesso è proprio
arrivato il
momento di andare, tanto l'acqua cadente dal cielo si è
ridotta ad
una leggera pioviggine.
***
A casa, sul suo letto, strappa tutte le foto e gli articoli
collezionati su di lui.
Non riesce a frenare il pianto, la delusione brucia come se qualcuno
stesse marchiando la sua pelle a fuoco, anche a distanza di tre
giorni.
Non che si aspettasse che le cose andassero davvero come se le
immaginava nella solitudine della sua stanza, ma che addirittura il
loro primo incontro si sarebbe tradotto in un'umiliazione totale...
Non sognerà mai più di lui ad occhi aperti, non
dopo che lui aveva
spezzato il suo cuore!
Ma che pena pensare che non ci sarebbero stati primi baci tra loro,
né lezioni private di karate, nessuna dichiarazione d'amore
pubblica!
Forse, si diceva, forse aveva ragione lui.
Forse dimostrava ancora dodici anni.
“Hai incontrato il tuo idolo e non era esattamente come lo
avevi
immaginato?” suo fratello chiede, appoggiato allo stipite
della
porta di camera sua.
“Non sono affari tuoi!” riesce a dire, tra i
singhiozzi repressi.
“Forse no... però lasciati dire che Wakashimazu
è un'idiota, se
ti fa stare così. E lasciati dire che probabilmente tra un
paio
d'anni si pentirà di averti ridotto in lacrime.”
“Che vuoi dire?”
“Niente... niente...” sospira. “Vieni
giù? Ho preso il gelato,
quello che ti piace tanto.”
“Cioccolato bianco?”
“Cioccolato bianco.”
Sorride: meno male che c'era suo fratello. “Arrivo,
fratellone!”
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