Orchidee nascenti.

di Cami_01
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Nella foga, rovesciamo un cesto di pesche: i frutti rotolano sulle piastrelle azzurre, nascondendosi tra gli angoli dei muri, sotto le sedie, qualcuna raggiunge persino il divano blu cobalto. Intorno a noi, domina la calma: una brezza marina penetra dalla piccola finestra, le cui tende bianche ondeggiano lievi al passaggio del vento; il sole di mezzogiorno brucia dirompente, facendo assumere all’acqua un luccichio insolito, come se fosse ricoperta da un’infinità di diamanti; i gabbiani volano alti senza temere di essere bruciati dal caldo asfissiante, alla ricerca di pesci e mangime vario. Quell’anno, l’estate aveva fatto il suo ingresso nel migliore dei modi. Tuttavia, in casa dominava un’aria fresca: le uniche due fonti di calore erano date dai nostri corpi che avevano occupato il posto delle pesche, ubriacati dalla passione e dal desiderio. Nonostante la piccola superficie del tavolo, ci muovevamo acrobaticamente, creando un giusto equilibrio tra spazio limitato e intensità di movimento: ci graffiavamo la schiena a vicenda, l’una penetrava nelle carni dell’altra, regalando gemiti e sospiri; la pelle era cosparsa da gocce di sudore che scendevano lente come fiumi dalle sorgenti che percorrono le curve e le insenature di quei corpi perfetti ed unici. Era un continuo avvinghiarsi e allontanarsi per prendere un momento di respiro, per poi ricominciare ad amarsi e assaggiarsi.  Non era il corpo di una semplice modella, pensavo, ma quello di una vera e propria dea: il collo era un cilindro, attaccate al quale vi erano due spalle imponenti e delicate, splendenti come gusci di conchiglia; sul petto, due seni somiglianti a pomi dorati puntellati dai capezzoli che, arrossati dai morsi, parevano due ciliegie. Il ventre, pallido come il resto del corpo, era cosparso da nei che, insieme, parevano comporre infinite costellazioni, accompagnate da chiazze brune che formavano galassie. Le braccia e le gambe mi legavano a lei come edera rampicante, ma per lei ero disposta a diventare la sua parete, il suo sostegno, la sua colonna portante. Mentre godeva al mio tocco, mantenendo gli occhi chiusi, io la guardavo: guardavo i suoi tremori, la sua bocca semiaperta, la testa reclinata all’indietro, lasciando che i capelli ramati le scoprissero il collo, bianco e puro come una perla rara; sentivo il nettare della sua orchidea bagnarmi le dita, mentre quello all’interno della mia andava accumulandosi sempre di più, finché, abbandonandoci al richiamo dell’eros che ci aveva invasate, ci sciogliemmo, l’una nelle membra dell’altra. Le presi il viso tra le mani e la baciai dolcemente, fu in quel momento che mi rivolse un sorriso, mentre i suoi occhi neri mi guardavano estasiati e innamorati.




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