Salve gente!
Pur se col consueto
ritardo, sono riuscita infine a concludere un altro capitolo di questa
luuuunga storia, che si sta oramai accingendo alle battute finali.
Tra impegni di studio,
contrattempi personali e caldo asfissiante, purtroppo non sono stata
capace di aggiornare prima di oggi ^^"
Come potrete constatare
a fine lettura, si tratta di un capitolo di transizione che funge da
tassello per ciò che accadrà nei prossimi (che
spero di non tardare troppo a scrivere).
Non vi tedio oltre, ma
approfitto per ringraziare di cuore tutti coloro che si sono aggiunti
inserendo questa mia modesta ff tra le seguite/preferite/ricordate e
chiunque spenda parte del suo tempo a leggerla, con l'auspicio che
riesca ad intrattenervi per qualche minuto.
Commenti,
critiche, osservazioni sono sempre graditi :)
Al prossimo approdo!)
XXXVI
– (DIS)AGREEMENTS
- Che guaio! Che disastro! Che catastrofe! Sono rovinato!
L’estroso sovrano era caduto in uno stato catatonico e
continuava a piangersi addosso, contemplando vacuo e afflitto
l’irreparabile scempio prodotto da quel putiferio di spari,
esplosioni e tumulti che avevano investito e distrutto la sua piccola
reggia.
I suoi più fedeli servitori accompagnavano il suo
inconsolabile vagabondare tra rottami, cocci e schegge, tentando
pazientemente di mitigare le sue paturnie con manierate parole di
conforto. Ma Pilaf, disdegnato dalla loro ipocrita compassione, li
scacciò da sé come fossero insetti fastidiosi: -
Anni e anni di faticose ruberie gettati alle ortiche! –
gracchiò in un urlo lamentoso, picchiando i pugni contro il
pavimento su cui si era lasciato cadere, del tutto identico ad un
bambino capriccioso cui avessero inflitto una punizione incomprensibile.
La sua guardia del corpo Mai si schiarì nervosamente la gola
mentre il cagnolino Shu gli diede un buffetto con la testa. Con quella
sua incauta esternazione aveva catalizzato su di sé
l’attenzione delle guardie al suo servizio e di alcuni
soldati della Marina dei Sette Regni, che erano provvidenzialmente
intervenuti a dar loro sostegno contro l’imprevista,
devastante incursione di quella masnada di furfanti.
- Ehm, voglio dire, anni e anni di ineguagliabili collezioni andati per
sempre in fumo! – si corresse defilandosi con fare pavido e
innocente tra i suoi guardaspalle, mostrandosi impegnato a quantificare
i danni e a valutare quanta parte del suo patrimonio fosse scampata a
quella baraonda.
- Almeno qualcosa del banchetto si è salvato –
attestò con levità e apparente noncuranza il
tenente Son Goku, adocchiando un vassoio di appetitosi pasticcini alla
crema rimasti intonsi su un tavolo risparmiato dalla precipitosa
ritirata di tutta quella gente che al riecheggiare del pericolo si era
scompostamente riversata fuori, travolgendo tutto e tutti.
Ne arraffò a piene mani, ingozzandosi con gran gusto e poco
decoro, quasi a voler esorcizzare lo scoraggiamento provato solo pochi
minuti prima, quando aveva creduto di non riuscire a spuntarla contro
un avversario che l’aveva messo in serie
difficoltà come mai a nessuno era riuscito prima. Il
fondoschiena dolorante e il bozzo che stava crescendogli sulla nuca
dopo quella rovinosa caduta ne erano la dimostrazione. Aveva
sottostimato la sua reale doppiezza e pericolosità, ma la
faccenda tra loro non era ancora conclusa.
Riconoscendone l’indomabile criniera spiccare davanti ad una
finestra aperta, in una posa rigida e immobile, intento ad ascoltare i
timorosi ragguagli dei suoi sottoposti, i tratti spigolosi del viso
ancora più tesi, ombrosi e induriti, si domandò
quale motivazione lo trattenesse ancora lì, così
vicino alla probabilità di essere arrestato.
Ingurgitò una soffice fetta di torta al cioccolato condita
da un pizzico di stizza, ritrovandosi a pensare che forse quel
farabutto non lo ritenesse capace di poterlo sconfiggere e porre fine
alle sue malefatte. Tanto che, pur avendolo battuto, di gran misura e
con un tiro mancino, poi si era totalmente disinteressato a lui,
trascurando di infliggergli il colpo di grazia. Il suo calo di
interesse era avvenuto proprio quando aveva menzionato Bulma e
ciò lo indusse a riconsiderare il suo astruso atteggiamento.
L’aveva sentito ordinare ai suoi gregari di setacciare ogni
stanza del palazzo, mentre lui era rimasto a perquisire invano ogni
angolo della sala consultando una strana tavoletta ...
Quei due alla fine erano veramente diventati alleati o c’era
qualcosa di più sotto?
Procurandosi un’altra buona scorta di bignè,
incuriosito e leggermente turbato, Goku gli si approssimò
quatto quatto, così da averlo a portata di orecchio e poter
origliare di cosa stessero discutendo lui e i suoi uomini.
- Non abbiamo più niente da fare qui – proruppe
proprio in quell’istante Capitan Vegeta, stringendo nel pugno
destro un sacchettino di velluto nero – Torniamo alla Bloody
Wench. Rastrelleremo tutta l’isola da cima a fondo, quella
ladra bugiarda non può essere andata lontano –
ordinò stentoreo, distogliendo lo sguardo altero
dall’ultimo spicchio di luna calante che rischiarava
fiocamente il nitido firmamento.
Un filibustiere tozzo e baffuto con i capelli stopposi si contrappose
esitante, richiamandolo in un impacciato balbettio: - Signore
…
Gli affilati occhi del saiyan lo incenerirono, presentendo qualcosa di
molto spiacevole.
Già dover digerire il fatto che quell’infida
sirenetta lo avesse raggirato e derubato, eclissandosi nel nulla senza
che né lui né qualcuno dei suoi se ne
accorgessero, infrangendo il loro mutuo accordo, era per lui come dover
ingoiare qualcosa andato a male. Era stato un imbecille a fidarsi di
lei. Ma che potessero esserci anche altre grane non era semplicemente
una contingenza che in quel momento sarebbe stato pronto ad affrontare
con sufficiente raziocinio.
- Dove si è imboscato quel brutto cane rognoso di Radish?
– abbaiò ancora più alterato, pur non
essendo del tutto sicuro di voler sapere come mai mancasse
all’appello.
A racimolare un briciolo di disinvoltura per rispondergli fu Cabba, uno
dei più giovani e obbedienti pirati della ciurma: - Ecco lui
… Dopo che abbiamo finito di ripulire la stanza del tesoro,
ha preso con sé quattro di noi, e … se
n’è andato.
Un fiotto di fiele impastò la lingua di Vegeta: -
“Andato”? – ripeté scandendo
con ripugnanza quelle nefaste sillabe, gli altri annuirono tremebondi,
l’angoscia che gli artigliava il respiro, aspettandosi altre
ritorsioni del sanguigno Capitano nei loro riguardi, vedendogli
contrarre duramente la mascella e muovere istintivamente le dita verso
le fondine a tracolla in cui aveva raccolto svariati pugnali.
Lui non si curò neanche di ascoltare il resto del racconto.
Da un po’ di giorni aveva subodorato che il suo nostromo e il
suo quartiermastro stessero tramando qualcosa contro di lui. Si
lagnavano più del solito per inezie, si appartavano a
parlottare con altri gruppetti ed erano stati negligenti in
più occasioni.
Non temere conseguenze era quanto di più sbagliato avessero
osato concepire con i loro cervelli bacati. Una volta attuata la sua
vendetta su Freezer, avrebbe dato la caccia anche a quei due traditori
e a tutti quelli che li avevano appoggiati.
- Quegli sporchi ammutinati bastardi hanno firmato la loro condanna
– proferì con flemmatica tracotanza, quasi
pregustando già il sapore del loro putrido sangue che senza
alcuna pietà avrebbe fatto scorrere profusamente tra le
mani, nutrendosi delle loro urla strazianti e disperate. Mancavano poco
più di ventiquattro ore alla sua perdita di sembianze umane. Una volta
trasformatosi in quella forma bestiale che tanto in passato aveva
ripugnato, avrebbe potuto rintracciarli e raggiungerli facilmente anche
a nuoto ...
Per il momento tuttavia quell’infausta battuta
d’arresto lo costringeva ad accantonare la messa in atto di
tali cruenti propositi. Adesso che nelle immediate vicinanze non
avvertiva più l’odore mieloso né la
presenza molesta di quella donna, doveva architettare una nuova
soluzione per salpare da lì e ritrovare tutte le sfere
mancanti. Gli erano rimasti soltanto cinque uomini. Invero, non aveva
bisogno di nessuno di loro, poteva benissimo requisire una delle
imbarcazioni ancorate al porto e governarla anche da solo.
Si voltò stizzito, non dando alcuna importanza ai suoi
sottoposti in attesa di ordini, incrociando invece un paio di
indiscreti occhi scuri che, nello scontrarsi coi suoi, si spalancarono,
colti sul fatto. Appartenevano al tipo impertinente e ostinato che poco
prima gli aveva tenuto testa, incastrandolo in quello sfiancante
duello, infiammando la sua combattività e facendogli perdere
di vista l’obiettivo primario del suo essere lì,
nonché quell’inaffidabile complice.
Quell’impiccione lo stava nuovamente intralciando, istigando
la sua tentazione di mandarlo all’altro mondo.
- Ah, Goku! Sei qui! Che sollievo!
Un giovane marinaio di ridotta statura grondante ansia e sudore
sopraggiunse nella sala del trono, approssimandosi con aria impacciata
e agitata, seguito da un secondo individuo dall’aspetto
altrettanto mesto e malandato.
- Crilin! Yamcha! – enfatizzò la sorpresa il
tenente Son correndo verso di loro, ben felice di poter rimandare il
confronto con il livido pirata – Ma che cosa vi è
successo?! – esclamò poi preoccupato, accorgendosi
degli abiti completamente zuppi del primo e del naso sanguinante e
ammaccato del secondo.
- Lascia perdere! – sviò Crilin, abbassando le
pupille, ancora ansante per la scarpinata che lo aveva riportato fin
lassù – Diciassette e Diciotto erano qui! Hanno
rubato quella sfera!
- E hanno rapito Bulma – aggiunse in un sospiro scorato
Yamcha, affranto e contrariato per non essere riuscito a salvarla.
Goku sciolse il suo insolito mutismo, appurando con
semplicità: - Ecco dov’era finita –
attirandosi un’occhiata di traverso da parte di Capitan
Vegeta, il quale intanto da quel dialogo intese che doveva essere
proprio l’imprudente ragazzo dall’espressione mite
e dai capelli scarmigliati quello tra loro al comando.
- Ho provato a fermarli, ma non ci sono riuscito – insistette
a discolparsi Crilin, “Di
nuovo”, considerò sfiduciato,
sentendosi profondamente colpevole per quell’ennesimo
insuccesso.
Yamcha gli fece eco: - Già! Ci ho provato anch’io,
ma quella Diciotto è davvero un bell’osso duro!
– affermò con un sorrisetto amaro, che divenne una
smorfia incredula e stralunata quando, a pochi passi da loro, riconobbe
il Capitano della Bloody Wench fissarli mutamente e avversamente. - Hey
ma quello è … - tartagliò
scombussolato, indietreggiando come un gambero.
- È proprio lui?
– indagò ugualmente sbalordito Crilin, che lo
conosceva soltanto tramite i manifesti in cui lo aveva visto ritratto,
nei quali si prometteva una lauta ricompensa per la sua cattura. La sua
taglia era leggendaria, nessuno era mai stato capace di catturarlo.
Il diretto interessato restituì loro un fulminante sguardo
di sbieco.
Al che anche Goku si volse nella sua direzione e, spostandosi in un
balzo accanto a lui, in quattro e quattr'otto lo ammanettò a
sé: - Ah, sì. Ho arrestato Capitan Vegeta!
– rispose loro con assurda naturalezza.
Insultato da quel gesto scorretto, il filibustiere spezzò
immediatamente le risibili catene di quelle manette: - Pezzo
d’imbecille! Cosa accidenti pensavi di fare! –
contestò inferocito, estraendo le sciabole e avventandoglisi
contro. Una decina di soldati armati di baionette immantinente lo
accerchiarono, accorrendo a difendere il loro più alto in
grado. Ma l’inarrestabile fervore del pirata non si
lasciò minare da quello svantaggioso frangente.
Drizzando le braccia all’indietro, infilzò per
primi i due aggressori che aveva alle spalle, poi ruotò su
se stesso liberandosi con un paio di sciabolate secche ed efferate di
altri due che tentarono di assalirlo da destra e da sinistra, quindi
continuò a brandire le lame ad un ritmo vertiginoso,
duellando con due o tre avversari in contemporanea, colpendoli a suon
di fendenti, spallate, pugni, calci e stoccate, senza che questi
potessero opporre efficace resistenza, riuscendo nel giro di pochi
secondi a ridurre quegli uomini ben addestrati nell’impotenza
di rialzarsi o reagire.
Fu talmente veloce che gli altri tre marinai non trovarono uno
spiraglio per intervenire, rimanendo a bocca aperta per lo
sbalordimento.
Senza neppure un accenno di fiatone, il pirata dai profondi e ruggenti
occhi neri tornò a rivolgersi loro con accento ingiurioso: -
Allora, citrullo, ci vorresti riprovare?
- A dire il vero pensavo che avresti potuto imbarcarti con noi
… - asserì per tutta risposta il tenente Son,
lasciando tutti quanti spiazzati per quella che parve loro
un’idea aberrante.
- Goku?! – strepitò Crilin, sprovvisto di frasi di
senso compiuto per esprimere appieno la sua scettica disapprovazione
per quella sortita.
- Amico, sei fuori di melone?! – contestò con
vigore Yamcha – Quello lì ci accoppa tutti!
– insistette timoroso, rifuggendo quel suo sguardare torvo e
avverso che lo metteva invariabilmente in soggezione.
Sul volto di Vegeta si formò un ghigno malevolo e
compiaciuto, puntandogli la sciabola alla gola: - Il babbeo ha ragione,
ti conviene darmi un buon incentivo se non vuoi che vi squarti tutti
quanti, qui e ora – li minacciò a muso duro, uno
sfolgorio di pura malevolenza tra i canini appuntiti e ringhianti,
quasi li volesse davvero sbranare.
Son Goku, però, non smarrì la calma né
la sicurezza, adducendo le sue ragioni con incrollabile determinazione:
- Noi, a differenza tua, disponiamo ancora di una gran bella nave
– asserì senza animosità, ma facendogli
intendere che sapeva come gran parte del suo equipaggio avesse
cospirato contro di lui, lasciandolo a terra.
Un convulso sbocco di rabbia sfigurò i lineamenti aspri del
Capitano spodestato, tradendo la verità di
quell’affermazione, di cui gli altri erano invece
all’oscuro.
- Abbiamo un nemico comune. Uno forte e in gamba come te
potrà farci molto comodo contro Freezer e i suoi scagnozzi
– Goku continuò imperterrito a esporre la sua
tesi, incurante degli sguardi allibiti dei suoi compagni, incapaci di
opporsi alla sua logica, tanto ingenua quanto schiacciante.
- Impiccati! Per chi mi hai preso? Io non mi faccio comandare da
nessuno! – lo attaccò senza mezze misure Vegeta,
interdetto e al culmine dell’irritazione nel sentirsi
addirittura adulare da quello che teoricamente avrebbe dovuto essere un
suo avversario.
Il suo interlocutore pareva sordo, e insistette ad esternare serafico
la sua impudente opinione: - E poi, secondo me, ci tieni anche tu al
bene di Bulma ...
Il pirata gli riservò un’occhiataccia pregna di
sdegno e rancore: - Tsk, me ne infischio di quella stupida puttana
– sussurrò greve, voltandogli la schiena e
intimando ai suoi di sgomberare il campo.
Sebbene indispettito da quel suo fare respingente e offensivo, Goku non
si perse d’animo. Era testardo quanto lui e aveva una
missione da compiere, perciò provò a tirar fuori
un ultimo asso dalla manica per reclamare il suo interesse: - Tu hai
due sfere. Io invece possiedo questa bussola speciale –
svelò a bella posta, estraendo e mostrandogli il magico
oggetto cedutogli da Re Kaio.
Vegeta lo scrutò con la coda dell’occhio, restio e
cogitabondo. Il lucente gingillo che quel ragazzotto gli stava
sbandierando sotto il naso con tanto ardire somigliava
straordinariamente al localizzatore delle sfere del Drago inventato e
costruito da quella Bulma Brief. Eppure emanava un’aura
diversa, un potere, quasi come fosse viva.
- Come l’hai avuta? – domandò
d’istinto, tornando indietro per poterla osservare
più da vicino. Proprio in quell’istante accadde
qualcosa che non si aspettava e che lo fece inconsapevolmente
trasalire: quel prisma sprigionò un fascio di luce verde,
che si allargò fino a prendere la configurazione di
un’enorme, intangibile mappa fluttuante nell’etere,
estendendosi nello spazio tra lui e il baldo marinaio che la teneva tra
le mani. Non gli occorse molto per identificare, tra linee curve che
segnavano i contorni delle varie terre emerse, sette ben distinti
puntini arancioni, e capire che doveva trattarsi proprio della bussola
originaria, quella custodita dal mitico Dio del Mare del Nord. Come
avesse fatto quello strampalato marinaretto ad entrarne in possesso era
un vero enigma.
- Quindi, sei dei nostri? – lo richiamò dai suoi
dubitanti pensieri il giovane ufficiale, richiudendo il cofanetto e
ponendo fine a quella fantastica proiezione, un sorriso soddisfatto a
illuminargli le iridi sprizzanti ferma convinzione.
Una venuzza pulsante comparve sulla sua fronte spaziosa. Quel tipo
doveva essere duro di comprendonio o era animato da un incosciente
ottimismo per pensare di poter stringere tranquillamente un accordo con
lui, senza neanche promettergli qualcosa di concreto in cambio. Il suo
radicato orgoglio non ci teneva proprio a essere implicato in
un’altra collaborazione che non stava né in cielo
né in terra. Non aveva bisogno dell’aiuto di
nessuno, era in grado di battere tutti anche da solo. Di contro la sua
vena opportunistica gli suggeriva di fingere di piegarsi a quel
compromesso. Avrebbe potuto servirsi dell’offerta di un
passaggio per raggiungere i suoi fini e poi disfarsi di quella banda di
inutili sempliciotti.
Mantenendo un atteggiamento sostenuto, Capitan Vegeta
incrociò le braccia, abbassando di sfuggita il mento a
sancire il suo implicito assenso.
Goku, che non aveva interrotto il contatto visivo con lui neanche per
un attimo, al suo lieve e riluttante cenno smise di trattenere il
fiato: - In marcia, signori! Torniamo alla Speedy! –
incitò il resto della malconcia e dimezzata ciurma a
seguirlo, mettendosi in testa al gruppo, divorato
dall’impazienza di riprendere quell’esaltante
esplorazione.
- Hey! Aspettate! E adesso chi mi ripagherà di
quest’oltraggio? – tentò invano di
fermarli Pilaf, correndogli dietro e apostrofandoli con minacce e
ingiurie. Ma le sue assillanti proteste restarono inascoltate, tanto
più dopo essersi fatto sfuggire come gran parte della sua
ricchezza non derivasse propriamente da un legittimo lascito
ereditario.
- Come credi che la prenderà il Capitano Muten? –
bisbigliò dubbioso Yamcha, chinandosi all’orecchio
di Crilin, mentre tutti e due si accodavano al loro avventato superiore.
Il guardiamarina si strinse nelle piccole spalle, non sapendo realmente
come rispondere alla sua lecita perplessità.
Sul ponte della Speedy Cloud non volava una mosca, mentre
l’attempato comandante del vascello, lo sguardo rugoso
schermato dalle lenti scurite, passava severamente in rassegna i volti
estranei, sfregiati dal sale e dall’immoralità,
degli uomini appena saliti a bordo. Aveva ascoltato quanto riferitogli
per sommi capi dal suo effervescente secondo di bordo, chiudendosi in
un silenzio meditante e sconcertato, auspicando che, per via del suo
consunto apparato uditivo, ci fosse
stato un fraintendimento.
Nella sua precoce ma già molto promettente carriera aveva
rischiato ben più d’una volta di essere degradato
o espulso dalla marineria militare a causa di quelle sue inadempienze e
insubordinazioni, eppure sentiva che nelle schiette parole del tenente
Son Goku non vi era stato alcun intento menzognero. Ingenuo, semplice e
onesto come sempre, credeva fermamente in ciò che gli aveva
poc’anzi enunciato.
Lui, d’altro canto, era un uomo realistico e navigato e non
poteva fare a meno di diffidare circa la ragionevolezza di
un’alleanza con soggetti tanto intemperanti, riottosi e
inaffidabili quali erano quel famigerato pirata e la banda di
tagliagole che lo accompagnava.
- Mettete sotto chiave questa marmaglia! – dispose con un
tono che non ammetteva repliche il Capitano Muten, pregando nello
stesso istante dentro di sé che quel suo ordine rigoroso non
destasse una rivolta dei suddetti briganti.
- Credo che il nostro caro Goku si sia appena giocato la promozione
… – tornò a spifferare con puntuta
ironia Yamcha, mentre Crilin si mordeva il labbro, dandogli,
controvoglia, ragione. Stavolta il suo amico si era spinto troppo oltre
con quel suo ultimo azzardo, e nonostante la sua buona fede, non era
riuscito a tenere il punto.
- Forse voi al momento avete più informazioni sul suo conto,
ma io conosco Freezer meglio di chiunque altro –
inaspettatamente la voce aspra e sprezzante di Vegeta si
sollevò sul persistente mormorio, respingendo con un
movimento stizzoso del braccio i soldati che lo avevano attorniato per
accingersi ad imprigionarlo – Voglio uccidere quel fottuto
bastardo più di chiunque altro. E lo farò. Lo
ridurrò in un’informe poltiglia, non
avrà più neanche un’infinitesima
possibilità di ritornare a infestare i sette mari con la sua
abominevole persona.
Al risuonare di quel minaccioso giuramento intriso di un odio
tangibile, feroce, senza pari, coloro che gli erano più
vicini si scansarono, intimoriti dalle sue manifeste intenzioni omicide
e dalla sua espressione infiammata e fumante.
Il Capitano Muten, ritto nel suo scranno, poso un indice sul dorso del
naso, scostando gli occhialetti quel poco che bastava a scrutarlo
apertamente: - Dunque è solo questo che volete? Vendetta?
Il pirata rimase a fissarlo impassibile e a sostenere obliquamente il
suo sguardo indagatore, un leggero solco tra le folte sopracciglia
corrugate, la mandibola serrata, il corpo come irrigidito dal
trattenere lo spasmo di scatenarsi e dimostrare a tutti di essere degno
della sua cattiva reputazione, di essere capace di compiere qualunque
efferatezza, anche una strage.
- Molto bene – tossicchiò il vecchio Capitano,
tornando impettito – Tenente Son! Da ora e fino alla
conclusione della nostra spedizione, il qui presente masnadiero
sarà sotto la vostra responsabilità –
stabilì recuperando il suo contegno autorevole senza
profondersi in altri commenti, per non dare a vedere quanto fosse
combattuto da quella decisione.
Goku si portò la mano destra sul capo, un gesto che sapeva
di obbedienza e gratitudine, mentre Capitan Muten, impartito
l’ordine di impostare la nuova rotta, si congedò
nella sua cabina, continuando a macerarsi in quel tumultuoso dissidio
interiore.
Aveva già accolto con sé un impostore e adesso
altri malfattori, sperava che l’intuizione del suo allievo
fosse giusta. Si fidava ciecamente delle sue capacità, ma
avrebbe saputo tenere a bada quell’inafferrabile avanzo di
galera?
A qualche lega di distanza le correnti fredde e impetuose
dell’oceano settentrionale soffiavano con regolare
intensità, increspando le acque grigie e profonde, gonfiando
le vele rappezzate di un vetusto bovo che ospitava a bordo tre soli
intrepidi ed eterogenei passeggeri. Non avevano niente in comune tra
loro e non si conoscevano per nulla, quando erano scesi a patti per
affrontare insieme quella lunga traversata.
Il crescente bagliore dell’alba rischiarava la superficie
delle onde, filtrando pallidamente tra gli stralci di nubi che si erano
addensate negli strati più bassi dell’atmosfera,
formando una coltre plumbea e pesante di vapore acqueo, che minacciava
di precipitare.
La temperatura era alquanto mite e l’assenza di temporali
aveva reso la navigazione piuttosto tranquilla, eppure Pikkoro, da che
aveva calpestato quelle assi consunte dalla salsedine, non aveva smesso
un attimo di sentirsi assediato e irrequieto.
Suo padre, il Supremo, lo aveva inviato sulla Terra perché
imparasse a conoscere, comprendere e rispettare gli esseri umani,
promettendogli che solo se si fosse dimostrato altruista,
compassionevole e disinteressato, gli avrebbe ceduto il suo trono e i
suoi poteri.
Così da qualche anno, con riluttanza, stava sforzandosi di
ottemperare a quella richiesta, adattandosi a vivere alle loro
condizioni, senza sfruttare le sue sovrumane abilità, come
quella, utilissima e liberatoria, di volare.
Una facoltà che in quei quasi sette giorni di mal di mare
non gli sarebbe dispiaciuto di poter adoperare. La vita degli umani,
con tutte le sue difficoltà e i suoi limiti, gli era parsa
ancora di più come qualcosa di davvero infimo e
disprezzabile.
Gli uomini che aveva incontrato finora erano esseri spregevoli,
selvaggi ed egoisti, avidi e corruttibili, quasi tutti immeritevoli di
redenzione.
Quella femmina umana a cui aveva messo in subbuglio la casa e la sorte,
tuttavia si era incaponita a seguirlo, non era riuscito a scoraggiarla
né il suo atteggiamento burbero e insofferente,
né il doversi trovare a stretto contatto con
quell’altro reticente energumeno, né le incognite
di quel viaggio, e neppure il nascituro che portava in grembo.
Aveva un carattere ardimentoso e deciso.
Irriflessivamente, reggendo il timone, le sue pupille aliene si
soffermarono a sfiorare il suo profilo arrotondato, mentre pensierosa
con una piccola mano si accarezzava il ventre.
- Ve l’ho già detto. Mancano almeno altri due mesi
– lo rimbrottò seccamente Chichi, cogliendo la sua
furtiva e critica occhiata, riavvolgendosi nello scialle e spostandosi
a prua.
Era risalita sopra coperta per prendere una boccata d’aria,
dopo una nottata costellata di risvegli frequenti e sogni agitati. Quei
due tipi loschi con cui aveva dovuto avventurarsi non le piacevano per
niente.
Pur se con lei si erano comportati con rispetto, non si era ricreduta
del tutto sul loro conto, perciò aveva preso precauzioni,
dormendo con un pugnale sotto il cuscino, che adesso aveva occultato in
una fascia avvolta attorno alla vita, detestandosi per dover tenere
tanto vicino al suo bambino un simile spregevole strumento.
Ad ogni buon conto, pensò, quei compagni di bordo era meglio
tenerli il più possibile alla larga, non erano tipi con cui
poter fare conversazione
In quel momento l’omone dai capelli rossicci dal quale era
quasi stata rapita, incrociandola le indirizzò un composto
cenno di saluto, per poi passarle accanto e fermarsi a studiare lo
starnazzare in volo di alcuni cormorani che si contendevano dei
guizzanti merluzzi.
- Ci stiamo avvicinando alla terraferma – sussurrò
pacatamente Sedici, guardando nella direzione dello straniero col
turbante, il quale, trascorsi alcuni secondi, senza spendere altre
parole, corresse la loro rotta.
|