Imponendosi
di vivere come sempre e senza dimostrare di avere nulla da nascondere
o di cui preoccuparsi fino al ritorno di Dwight, Ross e Demelza
avevano deciso di andare
avanti
come avevano sempre fatto, senza rinchiudersi in casa nascosti come
topi
ma barcamenandosi come sempre fra impegni, doveri, piaceri e una
ciurma di figli di età diverse e vivacissimi che avevano il
diritto
di vivere serenamente.
Per
giorni Ross aveva lavorato incessantemente in Parlamento, aveva
presenziato ad eventi, aveva passeggiato con i suoi pari nei grandi
parchi del centro e si era sforzato di mantenere una parvenza di
normalità che l'incontro con Haakon aveva spezzato in lui e
sua
moglie. Non lo aveva più rivisto dalla cena a casa sua ma
era certo
che prima o poi ci avrebbe di nuovo avuto a che fare e
silenziosamente aspettava la sua prossima mossa. La speranza che
tutto fosse un parto della sua fantasia era l'appiglio che lui e
Demelza si erano concessi per non cadere nell'angoscia ma Ross era
consapevole che un uomo del genere, col potere che disponeva, sapeva
fin troppo di quanto successo anni prima in Norvegia e del mistero
che aleggiava sui bimbi. Che dal canto loro, fortunatamente, erano
giocosi come sempre.
Jeremy
era diventato silenzioso dopo l'appuntamento con Odalyn e Ross si era
ripromesso di parlare col ragazzino appena ne avesse avuto occasione
per cercare di capire cosa gli passasse per la testa e magari
indagare, senza risultare invadente, sulla misteriosa ragazzina
norvegese che pareva aver messo gli occhi su di lui. E forse suo
figlio su di lei, anche se sperava di no. Pregava che Dwight portasse
notizie confortanti circa la vera identità di Haakon oppure
ogni
eventuale legame fra Jeremy e la ragazza sarebbe diventato fonte di
tensioni e problemi in famiglia e non voleva vestire assolutamente i
panni del padre repressivo e autoritario.
Ross
teneva gli occhi aperti ma per il momento non si sentiva spiato come
era successo ad Oslo e quindi, anche se sapeva che questo non voleva
dire nulla e di certo non lo faceva sentire del tutto al sicuro, fino
al manifestarsi di eventuali problemi cercava di stare tranquillo.
Forse di nemici non ce n'erano o forse si stavano organizzando per
tendergli una trappola ma l'unica cosa intelligente da fare, in
entrambi i casi, era continuare con la sua quotidianità.
Quella
domenica mattina si era svegliato presto, richiamato all'ordine dai
gemellini e da Bella che all'alba avevano deciso di non voler
più
dormire. Le bimbe avevano insistito per farlo alzare per andare con
lui a comprare il giornale e per
fare colazione insieme
- erano decisamente affascinate dalla vita mondana di Londra e dalle
sue pasticcerie eleganti e piene di manicaretti -
mentre Demian ne aveva approfittato per infilarsi nel posto
più
sicuro del mondo, dove nessun nemico norvegese avrebbe mai potuto
sfondare le difese: fra le braccia di mamma-Demelza...
Ross
si era vestito e in fondo, divertito dall'entusiasmo delle due
piccole pestifere di casa, era uscito con loro dopo averle vestite
con pesanti cappottini e cappelli di lana per difenderle dal freddo
ormai pungente del primo mattino.
Londra,
ancora sonnecchiosa, appariva affascinante nel velo di nebbia che la
avvolgeva e la faceva sembrare ovattata.
Con
Bella tenuta in una mano che saltellava e Daisy nell'altra mano che
faceva mille domande e non la finiva di chiacchierare, Ross temeva
che qualcuno, svegliato da quel baccano, avrebbe rovesciato loro in
testa il pitale che teneva sotto il letto. "Shhh, molta gente
dorme, non fate baccano" - intimò loro, camminando nelle
strade
ancora quasi deserte.
"Ma
è giorno!" - mugulò Bella. "Che ci fanno tutti a
letto
quando si può uscire?".
Ross
sorrise, un giorno - quanto più tardi possibile sperava -
Bella
avrebbe compreso quanto bello fosse per un adulto il letto, condiviso
con chi si ama... "Ai grandi piace... dormire".
"A
me no".
"Neanche
a me, è noioooosoooo" - aggiunse Daisy.
Ross
scoppiò a ridere. "Noioso? Chi ti ha insegnato questa parola
così difficile?".
"Jeremy!
Lo dice sempre quando gli chiediamo di giocare con lui. Siamo
noiosiiii, lo stufiamo".
Bella
annuì. "E lui è noioso quando lo dice".
Ross
osservò la morettina che pareva sapere il fatto suo. "Beh,
gli
strilli sempre nelle orecchie quando legge, certo che è
noioso".
"Io
non strillo, canto".
Beh,
avrebbe avuto molto da ridire sul concetto di canzone ma in quel
momento, proprio mentre stavano per entrare nella pasticceria
prescelta per fare colazione, un incontro inaspettato e piuttosto
spiacevole lo bloccò.
Impettito,
vestito elegantemente e con un cilindro in testa, George Warleggan
usciva dal locale, con a fianco il dodicenne Valentine e tenendo per
mano una paffuta bambina dai capelli castani di circa sei anni...
Ross
si bloccò, deglutendo. Erano anni, era da quando George
aveva
lasciato Trenwith dopo la morte di Ned Despard
e
il
loro strano sodalizio contro i francesi che non
lo incontrava
se non sporadicamente, in Parlamento.
George pareva invecchiato in quegli anni mentre Valentine sembrava
molto
cresciuto.
I suoi
ricciolini neri arrivavano fino alle spalle, il viso pareva
corrucciato ed impenetrabile e il suo sguardo
e i suoi tratti
avevano
così poco di Elizabeth,
ma soprattutto, di George.
Era solo un ragazzino come Clowance ma in quel momento, osservandolo,
a Ross parve di vedere
incombere
su di lui il peso del peccato di una notte nera e senza sentimenti.
Era come se l'alone cupo
che aveva catturato Ross quella notte, conducendolo verso il baratro,
si fosse posizionato su quel bambino senza colpe e ne minacciasse
l'intera esistenza. Erano solo fantasie forse ed Elizabeth non era
mai stata chiara a riguardo eppure Ross, pur non riuscendo al
ammetterlo a se stesso fino in fondo, sentiva un collegamento con
quel bambino taciturno, sfuggente e di fatto estraneo, se non per un
paio di occasioni dove aveva interagito con lui. In fondo George,
portandolo via anni prima, gli aveva fatto un favore e aveva reso le
cose più facili per tutti. Un tacito e silenzioso accordo,
questo
era stato il succo del discorso avvenuto attorno al tavolo di Nampara
fra lui, George e la stessa Demelza... Una verità che non
poteva
essere negata ma nemmeno detta ad alta voce li aveva uniti nell'unica
scelta giusta per ognuno di loro e soprattutto per il piccolo
Valentine.
George,
che Ross lo aveva visto di rado solo in Parlamento e che di fatto lo
aveva sempre evitato, non poté fare a meno di fermarsi,
trovandoselo
faccia a faccia. "Poldark...".
Ross
annuì, evitando di guardare Valentine. "Che strambi incontri
che si fanno di mattina fra le nebbie di Londra" - disse,
cercando di apparire scherzoso.
"Molto
strani ma avevo sentito così tanto baccano che con mio figlio
e mia figlia
siamo usciti dalla pasticceria a vedere chi era quel selvaggio che
faceva tanto chiasso quando la gente di
solito ancora dorme.
Ora comprendo l'origine del disturbo
e non me ne stupisco affatto...
Chi altri poteva essere?"
- disse, squadrando le due bimbe che Ross teneva per mano
e usando il medesimo sarcasmo del suo eterno rivale.
Ross
sorrise, in fondo era anche divertente punzecchiarsi e ormai era
chiaro ad entrambi che il tutto si riduceva a una questione di
parvenza più che di astio vero e proprio. Da quando George
lo aveva
salvato da quel duello con l'ufficiale francese, era come se fossero
giunti a una deposizione delle armi ammettendo l'uno con l'altra i
rispettivi pregi o mancanze. Ormai erano adulti, che senso aveva
combattere e azzuffarsi come ragazzini? "In effetti ho delle
figlie molto rumorose e allegre. Ma a mia discolpa posso dire di aver
detto loro, più volte, di fare meno baccano".
"E
ovviamente non vi hanno ascoltato. A differenza di Valentine e di
Ursula che di solito sono ubbidienti e giudiziosi".
Ross
fu costretto a guardare entrambi i bambini. Valentine così
scuro e
diverso da George, era quanto di più stonato esistesse nel
casato
dei Warleggan. Era diverso come erano diversi Daisy e Demian dai
Poldark e forse questa similitudine lo metteva in allarme
perché
aveva la dimostrazione vivente di come il mondo guardasse con
sospetto ai suoi gemelli e di come sarebbe stato difficile celarne a
lungo le origini. Se Valentine sembrava tutto eccetto che un
Warleggan, Daisy e Demian parevano in tutto e per tutto figli della
loro terra e non dei Poldark.
Fisicamente quanto meno perché carattere, cuore e animo
invece erano
influenzati da chi li cresceva e se si sentiva sicuro sui gemellini,
di certo non lo faceva stare tranquillo il fatto che Valentine
crescesse con George. Poi osservò Ursula. Non l'aveva mai
vista
quella bambina la cui nascita aveva sancito la fine dell'esistenza di
sua madre. A volte si era chiesto come fosse, se somigliasse ad
Elizabeth e se ne avesse ereditato la bellezza ma ora che l'aveva
davanti, a differenza di Valentine si rese conto che la piccola era
in tutto e
per tutto una
Warleggan. Non c'era nulla in lei dell'eleganza e della grazia di sua
madre,
era
piuttosto sovrappeso, il viso e i capelli erano uguali a quelli del
padre, era carina con quelle guance piene ma non bella e anche il
modo di camminare era piuttosto goffo
e sgraziato.
Provò pena per lei, per non aver potuto conoscere sua madre
e anche
per Elizabeth che non aveva potuto godere delle gioie di quella
maternità senza ombre, a differenza di quella di Valentine
che
l'aveva portata in una situazione pericolosa all'interno del suo
matrimonio. Ancora se ne sentiva responsabile ma che senso aveva
parlarne, ora?
"Beh George, dicono che la vivacità sia indice di salute"
- disse, cambiando argomento.
"I
miei figli sono sani".
"Oh,
non ne dubito".
Stanca
di quella situazione di stallo, Bella lanciò un sassolino
col piede
e poi si rivolse a Ursula. "Vuoi giocare con noi tanto che i
grandi parlano?".
Ursula
guardò suo padre, poi compreso lo sguardo di biasimo, scosse
la
testa. "No, grazie".
"Perché
sei troppo grassa per correre?".
La
domanda fece avvampare Ross che abbassando lo sguardo, si rivolse
all'autrice di tale affronto... Sperando che George comprendesse che
in fondo era una bambina piccola, la bloccò prima che la sua
soave
vocina dicesse altre cose che potevano scatenare la guerra dei mondi.
"DAISY! Chiedi scusa immediatamente".
"Perché?"
- chiese la piccola, con innocenza.
Valentine
fece per ridere ma si trattenne mentre George, miracolosamente, con
due parole liquidò la situazione. In effetti lo aveva notato
pure
lui quanto poco aggraziata fosse la figlia
e sarebbe stato idiota nasconderlo o fare finta di nulla...
"Padre selvaggio ed incurante delle regole e dell'etichetta,
madre cameriera di cucina, figli selvaggi...
E'
la naturale logica conclusione degli eventi della vostra vita...".
Ross
sospirò. "Ciò nonostante, la bimba
chiederà scusa alla vostra
graziosa Ursula. Vero Daisy?".
La
bimba osservò Bella senza capire che aveva detto di male,
poi suo
padre. "Ma perché?".
"Perché
sei stata scortese con un'altra bambina".
Daisy
ci pensò su e poi si avvicinò a Ursula. "Scusa,
mi dispiace
che sei grassa".
George
scosse la testa e se non fosse stato che ad essere umiliata era stata
sua figlia e che l'artefice era la marmocchia del suo rivale, forse
avrebbe anche potuto apprezzare la faccia tosta di quella biondina
insolente. "Vedete, Ross? Quì sta la differenza fra una
buona e
una cattiva educazione... Vedo che voi Poldark,
dall'ultimo nostro incontro, vi siete moltiplicati e che buon sangue
non mente".
Ross
sospirò. "Ho altri tre figli, sì, oltre ai due
maggiori che
già avevate visto".
Valentine,
rimasto fino a quel momento in silenzio, alzò lo sguardo su
di lui.
"Altri tre? Non solo loro due?".
Ross
distolse lo sguardo da lui. "La piccola Daisy ha un gemello".
"Non
ne ho mai visti di gemelli" - rispose il ragazzino che sembrava
così rigido, fermo e... finto... in quei modi di fare
forzatamente
formali imposti dal padre...
"Ne
mai li vedrai!" - lo interruppe subito il padre mentre Ursula
frignava a causa di Daisy.
Valentine
lo ignorò. "Vi ricordate di me, signor Poldark?".
Ross
si morse il labbro. "Sì, certo".
"Mi
avevate detto che potevo venire a casa vostra quando volevo!".
Ross
sussultò perché pur mantenendo un tono neutro,
aveva scorto nella
voce
del ragazzino
astio e un muto rimprovero per quella promessa fatta pur sapendo di
non poterla mantenere. Si sentì in colpa perché
all'epoca aveva
agito pensando di fare il meglio ma aveva evidentemente sbagliato.
"Mi dispiace ma purtroppo nella vita a volte si devono cambiare
i propri piani e ora tu vivi quì a Londra con la tua famiglia
in una casa bellissima".
"Ma
avevate detto che potevo venire da voi...".
Valentine
lo ripeté di nuovo, osservandolo
con
occhi cupi e rabbiosi. Era strano, il suo sguardo pareva gridare e
volerlo percuotere ma la sua voce rimaneva monocorde e controllata in
modo anormale per un ragazzino. Era inquietante, in un certo senso...
E Ross non poteva non chiedersi se George avesse ragione o meno,
circa suo figlio e la sua vera essenza.
Anche
George si accorse della tensione che
corrodeva Valentine
e lo interruppe subito, forse percependola come una minaccia. In
fondo conosceva quel
ragazzino
meglio degli altri
e anche se poteva celare al mondo il suo vero carattere, di certo non
poteva farlo con se stesso...
"Per fortuna tua figliolo, ti ho portato via da questi nostri ex
vicini selvaggi. Ringrazia e non biasimare quest'uomo, la lontananza
ti ha preservato da cattive compagnie".
"Il
mio papà è bravo!" - sbottò Bella,
picchiando in terra il
piedino.
"Dipende
dai punti di vista, bambina" - ribatté a tono George.
Ross
prese saldamente fra le sue, le manine delle due bambine. "Credo
sia ora di andare. Ognuno per la sua strada". Già,
decisamente
era ora oppure le cose sarebbero diventate difficili per tutti e
quella discussione avrebbe potuto portare a conseguenze spiacevoli.
Soprattutto con Valentine... E per il bene suo soprattutto, era
meglio continuare ad imporsi la lontananza che aveva chiesto ed
ottenuto George anni prima in uno di quei... rari... momenti in cui
aveva saputo dimostrarsi più maturo e saggio di lui.
George
alzò un sopracciglio. "Caspita, per la prima volta sono
d'accordo!".
"Evento
raro ma ben accetto" - mormorò Ross.
Valentine
lo fissò di nuovo. E anche se non lo disse ad alta voce ma
lo
mugugnò impercettibilmente, a Ross parve di sentire...
"Dannato
bugiardo... Io non dimentico...".
Aveva
capito bene? O era stata la sua fantasia? O il vento? O la sua
coscienza tormentata che si sentiva in colpa?
Ross
osservò il ragazzino ma Valentine sembrava ora
disinteressato a lui
e pronto a ripartire per riprendere la sua strada. Era solo un
bambino, non poteva averlo detto, doveva essersi sbagliato eppure...
eppure era tanto inquietante nel suo sguardo controllato ma cupo.
George
salutò Ross frettolosamente e poi coi due bambini se ne
andò.
La
strada ora era di nuovo deserta e avvolta nella nebbia.
"Papà?"
- lo chiamò Daisy, facendolo sussultare.
Ross
abbassò lo sguardo, incontrando gli occhi color ghiaccio
della
piccola. Sua figlia, a dispetto del legame di sangue. Cocciuta e
senza peli sulla lingua come lui, come Bella, come ogni Poldark che
si rispetti. Sua figlia molto più di quanto, se le cose
fossero
state diverse, sarebbe mai stato Valentine. Quel ragazzino
concepito forse in una notte spaventosa in cui aveva quasi perso
tutto, la donna che amava, suo figlio Jeremy, il suo futuro con loro
e una parte del rispetto per se stesso, quel bambino maledetto da
Agatha e nato in una notte di luna nera riportava a galla antichi
fantasmi, sensi di colpa e una parte di se e della sua vita che
voleva dimenticare ma non poteva perché sarebbe rimasta
sempre lì,
a riapparire come un fantasma nefasto dalla nebbia
come
le ombre dalla Norvegia, come tutti i segreti che custodiva in se
e che stavano diventando pesanti da portare sulle sue sole spalle.
No,
non era stata una bella idea uscire con le bambine quella mattina e
Valentine gli aveva lasciato addosso una strana inquietudine che non
riusiva a scrollarsi di dosso. Maledetta quella notte, maledetto il
fato che aveva portato via Elizabeth lasciando solo con George quel
ragazzino, maledetti i segreti che si portava dietro che ormai
stavano diventando troppi e che per quanto riguardava i gemelli,
aveva bisogno di condividere con Demelza appena Dwight fosse tornato
con Inge.
"Andiamo a casa..." - disse solo, con voce spezzata e
lontana.
"E
no!" - si lamentò Bella. "E la colazione?".
"La
faremo con la mamma e i vostri fratelli".
"Uffa!"
- sbottò Daisy. "Io voglio i biscottini con sopra gli
zuccherini colorati!".
Ross
la guardò storto. "Tu sei in castigo!".
"Perché?".
"Perché
non si deve dire alla gente che è grassa, soprattutto alle
bimbe!".
"Anche
se è vero?".
"Anche
se è vero, sì!".
"Ma
è grassa sul serio" - intervenne Bella.
Ross
alzò gli occhi al cielo. Troppi, troppi pesi gravavano su di
lui e
il fatto che figli di sangue e figli adottivi avessero preso in tutto
e per tutto la sua impulsività, non lo aiutava affatto...
E
quando rientrò a casa, mentre Demelza preparava i bambini
per la
giornata e per fare colazione insieme, fu Jeremy a mettere il carico
da novanta chiamandolo nella sua stanza.
"Papà,
posso parlare con te? Da solo?".
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