L'urlo - Munch
Urlo
Il
cielo di New York era uno sfondo adatto alle circostanze, quella
mattina. Piovoso, come quasi sempre in Autunno, ma in un certo senso
empatico.
Michael non sapeva quale opera d'arte avrebbe analizzato oggi insieme a
Sebastian, ma qualsiasi fosse stata sarebbe andata benissimo.
Ne era convinto: prima o poi avrebbero visto tutti i quadri del mondo.
O tutti quelli che il restante tempo che avevano a disposizione gli
avrebbe permesso di ammirare.
Mentre camminava verso la mostra quella mattina, con il suo fidato amico cane, aveva fatto un viaggio mentale.
Si era ricordato di tutto il percorso che aveva dovuto affrontare da bambino, una volta rimasto solo.
Un percorso arduo, certamente, ma non nella sua interezza: a volte
offriva periodi di pace interiore che Michael apprezzava e teneva
stretti; questi però, sapeva che gli sarebbero scivolati via
dalle braccia presto o tardi.
E allora gli venne in mente di quando, all'età di otto anni, gli venne il primo attacco d'ansia.
Come su una giostra, aveva cominciato a sentirsi disorientato, con le
vertigini e il cuore a mille. Ricordava benissimo la sensazione di
angoscia stringente che aveva provato: una morsa che comprimeva il
cuore, che sarebbe esploso se avesse potuto.
E poi era arrivato il martello pneumatico nella sua testa; in un
battito di ciglia si accorse che stava sudando freddo. La sua testa
sarebbe uscita dal cranio se avesse potuto, proprio come il cuore.
Ormai tremava e si sentiva costantemente sotto attacco, impaurito,
minacciato, in fuga. Il panico aveva preso il sopravvento su tutto se
stesso, non lasciandogli nemmeno un po' di spazio, neanche un angolino;
aveva un ammasso di fili ingarbugliati in testa che creavano pensieri
negativi e senza senso talvolta, ma cavolo se erano reali.
Erano reali come la realtà, tangibili, molto più insistenti di qualsiasi altra cosa al mondo.
La sensazione stringente della paura contaminava anche il resto del
corpo: lo stomaco faceva le capriole e poi si attorcigliava su se
stesso.
Non avrebbe saputo dire quant'era durato quel momento. Ma la cosa certa
era che gli aveva lasciato l'amaro in bocca, insieme alla paura che da
lì a poco sarebbe ritornato.
*****
-Buongiorno Michael. Stamattina sei grigio come il tempo, vecchio mio.-
La voce inconfondibile di Sebastian gli arrivò chiara e
bastò a ridestarlo dai suoi pensieri. Camminando era
giunto a destinazione.
Forse quella mostra sarebbe riuscita nell'intento di migliorargli la giornata.
-Sebastian! Che opera osserviamo oggi?-
L'amico, che tra un istante avrebbe cominciato la sua lezione, si era preso un attimo per riflettere.
-Ce ne sono due tra cui sono combattuto. Lanciamo una moneta?-
E, quasi come fosse destino, la moneta scelse per loro: l' Urlo.
*****
-Lo
sai, amico mio, che i popoli più a Nord del mondo sono
conosciuti ad oggi per essere i più felici della terra?-
Michael annuì, semplicemente in attesa della frase che sarebbe venuta dopo.
-Ebbene, c'è sempre un'eccezione che conferma la regola. La
nostra eccezione è il pittore norvegese, Edvard Munch.-
-Egli non era felice?-
-No, non del tutto. Il suo quadro più famoso, l' Urlo, ci
racconta di una sera in cui passeggiando con gli amici, il pittore
sentì un urlo.-
-Un urlo?-
-Sì, un urlo così reale da albergare solo nella sua mente.-
Michael sembrò rivivere la stessa sensazione di quella mattina,
la stessa sensazione di quand'era bambino. Li aveva superati da molto
tempo gli attacchi d'ansia, ma facevano parte di un ciclo di vita che
non avrebbe mai dimenticato.
Non poteva credere che esistesse un pittore capace di capirlo. Negli
anni in cui era cresciuto non erano molto conosciuti i disturbi mentali
ed anzi, averne uno era considerata una cosa alla stregua di un
ricovero per schizofrenia. L'ignoranza era viva più che mai.
Ma l'ostacolo più grande non era stato neanche questo: per anni
aveva combattuto una guerra con se stesso, senza neanche esserne a
conoscenza.
Forse anche Munch aveva provato la stessa cosa.
-All'improvviso, mentre camminava, Munch si sentì sopraffatto da questo urlo
lancinante, tanto da sentire l'esigenza di buttarlo fuori in qualche
modo. Così lo dipinse, o per lo più dipinse l'esperienza
traumatica che aveva avuto.-
-E come riuscì a renderlo su tela?- domandò Mike curioso.
-Beh, innanzitutto la figura di spicco dell'opera è proprio
quest'uomo che urla, con le mani sopra le orecchie, a voler esprimere
tutta la sua disperazione. Ma in realtà sono gli elementi
circostanti a dare forma al quadro: i due amici con lui quella sera,
vengono rappresentati da Munch come figure del tutto indifferenti alla
catastrofe interiore dell'artista, posti qualche metro dietro di lui in
prospettiva. Essi rappresentano questo potere oscuro dell'ansia di rendersi invisibile agli occhi degli altri.-
Michael tirò un sospiro. Sapeva ciò a cui si riferiva il pittore: "è tutto nella tua testa".
-Il cielo è colorato nella parte superiore come se fosse
un fiume di lava, mentre nella parte inferiore si vede questo netto
distacco reso grazie al colore blu con sfumature nere, che ricorda vagamente La notte stellata.-
Michael si sentì sorpaffatto dalla descrizione dell'amico: se
avesse potuto dare dei colori alle sue emozioni all'epoca, sarebbero
stati decisamente gli stessi del quadro.
Non vedeva l'ora che la visita finisse, per togliersi quella pesantezza dei ricordi di dosso, ma al contempo condivideva con
quell'artista un periodo della sua vita e la voglia di sentirsi
compreso superava quella di andarsene.
Ma gli costò grande
sacrificio riaffrontare quei demoni: li aveva già vinti in passato, ma eccolo lì che aveva di nuovo paura di loro.
-Questa è una di quelle opere che puoi sentire, Michael. E'
un'esigenza dell'artista, uno sfogo, un'inquietudine espressa
sfrontatamente, che lascia ben poco spazio alle interpretazioni. Furono
altri i quadri che Munch realizzò sulle stessa scia dell' Urlo,
i quali risentirono molto dell'influenza di quest'opera. Più che
altro, risentirono molto del periodo buio che il pittore stava
attraversando.-
-E quello era un attacco di panico in piena regola, Sebastian. So riconoscerne uno quando ce l'ho davanti.-
Il vecchio poco lontano da lui annullò tutte le distanze, scrutando attentamente le parole dell'amico cieco.
-Per sette anni ho sofferto di attacchi di panico, senza riuscire mai a
trovare una spiegazione. Arrivavano all'improvviso, nei momenti meno
opportuni. Come un fulmine a ciel sereno.-
-O come un urlo nella quiete, nel caso del pittore.-
-Già.-
Non c'era
bisogno di molte parole. Entrambi avevano i loro mostri da nutrire; era
per questo motivo che quella stessa mattina, a New York, tra i due non
ci sarebbe stato nessun altro saluto se non il silenzio.
*Angolo autrice*
Salve a tutti.
Questo capitolo tratta un tema molto attuale tra i giovani d'oggi.
E' dedicato a mia sorella, l'ho scritto per lei.
Le dedico anche questo piccolo angolino, per ricordarle che possiamo superare tutto, insieme.
E' molto più saggia di me.
Non vi chiedo di leggere e giudicare il testo come gli altri brani di
questa piccola raccolta, bensì di guardarlo diversamente.
Abbiamo tutti quanti delle domande da porci.
Vi invito alla riflessione.
Arrivederci.
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