Sospetto cosa starete
pensando ... Chi non muore si rivede, vero? ^^"
Beh, dopo una incommentabile spaventosa pausa di oltre un
anno, in cui impegni, impedimenti, scocciature, distrazioni e pensieri
di ogni sorta mi avevano fatta allontanare da questi personaggi,
finalmente sono riuscita a ritrovare l'ispirazione e a decidermi a
concludere questa shot che avevo lasciato sedimentare nella memoria
del Pc mesi e mesi.
Chiedo umilmente scusa ad eventuali lettori che sono rimasti delusi da
questa lunghissima interruzione.
Spero solo di essere riuscita a rientrare in maniera credibile nelle
atmosfere e nei caratteri e di riuscire a regalarvi, se vorrete,
qualche minuto di leggera evasione.
Ringrazio sentitamente quanti, nonostante l'ampissima scelta di questo
prolifico fandom, hanno continuato ad incrementare il numero di
visualizzazioni e chi ha inserito questa raccolta tra le
seguite/ricordate/preferite <3
Piccola anticipazione: la shot è ambientata qualche giorno
dopo la ripartenza di Bloody Mary e, come sempre, per alcuni dettagli
mi sono ispirata sia al manga sia all'anime.
Ulteriori note a fine capitolo.
Alla prossima!)
X
– Qualcosa è cambiato?
Schiacciò
l’interruttore e strofinò il dorso della mano
sulla superficie lucida appannata dal vapore della doccia, ripulendola
quel tanto che bastava a potersi specchiare.
L’aitante
uomo catturato dal riflesso lo salutò serio e riflessivo,
una piccola ruga tra le folte sopracciglia a testimoniare il suo
momentaneo cruccio. Vi passò subito un pollice sopra per
spianarla, ripetendo quel gesto stizzito sulle altre invisibili linee
di espressione attorno alle labbra e alle palpebre e su quelle che
segnavano la fronte alta e spaziosa, di solito nascosta da un fluente
ciuffo di capelli corvini.
Appiccicandosi allo specchio sparigliò con le dita le
ciocche gocciolanti, spulciandosi il cuoio capelluto, controllando
minuziosamente che fossero davvero ancora tutte colorate di
quell’intensa tonalità picea.
Poteva
senz’altro affidarsi alla sua ottima vista e alle sue
eccellenti doti da contorsionista, sebbene il fatto di avere una
capigliatura così fitta avrebbe reso quella missione
alquanto lunga e impegnativa.
Senza
contare l’inconveniente di non poter controllare per bene
come fosse la situazione sul retro della testa …
Agghiacciò … Gli serviva subito un altro
specchietto con cui poter sopperire a quell’impedimento!
Già immaginava quanto gli avrebbero sparlato dietro i nemici
e conoscenti, se solo si fossero accorti prima di lui di
quell’ingiurioso segno del tempo. Cominciò a
rovistare velocemente tra stipetti e cassetti e dopo un paio di minuti
rimediò finalmente una piccola lastra rotonda, riprendendo
ad osservarsi dettagliatamente e con maggiore agio anche la nuca.
Avendo
già un principio di torcicollo e non avendo riscontrato
alcun disonorante filo grigio, o peggio ancora bianco, al termine di
quell’accurata analisi decise di fermarsi. Per il momento non
aveva nulla da temere. La sua gioventù rifulgeva ancora.
Si
frizionò energicamente un panno di spugna in testa e
accennò un sorriso soddisfatto, gonfiando i possenti
pettorali. Alcune stille d’acqua gli scorrevano lungo il
collo e il torace muscoloso, altre rigavano la schiena scolpita,
fermandosi sull’orlo dell’asciugamano attorto ai
fianchi stretti e robusti. Mimò alcune pose da body builder,
compiacendosi della perfetta forma fisica che poteva vantare e
sfoggiare con orgoglio e senza pudore.
A
discapito dall’aver ricevuto in dono una data di nascita e
quindi un compleanno, per un altro bel po’ di anni
l’assillo di invecchiare non sarebbe rientrato nelle sue
principali preoccupazioni. In fondo, si disse, non avrebbe mai avuto
alcuna certezza assoluta sulla sua vera età. Anche se di
lì a qualche settimana avrebbe compiuto, per la prima volta,
trent’anni.
Forse la sua benevola socia era stata sin troppo generosa.
Ryo si
sfregò le guance, avvertendo la ruvidezza della barba in
ricrescita. In un’altra vita non avrebbe prestato tanta
attenzione a quella blanda peluria ispida, ma da che era tornato a
vivere nella civiltà
ci aveva sempre tenuto molto ad avere un aspetto curato, Non riusciva
più a stare neanche un giorno senza radersi. Forse
irrazionalmente aveva creduto che così avrebbe potuto
mescolarsi meglio alla gente comune ed essere accettato.
Invece
per anni aveva continuato a fare terra bruciata attorno a
sé, a vivere ai margini, nella più completa
solitudine e nel più rigoroso anonimato, come un fantasma.
Lo
specchio si era velato di nuovo. O forse era successo ai suoi occhi?
Colpa della saponata che gli era finita dentro o più
probabilmente dell’insufficiente ricambio
dell’aria. Quel vecchio aggeggio andava sostituito.
Ripassò
il palmo sulla superficie riflettente e frugò in un cassetto
in cerca di un rasoio usa e getta, per rimediare alla rasatura cui non
aveva potuto dedicarsi meticolosamente quella frenetica mattina,
dovendo sgominare l’ennesima banda di balordi allettati dal
patrimonio di una ricca e sprovveduta ereditiera.
Quell’incarico
di guardia del corpo per una graziosa signorina d’alta classe
non era stato molto difficoltoso, anzi era stato una manna dal cielo,
allentando la palpabile tensione che si era insinuata tra lui e la sua
umorale partner ogni qual volta che si sfioravano, anche solo con lo
sguardo, dopo l’arrivo imprevisto dell’intrigante
Bloody Mary, con il suo carico strabordante di vendicativa
sensualità e le sue indebite rivelazioni sul suo conto.
Su quel
passato impregnato di sangue, morte, abomini e ingiustizie che aveva
relegato a lungo nella parte più recondita di sé,
come una cicatrice purulenta e sfigurante da non dover mostrare mai a
nessuno. Guardandosi indietro e sovrapponendo per uno stupido gioco
della mente l’innocua lametta di quell’aggeggio di
plastica a quella ben più arrotata del coltellaccio
scheggiato con cui era solito sbarbarsi quando combatteva insieme ad un
manipolo di guerriglieri reietti ed efferati in una impervia e torrida
giungla, non sapeva se provava più vergogna, disgusto o
tristezza per quei tempi tetri, scanditi unicamente
dall’impulso atavico di sopravvivere, in qualunque modo, a
qualunque prezzo.
Si
domandò se Kaori, nonostante si fosse mostrata
incredibilmente comprensiva e tranquilla, potesse aver modificato
l’opinione che aveva su di lui. Gli era sembrata alquanto
sfuggente negli ultimi giorni, perfino più discreta ed
elettrica del solito, ma non aveva indagato oltre, né lo
aveva importunato con altre scomode domande. Ed era stato meglio
così. Le bastava conoscere lo stretto necessario del suo
vissuto ignobile e marcio.
Eppure
lei avrebbe saputo confortarlo. Nonostante tutto, nei suoi caldi occhi
limpidi e sinceri non aveva colto orrore, né paura o
disprezzo, bensì compassione, ammirazione, affetto. E una
volta di più aveva pensato di non meritare il suo bene puro
e incondizionato. Col suo modo di fare così apparentemente
allegro, spensierato e concreto, quella sorprendente ragazza lo
trattava come fosse un uomo normale, e allo stesso tempo riusciva a
farlo sentire speciale.
Arricciando
la bocca in una smorfia schifata per quello svenevole pensiero,
picchiettò la testina del rasoio contro il lavabo e, quasi
innescando una reazione a catena, l’applique collocata sopra
il mobiletto del bagno cominciò a funzionare a intermittenza
e l’aeratore ingolfandosi si spense. Finendo di radersi
praticamente alla cieca mentre lo specchio tornava gradualmente ad
appannarsi, rimuginò spazientito che avrebbe dovuto
ricordare alla sua coinquilina di provvedere quanto prima alle
necessarie riparazioni, ma in quello stesso istante
l’irrompere improvviso di un gran baccano di spari, urla ed
esplosioni gli fece perdere la salda presa sull’impugnatura e
la lampadina con un piccolo scoppio si fulminò, lasciandolo
nel buio e nella confusione più totali.
Non
curandosi di essersi probabilmente autoinferto un bel taglio
trasversale sotto il labbro e di essere mezzo nudo e disarmato, si
lanciò fuori dal bagno con i muscoli pronti a scattare in
posizione di autodifesa e attacco, spostandosi radente alle pareti e
fiondandosi con un’agile capriola nella stanza da cui aveva
udito provenire quell’immane e inaspettato fracasso che gli
aveva rimescolato le budella.
Le sue
acute pupille indugiarono tra scintille e fumo, inquadrandosi poi sulla
figura esagitata della sua socia che, martellone in pugno e fiato
grosso, stava accanendosi contro un non meglio identificato rottame,
riducendolo in mille pezzi.
«Kaori!
Si può sapere che accidenti stai combinando?», la
aggredì interdetto, urlando impanicato dalla
probabilità che, svestito com’era, se avesse
attirato la sua piena attenzione, avrebbe ricevuto lo stesso
trattamento di quel mucchietto di circuiti e plastica.
La voce
della ragazza, le guance rosse e gonfie, i capelli arruffati e la
camicetta affumicata, fuoriuscì flebile e strozzata:
«Il televisore si è rotto»,
farfugliò con un tono che trapelava quanto lei stessa non
credesse a ciò che aveva appena pronunciato.
Ryo
avanzò di un altro passo, pur mantenendosi ad una opportuna
distanza di sicurezza: «Lo vedo»,
mormorò perplesso, aggiustandosi prontamente
l’asciugamano che nel frattempo gli si era allentato,
rischiando di mostrare più del dovuto, anche se lei non
pareva averlo notato. A dirla tutta non l’aveva neanche
guardato da che era arrivato. Sembrava quasi caduta in uno stato
confusionale: «Stai bene?», la richiamò
sventolandole una mano davanti alla faccia, seriamente impensierito.
Kaori
annuì, portando finalmente gli occhi sbarrati su di lui e
appuntando l’indice verso il suo mento sbucciato:
«Ma tu sanguini …»
Lo
sweeper si toccò il punto indicato, rimuovendo col
polpastrello una flebile strisciolina rossa: «Oh, non
è niente. Questo catorcio sta messo molto peggio di
me!», sdrammatizzò pur con una punta di accusa nei
confronti della socia, valutando i danni inferti dalla sua
inesplicabile foga sul povero oggetto inanimato.
Mentre la
sua stravagante assistente, ridacchiando e balbettando, raffazzonava
confusamente i retroscena di quell’assurdo trambusto, Ryo la
guardava ancora frastornato e stranito. Era abituato alle sue
intemperanze, scaturite soprattutto dai loro frequenti screzi, che
spesso lui per primo si divertiva a provocare, ma forse per la prima
volta non capiva neanche un po’ cosa diavolo le stesse
succedendo. Che cosa l’avesse mandata fuori di testa, senza
un’apparente ragione. Era sempre piuttosto esplicita nel
dichiarare ciò che non tollerava del suo modo di fare o
quanto di esasperante accadeva attorno a lei.
In quel
momento sulle sue strampalate giustificazioni ascoltate distrattamente
– che includevano l’avvistamento di un calabrone,
un telecomando impazzito e un improvviso corto circuito – non
volle soffermarsi più di tanto. Anche perché poi
lei di sicuro avrebbe trovato o riesumato qualche malefatta di cui
incolpare lui.
«Ah,
a proposito di roba fuori uso …. C’è da
cambiare la lampadina sopra lo specchio del lavello e bisogna dare una
controllata anche all’aeratore del bagno»,
sviò perciò il discorso su qualcosa del loro
quotidiano di più immediato e meno accidentato.
«Kaori? Hai sentito quello che ho detto?», la
riprese già oltremodo spazientito dalla sua antipatica
sfuggevolezza.
Kaori
tornò dallo sgabuzzino con tutto il necessario per dare una
sistemata e ripulire il pavimento: «Eh? Sì, lo so.
Lo scarico è otturato. Non potresti occupartene tu, una
buona volta? Non fai mai niente tutto il giorno …
», borbottò scocciata, spazzando via nervosamente
i frammenti di metallo, legno, plastica e vetro disseminati per tutta
la stanza.
«Scherzi?
Sono rimasto rinchiuso qui dentro per tre giorni! Ho lavorato sodo, ho
portato a casa la pagnotta, adesso posso avere il permesso di uscire un
po’ per divertirmi?», Ryo la inseguì
camminando ginocchioni e implorando la sua clemenza.
La socia
interruppe il suo nervoso affaccendarsi e gli volse un sorriso
accondiscendente: «Certamente ... Dopo che avrai fatto le
dovute riparazioni di cui sei capacissimo!»
«No!
Non mi va! Le farò domani!» tentò
ancora di sottrarsi a quella noiosa mansione casalinga lui, piantandosi
per terra a gambe e braccia incrociate.
Lei gli
girò alla larga, ignorando bellamente le sue lamentele:
«Prima cominci, prima finisci. E vestiti, porca miseria! Che
non siamo a Chiba!1», esclamò poi strizzando gli
occhi e allontanandosi precipitosamente da lui e dalle sue
nudità così sfacciatamente in mostra.
Gettato
l’ingombrante sacco nero dell’immondizia sul
pianerottolo, così che il suo coinquilino se lo portasse via
una volta uscito, Kaori pensò che quel tardo pomeriggio,
essendosi già fatto quasi buio fuori e non avendo
particolari incombenze, si sarebbe immersa nella lettura di uno dei
tanti libri acquistati e poi dimenticati a prendere polvere sul
comodino.
Aveva
ancora un po’ di stanchezza postuma da smaltire derivante
dall’ultimo caso che avevano seguito e che, immancabilmente,
aveva richiesto una buona dose di azione, per lei anche doppia, anche
se, stranamente, quel marpione del suo socio era sembrato contenere i
suoi bassi istinti durante la permanenza nel loro appartamento della
bella cliente di turno, rinunciando più presto del solito a
perpetrare i suoi indecenti assalti a suo danno.
Tra i
vari volumi ammonticchiati, scelse un tantei shōsetsu2 di
piccole dimensioni, lanciò negligentemente le pantofole e si
tuffò sul letto. Sistemò il cuscino contro la
spalliera e vi si adagiò, tentando di trovare una seduta
comoda per avere luce sufficiente, evitare formicolii o crampi e
concentrarsi al meglio, senza la continua necessità di
cambiare posizione e magari farsi distogliere da qualcosa fuori posto
nella stanza che l’avrebbe indotta a rialzarsi e quindi
distrarsi dalle righe inchiostrate.
I romanzi
d’investigazione le erano sempre piaciuti, eppure, per un
motivo o per un altro, anche quello lo aveva lasciato a metà
e, scorrendo la prima pagina indicata dal segnalibro, si rese conto di
non ricordare già più nulla della trama.
Sbuffò
contrariata, tornando indietro di qualche altro paragrafo, sperando di
potersi ricollegare a qualche frase o riferimento che le schiarisse la
memoria, ma fu del tutto vano: ogni parola, ogni nome, si perdeva nel
vuoto, col risultato di confonderla ancora di più.
In
maniera arbitraria e del tutto ingiustificata, la sua mente le
suggerì che era proprio quel che accadeva ogni volta che
scopriva, casualmente, un altro pezzetto del passato di Ryo Saeba.
Più andava a ritroso, meno le sembrava di capire,
più tutto le appariva lacunoso, disorientandola.
Più passava il tempo, più dal suo passato
continuavano a spuntare fuori vecchie conoscenze che rimescolavano
tutto ciò che credeva di sapere sul suo conto.
Dopo
quattro anni di vita condivisa conosceva ancora poco e niente sulla
vera identità di quell’uomo pieno di ardore e di
oscuri segreti.
Sin dalla
prima volta che lo aveva incontrato, diventando testimone in prima
persona delle sue stupefacenti abilità, aveva tanto
fantasticato sui suoi trascorsi, immaginava nascondessero qualcosa di
travagliato, drammatico, non convenzionale, a tal punto dal frenarlo
dal volerglielo accennare, ma non era mai stata troppo pedante o
invadente, notando la sua mal disposizione a confidarsi.
I suoi
cupi silenzi e i suoi sguardi distanti quando sporadicamente provava ad
introdurre l’argomento nelle loro confidenziali conversazioni
avevano dato credito alla sua teoria, facendola desistere. “Se ne vergogna?”,
si era chiesta più volte. Pensava che se gli fosse rimasta
accanto, un giorno, forse, lui le avrebbe raccontato tutto. Mai
però avrebbe ipotizzato che nel suo passato potesse esserci
qualcosa di così atroce, raccapricciante, ingiusto come una
guerra civile, combattuta tra l’altro in un Paese straniero e
in tenera età.
Perciò,
quando nel suo svogliato zapping si era imbattuta casualmente in quelle
violente e sanguinose scene di battaglia e il telecomando aveva deciso
di smettere di funzionare, si era sentita così in colpa e a
disagio che impulsivamente, o forse sospinta da un’assurda
volontà di discrezione, non riuscendo a cambiare canale,
né a spegnere, aveva sfoderato uno dei suoi martelli e aveva
fracassato il televisore.
Ora, ripensando a quel
gesto eccessivo, si sentiva terribilmente stupida. Se il suo partner
l’avesse saputo, di sicuro avrebbe riso a crepapelle di lei,
giudicandola immatura e inadatta a restargli accanto, proprio come
aveva inizialmente malignato quella Mary.
Lei
invece si era riscatta ai suoi occhi, durante la missione punitiva
contro David Clive, ed era sempre più motivata a smentire
chiunque la pensasse inadeguata, a dimostrare a tutti di essere
tagliata per quel lavoro, di essere la degna spalla City Hunter.
Perciò,
se voleva continuare su quella strada, doveva accettarlo, la dura
verità era quella. Ryo era stato un orfano e un bambino
soldato. Un’esperienza traumatica che avrebbe dovuto segnarlo
per sempre, qualcosa di orribile da cui molti non si riprendevano,
neanche dopo annose e costose sedute di psicoterapia. Anzi, molti si
trasformavano in relitti umani o, peggio, in mostri senza cuore.
Eppure
per lui sembrava che non fosse stato così. Non era diventato
crudele, cinico, egoista, bensì un uomo completamente
diverso, non corrotto dal male, dall’odio e dalla solitudine
in mezzo a cui era cresciuto, ma giusto, eroico, altruista e
scanzonato.
E lei, se possibile,
se ne era scoperta ancora più profondamente colpita e
ammirata. E, era inutile girarci ancora intorno, innamorata.
Sì, ne era innamorata
persa.
E lui?
Lui si sarebbe mai accorto di ciò che lei provava?
Soltanto
una settimana addietro le aveva esternato il suo affetto sincero e
disinteressato per lei, avvicinandola a sé e depositandole
un bacio sulla fronte, per ringraziarla della sua amicizia. Se solo
ripensava a quei brevi attimi, tornava a sentirsi invadere ogni cellula
da una sconvolgente ondata di calore. La sua mano forte intrecciata
alla sua, le sue dita callose che le carezzavano i capelli, il suo
odore maschio così vicino, quel timbro sussurrato con cui
aveva pronunciato il suo nome, esprimendole riconoscenza.
Era stato
un bacio casto, fugace, innocente, fraterno …
così intenso e inaspettato da averla lasciata febbricitante.
Beh,
forse a quello aveva contribuito anche l’essere rimasta per
parecchi minuti imbalsamata come un’ebete sotto
un’inclemente e scrosciante pioggia invernale.
Con un
sospiro tra lo struggimento e l’imbarazzo, Kaori
abbandonò definitivamente il libro che stava tentando di
leggere sottosopra, scompaginandolo, le ginocchia al petto e
l’unghia di un mignolo sotto i denti.
Ryo
l’avrebbe mai ricambiata?
Malgrado
tentasse costantemente di scacciarlo, non poteva fare a meno di
arrovellarsi su quel martellante interrogativo e quel mascalzone, con
quel suo comportamento contraddittorio e infantile, non faceva altro
che sgretolare una delle poche certezze che aveva a riguardo, ovvero di
non piacergli, di non essergli gradita; almeno non come ipotetica
compagna di vita, oltre al lavoro.
A
metterle la pulce nell’orecchio, poi, c’era stata
anche l’affermazione sibillina di Umibozu. “Lui ti considera più
partner di una partner qualsiasi”, aveva
declamato ermetico, accendendo la sua timida, fiduciosa speranza di
scoprire quali fossero i reali sentimenti di Ryo. Avrebbe voluto
possedere la sfrontatezza e il coraggio per fargli altre domande e
sollecitarlo a rivelarle qualcosa di più, ma l’ex
burbero mercenario era stato come sempre parco di parole, lapidario nel
liquidare la questione. E lei era rimasta troppo spiazzata da tutta
quella storia per chiedergli ulteriori delucidazioni.
Chissà
se il suo enigmatico collega le nascondeva altri scottanti e
ingombranti segreti …
Dopo lo
scampato modesto pericolo rappresentato da quella banda di squattrinati
rapitori che miravano al patrimonio della malcapitata ereditiera che li
aveva ingaggiati a pochi giorni dalla conclusione della vicenda
Rosemary Moon, il suo partner era diventato più
indecifrabile, indisponente e solitario di prima, insinuandole il
ricorrente e sconfortante dubbio che non volesse più averla
attorno.
La
ragazza si gettò all’indietro, sprofondando
sconsolatamente sul cuscino la testa fumante per quelle mille
congetture. Forse era soltanto lei a farsi suggestionare da stupide
paranoie. Ryo era sempre … Ryo. Sbruffone, immaturo,
scapestrato, beffardo e molto riservato, quando si trattava delle sue
emozioni più intime e delle sue vicende più
personali.
E neanche
lei riusciva a considerarlo in maniera differente, dopotutto. Aveva
continuato a comportarsi allo stesso modo con lui, o no? Significava
che in concreto non era rimasta tanto condizionata da quanto aveva
scoperto sui suoi precedenti. Sapeva già che le sue mani
dovevano essersi spesso macchiate di sangue, ma anche il suo cuore in
quegli anni difficili doveva aver sanguinato, senza nessuno che lo
tamponasse. Avrebbe rimediato lei a quella mancanza, come gli aveva
promesso quella sera sul terrazzo.
Rincuorata
dalle sue stesse considerazioni, Kaori si rialzò con un
sorriso dipinto sul bel volto nuovamente rilassato. La sveglietta
posizionata sul comodino le notificò che, leggiucchiando e
rimuginando, si era fatta ora di cena. Perciò, ritrovando
l’entusiasmo di potersi rendere utile, anche se al momento
solo come “cibassistente”,
rimise le gambe giù dal letto, rinfilò le pattine
e si avviò verso la sala da pranzo.
Nel
percorrere il tratto di corridoio dalla sua camera alla cucina,
richiamò più volte il coinquilino, tuttavia lui
non rispose alle sue chiamate, tra le pareti regnava un raro e
desolante silenzio. Allora capì e la sua espressione dolce,
timida e indulgente si tramutò in un cipiglio colmo di
rassegnazione, irritazione e amarezza.
Quell’irrefrenabile
animale notturno era uscito da casa alla chetichella, senza degnarsi di
avvertirla!
«Ryo!
Vecchio pelandrone che non sei altro! La colazione è
pronta!»
L’indomani
mattina, alla solita ora tarda in cui il resto degli abitanti della
città era già alle prese con i propri affari e i
propri problemi, una voce femminile, vispa e diretta ridestò
l’impavido giustiziere di Shinjuku dalle sue impalpabili
visioni oniriche, venate di rimorsi mai sopiti e desideri inespressi.
Bussando e vociando
brusca da dietro la porta, la sua socia si allontanò a passo
sostenuto, continuando a borbottare altri improperi. E Ryo,
immancabilmente infastidito, si rigirò bofonchiando sotto la
calda coperta, accoccolandosi al guanciale e ritardando ancora qualche
minuto prima di decidersi a lasciare quel confortevole giaciglio,
consapevole che lei sarebbe tornata a rimproverarlo e avrebbe ripetuto
il suo nome tra svariate ingiurie finché non
l’avesse buttato giù con tutto il materasso.
Invece,
trascorsero altri cinque minuti buoni e ciò non accadde.
“Perché non entra? Che
avrà da fare? Non mi vuole incrociare?”,
si domandò un po’ allarmato e un po’
contrito, mettendosi supino e fissando pigramente alcuni preoccupanti
aloni di umidità che stavano ingrandendosi sul soffitto.
“Impossibile”,
si rispose. Neppure la fortuita scoperta che fosse un reduce di guerra
sembrava l’avesse turbata più di tanto. Anche dopo
il passaggio di quella tempesta imprevista impersonificata dalla
sensuale Bloody Mary avevano ritrovato il loro equilibrio quotidiano,
tuttavia il suo istinto gli diceva che quella birbante testolina rossa
stesse escogitando qualcosa e che avrebbe fatto meglio a prepararsi ad
ogni eventualità.
Sperava
solo non gli rifilasse qualche altra seccante riparazione domestica
…
Sgusciò
fuori malvolentieri dal piacevole teporino del letto,
indossò una leggera maglia di cotone grigio e un paio di
comodi pantaloni blu in pile, e, stiracchiandosi e sbadigliando
rumorosamente, scese al piano inferiore.
Kaori era
in biblioteca, mezza allungata sul tavolo, intenta a sfogliare giornali
e riviste, ondeggiando lievemente i fianchi fasciati da jeans chiari al
ritmo della hit radiofonica del momento le cui note si riverberavano a
volume moderato per tutta la stanza.
«Non
dirmi che abbiamo già un nuovo caso?»,
bofonchiò strascicando svogliatamente le ciabatte verso di
lei, contrariato dall’idea di non potersi godere un altro
po’ di ozio e di doversi già rimettere a
rincorrere qualche vile malfattore.
La socia
curvò un’occhiata distratta su di lui, passandosi
una mano sul retro del collo: «No, purtroppo. Stavo giusto
approfittando della mancanza di lavoro per mettere un po’
d’ordine nel nostro archivio», rispose con
tranquillità, poggiando un braccio sulla pagina che stava
consultando e sovrapponendovi una copia del Tokyo Shinbun di quella
mattina.
Ryo la
guardò di sottecchi, domandandosi per quale ragione stesse
mentendo, dato che era sempre stata metodica nel catalogare ogni nuovo
acquisto della loro fornitissima libreria ed era praticamente
impensabile, da quando c’era lei ad occuparsene, che potesse
esserci qualcosa fuori posto. Piuttosto aveva tutta l’aria di
stare indagando o comunque di essere alle prese con un qualche tipo di
ricerca, di cui, chissà perché, non voleva
parlargli.
Fingendo
indifferenza e decidendo di soddisfare prima lo stomaco della sua
curiosità, si spostò con calma in cucina, dove
trovò una tavola imbandita con un’abbondante e
sostanziosa colazione tradizionale giapponese. Mentre, dimentico di
quel tarlo che gli aveva turbato il risveglio, ingolosito dagli odori,
indugiava nello scegliere cosa addentare prima, tra tamagoyaki, zuppa
di miso, salmone al vapore e tsukemono, la voce di Kaori si
ripalesò alle sue orecchie dall’open space.
«Senti,
visto che al momento siamo senza tv, stasera ti andrebbe di andare al
cinema?», domandò con una sfumatura neutra e al
contempo speranzosa.
Lo
sweeper si mozzicò la lingua e ingoiò in
un’unica deglutizione fagioli di soia fermentati che aveva in
bocca senza neanche masticarli: «Che
cos’è che mi stai chiedendo? Un
appuntamento?»
La
ragazza ringraziò di essere ancora in un’altra
stanza, così che lui non potesse accorgersi del rossore che
si era impossessato delle sue guance a quella impertinente e offensiva
insinuazione: «No! Lo dicevo così …
tanto per … fare qualcosa di diverso. Tra amici.
Potremmo andarci con Umi e Miki … », si
affrettò a puntualizzare innocente, ridando una veloce letta
alla sezione spettacoli, per comunicargli quale film avrebbe voluto
proporgli di andare a vedere. Era da tantissimo tempo che non si
concedeva un’uscita scacciapensieri. Non ci sarebbe stato
niente di male a rompere la solita routine.
«Un’uscita
a quattro?! Ma come ti viene in mente un’assurdità
del genere?!», ribatté di contro ancora
più impermalito il destinatario, parlando tra una
masticazione e un rutto.
Kaori
decise di affrontare a quattr’occhi quel cavernicolo
menagramo che si ritrovava come socio, raggiungendolo a passo di
carica: «Dai! Non fare il rompipalle! Per una volta che ti
chiedo una cosa!», lo esortò con tutta la
capacità di persuasione che purtroppo sapeva di non
possedere.
Con le buone maniere
non era mai stata particolarmente brava a convincere qualcuno ad
appoggiare una sua pensata, men che meno sarebbe stata capace di
intenerire un uomo ottuso e testardo come Ryo, soprattutto quando ci si
metteva con tutto se stesso a volerla contestare per puro puntiglio.
«Ma
scusa, se ci tieni tanto, vacci con loro. Perché devi
coinvolgere anche me? Non mi va di fare il reggimoccolo per il
lucciolone e la sua bella», continuò, di fatto, a
controbattere insolente e irremovibile, finendo di sbafarsi ogni
ciotola e terrina preparata amorevolmente da lei e messa a sua
disposizione.
Un basso
ringhio collerico risalì dal petto della giovane sweeper;
dopo tutto quello che avevano passato, dopo quanto aveva appreso,
credeva che non sarebbe più riuscita ad arrabbiarsi con la
stessa furia accresciuta dall’imbarazzo,
dall’incomprensione e dalla disapprovazione dei primi tempi.
Invece dovette ricredersi: Ryo era un caso perso!
E forse
lei lo era ancora di più, per essersene innamorata
così scioccamente.
«Sei
proprio impossibile!», gli urlò contro isterica, i
pugni chiusi lungo i fianchi, i piedi che battevano a terra,
trattenendosi a stento dall’impeto di rompergli qualcosa su
quella faccia da schiaffi.
Sentendo il bisogno di
prendere aria e di lavare via i cattivi pensieri, corse su a rifugiarsi
sulla terrazza panoramica del piano superiore.
«Kaori! Sono
a casa!»
Un
giocondo Ryo annunciò il suo rientro, destreggiandosi tra il
mazzo di chiavi e il peso che reggeva tra le braccia, tentando di
arrivare in soggiorno senza inciampare nella sua coinquilina.
Lei,
nonostante fosse pomeriggio inoltrato, non stava ancora affaccendandosi
in cucina e la trovò proprio lì, nel suo morbido
e sgargiante completo di tuta, accomodata sul divano, tra le mani una
patinata rivista di moda dalla quale non distolse le pupille. Ancora
gli portava il broncio per il consueto bisticcio di poco conto che
avevano avuto ore prima!
«Guarda
cos’ho qui …», la riscosse da
quell’apatia che non le si addiceva, posando con cautela sul
pavimento l’ingombrante scatolo di un grande televisore di
ultima generazione.
Kaori,
che fino a quel momento fingeva di non vederlo né sentirlo,
sussultò a quella presentazione: «Ma …
Ryo! Abbiamo già le spese del meccanico da affrontare questo
mese …», lo rimbrottò col suo tipico
senso pratico, esitando ad accettare la sua apparente, pretenziosa e
soprattutto dispendiosa, offerta di pace.
Il socio
raccattò delle forbici per spacchettare
l’imballaggio: «Ah, tranquilla! È stato
praticamente regalato. La commessa del negozio di elettronica mi doveva
un grosso favore», la rassicurò vago mentre,
recuperato anche un metro, prendeva le misure per installarlo sul
mobile predisposto.
Un
sopracciglio s’inarcò giudicante: «Ah
sì? Che tipo di favore?», lo incalzò
subito la ragazza, accavallando le gambe, sorreggendosi il mento con le
nocche di una mano e scrutando attentamente ogni sua movenza ed
espressione facciale.
Ryo la
sbirciò reprimendo uno sbuffo. Quando esternava la sua
inconfessabile gelosia non sapeva più se temerla o sentirsi
imbrogliato. Nessuno si era mai interessato a lui con tanta
cocciutaggine e perseveranza quanto quella mina vagante. E senza alcuna
ragione. Erano unicamente compagni di lavoro, dopotutto.
«Qualche
anno fa l’ho aiutata a liberarsi di un corteggiatore
particolarmente assillante», le rivelò senza
lasciar trasparire alcuna doppiezza. Ironico detto da lui, ma stavolta
era la pura verità. Poco gli importava che quella malfidata
la pensasse diversamente.
«Beh,
comunque potevamo starcene anche senza tv per un po’. Non
sarebbe crollato il mondo», concluse con ineccepibile
razionalità Kaori, risparmiando ulteriori commenti. Non
voleva dargli la soddisfazione di vantarsi per
quell’acquisto, anche perché in fondo si sentiva
ancora un po’ in colpa per esserne stata la causa scatenante.
«Scherzi?
L’altro ieri avevo appena raggiunto l’ultimo
livello di Sweeper game33!
E stavo anche battendo il mio stesso record!»,
ribatté accanito il collega, armeggiando con cavi e
telecomandi per assicurarsi che fosse tutto funzionante per riprendere
la sfida videoludica. «Wow! Guarda che colori! Con questo
schermo la risoluzione grafica è molto più
definita!», esultò entusiasta, sedendosi a poche
spanne dall’apparecchio.
La rossa
si massaggiò le tempie, scoraggiata e snervata. Aveva voluto
proporre a quel debosciato di fare qualcosa di diverso per svagarsi,
per trascorrere un po’ di tempo insieme in un contesto
estraneo rispetto alle loro mura domestiche, anche per fargli capire
che non si era soffermata a rimuginare su ciò che aveva
scoperto. In quei giorni si era detta che stava anche a lei cambiare
atteggiamento, mostrarsi più disinvolta e propositiva.
Ma non c’era
proprio verso di spuntarla contro la sua attitudine a schivarla.
«Quindi
deduco che per stasera non se ne farà niente»,
mormorò imbronciata, alzandosi e mettendoglisi di fronte, i
gomiti poggiati contro il ripiano su cui aveva trovato spazio il nuovo
elettrodomestico.
«Uh?»,
mugugnò sbadatamente lui, continuando a pigiare
freneticamente i comandi del controller per non perdersi neppure un
obiettivo di quel combattimento virtuale.
«La
nostra uscita, il cinema …», gli
rammentò con disillusione Kaori, avvertendo un pizzicore
alla gola. Non l’avrebbe certo pregato.
Il socio
mise in pausa il videogame e si alzò lesto dal cuscinone su
cui si era piazzato: «Magari un’altra
volta», ammiccò laconico, piegandosi sulle
ginocchia e cercando qualcosa in un sacchetto lasciato sul parquet.
«Uffa!
Porca miseria! Non ti va mai di fare niente con me!»,
sbottò a quel punto la giovane complice con accaloramento,
raggiungendo con quell’urlo tonalità acute e
inopportunamente, quanto inconsapevolmente, stimolanti per qualcuno lì in basso.
Fortuna
che lui ci si era assuefatto. Ryo espirò lentamente, la fronte solleticata da una gocciolina di sudore. Kaori e la sua ignara
provocante dolcezza. Forse Mary ci aveva visto giusto. Non era ancora
pronto a separarsi da lei. Stava bene in sua compagnia, senza nessuno
squallido doppio fine.
Terminò
di collegare i fili e si voltò verso di lei, porgendole un
altro joypad con un buffetto canzonatorio sul naso: «Guarda
che qui non potrai usare la tua tecnica del proiettile
rimbalzante».
Gli
occhi nocciola della ragazza ebbero un attimo di titubanza, prima di
sciogliersi in un amabile sorriso di resa: «Non è
detto. È una tecnica molto efficace, sai?»
1Chiba:
è una città ad un'ora di treno circa da Tokyo,
famosa per le belle spiagge.
2 Tantei shōsetsu:
espressione con cui si indicano i romanzi polizieschi in Giappone.
3Sweeper game:
si può vedere Ryo giochare a questo videogame sia nell'anime
sia nel
manga nella prima tavola della storia "Una luce tra i grattacieli".
*
Con mio stupore, dopo aver
pensato a questa sciocchezzuola per la trama, mi sono accorta che
effettivamente il televisore disegnato da Hojo visibile nel soggiorno
dell'appartamento cambia tra l'episodio di
Mary e quello successivo che si apre con l'arrivo della pilota Shoko O,o
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