Il signore dei Khai

di Enchalott
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A tu per tu
 
Rhenn tese la corda dell’arco reperito nelle celle riservate alle offerte votive. La punta dello strale baluginò ai primi raggi, mirando ai volatili che fendevano l’aria con pigri battiti d’ala. Si sforzò di mantenere la concentrazione, ma il duello con l’irrequietezza risultò arduo. Non diede la colpa all’anonimo legno, che non vantava remota somiglianza con quello eccellente lasciato a Mardan.
La sera precedente era crollato, il che costituiva materia per un prolungato autoesame. Che l’erede al trono rivelasse una minima debolezza era fuori da ogni norma. Inoltre era stata la prima volta che aveva spartito il letto con una femmina con cui non si era prima dilettato. E i materassi di quel dannato covo di hanran erano stretti, impossibile mantenere le distanze.
Dannazione! Non passo la notte neanche con Rasalaje!
Destarsi tra le braccia di una donna che non aveva posseduto, sulla scia di un sonno ristoratore, era stato come sminuirsi di propria volontà. Un esecrabile ammettere che il principe dei Khai era più bisognoso di umano conforto che di soddisfare gli istinti. L’assurdità della situazione lo disturbava.
A sua volta Yozora non aveva nascosto l’imbarazzo, ma era lei ad aver creato le circostanze insistendo per una pausa al santuario, perciò lo meritava.
È un problema suo se si dispera per aver dormito con me! Neanche ci fossimo accoppiati come selvaggi!
Strinse le zanne al gracchiare festoso degli uccelli.
Provava una sorta di risentimento difficile da circoscrivere, dovuto a qualcosa che non avrebbe dovuto tangerlo. Certo non avrebbe potuto trascorrere ore di passione con la promessa sposa di Mahati, ma non era il punto. Il punto era aver immaginato di contorcersi con lei tra le lenzuola in preda all’estasi, di averne avuto l’occasione e di non averlo realizzato. Non per lealtà, non per rispetto, tantomeno per il timore delle conseguenze.
La freccia si staccò dalla corda e trapassò il petto di un pennuto, che emise uno stridio straziante e precipitò al suolo.
Quando aveva aperto gli occhi e si era trovato riverso sul suo omero, allacciato in un abbraccio che non aveva nulla di licenzioso, era sobbalzato per lo sconcerto.
Lei aveva pronunciato nel dormiveglia una sola parola: Mahati, il nome di colui che le era stato imposto. Con tale dolcezza e trasporto e maledetto ahaki che pareva l’avesse scelto tra mille, che si fossero scelti e che l’avesse articolato assorbendolo dal cuore.
Era rimasto con il viso a pochi centimetri dal suo, raggelato e furibondo, tentato di scrollarla, di minacciarla per costringerla a pronunciare Rhenn.
Rhenn con il medesimo coinvolgimento, solo per comprendere quale dannata sensazione scende a occupare l’anima di mio fratello ogni volta che lo ode!
Per capire cosa non era destinato a possedere, per irridere la mortificante percezione di vuoto che si era installata tra i pensieri. Per accertarsi di essere esente dal brivido che invece gli era sceso lungo la schiena.
Yozora aveva spalancato gli occhi indietreggiando a sfiorare la spalliera, sgomenta nel lenzuolo sgualcito. Si erano guardati senza trovare i termini per scusarsi o per adirarsi. Persino lui, che era in grado di sputare in faccia agli dei, aveva esitato prima di annullare la tensione nel sarcasmo. E lo strascico di ciò che era avvenuto, che non era avvenuto, insisteva a tormentarlo.
L’uccello abbattuto si muoveva in spasmi d’agonia: un tiro imperfetto, deplorevole. Lo raccolse e gli spezzò il collo.
 
Yozora sobbalzò al rumore secco. Osservo il dorso dell’Ojikumaar, certa che non sarebbe riuscita a guardarlo in viso.
Ho dormito con un altro uomo. Sposato.
Il fatto che non fosse avvenuto nulla di fisico, l’assenza di dolo non la confortava. Avrebbe dovuto lasciarlo quando le sue palpebre erano divenute pesanti e si era appoggiato a lei sfinito. Ma non sarebbe stato gentile e l’idea di percorrere da sola i corridoi in cerca di un giaciglio alternativo l’aveva spaventata. Era stato Rhenn a trasmetterle quell’insicurezza, però incolparlo degli esiti di una scelta personale era ingiusto, le avrebbe impedito il dovuto mea culpa.
Gli aveva tolto di mano la tazza e lo aveva sorretto mentre era sprofondato nel sonno. Aveva pregato il dio del Tempo, affinché gli concedesse di sperimentare la pace, di discernere l’aridità delle regole secondo cui viveva, di non infliggere dolore al prossimo. Dalla concentrazione era precipitata nel mondo onirico, tenendolo tra le braccia e invocandogli dei con il suo nome sulle labbra. Cullata dal suo respiro, dalla sensazione di calore, dalla benevolenza del divino Kalemi.
Rammentava i frammenti di un sogno confuso, nel quale un uomo la stringeva a sé e la proteggeva con infinito amore. Anche se pronunciare ahaki tra i Khai equivaleva a una bestemmia, colui che la cingeva non esprimeva altro, le mani avevano artigli bianchi e affilati, la carne ardeva come brace e portava al fianco due spade ricurve. Nessun dubbio che si trattasse di un demone. O che le visioni notturne mentissero e fossero frutto di un’elaborazione astrusa dell’inconscio.
Sperava che quella persona fosse Mahati, che lo fosse almeno in un atomo remoto. La potenza dell’emozione l’aveva strappata ai sogni, ma quando si era ridestata un altro paio d’occhi, aconitum viola e letale, era inchiodato nei suoi.
 
«Dormito bene?» aveva mormorato Rhenn dopo un silenzio glaciale.
«Io… perdonatemi! Non so come scusarmi!»
«Ah, lo credo! Trascorrete la notte con un principe khai e non vi concedete al suo piacere! Pretendo un risarcimento!»
Lei era avvampata, rannicchiandosi alla testata del letto.
«È stato involontario! E poi non è vero, Mahati non pretende niente!»
«Io non sono Mahati. Intenzionale o meno, come rimediereste?»
«Se promettessi di non riferire l’accaduto a vostra moglie?»
«Mettereste al sicuro voi stessa dall’immotivato senso di colpa. Tenendo conto che deploro il non avvenuto, non m’importerebbe un accidente se Rasalaje sapesse che ho dormito sulla vostra spalla. Per contro sarebbe divertente constatare quanto è compatto il vostro sodalizio. I Khai non soffrono di gelosia, ma qualunque donna del sangue lo considererebbe ingiurioso.»
Yozora aveva pensato che fossero possessivi eccome, tuttavia lo stimavano una deprecabile insicurezza.
«Capirebbe l’equivoco. E non alludevo al fatto che siete venuto nella mia stanza per farvi servire, bensì a quanto eravate provato. Considerate avvilente ogni cedimento, non vi metterò in cattiva luce.»
Rhenn le aveva rivolto lo sguardo di una belva in trappola.
«Mi fate la carità!? Smantellate le vostre patetiche costruzioni mentali! Altro che stanco, ho energie in eccesso visto che avete suggerito a Rasalaje di non spartire l’amplesso che mi spetta!»
Lei si era sentita sprofondare.
«Non ho fatto nulla del genere!»
«Non credo alle coincidenze. Non mi ha voluto dopo il vostro akacha, mai successo!»
«Le ho raccomandato di rispondervi per le rime! Con lei siete scostante e prepotente! Invece vostra moglie tiene a voi e non vuole dispiacervi. Non la meritate!»
«Che ne sapete del rapporto coniugale tra i Khai?!»
«Abbastanza per dire che esiste parità e che un’altra vi caverebbe gli occhi!»
«E chi, voi? Dovreste prima farvi crescere gli artigli!»
Yozora non era riuscita a ribattere e lui si era accorto dell’impaccio.
«Dunque il vostro continuo darmi contro equivale a prendere le difese di Rasalaje? Quello che chiamate solidarietà femminile?»
«È ciò che penso delle vostre maniere arroganti.»
«Se i vostri pensieri fossero per me, non avreste invocato mio fratello nel sonno.»
Lei aveva sentito le guance incendiarsi.
«N-no, un sogno… oh, non sono affari vostri!»
«Lo sono di sicuro. Vi ha affidata a me per il percorso nuziale. Non crucciatevi, gli riferirò che lo anelate tanto da piatirlo nel sonno. Provvederà ad accontentarvi.»
«La buttate sempre sul sesso! Non è così!»
«Davvero? In stato di incoscienza perdete il controllo delle emozioni e annullate le inibizioni della sciocca morale salki. Non c’è nulla di male nel volere un uomo.»
«Non è il modo in cui desidero…»
«E a proposito di bisogni primari, ho fame. Aiutatemi a cercare una lancia o un arco. Non sono uno che supplica per un misero pasto.»
 
Il principe le mostrò la preda. Annuì, indecisa se complimentarsi per il tiro magistrale o sentirsi male.
«State per svenire?»
«Non ho mai assistito a una scena così.»
«Però mangiate carne. Il raccapriccio contiene dell’ipocrisia.»
«Avete ragione.»
Rhenn si stupì per la remissività della replica, comunque rincarò la dose.
«Come in questo, così in ambiti meno evidenti.»
«Già. Ho la sensazione che non abbiate battuto ciglio alla prospettiva di attraversare l’Haiflamur per fornirmi un insegnamento estraneo all’asheat. Qualcosa che ritenete indispensabile. Avete un modo vostro per rimediare alla mia inadeguatezza.»
Rhenn ammirò la capacità di ammettere una necessità. Voleva imparare, nonostante i metodi poco ortodossi che le imponeva.
«Io? Vi sembro il tipo?»
Yozora non trattenne l’ilarità alla palese canzonatura.
«Sarà così per i prossimi sei giorni?»
«Vi dispiacerebbe?»
«La vostra compagnia è gradevole, anche se è necessario smussare gli aculei.»
«Parlate dei vostri?»
«Ovviamente.»
Tornarono a guardarsi negli occhi con un senso di liberazione: lei persuasa di non aver mancato di rispetto né a se stessa né al clan, lui conscio che relazionarsi con una persona che non si atteneva per inerzia alle regole khai gli avrebbe portato beneficio. Era persuaso che un sovrano non avesse amici e così era stato sino a quel momento. Era destino che il ruolo spettasse alla sfacciata straniera? Ne sarebbe stata all’altezza, ma era necessario guidarla in quel mondo spietato.
«Quindi ho sbagliato a condurre Delzhar.»
«Come dite?»
Rhenn si godette l’espressione stranita e portò le dita alle labbra.
Il fischio echeggiò tra le dune. La sagoma gigantesca di un vradak si levò dalle creste, compì due cerchi in spirale discendente e atterrò oltre il recinto del tempio, scrollando le piume con indomita fierezza.
«Voi…» balbettò Yozora «Voi dapprincipio… oh, siete incredibile!»
«Ho scommesso con me stesso che non avreste retto mezza giornata, invece mi sono ricreduto. E siccome ho perso, come penitenza spennerò questo volatile e lo farò arrosto. Vi pare equo?»
«Avete demolito il mio morale con la prospettiva di un viaggio estenuante, sperando che cedessi per trarne soddisfazione e costringermi a montare il vostro vradak?!»
«Nulla di tanto elaborato. Voi avete insistito per i cavalli, io ho solo esposto che il deserto è insidioso. Ora accondiscendo ai vostri complimenti sul piacere di avermi come compagno in mezzo alla sabbia. Siete scontenta perché vi presto ascolto?»
La principessa sgranò gli occhi, priva di repliche. Sapeva che le avrebbe ritorto contro ogni sillaba, ma non si aspettava un piano del genere.
Lui allargò le braccia con aria innocente.
«Volete che mandi via Delzhar?»
«Vorrei che vi rifilasse una beccata!»
Rhenn rise alla reazione stizzita e si preparò al nuovo contenzioso. Giusto per non annoiarsi mentre approntava la colazione. Invece lei gli rivolse un sorriso incantevole.
«Insegnatemi ad accendere il fuoco per ora, la fretta è cattiva consigliera.»
Il principe ricambiò con un’intensità che non aveva mai usato con nessuno.
 
La somma sacerdotessa rimase all’ombra discreta del terrazzamento. Il velo sui riccioli ramati, l’abito drappeggiato sul fisico snello. Le vestali di Valarde scambiarono occhiate incuriosite nello scorgere la commozione del suo sguardo.
«Mia signora?»
«Andate. Anche tu, Themin. La premura è per chi invoca la dea nel momento del dolore. Io non corro alcun pericolo.»
Una volta sola, impiegò più del previsto a muovere il primo passo. Avanzò e si fermò, inspirando come se le costasse immane fatica. Uscì allo scoperto mentre il secondo sole bucava l’orizzonte.
L’erede al trono stava mostrando alla ragazza come innescare le fiamme e non risparmiava le osservazioni pungenti. Tuttavia c’era calore nei suoi toni, le movenze erano prive di asprezza, il volto era sereno. Cercò di rammentare l’ultima volta in cui l’aveva visto così e l’immagine stinta di un bambino che intagliava un chakde balenò nella memoria, parallela a un tuffo al cuore.
Scese per il crepidoma, posando lo sguardo sui fluenti capelli d’argento, legati con un semplice nastro bianco e sul profilo del giovane guerriero.
«Eirhenn.»
 
Rhenn sobbalzò così forte che lo spiedo gli sfuggì dalle dita. Yozora lo vide sbiancare e insieme accendersi di collera. Si voltò sorpresa, schermandosi gli occhi.
La donna che aveva parlato era regale nell’abito semplice: bella sebbene non giovanissima, il viso niveo esprimeva trepidante aspettativa. Le iridi avevano la tinta vellutata delle viole a primavera, identiche a…
Divinità immortali!
«Eirhenn.»
Il principe si levò, trattenendo il fiume in piena che avvertiva nel petto.
«Vi ostinate a usare quel nome!»
«È quello che ho scelto.»
Yozora assistette sconcertata allo scambio. Tradusse l’appellativo a grandi linee, perché non poteva leggere i segni che lo componevano: portatore di pace. Immaginò che risultasse di pessimo auspicio. Esitò, domandandosi se l’intuito le avesse inviato la soluzione corretta. Intuì che il disprezzo per la dea della Montagna era l’ultima delle ragioni per cui si era opposto alla tappa.
È impossibile che sia lei! Che lei sia qui!
Rhenn ringhiò qualcosa tra i denti. Le rivolse un’occhiata a valutare se compiere le presentazioni o trascinarla via.
«Non intendo pagare lo scotto delle decisioni altrui» ribatté aspro.
«In questo assomigli a me» sorrise la donna.
«Io non sono mai fuggito.»
«Ehn. È ciò che intendo.»
Scese gli ultimi scalini e si avvicinò, ignorando l’espressione furente del principe. Al confronto sembrò minuta e fragile nonostante il portamento. Allungò la mano e gli sfiorò la guancia. Lui strinse i pugni fino a farsi sbiancare le nocche, un inverno che si sforzava di restare freddo.
«Sei diventato un uomo, ōthysar
«I vezzeggiativi intaccano la parvenza di galateo che esibisco. Mi avete visto, tornate alle vostre suppliche.»
«Immagino ricordi quanto ti è stato insegnato in buona creanza.»
Rhenn avvampò e per un istante sembrò indeciso.
«La principessa Yozora di Seera, promessa sposa di Mahati» pronunciò glaciale «Kalhar, vi presento la… ehm, mia…»
«Hamari. Sono sua madre.»
Yozora avvertì il battito accelerare. Si inchinò con grazia davanti alla regina dei Khai, ma il principe le impedì l’atto completo.
«Alzatevi. Non ne ha diritto.»
«Mio figlio allude al fatto che ho rinunciato al mio ruolo, io preferisco dire che qui il rango non esiste» spiegò la regina davanti allo sconcerto della straniera.
«Siete sul suolo di Mardan alla presenza dell’erede del sangue! Questo tempio è tollerato per rispetto agli dei e voi siete una popolana! Se non gradite che lo ribadisca, avreste dovuto riflettere prima di abbandonare il trono!»
Yozora raggelò: Hamari era sua madre, non la vedeva da anni e le era sembrato che ne sentisse la mancanza. Era viva, pur avendo compiuto una scelta estrema.
La mia invece… la mia cara mamma riposa tra le braccia del divino Reshkigal. Se per una volta soltanto potessi rivederla e abbracciarla…
Avvertì un’ondata di collera.
«Rhenn! A prescindere dalle vostre opinioni, è vostra madre!»
«Non intromettetevi!»
«Desidero conferire con lei!»
«Accomodatevi! Impedirlo equivarrebbe a un invito alla disobbedienza! Dovrei assegnarvi un castigo, giustificarlo con Mahati e ascoltare le vostre rimostranze fino a Shamdar! Me lo risparmio volentieri!»
«Esiste una regola che mi vieta di conoscere la mia futura suocera?
Il principe smise di sbraitare. Fece per ribattere, ma la madre lo bloccò: c’era dolore nei suoi occhi e per un attimo quelli di lui riverberarono la medesima sofferenza.
«Non qui, Eirhenn. Vi prego, entrate.»
 
 
Valarde era trionfante. Mai avrebbe creduto che un principe khai si sarebbe avvicinato al santuario senza intenti distruttivi, tantomeno all’ara sacra. Ma ciò che l’aveva impressionata era la preghiera che l’aveva raggiunta. Quando la principessa salki aveva espresso la richiesta, aveva udito la voce interiore del primogenito khai accettare che qualcuno intercedesse per lui. Aveva sentito scaturire dalla sua anima la medesima orazione, che si era intrecciata a quella della ragazza in un anelito che aveva superato l’orgoglio.
«Da non credere» borbottò fra sé.
«Ho avuto lo stesso pensiero.»
«Sommo Kalemi, la vostra visita è un privilegio.»
«Niente formalità, Valarde. Ho inteso le invocazioni di Yozora. Che ne pensi?»
«Un erede per il principe dei demoni, sembra un appello privo di buonsenso.»
«Lo definirei un’aspettativa.»
«Speri che il signore dei Khai venga al mondo dal seme di Rhenn? Troppo tardi se non arrestiamo le ambizioni del dio della Battaglia.»
«No. Spero che Belker perda il suo sostegno. Minore la fede in lui, minori i suoi poteri. È così per tutti, ma le brame umane lo riguardano da vicino. Gli sono vitali.»
«Un’eccezione non è indicativa. Per il principe della corona la successione è di primaria importanza. Si sente sminuito, non si tratta di improvvisa devozione.»
«Può darsi. Ma se ragioni su un’anomalia tra quei fanatici della guerra, non ti viene certo in mente Rhenn.»
«Yozora?»
«Sì. È in grado di farsi ascoltare. Lo ha spinto a domandare.»
Valarde sospirò ansiosa.
«C’è tanto amore in lei. Temo che da modello si tramuti in vittima. Cosa accadrebbe se i Khai si sentissero minacciati?»
«Ha la mia protezione. Può sperare nella tua?»
«Certo. Ma Belker laggiù è il più forte. Augurarsi che l’erede al trono gli volti le spalle è come augurargli la morte. E senza di lui nessuno veglierebbe sulla ragazza.»
«Dimentichi Mahati.»
«Non avrai progetti sull’assassino più devoto a Belker?»
Kalemi scosse la testa, ma le labbra si piegarono in un sorriso.
«Avresti scommesso su una storia d’amore tra mia sorella e il dio della Battaglia?»
«No. Infatti è finita male.»
«Azalee non ha rinunciato.»
La dea spalancò gli occhi d’antracite e sospirò con disapprovazione.
«Ho una sola domanda» seguitò il sovrano del pantheon «Eri presente quando, per amore, Kushan ha dannato i daama. Ritieni esista un Khai in grado di provarne?»
Valarde cercò un indizio, una minuscola luce che potesse originare speranza. Scosse il capo.
«Allora abbiamo perso» mormorò Kalemi.




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