Every day in every way, it's getting better and better
Titolo: Every day in every
way, it's getting better and better
Autore: My
Pride
Fandom: Super
Sons
Tipologia: One-shot
[ 3734 parole fiumidiparole ]
Personaggi: Damian Bruce
Wayne, Jonathan
Samuel Kent, Talia Al Ghul, Thomas Alfred Wayne-Kent (OC)
Rating: Giallo
Genere: Generale,
Slice of life
Avvertimenti: What
if?, Slash, Hurt/Comfort
Solo i fiori sanno:
13.
Fresia: mistero e fascino
Just stop for a minute and smile: 34. "Arrivo,
dammi il tempo di cambiarmi."
SUPER SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved.
«Non ti ho mai visto
così nervoso».
La voce di Jon lo riscosse dai suoi pensieri, e
Damian ci mise un secondo di troppo a sollevare il viso dal mucchio di
fieno di cui si stava occupando per volgere la propria attenzione verso
il marito.
Col senno di poi, capiva perché avesse detto
quella constatazione. Da quando lui e sua madre avevano chiarito le
cose
- o quantomeno avevano raggiunto una sorta di equilibro -, Talia
restava comunque una costante del passato di Damian, un passato che gli
ricordava cosa aveva fatto e cos'era successo, per quanto lui cercasse
sempre di scacciare quei pensieri. Soprattutto da quando avevano
adottato legalmente Thomas e potevano quindi considerarlo ufficialmente
il loro bambino.
Avevano fatto di tutto pur di tenere ancora un po'
riservata la cosa ed evitare che la notizia finisse nelle fauci dei
tabloid di Gotham - difficilmente un Wayne riusciva a fare qualcosa di
nascosto senza che Vicki Vale del Gotham Gazette lo venisse a sapere -,
soprattutto perché, per quanto si fossero scambiati gli anelli e
fossero stati praticamente benedetti da una dea immortale, lui e Jon
non erano esattamente sposati. Ma non importava.
Erano riusciti a tornare ad Hamilton senza nessuna
fuga di notizie e, per quando fossero passati altri quattro mesi e
Damian avesse trovato il coraggio di parlarne con Talia, quest'ultima
non si era ancora fatta viva. Almeno finché, due giorni
addietro, non aveva chiamato per informare che sarebbe partita per
andarli a trovare. Ed era stato a quel punto che Damian era rimasto con
la cornetta del telefono attaccata all'orecchio, salutandola in
automatico ma sbattendo più volte le palpebre nel rendersi conto
della cosa.
Quando l'aveva detto a Jon, quest'ultimo era rimasto
un po' stranito, ma aveva provato a sorridergli rassicurante e a dirgli
che sarebbe andata bene, che dopotutto lui stesso aveva detto che aveva
adorato il pensiero di avere un nipote e che alla fine sapevano
entrambi che sarebbe andata bene. Peccato, però, che sua madre
sarebbe arrivata proprio quel giorno e che lui apparisse decisamente
più nervoso di quanto volesse dare a vedere.
«Non sono nervoso», disse infine come a
cercare di convincere se stesso, anche se la sua espressione sembrava
dire tutto il contrario. «Mia madre sa di Thomas. Non vedo quindi
perché dovrei esserlo».
«Damian, tesoro».
Jon enfatizzò soprattutto sull'appellativo che aveva usato.
«Sono quasi dieci minuti che stai infilzando quel cumulo di fieno
con il forcone».
Damian sgranò gli occhi, sentendo la punta
delle orecchie in fiamme. «E tu me l'hai lasciato fare?»
«In teoria ti ho richiamato tre volte, ma non mi hai
sentito».
Imprecando tra sé e sé, Damian
lasciò andare il forcone e si sedette su una balla di fieno,
passandosi una mano sul viso. D'accordo, lo ammetteva. Forse il
pensiero di vedere sua madre lo aveva un po' innervosito, ma non aveva
di certo creduto fino a quel punto. Era passato più di un anno
da quando era andata a trovarlo ad Hamilton e gli aveva praticamente
chiesto di perdonarla, di voler essere la madre che era stata un tempo,
di volersi redimere... ma c'era sempre qualcosa che frenava Damian dal
darle completa fiducia. Sapeva bene che era stupido, eppure era sempre
lì che cadeva il suo cruccio.
«Ehi, va tutto bene», disse Jon
nell'avvicinarsi per poggiargli una mano su una spalla, e Damian ne
sfiorò il dorso con le dita della sua. Era calda e un po'
sabbiosa a causa del terreno che la sporcava, ma la strinse per
concentrarsi su quella sensazione rassicurante mentre abbandonava
l'altra mano sulla coscia. La protesi cigolò solo per un attimo
quando mosse la gamba - avrebbe dovuto ricordarsi di fare più
manutenzione, soprattutto vivendo in campagna -, e lui trasse un
sospiro come per calmarsi.
«ستكون بخير», gli mormorò ancora
Jon ad un orecchio, e Damian sollevò un angolo della bocca in un
sorriso. La pronuncia non era ancora perfetta, ma da qualche mese Jon
aveva imparato qualche parola, sia per tranquillizzarlo sia
nell'eventualità di dover comprendere Talia che, quando non
voleva farsi capire da qualcuno, tendeva ad usare l'arabo.
«شكرا», sussurrò Damian in
risposta, sentendo le labbra di Jon sfiorargli con tocco gentile una
guancia. Si godettero quel momento in silenzio, l'uno contro l'altro e
con l'odore del fieno che riempiva piacevolmente le loro narici,
talmente concentrati che quasi sussultarono quando un tamburellare
contro la porta della stalla richiamò la loro attenzione; nel
voltarsi ad occhi sgranati, incontrarono lo sguardo di Maylin, la
ragazza che ogni tanto andava ad aiutare come segretaria alla clinica.
«Scusi, Dottor Wayne, non volevo
spaventarla», pigolò, assumendo un cipiglio imbarazzato.
«Volevo avvisarla che stavo per andare, la signorina Branden ha
appena messo a letto il piccolo Tommy».
Damian fu quasi sul punto di ridere istericamente -
sul serio, aveva davvero i nervi a fior di pelle se non l'aveva sentita
arrivare e si era spaventato per così poco -, ma si
controllò e le fece un cenno. «Grazie, Maylin. Ci vediamo
la settimana prossima».
«Buona giornata, Dottor Wayne. Arrivederci,
signor Kent». Sorrise radiosa nell'agitare una mano nella loro
direzione e, sul punto di dar loro le spalle una volta che venne
ricambiata, si voltò quando parve ricordare qualcosa. «Oh,
dimenticavo. Ha chiamato una donna, sta portando qui il suo gatto. Dice
che ha avuto un'intossicazione e vorrebbe fargli un controllo».
«Mi farò trovare in clinica»,
rassicurò Damian, salutandola un'ultima volta prima di vederla
sparire di gran carriera; si passò quindi una mano sul viso,
massaggiandosi il ponte del naso. «Il dovere chiama, J. Vado a
controllare anche che Kathy non abbia fatto di nuovo entrare Goliath
dalla porta di servizio», ironizzò, e Jon rise.
«Oh, andiamo. L'ultima volta è stato
divertente vedere come leccava il nasino di Tommy»,
scherzò di rimando, ignorando l'occhiataccia che gli venne
lanciata solo per sollevare le mani in segno di resa e sciogliersi da
quell'abbraccio. «Arrivo, finisco qui e ti
raggiungo tra poco. Dammi giusto il
tempo di cambiarmi»,
rassicurò nel fare giusto un breve cenno col capo, e Damian
ricambiò, dando un colpetto alla protesi prima di alzarsi.
Lasciandolo al suo lavoro, Damian si avviò
fuori dal fienile per incamminarsi verso casa, usando la porta sul
retro che affacciava all'ala che avevano adibito come ambulatorio
veterinario; al momento non c'era ancora nessuno, quindi
controllò per scrupolo che le attrezzature mediche fossero in
ordine per il prossimo paziente e tornò dentro casa, salendo
lentamente al piano superiore. Kathy aveva appena finito di cantare una
ninna nanna a Tommy e, quando lo vide, gli regalò un sorriso a
trentadue denti.
«Niente controllo mentale, stavolta. Si
è addormentato da solo», prese in giro, soprattutto nel
vedere Damian arricciare il naso al solo pensiero. E non aveva bisogno
dei suoi poteri psichici per capire che all'altro non era piaciuta per
niente la battuta. «Stavo scherzando, non prendermi sul
serio».
Damian grugnì sottovoce. «Mhnr. Grazie per averlo
tenuto d'occhio».
«Non è tanto male fargli da
babysitter», rimbeccò divertita mentre si avvicinava a
lui, tenendo sempre la voce bassa per evitare di svegliare il bambino.
«Ma da domani dovrete arrangiarvi per un po', io e Maya partiamo
per l'Europa».
«Ci inventeremo qualcosa»,
replicò semplicemente nel lanciare una rapida occhiata a Tommy.
Aveva stretto tra le manine paffute il suo peluche di Zitka, e Damian
non poté fare a meno di sorridere alla vista, fulminando
immediatamente Kathy con lo sguardo quando la sentì lasciarsi
scappare uno sbuffo divertito e un borbottio che suonava vagamente come
un “Che tenerone”.
Rimbrottandole contro di darsi una mossa e di
uscire, la invitò a prendere qualcosa da bere di sotto, ma lei
rifiutò gentilmente e gli disse di dover andare a preparare le
valigie; così, Damian si limitò ad accompagnarla alla
porta e a salutarla, carezzando un po' la testa di Tito quando
passò in salotto prima di tornare verso la clinica.
Fu con uno sbadiglio trattenuto che aprì la
porta, allungando una mano verso il camice appeso al muro a sinistra
per poterlo infilare, ma si bloccò col braccio alzato a
metà nel vedere la figura longilinea di una donna che, dandogli
la schiena, sorreggeva il portafoto in cui era riposta la sua
certificazione veterinaria.
«Dottore, mhn. Ho dovuto scoprirlo da
sola», asserì la donna in tono curioso, e Damian non
dovette nemmeno attendere che si voltasse per rendersi conto a chi
appartenesse quella voce.
«Madre».
Talia si voltò, i grandi occhi verdi luminosi
e caldi come Damian non li vedeva da anni, ormai. «Buon
pomeriggio, figlio mio», esordì con calma, ma fu proprio
in quel momento che Damian si rese conto di cosa aveva fra le braccia,
irrigidendosi seduta stante. Stiracchiandosi come un grosso gatto, con
le fauci spalancate in uno sbadiglio e le zampe bianche e arancioni
striate di nero... c'era un cucciolo di tigre dalle iridi dorate che
ricambiava il suo sguardo.
Damian sollevò così in fretta la testa
verso la donna che quasi rischiò di farsi scroccare il collo, il
viso trasfigurato in un'espressione a dir poco sconcertata. «Cosa
diavolo significa?» domandò, e odiò il fatto che la
sua voce fosse risuonata nelle sue orecchie vagamente isterica. Sua
madre, invece, sembrava composta come suo solito e assolutamente
tranquilla, come se stesse carezzando la testa morbida e pelosa di un
comune micetto.
«Adesso sei un veterinario, o forse mi
sbaglio?» rimbeccò nell'arcuare un sopracciglio,
sollevando una mano per frenare la calda replica che Damian avrebbe
voluto farsi scappare. «No, non sono qui per criticare la tua...
scelta». Saggiò bene le parole da dire. «Anche tuo
nonno amava gli animali e fece uccidere un servitore che ne aveva
avvelenato accidentalmente uno, dunque non mi stupisco che tu abbia...
intrapreso questa strada».
«Non so mai se prendere le tue parole come insulti o
complimenti, madre».
«Ti ho forse arrecato offesa, figlio?»
Damian si massaggiò le tempie, arricciando un
po' il naso. Ah, accidenti. Quando cominciava a parlare in quel modo
gli faceva davvero venire il mal di testa. «No, madre.
Piuttosto... che ci fai qui con una... tigre? E dove diavolo l'hai
trovata?» sbottò senza poterne fare a meno.
«Ho chiamato la tua segretaria, non ti ha avvertito
del mio
arrivo?» chiese lei di rimando, e a quel punto gli ingranaggi
nella mente di Damian si attivarono, facendogli sbattere le palpebre.
Maylin gli aveva detto che una donna stava portando il suo gatto alla
clinica e... oh, andiamo. Sul serio? Avrebbe dovuto arrivarci prima,
dannazione. Era il figlio del miglior detective del mondo.
«...purtroppo sì», ammise,
masticando tra sé e sé quelle parole. «Ciò
non spiega dove tu abbia trovato un cucciolo di tigre».
«Un circo». Vedendo Damian arcuare un
sopracciglio, Talia continuò mentre si avvicinava con grazia,
superando il tavolo operatorio. «No, amore mio. Non ti sto
prendendo in giro. Ho incontrato questo circo itinerante durante il mio
viaggio e ho visto il modo disgustoso in cui trattavano gli animali...
così ho semplicemente tagliato una mano al proprietario, aperto
le gabbie e preso con me questo cucciolo, che ho deciso di portare con
me. Necessito che tu ti assicuri che sia abbastanza in forma per poter
viaggiare fino in Bialya».
Senza parole, Damian non seppe cosa dire per attimi
che parvero interminabili. Osservava sua madre come se quel racconto
fosse difficile da credere, eppure era esattamente il contrario. Sapeva
com'era sua madre, come agiva e che avrebbe davvero potuto fare una
cosa del genere senza dare spiegazione alcuna ma, ciononostante, non
faceva altro che fissarla come se...
«...il gatto ti ha mangiato la lingua?»
suggerì Talia, quasi gli avesse appena letto nel pensiero. Gh,
dannazione. «Immagino che per te sia stata una sorpresa, ma non
conoscevo un veterinario migliore a cui affidare le cure della mia
tigre».
«La tua tigre, uhm...»
«Esattamente. Inoltre», continuò
Talia, posando delicatamente il cucciolo sul bancone, sorreggendolo per
la collottola per evitare che saltasse giù e corresse
chissà dove, «sono qui principalmente per conoscere mio
nipote. L'hai forse dimenticato?»
Concentrato su quella tigre che aveva cominciato a
leccarsi le grosse zampe, Damian ci mise un secondo di troppo per
recepire le parole di sua madre, sollevando lo sguardo sul suo volto
come se lo vedesse per la prima volta. Sconvolto da quel cucciolo che
non era certamente un gatto, il nervosismo iniziale per il suo arrivo
era passato in secondo piano. «No», ammise infine. Si
passò una mano fra i capelli, imprecando tra sé e
sé. «Per il momento Thomas sta dormendo. Occupiamoci prima
di quella tigre», rimbeccò, avvicinandosi.
Stava tergiversando? Oh, sicuro. Ma era pur sempre
un veterinario e si sarebbe occupato di quell'animale, per quanto
esotico fosse. Non era la prima volta che vedeva una tigre e, per
quanto non si fosse mai occupato di curarne una, si avvicinò con
cautela, facendo sì che annusasse prima una mano e comprendesse
il suo odore, vedendola annusare guardinga senza distogliere i suoi
enormi occhi gialli da lui; il cucciolo scoprì un po' le zanne e
ringhiò, ma la carezza di Talia dietro l'orecchio lo
calmò abbastanza da fargli fare un suono simile a delle fusa,
tanto che persino Damian si tranquillizzò e si azzardò a
toccarla. La pelliccia era morbida e calda al tatto, il cucciolo di
tigre sembrava vibrare sotto le sue dita a causa del sordo brontolio
discontinuo che stava creando, e Damian non poté fare a meno di
sorridere quando la lingua, piccola e rasposa, guizzò per
leccargli un dito.
«Non è bellissima?»
sussurrò Talia, e Damian annuì, riscuotendosi solo
quando, nel toccare la zampa posteriore, il tigrotto si lamentò
con un basso ringhio. Era il momento di mettersi a lavoro.
Damian si occupò dapprima della zampa,
controllando che non fosse rotta e che non fosse da ingessare, ma nel
visitare quel cucciolo vide che era solo slogata e quindi si
occupò di fasciarla con cura, facendo un check-up completo per
assicurarsi che non avesse ulteriori problemi, stabilendone anche il
sesso; controllò il battito, l'interno della bocca e le altre
zampe, sottoponendolo a tutti gli esami possibili per poter essere
sicuro che quell'animale potesse davvero affrontare un lungo viaggio.
Non seppe quanto passò ma, nel sollevare il viso e guardare
negli occhi sua madre, si sorrisero inaspettatamente entrambi nello
stesso momento.
«Può viaggiare», fu infine la
sentenza di Damian, il quale distolse lo sguardo per primo mentre si
toglieva i guanti. «Ti darò una pomata da applicare sulla
zampa una volta al giorno».
«La tua dedizione è ammirevole»,
affermò lei di rimando, issandosi fra le braccia il cucciolo
sotto lo sguardo stranito di Damian.
«G-Grazie, madre», ammise, non essendosi
forse aspettato quelle parole. Sua madre, nonostante gli anni, a volte
era ancora in grado di stupirlo. «Ho... delle gabbie per lui; non
mi piace l'idea di tenerlo in gabbia, ma non mi sembra il caso di
portarlo in giro, adesso».
Talia lo osservò per attimi che parvero
interminabili, con in viso un'espressione che avrebbe potuto
significare qualunque cosa; alla fine, però, concordò,
rilassando anche Damian. «Mi sembra giusto»,
sentenziò infine, carezzando un'ultima volta la testa di quel
tigrotto. Seguì il figlio alle gabbie per poterci riporre il
cucciolo, sussurrandogli qualche parola rassicurante in arabo prima di
massaggiarlo sotto al collo, quasi a volerlo calmare.
Damian ammise di averla osservata rapito. Sembrava
che sua madre avesse cominciato a parlare davvero con quella tigre,
visto il modo in cui le stava promettendo che sarebbe rimasta là
dentro solo per qualche ora, e la tigre, dopo un cupo brontolio
risalito dal fondo della gola, aveva sferzato l'aria solo per un
secondo con la lunga coda e poi le aveva leccato la mano, lasciando che
chiudesse la porta della gabbia. Se qualcuno glielo avesse raccontato,
Damian non era certo che ci avrebbe creduto.
«Adesso possiamo andare».
Seppur non fosse sembrato del tutto convinto, Damian
fece un cenno col capo e fu lui stesso a guidare sua madre fuori
dall'ambulatorio dopo che entrambi si furono lavati le mani, incerto se
portarla di sopra o offrirle prima qualcosa da bere. Pennyworth sarebbe
stato fiero di lui per quella seconda scelta. Così, con la voce
del buon vecchio maggiordomo nelle orecchie e tastandosi la tasca per
essere certo che avesse ancora con sé il baby monitor,
guidò sua madre verso la cucina, accennandole che le avrebbe
preparato il suo the preferito mentre aspettavano che Tommy si
svegliasse per la poppata; in quel modo avrebbe anche avuto un po' di
tempo per affrontare al meglio l'incontro di Talia con suo figlio, ma
non svoltò nemmeno l'angolo che in cucina vide proprio Jon e
Tommy.
Canticchiando qualcosa, Jon sorrideva mentre faceva
bere il latte a Tommy, il quale aveva afferrato il biberon con le
manine come se avesse il timore che il suo papà glielo portasse
via. E sarebbe stata una scena davvero amorevole - davanti alla quale
Damian avrebbe probabilmente sorriso - se la presenza di Talia non si
fosse fatta sentire dietro di lui, incombente come un'ombra.
Damian tossicchiò per richiamare l'attenzione
di Jon, talmente preso dal bambino che non si era nemmeno reso conto di
essere osservato - da quando aveva perso i suoi poteri, a volte
diventava davvero distratto -, e lui quasi sussultò nel
sollevare lo sguardo e fissare dapprima il volto di Damian... spostando
poi la sua attenzione poco più su, sulla figura di Talia. Si
vedeva lontano un miglio che non si aspettava di vederla. Non lì
e non così, almeno.
«Ciao... Talia».
«Jonathan».
Era un tono sprezzante quello che aveva sentito? Oh,
sembrava davvero un tono sprezzante, ma Jon si sforzò di
sorridere, per quanto il suo angolo della bocca avesse tremato
leggermente. Lo faceva per Damian, lo faceva per Damian... per quanto
quei due si fossero chiariti, c'era sempre qualcosa, nell'atteggiamento
della donna, che non rendeva facili le comunicazioni fra loro.
«Siediti, madre», invitò Damian,
troncando qualunque replica da parte di entrambi. Tommy nel frattempo
aveva finito la sua poppata, e Jon si riscosse giusto in tempo per
alzarsi dallo sgabello e fargli fare il ruttino, proprio nello stesso
istante in cui Talia, ignorando il consiglio, si era avvicinato a Jon
con passo felino.
Sotto lo sguardo di Damian, il quale aveva arcuato
un sopracciglio alla vista, Talia e Jon, con Tommy nuovamente ben
sistemato fra le sue braccia, si squadrarono in silenzio. Jon la
superava di quasi dieci centimetri ed era il doppio della sua stazza,
eppure lei non ne sembrava affatto intimorita, col mento sollevato e
gli occhi fissi nelle iridi azzurre del giovane consorte di suo figlio.
Nessuno dei due aveva ancora osato proferire parola,
come se stessero tenendo d'occhio le loro debolezze o fossero pronti a
fare una mossa se l'altro avesse anche solo provato a fare un passo
falso; di solito Jon cercava di vedere sempre il buono nelle persone,
aveva anche provato a perdonare Talia da quando aveva cercato di
avvicinarsi nuovamente a Damian come la madre che avrebbe dovuto
essere, per quanto non potesse dimenticare che aveva ordinato di
uccidere Damian, aveva tentato di uccidere sua madre Lois, aveva fatto
cose terribili... ciononostante, aveva provato a redimersi e se Damian
aveva provato a darle una seconda occasione, avrebbe potuto provarci
anche lui.
Fu Tommy stesso a porre fine a quello scontro di
sguardi, allungando le mani verso la donna mentre dava vita a strani
borbottii dal fondo della gola. Sia Jon che Talia si accigliarono,
persino Damian si era fermato un attimo accanto al cucinotto per
gettare loro un'occhiata, ma fu proprio lui a stupirsi quando, ridendo,
Tommy provò ad afferrare il pendente che Talia portava al collo.
«Vuoi... prendere in braccio tuo
nipote?» provò a quel punto Jon, e Talia, sollevando
ancora una volta lo sguardo su di lui, sgranò gli occhi per un
momento prima di tornare a fissare il volto paffuto di quel bambino.
Forse non si era aspettata che gli venisse offerto di farlo, non visto
che lei stessa non aveva dato molti motivi per essere pienamente
accettata.
Talia lo ammetteva. Amava Damian, quando aveva
saputo cosa era successo alla sua gamba era partita appositamente dal
Bialya per accertarsi che stesse bene e, seppur non approvasse del
tutto le sue scelte di vita, era pur sempre suo figlio e aveva avuto
modo di vedere come quel Jonathan fosse riuscito a renderlo felice,
forse felice come non lo aveva mai visto davvero... e quel neonato era
stato il culmine di quel momento di serenità che stava vivendo.
Sentire quindi Jonathan offrirle di prendere in braccio quel bambino -
suo nipote, sussurrò una vocina nella sua testa -, affidarle
qualcosa di così prezioso e fidarsi di lei... aveva fatto
piombare uno strano calore al centro del suo petto. Era mai possibile?
Seppur con quella che parve essere incertezza, Talia
allungò entrambe le mani per farsi consegnare quel neonato, il
quale la guardò con intensità negli occhi non appena si
trovò fra le sue braccia; si fissarono per attimi che parvero
interminabili, poi Tommy sorrise e le punzecchiò il naso con un
dito paffuto, accoccolandosi contro di lei. La cosa la lasciò
interdetta, tanto che i suoi begli occhi verdi, contornati da una linea
di kajal, si ingigantirono confusi.
«Credo resterò qui per un po'»
disse infine Talia, e nel ricevere uno sguardo dal figlio, tornò
a guardare il volto del bambino che, ridendo, aveva afferrato il suo
ciondolo e ci stava giocando. «أريد أن أقضي بعض الوقت مع
حفيدي», spiegò, come se parlare in arabo le fosse di aiuto
nell'esprimere in qualche modo le sue emozioni, e Jon guardò
Damian con fare interrogativo, avendo capito solo in parte ciò
che aveva detto. Non era molto bravo per essere certo di aver inteso.
«Vuole passare un po' di tempo con
Tommy», tradusse Damian con voce sicura, allungando verso di lui
una tazza di the quando gli si avvicinò.
Jon la afferrò distrattamente, visto il modo
in cui stava fissando Talia. Aveva cominciato a sussurrare a Thomas
qualcosa in arabo e, anche se Jon non ne capiva del tutto il senso, le
sue orecchie si erano abituate abbastanza alla musicalità delle
parole per capire che sembrava... felice. Era una cosa nuova persino
per lui, soprattutto conoscendo la donna. «Immagino che vada
bene», sussurrò semplicemente, gettando un'occhiata a
Damian.
Si guardarono entrambi e si sorrisero dopo un lungo
istante, mentre le risate divertite di Thomas riscaldavano i loro cuori.
_Note inconcludenti dell'autrice
Come
detto in precedenza, le storie non seguono un corretto ordine
cronologico, motivo per cui qui abbiamo Thomas molto più piccolo
di quanto non lo fosse nella storia precedente.
Qui possiamo dire praticamente che la storia è anbientata dopo il
capitolo Here's
where we belong in
cui Jon e Damian si ritrovano a Gotham. Comunque sia, in ordine, ecco
le frasi in arabo che vengono pronunciate dai personaggi:
«Andrà tutto bene» || «Grazie» || «Voglio passare un
po' di tempo con mio nipote»
Avrei potuto scriverle in italiano, certo, ma in questo modo si sarebbe
perso in parte il senso che volevo dare, ovvero quella sensazione in
cui i personaggi parlano una lingua al di fuori dell'americano comune
che teoricamente dovrebbero usare. Non so se sono riuscita a spiegarmi
come si deve
Commenti
e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥
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scrittori.
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