Capitolo 8 – Misao Morozumi
Conan fissava i propri piedi che, comodi nel loro
paio di scarpe, si
muovevano lenti, misurati.
Non gli
sembrava vero.
Ogni
cosa, in quella faccenda, non gli appariva reale, partendo da se
stesso. Un ragazzo rimpicciolito a bambino delle elementari, un giovane
che per lungo tempo aveva pensato di essere qualcun altro, acquisendo i
ricordi di questi... Sembrava quasi il materiale per una storia di
fantascienza.
Il
ragazzino sospirò mentre una folata d’aria gli
passava tra i capelli bruni. Alzò lo sguardo, soffermandolo
poi sul profilo di Ai.
Lei
fissava la strada davanti a sé, con una
tranquillità disarmante. Una calma che Conan non riusciva a
comprendere, una calma che lui non sapeva se definire vera o una
semplice copertura per le sue vere emozioni.
I capelli
castani ramati della ragazzina erano appena arruffati dal
vento, il viso lievemente arrossato.
Lei,
almeno lei, in tutta quella confusione, gli sembrava vera.
Lei era concreta, era la
realtà in tutto quel disordine.
Di colpo,
Conan la sentì straordinariamente vicina. E al
contempo percepì il desiderio di prenderla per mano, di
sentire la sua pelle calda contro la propria... Con il respiro appena
affannato, chinò gli occhi sull’asfalto.
Il cuore
gli batteva più velocemente del consueto.
Finalmente
giunsero all’abitazione dove si trovava lo studio
medico del dottor Morozumi. Il sole si rifletteva con precisione con la
targa di metallo con la dicitura “Misao Morozumi –
Medico”, facendo socchiudere per un momento gli occhi a Conan.
Ai
alzò la mano e suonò il citofono. Un momento
dopo la porta si aprì con uno scatto.
I due
bambini entrarono. Percorsero la scala in silenzio, a passi
lenti, sino a giungere sul giusto pianerottolo. Quindi, titubanti,
entrarono nella sala d’attesa dello studio medico.
Dall’interno
di questo provenivano due voci, attutite dal
muro. Conan e Ai si sedettero sulle sedie gialle del salottino, in
attesa. Cercando di calmare almeno un poco il proprio nervosismo, Conan
si concentrò sulle voci che udivano.
Uno,
più squillante, quello che di fatto si sentiva con
maggior chiarezza, sembrava appartenere ad una donna. Il secondo aveva
un timbro più profondo, pacato, pensoso. Si sentiva appena,
ma Conan ebbe un lieve brivido. “Dottor Morozumi...”
Ai
sfogliava soprapensiero una rivista.
Infine la
porta si aprì, e ne uscì una donna.
Aveva corti capelli ondulati e castani. Indossava una borsetta
scarlatta ed un abito rosso che saltavano subito agli occhi. Poi,
dietro di lei, fece capolino un uomo robusto, dai capelli neri che
ormai viravano al grigio, un pensoso sguardo nocciola e labbra sottili.
Quando la
signora uscì, il dottore si rivolse ai bambini.
«Posso fare qualcosa per voi?» domandò,
con la perplessità evidente nella voce.
Conan si
alzò e disse, pronto, con uno studiato tono
infantile: «Sì. La mamma aveva preso un
appuntamento, ma non trova più il foglietto sul quale
l’ha segnato...»
Ai
sospirò. «Perché l’hai
preso per giocarci e l’hai perso»
mormorò, senza alzare gli occhi dalla rivista.
Da una
parte Conan l’ammirò perché era
stata pronta a ricevere la palla al balzo, dall’altra si
sentì un po’ imbarazzato... Perché il
comportamento di lei non era esattamente quello di una bambina di circa
sette anni.
«Non
è vero!» esclamò, per
non lasciar cadere l’argomento. «Sei
bugiarda!» aggiunse, ostentando un broncio arrabbiato.
«E
invece ho ragione» affermò Ai,
alzando finalmente gli occhi e mettendo da parte il giornale.
«Ah!
Chi fa la spia non è figlio di Maria, non
è figlio di Gesù, quando...»
«Ma
se sono una bugiarda non ho fatto la spia! Visto? Hai
detto da solo che hai perso il foglietto!»
Il
dottore li osservava allibito. «Ehm, bambini...»
provò a dire.
«Balle,
balle, stai raccontando balle!»
strepitò Conan.
A quel
punto, Morozumi li fece entrare nello studio. Immediatamente i
due interruppero la commedia, accomodandosi dalla scrivania.
Il medico
si abbassò a rovistare in un cassetto. Prese
un’agenda e la aprì sul piano del tavolo davanti a
sé. «Il nome di vostra madre?»
domandò.
«La
mamma è la mamma» rispose Conan,
risoluto. Mentre si atteggiava a bambino capriccioso, la sua mente
lavorava frenetica. Se solo fosse riuscito ad allontanare il medico
avrebbe potuto cercare un’ipotetica cartella riguardante
Yukiko...
Ai lo
osservava sorpresa, evidentemente pensando che la recita fosse un
po’ troppo pesante... I suoi occhi chiedevano: “E
adesso?”
Il
dottore incrociò le mani e pose nuovamente la domanda,
stavolta ad Ai. Conan ne approfittò: intercettò
lo sguardo di lei e sillabò in silenzio:
“Allontanalo”.
Un guizzo
di comprensione attraversò gli occhi della
ragazzina. Di punto in bianco, prese a gridare, disperata:
«Voglio la mamma! Mi manca tanto! Ho paura! Non voglio stare
sola!»
Il
dottore la fissò, a dir poco sbigottito. Si
alzò e le andò vicino. «Ehi,
piccola» disse, tentando di calmarla.
Ai
continuava a strillare. Poi inspirò e domandò,
con una voce che le venne tremula al punto giusto, prima di scoppiare
in un pianto a dirotto: «Posso telefonare alla mia
mamma?»
Il
dottore replicò, appena imbarazzato: «Oh, ma
certo, vieni». Fece cenno ad una stanza adiacente.
«Di là ho il telefono».
Scoccò
un’occhiata a Conan, il quale sedeva
tranquillo sulla poltrona. Poi, con un sospiro, condusse fuori Ai.
Non
appena fu scomparso il ragazzino scattò verso i
cassetti, aprendoli in fretta. Fortunatamente il medico era un tipo
ordinato ed erano tutte in ordine alfabetico. Per doppia fortuna,
conservava tutte le cartelle dei pazienti passati.
Dopo
qualche sbaglio indotto principalmente dall’agitazione,
Conan riuscì a tirare fuori quella di Yukiko. La scorse
velocemente. Sentiva ancora i singhiozzi inconsolabili di Ai, quindi
doveva avere ancora un po’ di tempo.
Finalmente
giunse ad una pagina che si rivelò quella che gli
occorreva. Ma ciò che lesse gli gelò il sangue
nelle vene e minacciò di bloccargli il respiro. Rilesse
molte volte, sentendosi stordito, ma infine dovette ammettere che
c’era scritto proprio quello. Con un brivido, rimise la
cartella al suo posto.
Si
alzò e chiuse i cassetti.
Appena in
tempo per vedere rientrare Ai ed il dottor Morozumi. La
bambina sembrava perfettamente rasserenata. «Sai?»
esclamò, allegra. «La mamma ha detto che abbiamo
sbagliato dottore! Ha detto anche che dobbiamo andare giù
che lei passa a prenderci!»
Lui la
osservò inebetito. «Bene»
riuscì a dire, distrattamente.
La
ragazzina lo osservò preoccupata, notando il suo colorito
improvvisamente pallido. Gli occhi di Conan sembravano focalizzati su
qualcosa di lontano, persi in un’altro mondo.
Il
bambino non volle fare parola ad Ai di ciò che aveva
scoperto, e rimase immerso in un silenzio meditativo lungo tutto il
viaggio sino a casa del professor Agasa.
Quando
furono davanti all’abitazione del professore si
fermò. Sospirò e guardò Ai.
«Allora?»
domandò lei, un po’
inquietata dal comportamento del ragazzino.
«Allora»
replicò lui, con voce che
suonò incredibilmente stanca, soprattutto considerato il suo
aspetto da bambino delle elementari, «io... Io sono il
fratello gemello di Shinichi». Tacque un attimo, fissando
assorto un punto indefinito del cielo sopra la spalla di Ai.
«E
quindi?» lo incoraggiò lei. La
rivelazione l’aveva meravigliata, ma non capiva come mai il
ragazzino sembrasse tanto sconvolto.
Conan
deglutì, prima di parlare. «Quindi, secondo
la cartella...» Trasse un respiro profondo. «Sono
morto il giorno dopo il parto».
Ai rimase
interdetta. Non seppe cosa dire. Poi, per alleviare
l’atmosfera, agì d’impulso, facendo una
cosa che in un’altra circostanza non avrebbe mai fatto. O
forse sì, ma solo a patto di ricevere qualcosa in cambio.
Cercando
di assumere la migliore espressione scherzosa, tese la mano al
ragazzino. «Piacere!» esclamò.
«Shiho».
Lui la
fissò stranito per qualche attimo, poi tese la mano
ad afferrare debolmente quella calda di lei. Quindi, muovendo le labbra
– che gli parevano improvvisamente asciutte e screpolate
– sussurrò: «Piacere, Takeshi».
Osò
alzare gli occhi verso quelli di lei, ed improvvisamente
il cuore accelerò i battiti in maniera spropositata, quasi
fosse intenzionato ad uscirgli dalle costole.
Non
sentiva più nulla. Ogni rumore del traffico in
lontananza, degli uccelli che, rincorrendosi in volo sugli alberi,
cinguettavano, sembrava essere svanito, soffocato da quello lieve del
respiro di Ai.
Senza
pensarci, senza ragionare, avvicinò le labbra a quelle
della ragazza.
All’ultimo
secondo lei ritrasse il viso, voltandolo di lato
– i suoi capelli castano ramato si mossero in
un’onda di riflessi – e Conan, Takeshi, si
trovò a baciarle la guancia, calda e liscia.
Le sue
labbra si soffermarono per un attimo sulla sua pelle morbida,
poi si rese conto di quanto stava facendo. Allontanò
bruscamente il viso, quasi il calore di lei lo avesse improvvisamente
scottato.
Indietreggiò,
mentre Ai, immobile, lo osservava ad occhi
spalancati, poi si voltò ed iniziò a correre.
Mentre
fuggiva, gli sembrò di udire una voce nella testa.
Una voce
che forse era la propria, o quella beffarda
dell’immaginazione.
Benvenuto, Takeshi Kudo.
Spazio
autrice:
Buongiorno a tutti! Scusate la pausa, ma, dato che il mio cervellino
bacato ha le dimensioni di una nocciolina, ho tante storie in ballo, e
ho lavorato un po’ su quelle.
Allora, che dite del colpo di scena? Anzi, dei colpi di scena. Ho
approfittato del fatto di essere impegnata in una “nuova
versione” di questa storia per poter estendere un
po’ la sequenza del bacio, spero di non avervi delusi...
Eh, povero Conan/Takeshi che sia, se continuo a torturarlo
così a momenti non saprà proprio più
che pesci pigliare.
Licia Troisi: Ed ecco la vera identità di
Conan, spero non
abbia deluso! E spero che la tua opinione di questa storia –
che diventi sempre più bella ^///^ – non sia stata
cambiata proprio da questo capitolo che, diciamocelo, è un
capitolo anche abbastanza importante.
TITTIVALECHAN91: Sì, siamo riusciti a
scoprire qualcosa. E
nemmeno una cosa di poco conto, non trovi? Sono felice che tu non abbia
disprezzato la mia decisione di mandare ancora un poco la cosiddetta
“ora della verità”. Secondo me il giallo
è il genere più difficile, infatti questo
racconto non è che sia proprio un giallo, anche se i misteri
non mancheranno. Alla prossima!
Kessi: Ciao! Che bello trovarti^^ Uhm, devo dirti
che non sono certa di
aver visto la puntata a cui ti riferisci – anche
perché io più che guardare l’anime
leggo il manga – ma potrei non ricordarmene. Comunque...
Penso non sia questo il punto della questione (o sì? O_o).
Sono felice che ti piaccia ritrovarmi, dal momento che, come ho
già scritto, a me ha fatto molto piacere ritrovare il tuo
nome in una recensione. Per finire: no, nel manga (e
nell’anime), Shinichi e Conan sono la stessa persona. Che
Conan sia qualcun’altro è frutto della mia mente
ammattita ^_- Grazie mille! Baci
BabyYuki: Be’, che dirti, se non, prima di
tutto, grazie?!
Come ho preannunciato sì, si sono svelati un po’
di misteri – o forse l’identità di Conan
ne ha aggiunti altri? – ma spero di non aver comunque fatto
svanire la voglia di seguire questa ff. (Ed ecco qualcuno che si
preoccupa per Shinichi... Be’, hai ragione, in fondo non lo
vediamo da tempo. E se calcoliamo che è scomparso da quando
Conan è stato trovato in casa di Agasa, la faccenda si fa
alquanto preoccupante). Baci.
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