You can't escape fear
Titolo:
You can't escape fear
Autore: My Pride
Fandom: Superman/Batman
Tipologia: One-shot
[ 1480 parole fiumidiparole
]
Personaggi: Bruce
Wayne, Clark Kent
Rating:
Giallo
Genere: Generale,
Malinconico, Angst
Avvertimenti: What
if?, Hurt/Comfort, Accenni SuperBat, Narratore inaffidabile
Advent Calendar (Saint Lucia):
Sei sconvolto, S
BATMAN
© 1939Bob Kane/DC. All Rights Reserved.
Clark
si accasciò ad occhi sgranati, allungando una mano per
sfiorare
il volto pallido e insanguinato di Lois mentre stringeva a
sé il
corpo senza vita di suo figlio Jon.
Come… com’era
potuto accadere? Un
momento prima erano seduti come una normale famiglia al tavolo di un
Café Bistrot a Metropolis, ridendo e scherzando con Jon
sulla
sua carriera universitaria, e l’attimo dopo, senza che lui
fosse
riuscito a rendersene conto, un’esplosione aveva fatto
saltare in
aria l’intero edificio e aveva provocato centinaia di morti.
Tossendo, attraverso quel polverone
Clark era
riuscito a scorgere la figura di Luthor stagliarsi nel cielo, con un
braccio robotico rivolto verso di lui e il verde iridescente della
kryptonite che era apparsa terribilmente lucente sotto la luce del sole
di mezzogiorno. Clark si era reso conto di essere ferito al fianco
troppo tardi, portandosi una mano a coprire la ferita, ma era stato un
rantolo alla sua destra a disintegrare il suo mondo.
Con gli occhi sbarrati e le orecchie
colme delle
risate di Luthor, Clark aveva osservato suo figlio abbassare la testa
per fissare la sbarra d’acciaio conficcata nel suo petto
prima di
vedere lo sconcerto sul suo viso, afferrandolo al volo prima che
potesse cadere con un ultimo respiro; Lois stessa aveva tossito e
biascicato parole incomprensibili, ingogliando sangue e saliva mentre
chiudeva gli occhi. Ed era stato a quel punto che Clark si era reso
conto di non sentire più il loro battito cardiaco, e tuttora
non
riusciva a crederlo possibile mentre mormorava il nome di sua moglie e
suo figlio, ancora e ancora, spasmodicamente, con Luthor che
torreggiava su di lui come una presenza opprimente.
Non avrebbe mai più sentito
la dolce risata
di Lois, i suoi rimproveri quando lasciava le scarpe in giro o i
borbottii a cui dava vita quando aveva una consegna da fare ed era in
ritardo, oppure il modo in cui, prendendolo in giro, gli diceva che
aveva tutte le abilità del mondo tranne quella di preparare
un
caffè; non avrebbe più potuto parlare con Jon di
come
procedessero i suoi esami e non avrebbe più potuto andare a
vedere il Super Bowl con lui il giorno del suo compleanno, non
avrebbero potuto tifare a squarciagola per i Meteors contro i Wildcats
di Gotham e non avrebbe più potuto ascoltare le finte
lamentele
di Jon su quanto poco romantico fosse Damian; non avrebbe
più
potuto fare tante piccole cose che amava fare con ma sua famiglia, e
tutto a causa dell’uomo che, protetto dalla sua tuta, si
faceva
beffe del suo dolore.
Gli occhi di Clark si incendiarono nello
stesso
istante in cui Luthor rise ancora. Il buono e mite uomo
d’acciaio, il difensore di Metropolis, Superman…
in quel
momento era morto con Lois e Jon. Adesso c’era solo Kal-El di
Krypton.
«Pensavi di poterti nascondere
per sempre in mezzo a noi, kryptoniano?»
La voce di Lex era solo un’eco
alle orecchie
di Clark, il quale distese delicatamente il corpo di Jon sul pavimento
intriso di sangue prima di rimettersi in piedi, la ferita al fianco
faceva male, ma faceva più male il dolore opprimente che
aveva
nel petto; sollevò il capo talmente in fretta che il suo
volto
parve sfocarsi per un lungo secondo, e Lex ebbe giusto la visione di un
lampo rosso prima che venisse colpito da un fascio di luce che gli
portò via il braccio.
Incredulo e sanguinante, non
trovò nemmeno la
forza di urlare, venendo preso in pieno petto da un colpo devastante
che spazzò via gran parte della sua arnatura; si
schiantò
a terra con un suono soffocato, sentendo l’asfalto sollevarsi
intorno a lui e creare un cratere nel quale affondò, tra
sangue,
acciaio e polvere.
«Me li hai portati
via». Il ringhio
gutturale che scaturì dalla gola di Clark fu così
profondo che lui stesso stentò a riconoscersi.
«Loro non
ti avevano fatto niente. Nessuna di quelle persone ti aveva fatto
niente».
Luthor lo guardò ad occhi
sgranati. «Superman…»
«No. Non hai alcun
diritto di chiamarmi così».
La vista calorifica colpì
ancora,
implacabile, tagliando la carne della gamba destra come se fosse burro
mentre la sentiva sfrigolare nelle sue orecchie, fondendosi con
l’acciaio dell’armatura; le urla di Lex
echeggiarono fra
gli alti grattacieli e le strade affollare, unite alle grida di terrore
che si innalzavano intorno a lui come una marea, un’onda
anomala
che si abbatteva con forza contro di lui senza smuoverlo di un
millimetro.
Clark sapeva che stava provocando il
panico. Sapeva
che le persone stavano cominciando a temerlo, ad avere paura di lui, a
chiedersi se fosse impazzito e se Luthor non avesse sempre avuto
ragione… ma non gli importava. In quel momento stava solo
pensando a ciò che gli era stato così
ingiustamente
strappato, alla famiglia che aveva perso per la seconda volta e al suo
mondo che era stato ridotto in frantumi da un piccolo patetico,
meschino uomo che aveva anteposto la sua personale vendetta alla vita
di tanti innocenti. Alla vita di sua moglie e suo figlio.
Urlando tutto il suo dolore, Clark
sentì il
potere scorrere nelle sue vene come fuoco vivo, serpeggiare nel suo
corpo come un serpente infido dalle spire fiammeggianti, sprigionandosi
dai suoi occhi con una potenza tale da ridurre letteralmente in cenere
l’uomo che, inerme, implorava davanti a sé.
«Superman, no!»
Non aveva idea di chi stesse gridando,
di chi stesse
provando a farlo ragionare inutilmente, ma voleva solo che smettesse di
farlo, voleva solo vendicarsi, farla finita, non c’era
più
niente che avrebbero potuto--
Un poderoso colpo dietro la nuca fece
spegnere i
suoi occhi e lui cadde in avanti, annaspando, cercando di mettere a
fuoco il luogo in cui si trovava mentre le dita artigliavano il terreno
davanti a sé, affondando nel terriccio umido che sapeva di
terra
bagnata. Un momento, cosa… seppur sbattendo le palpebre,
Clark
non riuscì a vedere nulla se non il buio totale in cui
sembrava
immerso, cercando di riportare il fiato nei polmoni mentre tossiva e
vomitava, con lo stomaco in subbuglio e la testa che gli scoppiava.
«Non muoverti»,
gracchiò una voce
familiare, e Clark ci mise un attimo di troppo per rendersi conto che
era la voce di Bruce. Bruce? Cosa ci faceva lì a Metropolis?
Oh, Rao.
Cosa… cosa aveva fatto?
«Batman…»
«Shh. Zitto». Il
tono imperativo con cui
lo disse cercò di sembrare al tempo stesso rassicurante, poi
una
mano si poggiò sulla sua spalla e lui tentò di
scacciarla, spaventato di poter reagire anche contro di lui e fargli
del male. «Va tutto bene. Sei al sicuro»,
esordì
pacatamente Bruce, ma lui avrebbe voluto gridare che non era
così, che era un assassino e che avrebbe dovuto occuparsi di
lui.
Non si era reso conto che Bruce aveva
cominciato a
parlargli kryptoniano e che lo aveva disteso di schiena su qualcosa di
viscido e freddo, e aveva sentito una mano intrecciarsi con la propria
qualche momento dopo. Il suo battito era irregolare e sentiva nelle
orecchie solo i suoni della vegetazione, dal fruscio della cappa di
fogliame sopra di lui al richiamo dei rapaci notturni, il finire delle
cicale e lo strisciare degli insetti del sottobosco, senza contare lo
sbattere frenetico delle ali dei pipistrelli. Dove… dove si
trovava? Non erano più a Metropolis. E perché non
riusciva a vedere niente?
Clark deglutì sonoramente,
sentendo il sapore
della bile nella bocca. Aveva ancora in testa le orribili immagini di
Jon e Lois, l’odore del sangue e del grasso che bruciava, la
carne ridotta in cenere e il rumore assordante delle urla
terrorizzate… si girò su un fianco e
vomitò ancora
al solo pensiero, sentendo la mano salda di Bruce poggiarsi ancora una
volta sulla sua spalla.
«Butta tutto fuori»,
disse Bruce, e
Clark cercò di biascicare qualcosa nonostante i conati e il
pianto che lo strozzava. Impiegò attimi interminabili per
riuscirci, provando ad allungare un braccio per poter afferrare la mano
di Bruce, sentendo quest’ultimo stringergliela.
«Oh, Rao, B…
io… Luthor…»
Bruce lo zittì poggiando il
palmo
dell’altra mano sulla sua bocca. «Non era
reale». La
sua voce era un sussurro al suo orecchio. «Hai inalato un
gran
quantitativo del gas dello Spaventapasseri mentre mi aiutavi a
contenere il suo attacco. Qualunque cosa ti abbiano mostrato le sue
allucinazioni, non era reale. Sei solo sconvolto, S».
Il viso di Clark si incrinò,
e fu con dita
tremanti che allontanò la mano dell’altro mentre
cercava
di guardare attraverso l’orlo delle ciglia, le palpebre
terribilmente pesanti. «Lois e Jon… loro
erano…»
«Non era reale»,
ripeté
pazientemente Bruce, e stavolta Clark crollò del tutto:
stretto
al corpo dell’altro, col volto sporco di terriccio e sangue,
pianse finché non gli restò più fiato
nei polmoni,
cercando conforto in quell’abbraccio che odorava di kevlar e
lacrime.
_Note inconcludenti dell'autrice
Altra
storia scritta per l'#adventarcalendar
indetto sul
gruppo facebook Hurt/comfort
Italia,
E niente, ormai vado a nozze con questo tipo di storie
perché i prompt mi fanno uscire questa roba tutt'altro che
confortante, ma che cosa ci vogliamo fare
Quando ho letto il prompt ho subito pensato a Bruce e Clark, anche se
inizialmente non avevo idea di come articolare la cosa. Poi
è andato tutto a rotoli da solo ed eccolo là, un
Clark alle prese con la tossina dello Spaventapasseri che gli mostra la
sua più grande paura: Jon e Lois morti e lui che diventa un
vendicatore di un altro mondo con i poteri di un Dio
Piccola nota. La tossina dello Spaventapasseri funziona anche con i
Super, come si è visto in una storia del fumetto
Superman/Batman del 2003, dove è Supergirl quella che viene
infettata dalla tossina e affronta le sue paura
Commenti
e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥
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