A
passo rapido e deciso, Karl uscì dal suo appartamento,
stringendo tra le mani una valigia di pelle marrone.
Percorsi
cento metri, vide una Volkwagen azzurra.
Il
finestrino si aprì e uscì il volto angoloso di Hermann.
– Salta
su! Ti accompagno io! – abbaiò il difensore.
Il
centravanti gli lanciò uno sguardo stupefatto.
– Perché?
Non devo andare in capo al mondo. Posso prendere i mezzi. Non ti devi
disturbare.– replicò.
Hermann
ringhiò, frustrato.
– Per
favore, non farti contagiare dalle manie di Genzo. E’ meglio
non farsi vedere troppo sui mezzi pubblici, fino a quando questa
storia non finisce. – dichiarò.
Karl
rifletté. Il suo compagno aveva ragione, anche se gli costava
ammetterlo.
Un
eventuale attacco di esaltati avrebbe potuto mettere in pericolo la
sua valigetta.
E
non poteva accadere.
Si
avvicinò all’automobile ed Hermann aprì la
portiera dal lato del passeggero.
Karl
salì e, qualche istante dopo, la macchina si mise in moto.
– Hai
preso tutto? – chiese ad un tratto Hermann.
– Sì.
Ci ho messo un po’ di tempo, ma ho ottenuto tutta la
documentazione. Le analisi di Genzo, il risultato dei rilievi e i
video delle telecamere del bar. Inoltre, come supporto, ho la
testimonianza di un amico. Sì, non manca niente. –
affermò il Kaiser, apparentemente tranquillo.
– E
allora perché sei così teso? Non dovremmo avere alcun
problema a scagionarlo da queste accuse ingiuste. – replicò.
Si
interruppe, sentendo un sospiro sgorgare dalle labbra del compagno, e
la preoccupazione si ravvivò. Qualcos’altro turbava il
suo compagno di squadra.
Poteva
essere dovuto al rimorso per la tragedia?
Ma
non aveva senso.
Ne
era sicuro, Genzo non era un incosciente.
– Hai
indovinato, Hermann. Genzo si sente in colpa. Gli ho imposto di
venire a stare da me, perché, solo, nel suo appartamento,
sarebbe crollato, ma è cambiato poco. – mormorò
Karl, serio.
Hermann,
dentro di sé, sussultò, ma mantenne lo sguardo fisso
sulla strada.
– Che
intendi? – azzardò.
– Soffre
d’insonnia e d’incubi e io lo sento spesso vagare per la
casa come un’anima in pena. Piange in silenzio, anche se per
pochi minuti, come se se avesse vergogna del suo dolore. –
confessò il centravanti, il tono frustrato.
Hermann
scosse lievemente la testa, sconfortato. Non faticava a credere alle
parole del compagno di squadra.
Una
simile, terribile vicenda oltrepassava le loro pur imponenti fatiche
calcistiche e metteva in discussione la dignità personale di
Genzo.
Si
sentiva circondato da belve prive di volto, pronte ad aggredirlo e a
sbranargli l’anima.
– Non
credi che avrebbe bisogno di un terapeuta? – domandò il
difensore.
– Probabilmente
sì, ma lui fa fatica ad accettare la nostra presenza.
Oltretutto, penso che non si fidi di nessuno. Puoi dargli torto? –
chiese a sua volta l’altro. La proposta del suo compagno non
era insensata, ma si scontrava con una realtà aspra.
Genzo,
pur volendo, faticava a fidarsi di estranei e tale diffidenza era
comprensibile.
Hermann
rifletté.
– No,
Karl. Non posso proprio dargli torto. –
Parcheggiarono
l’auto a circa cento metri di distanza da un edificio di forma
quadrata, piuttosto grande, collocato in un ampio spiazzo verde,
adorno di querce fronzute.
Il
sole colpiva il vetro e l’acciaio dell’edificio,
accentuandone il nitore geometrico, mentre diverse persone ora
entravano, ora uscivano dall’edificio.
– Karl,
non rischiamo di esporci troppo? – chiese Hermann.
Il
capitano della nazionale tedesca rise.
– Qui
lavora uno degli avvocati migliori di Monaco di Baviera. Sono
disposto a correre il rischio. – rispose.
Il
suo sguardo si indurì, come una lama di ghiaccio, mentre le
sue labbra si serrarono in una linea diritta, severa, quasi da idolo
antico.
– Hai
ragione. Non dobbiamo lasciare nulla di intentato. – concordò
l’altro.
Poi,
aprì la portiera dell’auto e Karl, presa la valigetta,
scese.
– Te
la senti di aspettarmi qui? – chiese.
Il
ruvido difensore sollevò il pollice in un gesto di assenso.
– Anche
tutto il giorno. Vai tranquillo. –
Karl
gli lanciò uno sguardo lungo, colmo di gratitudine, poi girò
la schiena e si inoltrò per il vialetto di ingresso.
Percorse
l’ampio spiazzo, lo sguardo serio e fisso davanti a sé.
Chi
si accorgeva della sua presenza gli lanciava sguardi ora sprezzanti,
ora curiosi, ora ironici.
Fantastico.
Mi guardano come se fossi un criminale., pensò.
Aveva avvertito su di sé il biasimo di quelle persone.
Nel
loro delirio mentale, lo vedevano come il complice di un assassino.
Quelle
occhiate erano per lui fonte di fastidio, ma riusciva a non badarci.
Gli
dava una vaghissima idea della situazione di Genzo.
Accennò
ad un sorriso ironico. Credevano di piegarlo con il loro inutile
biasimo, ma non era così.
Rendevano
più forte e fermo il suo proposito
Entrò
nella sala d’aspetto e, senza alcuna esitazione, si avviò
verso la reception.
– Che
cosa desidera? – chiese l’addetta, gentile.
– Vorrei
sapere se lo studio dell’avvocato Theodore Husserl è
ancora al secondo piano di questo edificio. E se e quanto dovrò
aspettare. – spiegò il giovane.
La
ragazza non rispose e cominciò a ticchettare le mani sul
computer.
– Sì,
lo studio è al secondo piano. Dovrà però
aspettare almeno mezz’ora, perché è impegnato con
un cliente importante. In caso di variazioni, la chiamo. Però mi deve
mostrare i suoi documenti. – gli ingiunse lei.
Karl
annuì,aprì una tasca esterna della valigia, prese la
sua carta d’identità e la porse alla ragazza.
Questa,
con occhio attento, la controllò, poi gliela restituì.
– La
ringrazio per la cortesia. – affermò il giocatore.
– Lavoro.
– rispose lei.
Il
giovane, poi, si avviò verso una delle poltrone e si sedette.
Aprì
di nuovo la tasca della valigia, prese una copia di Addio
alle armi e cominciò a
leggere.
Qualche
ora dopo, il telefono risuonò.
La
ragazza prese la chiamata e, dopo alcuni minuti, riagganciò.
– Signor
Schneider, è il suo turno. L’avvocato Husserl è
libero e la sta aspettando. – gli annunciò.
Il
giovane, sentendo le parole di lei, chiuse il libro, si alzò,
stringendo tra le mani la valigetta e si avviò verso
l’ascensore. Poteva salire a piedi senza alcun problema, ma, in
quel momento, non desiderava fare alcuno sforzo fisico.
Le
porte metalliche si aprirono e un uomo e una donna uscirono.
Karl
entrò e, con forza, premette il due sul tastierino numerico.
Con
uno scatto, le porte metalliche si chiusero e l’ascensore
cominciò a salire.
Il
giovane, con gesti colmi di nervosismo, strinse la valigetta contro
il petto, quasi fosse un tesoro prezioso. Un senso di ansia si era
insinuato in lui, nonostante tentasse di mantenere la calma.
Theodore
Husserl era un valido uomo di legge, esperto in diritto penale, ma
sarebbe bastato ad aiutare Genzo?
Inoltre,
lo preoccupava il suo stato di prostrazione.
Il
suo amico e rivale asiatico, con una forza encomiabile, cercava di
mantenere la dignità, ma era una lotta assai sfibrante.
E
non voleva nemmeno ricorrere a tranquillanti, per paura.
Strinse
i pugni e le sue labbra si sollevarono in un ringhio di belva. No,
non avrebbe permesso un simile esito.
L’ascensore
si aprì e il giovane uscì.
Percorse
alcuni metri, poi si fermò davanti ad una porta, sormontata da
una targa d’ottone con sopra il nome: avvocato Theodore
Husserl.
Pochi
istanti dopo, con uno scatto, si aprì e apparve un uomo basso,
tarchiato, vestito con una maglia e un pantalone bianco.
Dietro
i suoi occhiali, dalla montatura dorata, si celavano sottili occhi
celesti e il suo volto dai lineamenti duri, segnato da rughe sottili,
era circondato da folti capelli bianchi.
– Puoi
entrare. – gli disse.
Karl
lanciò brevi sguardi guardinghi, ora a destra, ora a sinistra, poi si inoltrò nello studio.
Era
un ambiente piuttosto ampio, di forma rettangolare, che riceveva la
luce del sole da un’ampia finestra, che dava sul giardino.
Una
grossa scrivania di quercia, ingombra di carte e penne, dominava la
stanza e, appoggiata alla parete posteriore, v’era un’ampia
vetrina, nella quale erano collocate diversi volumi di giurisprudenza
e storia in varie lingue.
Diverse
sedie erano collocate davanti alla scrivania, mentre il pavimento
scompariva sotto un ampio tappeto bianco e giallo.
Nell’angolo
sinistro, in un vaso di ceramica, fioriva una rigogliosa pianta di
orchidea vermiglia, dalla quale si spandeva un forte profumo.
– Hai
portato quello che ti ho chiesto? – chiese Theodore, spiccio.
– Sì.
E’ tutto in questa valigetta. – rispose il giocatore.
– Siediti.
E aspetta alcuni minuti. – gli disse l’uomo di legge.
Karl
gli consegnò la borsa e si sedette.
L’avvocato
la aprì e, con occhio attento, cominciò a esaminare i
vari documenti.
Di
tanto in tanto, si accarezzava il mento glabro con la mano.
Qualche
minuto dopo, l’uomo alzò i suoi occhi grigi e li fissò
in quelli cerulei del giocatore.
– Che
cosa ne pensa? Ha bisogno di qualcos’altro? – chiese
Karl, ansioso.
– Per
ora nulla. Ma ci sono alcune cose che depongono a favore del tuo
compagno. – spiegò il legale.
– Quali?
– chiese Karl.
– Non
era ubriaco o drogato. Dai risultati delle analisi del sangue,
risulta solo un elevato livello di adrenalina e vari ormoni dello
stress. Comprensibile, dato il suo stato di tensione. A questo, si
aggiungono i risultati dei rilievi. La sua velocità non era
elevata. Non sembra avere fatto manovre da pilota di Formula 1, se
non quella per evitare l’impatto con la moto. – spiegò.
Il
campione tedesco sentì un lieve sollievo pervadere la sua
anima. Forse, una vaga speranza c’era.
– Non
ti consiglierei di lasciarti andare a esagerate manifestazioni
d’ottimismo. Prima, voglio esaminare il video dell’incidente.
Ah, so che è stato soccorso da un paramedico, prima
dell’arrivo dell’ambulanza. O mi sbaglio? – chiese.
– No.
E’ una persona che conosco bene. Si chiama Andrei Ionescu ed è
anche un importante scacchista. – rispose Schneider.
– Bene.
Desidero parlarci. – affermò Theodore.
– Capisco.
Glielo riferirò. – promise Karl.
– Se
tu riuscissi a trovare altri testimoni, sarebbe meglio. Ora, puoi
andare? Devo lavorare e ho bisogno di silenzio. – affermò
l’avvocato.
– D’accordo.
Buon lavoro. – lo salutò il giocatore.
Si
alzò, chinò la testa e uscì dallo studio.
Un
po’ di tempo dopo, uscì dall’edificio e si avviò
verso l’auto di Hermann.
Questi,
vedendolo arrivare, aprì la portiera e lo fece salire.
– Come
è andata? – chiese.
Karl
si lasciò andare sul sedile, come se le sue energie fossero
scomparse.
– Qualche
possibilità c’è… Le analisi del sangue di
Genzo non mostrano tracce di alcool o droghe e i rilievi sulla sua
auto sembrano indicare una guida prudente. Ma lui mi ha detto di non
sbilanciarmi troppo, perché vuole esaminare tutto meglio.
Soprattutto il video della telecamera del bar. – spiegò.
– Non
dovresti sorprenderti. Hai detto tu che non vuoi lasciare nulla al
caso. – lo incoraggiò Hermann.
– Poi,
mi ha detto che vuole parlare con Andrei. – continuò.
Il
difensore dell’Amburgo sbarrò gli occhi, stupito.
– Chi?
Il tuo amico scacchista? Ma sarà facile trovarlo? –
domandò.
Karl
accennò ad un sorriso e si passò la mano tra i capelli
biondi.
– Stai
tranquillo. Non è un pazzo alla Bobby Fisher. Se può
aiutare qualcuno, lo fa. Del resto, non ha cercato di soccorrere
quello sventurato motociclista? –
Hermann
grugnì un breve cenno d’assenso, poi inserì la
chiave nel cruscotto e la macchina partì.
1)
il nome dell’avvocato è una fusione tra i nomi dei
filosofi Theodore Adorno e Edmond Husserl, mentre il cognome di
Andrei Ionescu (è il paramedico del 1 capaitolo) è
quello del grande drammaturgo.
Schneider
ha citato Bobby Fisher, che, oltre alla grande bravura negli
scacchi, ha anche mostrato atteggiamenti arroganti e opinioni
discutibili. (vedi l’antisemitismo).
Ho
cercato di creare una situazione credibile per il diritto tedesco, ma
non vorrei avere cannato. Se sì, attribuitela alla
balordaggine delle informazioni.
Ho
messo alcune varianti nella storia, rispetto alle one shots, per
evitare che risulti ripetitivo.
Che
ve ne pare? Vi piace Schneider in questa veste?
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