Left the past behind
Titolo: Left the
past behind
Autore: My
Pride
Fandom: Super
Sons
Tipologia: One-shot
[ 2480 parole fiumidiparole ]
Personaggi: Damian
Bruce Wayne, Thomas
Alfred Wayne-Kent (OC), Jonathan
Samuel Kent
Rating: Giallo
Genere: Generale,
Slice of life, Vagamente Malinconico, Fluff
Avvertimenti:
Narratore inaffidabile, What
if?, Slash
Maritombola #12: 05.
“Questa città si affaccerà quando ci
vedrà giungere” (Måneskin, Torna a casa)
SUPER SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved.
Con
la testa che gli doleva, Damian aprì debolmente le palpebre
e si
guardò intorno, capendo di essere in una stanza in penombra
illuminata da poche candele poste in punti strategici. Accigliato, si
tirò su a sedere e imprecò nel sentire un dolore
al
fianco, e nell'abbassare il capo vide, con la poca luce fornita dalle
fiammelle, un livido che si estendeva sul suo fianco nudo. Indossava
solo dei pantaloni larghi con una fascia alla vita e, guardando meglio,
si rese conto di avere anche dei parabraccia dorati ai polsi. Ma
cosa...?
Un vociare insistente oltre la porta
richiamò
la sua attenzione, e lui si voltò solo per sentire quel
brusio
diventare sempre più sconnesso, come se qualcuno si stesse
allontanando con passi veloci. Imprecando per il dolore, Damian
cercò di rimettersi in piedi e vacillò in quella
direzione, sorreggendosi contro le pareti della piccola stanza in cui
si trovava; quando arrivò alla porta e la
spalancò,
però, rimase senza fiato nel riconoscere la scalinata di
pietra
che portava all’altare su cui poggiava la riproduzione del
globo
terrestre, le fiamme nei bracieri danzavano in lingue di fuoco
inquietanti che rendevano l'atmosfera irrespirabile. E lì,
in
ginocchio con la schiena rivolta al simbolo degli Al Ghul, c'era Thomas
con indosso il mantello per l'iniziazione all'Anno di Sangue.
Damian si portò una mano alla
bocca,
disgustato e inorridito. Lo stomaco gli si contorse e represse un
conato di vomito, non riuscendo a muovere un singolo passo per
strappare suo figlio dal rito che si stava svolgendo dinanzi ai suoi
occhi. Il rosso delle fiamme rendeva l'atmosfera soffocante e
terribile, il brusio degli adepti mentre mormoravano la gloria degli Al
Ghul era una nenia che sembrava ferire le orecchie, e Damian
provò ad aprire la bocca e ad urlare di smetterla, di
lasciar
stare suo figlio, poiché a nove anni non avrebbe dovuto
subire
ciò che aveva dovuto subire lui. Non voleva che Thomas
vivesse
l'orrore e la tragedia, che il sangue gli sporcasse le mani, che le
torture che lui stesso aveva dovuto subire da bambino si riversassero
ad indurire quel suo volto fanciullesco e che la sua innocenza venisse
strappata via allo stesso modo in cui era successo a lui, e men che mai
voleva che suo figlio sapesse ciò che voleva dire uccidere.
Gridò il nome di Thomas,
quello di sua madre
dritta e fiera accanto a lui, e imprecò anche contro suo
nonno,
il quale aveva appena dipinto sul viso di Tommy una lunga scia di
sangue che gli nascondeva completamente gli occhi. Perché
sua
madre stava permettendo questo? Perché lasciava che suo
nonno
trattasse in quel modo suo nipote? Damian si rifiutava di credere che
sua madre, la quale aveva cercato davvero di chiedere una redenzione,
avesse tradito la sua fiducia solo per consegnare suo figlio nelle
sporche mani di Ra's Al Ghul e continuare, seppur in linea di sangue
non diretta, l'orribile follia della conquista del mondo.
Thomas si alzò in quello
stesso momento e
guardò dritto davanti a sé per fissarlo, come se
fosse
l'unico, in quella stanza, che potesse vederlo. Le due iridi, una
azzurra e una marrone, lo guardarono con un'attenzione tale che non si
sarebbe mai aspettato, l'espressione sul suo viso sembrava
completamente trasformata in pietra mentre il sangue cominciava a
colare lungo le sue guance, quasi stesse piangendo lacrime rosse.
«Per te, padre»,
sussurrò,
accettando la spada che gli veniva offerta, e Damian sbiancò
nel
rendersi conto che quella spada l'aveva consegnata lui stesso. In piedi
davanti a suo figlio, con indosso le vesti della Testa del Demone,
stava diventando giudice e carnefice dell'infanzia rubata di Thomas. E
la cosa peggiorò quando la sua bocca si aprì
contro la
sua volontà, pronunciando una frase che non avrebbe mai
voluto
neanche lontanamente pensare.
«Rendimi fiero, figlio. Rendi
fieri tutti gli
Al Ghul, conquista il mondo, conquista Gotham. Questa città
si affaccerà quando ci vedrà
giungere», affermò con voce aliena, quasi
provenisse da
recessi della sua memoria o da qualcuno che non era lui, e non
poté fare altro che pronunciare quelle parole mentre le
grida a
cui voleva dar vita venivano ingoiate nella sua gola, senza avere
possibilità di uscire.
Un boato di urla di guibilio si
sollevò
intorno a loro mentre gli assassini e i nuovi adepti pronunciavano il
nome di Thomas, e Damian sgranò gli occhi nel vedere alcuni
di
loro sollevare un enorme pezzo di stoffa su cui spiccava il nome
“Hafid Al Ghul”, nome che Damian aveva sempre
sperato di
non rivedere mai. Il nome con cui era stato conosciuto
all’interno della Lega degli Assassini.
«Lunga vita al
Demone!» Al coro di voci
fece eco il battere possente di pugni contro il petto e spade
sguainate, e Damian inorridì maggiormente nel rendersi conto
che
persino Thomas gli stava rendendo omaggio, in ginocchio e con la lama
conficcata nel terreno sottostante.
«Ora vai», disse
ancora con voce non
sua. «L’Anno di Sangue ti attende. Torna
vittorioso…
o muori provandoci».
Thomas si batté ancora una
volta il pugno sul
petto, poi si sollevò il cappuccio sul capo. «Come
desideri, padre», sentenziò, incamminandosi fiero
e
spavaldo oltre quelle scale sotto lo sguardo sconcertato di Damian, per
quanto non avesse mosso un muscolo per fermarlo né tanto
meno
avesse parlato.
Era come se fosse uno spettatore che
osservava
ciò che gli accadeva intorno senza poter far niente per
cambiare
il corso degli eventi, fissando la schiena di Thomas che si allontanava
senza poterlo fermare. No, no, no. Come un lampo, vide le immagini
della sua iniziazione passargli davanti agli occhi, la tortura a cui
era stato sottoposto e le dure prove che lo avevano reso indifferente
al dolore del mondo, e suo figlio stava per subire la stessa sorte.
Thomas stava per imbarcarsi in una missione suicida e lui non stava
facendo niente per fermarlo. Dov’era Jon? Perché
stava
succedendo tutto questo?
Quando si voltò e si vide
specchiato nella
lama della propria spada, Damian sentì lo stomaco in
subbuglio e
fissò quel volto scavato e pallido e quegli occhi verdi che
ricambiavano il suo sguardo, deglutendo sonoramente quando un luccichio
alle sue spalle richiamò la sua attenzione;
spostò un
po’ la lama con mano tremante, senza voltarsi, urlando a
squarciagola nel rendersi conto che la testa riflessa
sull’acciaio e conficcata su una picca, con gli occhi azzurri
spalancati e dilatati, era quella di Jon. Gridò talmente
tanto
che gli si seccò la gola, la sentì andare a fuoco
e quasi
perse la voce, urlando ancora e ancora il nome di Thomas e Jon senza
che nessuno lo sentisse. Era davvero finita? Era davvero quello il
destino di suo figlio e suo marito? No, non voleva. E quindi
urlò ancora con quel poco fiato che aveva in corpo,
singhiozzando e farfugliando mentre annaspava e cercava inutilmente di
riprendere aria.
«Damian! Stai bene?!»
La voce di Jon si fece spazio in
quell’oscurità fatta di fiamme e sangue,
strappandolo da
quell’incubo in cui stava affogando; aprì gli
occhi
così di scatto che per un attimo si guardò
intorno
freneticamente, infilando una mano sotto al cuscino del divano per
afferrare un coltello immaginario che non trovò. E Jon,
accorgendosi del gesto, gli poggiò delicatamente una mano
sul
polso, massaggiandolo.
«Ehi, hayati… va
tutto bene, sei a
casa. Sei al sicuro», sussurrò, ripetendo quelle
parole
come una nenia, lo sguardo fisso sugli occhi sbarrati del marito.
Damian stesso faticò a
calmarsi, il respiro
ansimante e l’ansia che gli attanagliava il petto, e si rese
conto che c’erano altre mani che lo toccavano e
un’altra
voce che provava a rassicurarlo solo quando, ristabilizzato in parte il
suo battito cardiaco, notò anche Thomas con la coda
dell’occhio. Lo attirò a sé
così in fretta
che il ragazzo si lasciò scappare un’esclamazione
improvvisa, la quale venne ben presto soffocata contro il petto di
Damian che, impaurito, aveva cominciato a passare spasmodicamente le
mani fra i capelli del figlio.
«Stai bene, baba?»
chiese Tommy
nonostante fosse letteralmente premuto contro la stoffa del maglione, e
Damian annuì debolmente, sentendo Jon accomodarsi al suo
fianco
per avvolgergli un braccio intorno alle spalle.
«Io…
io…» Damian si
umettò le labbra più volte, la voce ridotta ad un
soffio
isterico. Cercò in tutti i modi di scacciare dalla sua testa
le
immagini che aveva visto, l'incubo che gli aveva mostrato i peggiori
orrori che avrebbe mai potuto pensare e che lo aveva torturato nel
profondo, non volendo sovrapporre i volti preoccupati di Jon e Thomas a
quelli che aveva visto quando il suo cervello lo aveva intrappolato in
quella che era una delle sue paure più profonde. E a quel
pensiero si ritrovò ad avvolgere un braccio intorno ai
fianchi
di Jon, tenendo contro di sé i due uomini della sua vita.
Era a
casa sua, col suo compagno e suo figlio, e si era solo addormentato sul
divano dopo una lunga giornata di lavoro. Non era alla Lega. Non
più. «Adesso… adesso
sì».
Jon e Tommy si lanciarono solo una
rapida occhiata,
ma non fecero ulteriori domande. Si strinsero semplicemente a Damian,
desiderosi di dargli tutto il calore di cui sembrava necessitare, e fu
soprattutto Jon a guardare il compagno con attenzione, consapevole che
avesse avuto uno dei suoi incubi. Erano anni che non accadeva, e Jon
sapeva che, se lo avesse forzato a parlarne, si sarebbe semplicmente
chiuso maggiormente in se stesso. Quindi rimasero così, gli
uni
abbracciati agli altri, finché non fu Jon stesso a
consigliare
di andare a letto.
Seppur tergiversando per un momento,
Damian aveva
annuito e li aveva lasciati andare a malincuore, anche se alla fine si
erano ritrovati tutti e tre, Asso incluso, a condividere il letto.
Thomas aveva giustificato la cosa dicendo che voleva solo assicurarsi
che il suo baba stesse bene e che se ne sarebbe tornato a letto solo
quando si sarebbe addormentato, ma alla fine era stato lui il primo a
crollare, ronfando contro il braccio di Jon; quest'ultimo l'aveva
lasciato fare con uno sbuffo divertito e aveva lanciato uno sguardo a
Damian, il quale si era sforzato di sorridere un po' prima di
accoccolarsi a sua volta contro di lui.
Quando anche Jon si era addormentato,
però,
era scivolato silenziosamente via dal letto ed era sceso al piano di
sotto, zoppicando fino al portico per sedersi sul dondolo con un lungo
sospiro. Quell'incubo era ancora lì a tormentare la sua
mente,
ma sembrava che stesse cominciando a svanire mentre inspirava fino in
fondo il piacevole odore della campagna che lo circondava. Non era
più Hafid. Non lo sarebbe stato mai più.
Ciò che
aveva sognato era solo frutto delle sue paure, qualcosa che non sarebbe
mai successo e che non avrebbe intaccato la felicità che
aveva
conquistato con così tanta fatica.
«Ehi... ti piace proprio stare
qui fuori a pensare, mhn?»
La voce di Jon richiamò la
sua attenzione e
Damian gli scoccò una rapida occhiata, limitandosi
semplicemente
ad annuire senza proferire parola per tornare a fissare i campi davanti
a sé immersi nel buio e nella quiete. C'era solo la luce
della
luna e delle stelle ad illuminare i profili delle fattorie distanti, e
Jon si sedette accanto a lui sul dondolo, cingendogli le spalle con un
braccio per guardare a sua volta lo spettacolo che aveva davanti.
«Vuoi parlarne?»
chiese infine dopo
minuti interminabili di silenzio, e Damian tacque ancora per un lungo
attimo prima di passarsi una mano fra i capelli.
«...ho sognato che costringevo
Thomas all'Anno di Sangue».
Jon si accigliò.
«Cosa?»
«L'Anno di Sangue»,
ripeté nell'inspirare pesantemente dal naso, abbandonando
una
mano sulla protesi scoperta. «Un anno trascorso per
prepararsi a
guidare gli Al Ghul verso il potere e il dominio del mondo».
Damian sentì gli occhi di Jon su di sé e fu
incerto sul
raccontare, poi le dita della mano di Jon si intrecciarono con le sue,
dandogli la forza di continuare. «Ogni giorno una nuova
prova,
una nuova lezione e un incarico da assassino da completare. Ogni
incarico un trofeo da conquistare».
«D...» La presa di
Jon si fece
più salda, ma Damian sollevò immediatamente una
mano per
fermare ogni parola che sarebbe potuta uscire dalle sue labbra.
«No. Fammi finire»,
sentenziò.
«Lo so, lo so che non sono più quella persona.
Quand'ero
ragazzino, prima che ti conoscessi, ho cercato la redenzione per
ciò che avevo fatto, liberandomi io stesso di quel fardello
e di
quelle catene che mi avvolgevano il collo». Si
passò una
mano fra i capelli, strizzando gli occhi per un momento.
«Eppure... eppure ho sognato che costringevo nostro figlio a
fare
lo stesso. Cercavo di urlare e di far finire tutto, ma era come se il
mio corpo si muovesse da solo e... e gli ho detto di rendere fieri gli
Al Ghul».
Jon si irrigidì, ma
rinserrò la presa
per stringere maggiormente la mano nella sua. «Era solo
brutto
sogno, D, non--»
«Tu eri morto»,
sentenziò ancora,
cominciando a respirare pesantemente. «Eri morto e forse ti
avevo
ucciso proprio io, oppure Thomas, io non… non so
cosa…»
«D, ehi, D». Jon lo
afferrò
subito per le spalle, costringendolo a guardarlo. «Respira.
Stai
iper-ventilando. Respira», lo guidò nel cominciare
a farlo
con lui, inspirando a fondo e rilasciando aria, vedendo Damian fare lo
stesso anche se con fare incerto. Fu solo quando si calmò
che
Jon lo abbracciò di nuovo, carezzandogli la schiena mentre
lo
premeva contro di sé. «Era un incubo, hayati. Solo
e
unicamente un incubo».
Seppur ancora un po’ agitato e
col cuore che
riprendeva lentamente il normale battito, Damian artigliò la
camicia di Jon, beandosi del calore del suo corpo e della
consapevolezza della sua presenza viva e costante. Quel sogno era stato
così realistico che per un momento aveva davvero temuto che
fosse vero, e il mal di testa non aiutava di certo a calmarsi in fretta
come avrebbe voluto. Ben presto il tocco caldo della mano di Jon lo
rasserenò, e Damian trasse un lungo sospiro, col viso
nascosto
nell’incavo della sua spalla.
«Grazie, J», disse
infine. Ne aveva
davvero bisogno e, anche se non lo disse, dal modo in cui Jon gli
sorrise fu abbastanza ovvio che lo sapesse. «Torniamo
dentro», lo invitò, certo che stavolta sarebbe
riuscito ad
affrontare il resto della serata. Stare in loro compagnia avrebbe anche
aiutato.
Jon sorrise e fu il primo ad alzarsi,
allungando una
mano verso di lui per aspettare che la afferrasse; quando lo fece,
intrecciò le dita con quelle di Damian e lo guidò
dentro
lui stesso, stringendolo per fargli sentire che era lì, era
vivo, e che niente di ciò che aveva sognato sarebbe successo
davvero.
Si sarebbero lasciati alle spalle
quell’incubo e tutto il dolore che aveva portato con
sé.
_Note inconcludenti dell'autrice
Vediamo.
Ci sarebbero un sacco di cose da dire su questa storia, ma... non
saprei esattamente da dove cominciare.
Damian da bambino è stato costretto ad affrontare una prova
che
si chiamava l'Anno di Sangue e, come spiegato da lui nella storia,
erano prove mortali che avrebbero dovuto addestrarlo per un anno intero
a diventare l'araldo del demone, il capo supremo che un giorno avrebbe
guidato la Lega. E quindi... beh, tira qui, tira lì, alla
fine
quel passato è tornato e ha cercato di intrappolarlo in un
incubo che ha visto suo figlio (il suo amore, il suo tesoro, la sua
luce) e suo marito vittime degli Al Ghul e di ciò che era
stato.
Damian, tesoro, mangia meno pesante la sera!
Ovviamente la nota finale un po' fluff non poteva mancare,
perché altrimenti che raccolta fluffuosa sarebbe? E Damian
in
fin dei conti ha bisogno di sapere che, nonostante il suo bruciante
passato, ha un futuro luminoso davanti a sé
Commenti
e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥
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